Recensioni per
Il gelsomino notturno
di _Maeve_

Questa storia ha ottenuto 2 recensioni.
Positive : 2
Neutre o critiche: 0


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Recensore Junior
13/04/16, ore 22:43

Ciao ancora,
ricommento a poca distanza di tempo perché era troppo interessante.
Non sono interessanti solo le tue poesie in se stesse, ma anche la critica a cui continuamente ti sottoponi nelle note alla fine, che dimostra oltre a una buona cultura poetica anche una vera capacità di introspezione tipica di chi vuole veramente capire e conoscere se stesso...<3
ciao ancora cara...buona serata :D

Recensore Veterano
12/04/16, ore 14:15

È confortante pensare che la tua spontaneità prevalga su ogni (più o meno) tentativo di arginare o modellare la marea, attendendo dall'angolazione giusta per sentire la luce delle stelle o i latrati meno nobili dei cani e permettere loro di attraversare il confine. E questi versi, confluiti talvolta in strofe (e già definirle tali è fuorviante) lillipuziane ma estremamente deliziose, a fare da separè o da raccordo anulare tra le altre parole che s'incrociano, sono belli e molto tuoi.
Esordisci con una domanda, non ti risparmi in domande (e da quale pulpito viene la predica) in questa, in altre poesie o nonpoesie dalle forme comunque eleganti e cruente (quando parli di sangue non intra-vedi scene cruente?) e pensi a una poesia sensuale, a come farla, se farla. Non filtri abbastanza quando scrivi e per chi ambisce a raggiungere la sensualità con dei versi, è la premessa ideale, lascerai trasparire abbastanza, com'è già accaduto in precedenza.
A proposto di premesse, faccio la mia: siamo affini e diversi (in tante di quelle cose) e devo afferrarti secondo gli schemi da cui malvolentieri cerco di slegarmi ma che persistono, mentre tu d'altro canto scrivi con le idee chiare rendendole un flusso che non è acqua di mare delle sette del mattino. Il maevismo mi è ancora estraneo, non ho un manuale su cui studiarlo, vado a tentativi e per gradi (che bugia questa: io vado su tutto e, sì, reprimo qualcosa da dire, ma parlo di tutto, altro che gradi) per ricomporre i passi salienti delle tue poesie e appiccicarteli addosso al posto dei vestiti appesi, fai da gruccia come da architrave. Non ti offendere - e non lo fai - se io mi perdo e se giudico con apparente e banale prosaicità quella che è o non è felicità, mentre compilo i registri sul resto che (non) dici - o una delle mille altre varianti.
Il gelsomino notturno di questa poesia è in preda a un orgasmo (poco importa se figurato al passato, al futuro, se attualizzato). I tuoi penultimi versi (prima di fraintendere, intendo la penultima poesia, nella sua interezza) erano marchiati dal peccato e dall'insofferenza, qua c'è aria di liberazione e profanazione, a discapito della sacralità che pure proclami, solo a parole (lapsus che devo raccontarti: avevo scritto prole anziché parole). L'intenzione non è d'essere dissacrante (non lo sei stata, mi s[piace]): è incantevole come hai reso l'attesa, l'agitazione, come hai raccontato l'amplesso e come si è fatto teatro di teogonie da presentare al lettore incauto che ha osato assistere prima di chiedere il rimborso integrale del biglietto. È vano e, anzi, dozzinale far pedagogia sulla metapurezza, ché la purezza è sofisticata e non c'entra niente col non aprirsi o col non aprire le gambe. La voracità che descrivi, l'avvenenza e l'astinenza si fondono e danno luogo alle tue consuete triadi (non ci sono solo i trittici a descriverti, c'è una poetica intera della trinità nel tuo modo di esprimerti), è la poesia riveduta di una serata da consumare. Da consumare?
Mi ha fatto sorridere, Oddio, non da pubblicare. Empaticamente il mio super io ha sorriso con me. Mi hai fatto sorridere ancora, E' il bianco sul bruno, il colore più osceno. Stavolta ho sorriso solo perché sei stata meravigliosa. La dolcezza fa capolino (e per analogia penso alle calatidi e dunque alla camomilla e scusa se prima non ho pensato che poteva solo essere femminilità placida e fermarmi là - alla tua femminilità, in quella poesia, però ci ho pensato, lo hai osservato anche tu) nella sua accezione letterale, è dolce il desìo com'è dolce il brusìo di un pianto. C'è rimasto un grumo di sogni irrealizzati, in quanto tali vergini, è un ciclo ematico che non s'arresta, Ifigenia non capirebbe gli affondi sordomuti, Saffo sì (parzialmente). Non capirebbe soprattutto quello sporcarsi d'aulico - ti sporchi d'aulico anche soltanto nelle tue commistioni postmoderne, è la rivisitazione al contrario della teogonia.
Le movenze della tua poesia sono sensuali, si passa da una strofa all'altra ritmicamente, come assecondando un desiderio (non un desìo, non tingiamolo di osceno - sporcare è, stavolta, fuorviante), che trova il suo sfogo nel tuo secondo trittico monistico,

sussurrami dentro, dentro, dentro,

Le reiterazioni sono tipiche delle preghiere, anche loro finiscono per amen.

vorresti?

Non riesco a decidere se è una debole sincerità, o se è il reportage teatrale di una domanda retorica. O se nessuna delle due. Dopotutto è il momento ad essere importante, a prescindere dalla sua (fittizia) fattualità, dopotutto basterebbe cambiarle una vocale.

tu non ci credi, ma io ho già risposto;

Se avessi risposto ci sarebbe un punto fermo, da qualche parte. Non c'è.



Saffo ricambia affettuosamente. Hai i lineamenti di Attide, a suo dire (e confidenzialmente come una parentesi tonda, mi ha detto che i verbi come avvinghiare, leccare e afferrare l'hanno sconvolta per la loro audace e vile violenza semantica).



Ps. "una poesie sensuale?"

poesia*

"credente?Tra i meno."

Lo spazio.

"la portella non non li dava in pasto"

Due non?

"E' bello, "

Se me lo fai apposta ti voglio bene un po' meno.