Recensioni per
Dimmelo in metriche barbare
di _Maeve_

Questa storia ha ottenuto 1 recensioni.
Positive : 1
Neutre o critiche: 0


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Recensore Veterano
11/04/16, ore 13:08

Ci si perde nelle tue poesie. Tra i tuoi rimandi, i tuoi accenti (precisa come sei, poetica come sei, posso permettermi di rimproverarti e ricordarti di usare la È e non la E'?), la tua punteggiatura (sai che non sei la prima che conosco, qua, ad essere ossessionata dai punti e vergola?), le tue premesse e le tue note (a volte scrivi "Note", altre volte "Notes", ci hai fatto caso?). Due righe e ho già abusato delle parentesi tonde. Ricominciamo da capo?
La tua poetica, i distici in cui redigi il tuo manifesto - parleremo del maevismo come del decadentismo? Se non sui manuali, almeno tra di noi - sono ancora una volta belli. Tu parli dei tuoi versi. Li osservi, studi i loro tratti, sono tratti femminili e teneri. Essendo tuoi, t'appartengono come poco altro, apprezzi come siano schivi, si ritraggono perché non sono in cerca di complimenti e tu non sei generosa con loro. Cerchi d'essere onesta e a volte sospiri e li giudichi banali. Spesso li giudichi banali - non tanto la forma delle parole, di per sé graziosa, quanto il motivo decorativo di fondo. La banalità, lo sai bene dopotutto, è relativa: ché di tutto si è scritto, che in tutti ci sono delle costanti che ritornano in quanto equazioni fondamentali. Persiste quella sensazione dal tuo punto di vista, anche quando le tue poesie ti piacciono (non puoi mentire: ti piacciono), e se accantonassi il concetto autoimposto di "banalità" ti resterebbero veramente solo le tue parole (sarebbe un'esperienza nuova). In ogni caso, è bello osservarti/leggerti mentre ti confronti con le tue stesse parole, troppe remore ti separano dalla tua anima e te ne lamenti, te ne lamenti come tutti i poeti. La coincidenza non c'è mai, quella coincidenza d'intenti e di parole è uno sforzo lezioso. Sai perché sono belle le tue poesie? O meglio, perché io le trovo belle. Magari non t'importa saperlo, ma c'è una ragione e ti riguarda. Il tuo poetare è sì costruttivo, sì fatto di rimandi e riferimenti, sì introspettivo, ma è anche l'espressione antitetica all'apatia, è un ritratto in pixel condensato di sensazioni vive, di un'interiorità conflittuale e intrigante. Banale sei pronta a dire, chi non ha i propri conflitti interiori? Vero. Il modo in cui si amalgano e in cui diventi raffineria preziosa di parole allo stato naturale è tuttavia solo tuo. Il modo in cui parli dell'amore, il modo in cui parli dei poeti, il modo in cui parli del mondo e delle aspettative che rischiano di caderti addosso e di farti male, questo è commovente da leggere, per quanto tu possa lavorare sulle parole, c'è una immediatezza di fondo (esattamente come la radiazione cosmica, è una radiazione d'origine) che non viene via neppure dopo così tanti lavaggi. Hai un modo d'esprimere così bello che viene voglia di rispecchiarsi, di essere te o almeno di essere con te.

Prendi questa poesia, prendi la sfida iniziale alle metriche barbare e alla forma accentuativa. L'accostamento di parole, pàralizzàta e ìncolòre, è già il primo (errata corrige: il secondo) punto del manifesto. Fonosimbolicamente - e non so se si può dire ma qua sfidiamo anche ogni convenzione e dantescamente coniamo parole (parole fa rima con viole, come puoi odiare la rima per -ole) - è la sintesi ritmica della tua essenza, analiticamente è in-colore, è la propensione per vocalità aperte che andranno a soffocare nel tuo sòffoco sòffoco sòffoco (se prima ci stava bene Callimaco, stavolta avresti dovuto chiamare in causa Saffo), è l'espressione tangibile della luce soffusa nella quale appunti questi versi (ero tentato di scrivere in accenti ma poi mi pareva troppo d'imitarti) in una di quelle notti in cui dormire da sola non basta, un dormire forzoso solo per lasciare che la nuova giornata possa avviarsi a tutti gli effetti e rinfacciarti (lei a te, te a te), dopo qualche ora, d'averla già sprecata. Bieco diletto è una magra definizione del fare poesia (l'accezione negativa la capisco, però, e capisco il contrasto; nella tua poesia è una definizione che ho trovato bellissima); appropriato, per una poesia che reputi banale, in cui finiscono per confluire i riferimenti spontanei o "dovuti" alla sera. A Pascoli e alle "belle di notte" un poco sgualcite, ad esempio (ma avremmo potuto parlar pure dei papaveri rossi). La loro prudenza non le preserva.
La fine è vicina (della poesia, della vita, della sera, rigorosamente non in ordine) e all'appello delle tue incertezze riscontri piacevolmente che nessuna di loro è assente. Sono stacanoviste. E non resta che far autoironia (o fare come me, ironia sul tuo fare autoironia, ce lo permettiamo anche se nessuno di noi due ha osato comporre delle satire) e finire di scrivere a letto la poesia. Vai a letto con le poesie, puoi veramente desiderare di più? La domanda è retorica, sì.

E per arrivàre? Prova con la sesta alla seconda strofa della tua quintultima poesia.
In alternativa, Non lò sénti come sta bene morìre? Cambia l'accento, cambia la gente, fa niente. (e so che coglierai il rimando)

Parole enfatiche, rimuovibili, interscambiabili, è una poesia a pezzi (non solo denotativamente parlando). Il tuo modo di scrivere e di esprimere, come ti dicevo, è davvero bello. Come leggerti (o scriverti).