Recensioni per
Sogno di una notte di tutta un'estate
di _Maeve_

Questa storia ha ottenuto 1 recensioni.
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Recensore Veterano
28/04/16, ore 14:45

Stavi posando la testa sul cuscino, ma la poesia ti ha interrotto. E ha fatto bene.
Ci sono sogni di (una notte di) mezz'estate e sogni di (una notte di) tutta un'estate; è buffo parlarne se l'estate deve ancora avere inizio, ma le stagioni, lo dicevamo, sono convenzioni (per quanto belle o intriganti o noiose, il prospettivismo è immancabile); il punto qua è diverso. È iniziare e vivere un nuovo momento nella consapevolezza di un'assenza, di un vuoto che persiste e che, pare, sia destinato a persistere ancora, chissà per quanto tempo.
A te non basta un sogno di mezza estate, un ritrovamento casuale, un copione da seguire, una giornata insieme: il sogno discute di se stesso, si espande e ingloba la tua stessa esistenza in una tenera giornata di aprile, una giornata di pasquette per intenderci - rovinata o salvata, a seconda dei punti di vista, da un tempo meteorologicamente incerto. C'è un insolito fresco - confina col freddo - e c'è una Maeve, tornata alle sue consuete sensazioni, alle sue entusiastiche ed ironiche constatazioni, immersa in un mese che per lei è perfetto (l'ennesima ironia), che ha ispirato sin troppi versi: sarà un caso? Difficile crederlo; è che si tratta di un mese adatto a lei, molto shakespeariano, molto irlandese (come il suo nome e come certe presunte origini di Amloði - Che poi se parliamo di Amleto va benissimo a rendere l'idea, a rendere Maeve; ma Amloði è ben diverso), è come quei cieli enigmatici che sono pronti a farsi tempeste o a farsi specchi limpidi d'acqua.
E annaspi, come avessi delle fitte (al cuore, anche se parlare di fitte al cuore è così maledettamente banale), come se qualcuno volesse inflizarti proprio mentre vorresti dormire - altro che estate, lo dicevi pure una poesia fa. Oddio, parlare di te in termini di poesie fa... è meraviglioso, è una periodizzazione fantastica.
Dunque, annaspare. E ritrovare in testa e per terra quel petalo (non casualmente bianco, e comunque non di una viola) che sentenzia che no, non t'ama. Così vuole sentenziare una parte di te, forse, così cerca di esorcizzare quel fastidio notturno fosforescente che inevitabilmente fa ritorno. Ogni giorno. E vien voglia di calpestare quella stessa margherita, anzi l'hai già fatto, come se tu stessa avessi messo fine alle vostre opportunità; ma no, no, è solo quel petalo, quel petalo giustiziero e - sì - arrogante, solo lui merita d'essere calpestato. Non c'è motivo d'arrendersi, neppure se vien voglia di piangere. Piangere per esternare cosa? È assurdo, non vuoi esternare alcunché, sei solo costernata, riprendi il controllo, è solo un attimo. Sei dura con le tue debolezze. Sei una guerriera.
Eppure scrivi poesie, e questo stona con l'indole guerriera, stona come ciò che vorresti essere e ciò che ti ritrovi ad essere. C'è troppa pacatezza nel modo in cui scrivi e in cui muovi le mani, la tua frenesia deve avere ben poco di furioso: no, non saresti una buona regina delle amazzoni, tu. Ti soffermi a pensare a quello che è stato, a quello che potrebbe essere, con o senza la persona per cui, testardamente, hai deciso di donarti. Come una sofferenza autoinferta. Sei aristocratica e nobile nel tuo modo di vivere la passione che (non) muore.
E mentre le ore avanzano, e fuori da quella Versailles di pasquetta sono solo silenzi inquietanti, i suoi, i vostri silenzi, quelli del mondo intorno, e mentre hai paura che tutto finisca sul serio, mentre le ore smettono di contarsi, non ti resta che adagiarti al suo fianco (ancora una volta), mettere fine al chiacchiericcio vago e sbronzo nella tua testa, ridendo perché è una delle volte in cui sai che, dopotutto, sempre a questo aspiri. Potresti morirne, d'amore.
Non c'è una data di scadenza. C'è solo il crollare addormentati, c'è un sogno che ha termine, prima o poi spiri.