Recensioni per
Stories of what we did. (it made me think of you)
di The_Glue

Questa storia ha ottenuto 2 recensioni.
Positive : 2
Neutre o critiche: 0


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Recensore Master

Ciao, questa storia l'avevo letta qualche sera fa ma complice l'ora tarda non l'ho apprezzata a dovere e quindi l'ho riletta, due e poi tre volte. Non perché questo fosse necessario ai fini della comprensione, ma perché è davvero bella e anche molto particolare, il che non guasta mai. Non essendo nella tua testa non posso sapere ciò che avevi in mente, ma ho l'impressione che più che averla concepita come una storia in senso stretto, l'ho percepita come una poesia a versi liberi e completamente slegata da regole e ritmi. Mi verrebbe quasi da fare un parallelo tra la struttura che hai scelto di utilizzare e lo stato psicologico e mentale di John in questo determinato periodo "storico" all'interno della serie, ma forse occorrerebbero più riflessioni di quante io ne abbia effettivamente fatte e quindi accenno soltanto qualcosa. Credo che "Stories of what we did. (it made me think of you)" sia un po' come un flusso di coscienza che a un certo punto diventa tanto incontenibile e che, pertanto, rompe il ritmo narrativo fino a quel momento fatto di brevi frasi. A un certo momento si finisce con tutte le scarpe in un lungo paragrafo, composto da una frase davvero, davvero molto lunga. Forse qualche purista della grammatica avrebbe da puntualizzare che il paragrafo che comincia con: "E chiedo scusa" sia esageratamente lungo e macchinoso, io però credo che sia stato scritto così perché ha senso che sia scritto così e che le ragioni siano da cercare strettamente nell'introspezione di John. Mi spiego. John comincia a chiedere scusa a uno Sherlock che non c'è più. Uno Sherlock che, proprio come Mary in The Lying Detective, probabilmente riesce fisicamente a vedere. Comincia a invocare il perdono, ma il primo "scusa" è addirittura fra parentesi. Come se John fluttuasse e stesse tra il cosciente e l'incosciente, da una qualche parte in un luogo di se stesso che fatica a riconoscere razionalmente. Poi però prosegue e lo fa a passettini, continua a invocare il perdono di Sherlock come se ne andasse della sua vita attuale e mentre lo fa, qualcosa di diverso inizia a districarsi tra i suoi pensieri. C'è un qualcosa che John deve ammettere e che ancora non ha fatto e infatti è quando arriva a chiedere perdono a se stesso, che perde quasi la ragione. E questo "ti amo" finale non te lo aspetti, perché sei troppo preso a sperare che la coscienza di John venga assolta e che lui finalmente perdoni se stesso. Ciò non avviene, ma al contrario giunge al lettore l'ammissione. Ha, naturalmente dato che siamo ne post Reichenbach, un gusto decisamente amaro. Così come il resto del testo.

Mi ero sbagliata, su questa storia intendo. Perché in un primo momento l'avevo vista come una preghiera a un qualcuno, magari a Sherlock stesso o magari a un qualche Dio, come un'invocazione per un miracolo. Quello che invece credo sia, credo che abbia più che altro a che fare con un viaggio dentro se stessi. John ricorda, anche se fa male il doverlo fare e alla fine arriva a una conclusione. Forse che giunge tardiva, ma è indubbio che sia molto importante.

Grazie per averla condivisa.
Koa

Recensore Master

"...con la mia vita incastonata nei tuoi ricordi...": parto dall'evidenziare questa frase che mi ha colpito particolarmente perché concentra tutta l’essenza del dolore immenso di John che è travolto dal vuoto e dalla solitudine dell’immediato post Reichenbach. È uno spazio temporale, questo, che ha fornito materiale per moltissime ff, e vedo che ancora costituisce fonte d’ispirazione. Il fandom è pieno di storie che cercano di rendere testimonianza, con ipotesi più o meno credibili, ad un intervallo nella vita di John (e di Sh) di cui la BBC, nelle Serie, non si è occupata, se non con qualche riferimento o immagine. Ricordo indelebile, per esempio, quello “Sherlock!”, urlato da Watson nel vedere il corpo di Holmes “volare” giù dal Barts, che viene riproposto per aprire la terza Stagione, in TEH, di cui la prima inquadratura è quella sinistra, lucida lapide nera. Qui, in realtà, non ti occupi delle vicende che avrebbero caratterizzato la vita di Watson senza il suo consulting, tragicamente convinto che non l’avrebbe più rivisto. Infatti scrivi quella che può essere considerata una lettera dedicata a Sh, nella quale il suo blogger gli parla a cuore aperto, cosa di cui, evidentemente, si pente di non aver fatto prima. Una lettera che, però, assume quasi il ritmo e l’energia di un’invocazione, di una preghiera. Secondo me ciò è evidente già dall’impaginazione che si presenta originale e che mette in evidenza dei termini fondamentali come “quando” e “scusa”: il primo racchiude tutta la disperata consapevolezza di John di non poter più pensare al futuro senza trascinarsi il peso di quell’immenso dolore e il secondo (termine) risuona come l’espressione di uno straziante senso di colpa per non avere saputo comprendere prima ciò che Sh avrebbe voluto comunicargli. Trovo una sensazione di leggerezza, pur nel profondo angst, che tu ritrai efficacemente in quella speranza che, un giorno, Sh potrebbe tornare ed allora John sarà lì, solo per lui (“….tra tutte quelle cose, è lì che sono…”). Mi è piaciuto questo tuo pezzo, davvero.