Quarta Classificata e Vincitrice del Premio "Le meraviglie dell'universo"
Il tempo delle alte fiamme
di Yonoi
Grammatica: 12.5/15
La grammatica è ottima, ma ho trovato qualche imperfezione di punteggiatura che spezza il legame sintattico all’interno delle frasi e qualche frase da rivedere. Inoltre è da rivedere totalmente il metodo che utilizzi per i dialoghi.
Di seguito, gli errori trovati:
ed anzi → -0.5 la d eufonica è meglio limitarla tra vocali uguali
Là, il silenzio era così assordante, e talmente presente → -0.8 La virgola non va posta tra coordinati, come in questo caso
Forse tutta la rabbia che ci portavamo addosso proprio come le zanzare appiccicate al sudore, nasceva → La virgola non va posta tra soggetto e verbo
Quella sera richiamai indietro il soldato:
-“Lascialo in pace, andiamocene”- → -0.8 O utilizzi i trattini o le virgolette alte. In ogni caso devi usare una punteggiatura. Io personalmente la uso al di fuori dei dialoghi, tranne quando la battuta non è seguita da un verbo dicendi.
ad eseguire → togli la d
non si arrendeva ai miasmi delle latrine, né alla decomposizione spaventosa dei morti → In questo caso, la virgola è posta tra coordinati e va tolta
porzioni extra di hamburger servire dal cuciniere → -0.1 servite
che la monaca fiammeggiante aveva compiuto sulla piazza del mercato → -0.3 nella piazza
Io m’inoltravo nella foresta come in un enigma, e mi auguravo solo che anche gli altri →
si faticava a vedere la luce del giorno, non una sola foglia, né un ramo di palma chiudeva la vista del cielo → lo stesso come sopra
ed anzi cominciavo → lo stesso come sopra
I nostri animali uccisi dalle vostre rappresaglie, e da quelle degli altri → lo stesso come sopra
Soltanto la mitezza, e la malinconia che scavava rughe profonde, erano esattamente le stesse → ho capito che effetto volevi ottenere, ma siccome il verbo regge sia mitezza sia malinconia l’inciso non dev’esserci. In alternativa puoi cambiare leggermente la frase.
Stile: 18/20
Lo stile è piacevole, semplice quanto serve per una narrazione in prima persona che sa essere un tutt’uno con il personaggio narrante, scevro di figure retoriche se non la classica similitudine, adatto secondo me a un testo che vuole colpire soprattutto per la sua tematica, con l’obiettivo di raggiungere tutti. È uno stile pulito, sobrio, che comunque sa coinvolgere.
Utilizzi molto le similitudini, in alcuni punti si sente quasi un sovraccarico di questo espediente. Ti consiglio di limitarlo un po’ in certi punti. Per esempio:
- Era il tempo delle alte fiamme, e io avevo l’impressione di vederle dappertutto: ardevano le foreste, le palme esplodevano come fuochi artificiali, piegavano il capo lasciando cadere i loro rami come lingue di brace. Sulle sponde del fiume si specchiavano i salici, i canneti come colonne che reggevano il cielo accendevano torrenti di fiamme. Gli arbusti del sottobosco si appiccavano il fuoco a vicenda, lanciandosi i lapilli come in una staffetta. → Forse è un effetto voluto, ma ho reputato eccessivo aggiungere un paragone a ogni complemento. Si attira troppo l’attenzione sulle similitudine e si distoglie l’attenzione del lettore dalla scena reale. La similitudine serve a spiegare, o ad arricchire certo, quelle sensazioni difficile da capire o quelli elementi ed eventi che non tutti hanno conosciuto e provato su di sé.
La punteggiatura è stata un mezzo tallone d’Achille. Hai piegato le regole cercando di personalizzare il testo, di dare una precisa intonazione alla lettura, riproducendo il ritmo del parlato. In alcuni punti è riuscito, in altri ti sei spinta un po’ oltre, secondo me. Ma ciò che più si nota è l’abuso dei due punti, davvero eccessivo; nel loro caso, l’intonazione che acquista il testo è distorta e appesantita. Ricordo che il loro utilizzo va usato, oltre che con le consuete numerazioni ed elenchi, per dividere una subordinata che esplicazione della principale, o per sostituire certi tipi di congiunzione, come il perché, o ancora per esporre quanto presentato dalla reggente.
Ti riporto alcuni passaggi:
- In quel mondo irreale, una cupola verde su un cielo sempre uguale, avevamo camminato fuori dal tempo, anche noi ridotti ad ombre: senza riuscire più a intercettare le comunicazioni radio e smarrendo persino le ultime ragioni del perché ci trovavamo lì, tra colonie di farfalle grandi come elicotteri, moscerini appiccicati al sudore e lucciole che di notte disegnavano strani segnali in codice, e di nuovo il timore che a piombarci addosso fossero ancora gli altri. → I due punti non sono necessari, sarebbe meglio una virgola o, se vuoi creare un effetto, un punto fermo. Se metti i due punti qui, la pausa così lunga spezza la fluidità della narrazione e confonde il senso che ha la seconda parte.
- L’idea di ritornare non suscitò, lì per lì, neppure un’ombra di entusiasmo: a un tratto il nostro mondo, quello in cui esistevano città e volti noti, pareva così distante, come se non fosse mai esistito per davvero. → Qui invece sono perfetti, perché i due punti sostituiscono una congiunzione esplicativa, mettendo in evidenza la seconda parte e la ragione del mancato entusiasmo.
- […]tramonti di fiamme: si trattava di un tempio, a prima vista un cumulo di rovine nel cuore della foresta. → Qui invece vanno bene, ma trovo che la subordinata diventerebbe più incisiva senza “si tratta di”.
Si tratta, come puoi vedere, di piccole accortezze, soprattutto quella nella terza citazione, che renderebbero alcuni passaggi più chiari e incisivi. Abusi anche del capoverso, spezzando molto la narrazione in alcuni punti. Ti consiglio di limitare l’espediente di isolare con il capoverso una singola frase solo quando la vuoi rendere protagonista, far risaltare; al contrario, invece, tutte le frasi si eguagliano e il testo risulta troppo lento.
La narrazione sa variare. Non usi mai strutture ripetitive e tutte uguali tra loro, nelle descrizioni non sembra mai di leggere la lista della spesa e, laddove è necessario attirare l’attenzione, l’inversione dei sintagmi è un colpo di abilità. I toni, grazie a questo, sono sempre molto espressivi, infondono il ritmo di una storia che vuole commuovere, colpire per la tranquillità con cui affronta certi temi. Trovo comunque che a caratterizzare lo stile siano periodi lunghi, nei quali però il flusso del discorso non si smarrisce mai; li trovo perfetti per un testo introspettivo, dai significati profondi, che non vuole colpire ma avvolgere. Il tono narrativo, quindi, è perfettamente il linea con il contesto.
Il lessico è semplice, molto lineare, ed è più facile quindi percepire maggiormente l’utilizzo di alcuni vocaboli, come luna e foresta. Ripeti molto spesso, nella seconda parte, il soggetto della monaca, giovane e altri con cui ti riferisci a lei, e questo ha l’effetto di rallentare e rendere ripetitivo i paragrafi. Anche qui probabilmente è un effetto voluto, ma a una lettura esterna sembra, secondo me, superfluo e tediante. Non ti serve, il fulcro, l’icona più forte è sempre vivida nella mente del lettore.
Il narratore in prima persona è gestito in maniera abile. Ha carattere e personalità e imprime alla narrazione un punto di vista coerente, che sa mostrare l’ambientazione generale attraverso particolari e sensazioni; inoltre usi molto bene la focalizzazione e l’introspezione, rendendo la vicenda vivida e reale, come se il lettore la vivesse in prima persona. I dettagli abbondono e non sono mai noiosi, anzi sono emblema di una cultura a cui hai saputo essere molto fedele.
Nel testo si evidenziano una predilezione di sequenze descrittive, che hanno il potere di limitare senza farne sentire la mancanza di quelle narrative. I dialoghi sono inseriti in maniera ponderata e solo quando servono, lasciando alla voce narrante il compito di presentare eventi e interazioni. È un testo, quindi, che risulta molto introspettivo e visivo, ma non per questo perde di equilibrio. Hai fatto un ottimo lavoro.
È difficile parlare delle tematiche, perché sono tante e davvero importanti, soprattutto non hanno come obiettivo l’analisi della complessità dell’uomo ma la riflessione sociale e culturale e l’interazione dell’uomo con esse. E ti faccio i complimenti per la delicatezza, la cura e il rispetto con cui lei hai trattato, non esimendo il lettore però da immagini visive forte, simbolo di un pezzo di storia che ha lasciato profonde cicatrici e che avrebbe dovuto insegnare più di quanto l’uomo è stato capace di apprendere alla fine, purtroppo. E credo che questo messaggio – la ritrovata consapevolezza e l’insegnamento appreso dal sergente contrapposta all’indifferenza di molti altri – sia altrettanto impresso nell’epilogo quanto la compassione e l’esaltazione della bellezza.
Emblematiche sono state le citazioni poste all’inizio delle varie scene, le quali si sono fatte carico di interpretare il messaggio e arricchirlo con un pezzo di racconto. Un complimento dovuto invece va a queste parole:
- Distruggere il mandala non serve a rendere inutile il lavoro di mesi. Durante questo tempo, il mandala della Saggezza ha svolto la sua funzione di insegnamento. Ci ha anche aiutato ad acquistare la pazienza necessaria per realizzarlo. Ma noi sappiamo che la vita è cambiamento: ricordarci di questo ci aiuta a non attaccare il cuore alle cose che passano, ad accoglierle quando vengono e a lasciarle andare quando è giunto il momento
Complimenti!
Originalità, Ambientazione e Trama: 15/15
Non so se posso parlare di originalità, ma sicuramente posso parlare di una forte personalità della storia. Non è un racconto che passa inosservato o che può lasciare indifferenti. Lo sfondo della guerra non fa che esaltare la ricerca della compassione, della comprensione e delle risposte di una vita che ha del meraviglioso e del terribile. Questa storia ci ricorda quanto piccoli ed effimeri siamo in questo mondo, e quanto nonostante ciò possiamo fare, nel bene o nel male. Una singola persona può cambiare le sorti di molti, e non importa se il suo gesto sembrerà futile, spazzato l’attimo dopo dal passaggio di altri: la compassione rimane.
Una cosa che risalta è l’invisibilità, o mancanza di un volto, degli “altri”; così come nel finale sfocato è il volto del “noi”. Sono termini che indicano una comunità, un’unione che però è anche una divisione dal resto. Il nemico non acquista mai un volto, diventa un fantasma da cacciare e ricacciare; la guerra non è mai attiva, eppure la gente muore, soffre, piange. Questo perché morte, sofferenza e ingiustizia è tutto ciò che la guerra alla fine lascia. Non le serve un altro volto, un simbolo. “Gli altri” diventano quei volti sofferenti, innocenti, indifesi che fino a metà storia il “noi” si è rifiutato di guardare negli occhi, di ascoltare. Il nemico è l’insensibilità, l’indifferenza, ed è questo che viene cacciato, minacciato da quella voce degli “altri” che riecheggia nella foresta.
L’ambientazione è perfetta, e non posso che farti i miei complimenti. Si nota la cura e lo studio che hai fatto prima di scrivere, il rispetto che hai della materia che tratti, l’amore ma soprattutto l’ammirazione per una cultura che ha del magico, del surreale, dell’impossibile per chi vive tra cemento e ipocrisie. I riferimenti alla guerra del Vietnam sono pochi e ben dosati, fungono da coordinate e si limitano a fare da sfondo a un Paese fatto di colori, natura e un’interazione con il cuore dell’universo che non può essere compreso con uno sguardo. È una cultura diversa che tu fai conoscere cercando di farlo prima dall’esterno e poi intrufolandoti all’interno, senza mai diventare maestra, ma personaggio e lettore apprendono sempre insieme, la loro consapevolezza cammina alla stessa velocità. Hai curato tantissimo i templi, le città, la società, dal mercato ai mestieri, al cibo, alle piante. Ciò che risalta in qualche modo però sono i colori. Sì, i colori della vita, della varietà, della commistione di più elementi con un profumo unico e indescrivibile, che tu associ all’incenso, simbolo della sacralità.
L’incipit è ciò che di più lontano può esserci dallo spirito che pervade la fine: ambito militare, denso di sentimenti di smarrimento e apatia, perdizione, cupi. L’irrealtà e la meraviglia di quel mondo però non tardano ad arrivare, e quando lo fanno il contatto avviene quasi con spavento, terrore e soprattutto incomprensione. La scena del tempio, con i monaci che non fuggono e le statue che sembrano ammonirli vengono quindi mal interpretati e suscitano sentimenti di inadeguatezza, proprio come accade quando un animo scuro conosce per la prima volta la luce, la gentilezza. Si vergogna. Credo che questa sia la parola adatta per esprimere il disagio e l’incapacità del protagonista di attaccare quel luogo. Lo abbandona con un tarlo in testa.
Il secondo incontro è con My Lai, ed è qui che si sente la forza interiore di questo mondo, che soffre senza reagire, senza averne sostanzialmente i mezzi. I deboli soccombono. Anche qui c’è un’incomprensione, ma è quasi una difesa della mente umana stavolta, perché l’orrore che lui sa di aver contribuire ad attuare lo trasforma in rabbia e indignazione. C’è anche la sensazione di una diversa velocità con cui ci si approccia alla vita: gli insegnamenti buddhisti richiedono meditazione e pazienza e soprattutto accettazione. Il protagonista in questo frangente non è ancora pronto, e non lo sarà fino a quando il bisogno di avere delle risposte, di trovare un senso alla sua vita non arriva alla sua ultima possibilità.
Il finale e l’epilogo sono l’emblema del doppio gusto di questo viaggio: la distruzione e la bellezza, o rinascita. È un viaggio che sembra lineare, ma che attraversa un sali e scendi di morte e rinascita della vita che il protagonista aveva vissuto fino a quel momento.
I generi sono ambedue trattati con regolarità, senza mai dominare con forza. Il dramma della guerra e il contesto storico fanno entrambi da sfondo a una ricerca interiore e a un messaggio di vita che colpiscono.
Titolo, Introduzione e impaginazione: 8.25/10
Io credo che con questo titolo tu abbia voluto omaggiare quegli eventi aventi simbolo il maestro Thich Quang Duc: il periodo in cui monaci e laici si davano fuoco, in una protesta silenziosa e non violenta, recitando dei mantra. Impressione esaltata dalla centralità che vuoi dare all’evento di My Lai, ripetendo più volte “monaca fiammeggiante”. L’evento, in questa storia, che segna il turbamento e il cambiamento e fa da molla per il protagonista, non è il solo aspetto importante da tenere conto in questo viaggio fatto da simboli, incontri e luoghi sacri.
Ho trovato il titolo attinente anche perché può rivolgersi perfettamente anche alle fiamme che loro scagliano contro gli altri, ai bombardamenti e alla distruzione, denso di un potere speciale; e quindi dal doppio significato. Anche il tono del titolo non è incisivo, ma è melodioso, “morbido” come la tua storia. Tuttavia trovo che non riesca a racchiudere il cuore di questo viaggio, in cui è il personaggio a essere protagonista. Ho la sensazione che li manchi qualcosa, centralità ecco.
L’introduzione, invece, gioca con frasi brevi, incisive, che hanno la funzione di ripercorrere con sintesi le tappe di questo viaggio. Mi ha colpito perché non usi mai frasi verbali, giochi con un elenco di luoghi, scene e immagini che non possono che colpire e intrigare; inoltre questa scelta stilistica nell’introduzione prelude a toni densi di riflessione, avverte il lettore che sta addentrandosi in un viaggio prima di tutto spirituale. Ciò che manca è l’aggiunta di un estratto del brano, che in questo caso avrebbe dato corpo e fluidità a un’introduzione comunque forte e decisa.
L’impaginazione è molto buona: il testo è giustificato, ma hai un po’ esagerato con l’interlinea e il rientro dei capoversi, entrambi molto accentuati. Se la prima comunque rende il testo più limpido, pulito e godibile visivamente, la seconda ha l’effetto di sbilanciare l’equilibrio della colonna.
Caratterizzazione dei personaggi: 20/20
È una storia che non fa sentire la mancanza dell’effetto visivo del personaggio, forse perché si assume il compito di essere veicolo di una più ampia schiera di persone, emblema di una società e di un mondo. Il non dare una descrizione fisica alle persone non le priva in questo caso di caratterizzazione, ma le rende versatili: chiunque, o comunque in tanti, possono essere i loro prestavolto. È ciò che ognuno di loro rappresenta a essere fondamentale.
Detto questo, non ci sono moltissimi personaggi da valutare: il giornalista è lo specchio di una società che si abitua sempre più alla violenza, che trae profitto dalla sofferenza altrui e che smette di essere protagonista del proprio destino; la monaca fiammeggiante è l’emblema di un livello dell’anima e dello spirito quasi incomprensibili per noi e per il protagonista, la sua compassione, che vuole accogliere e comunicare, avvertire e salvare, ha il potere di punire; persino il monaco che diventa poi suo compagno di noviziato è l’emblema di una cultura sacra e particolare, di un uomo che accoglie la religiosità e gli insegnamenti di pazienza dopo aver visto e conosciuto l’odio e le altre forme di reazione. Anche il protagonista, in un certo qual modo, è un guscio di cui ognuno di noi può esserne il cuore. Le emozioni che prova sono la conseguenza lineare e verosimile di chi, invischiato in una guerra che è fatta di propaganda, minacce e poca chiarezza, di false ideologia e soprattutto richiede indifferenza, si ritrova, a un passo dal tornare a casa, a entrare in contatto con eventi unici, che hanno del sacro e dell’intenso. Il silenzio che pervade parte di questi contatti ha da comunicare più di mille parole. Il personaggio è un uomo che ha grande spirito di osservazione, è un uomo attento che ha fatto la sua piccola carriera ma che dalle parole del giornalista si scopre essere e quindi vivere in una dimensione innocente, illusa del mondo, è giovane ma allo stesso tempo ha già conosciuto la cupezza della guerra. Si scopre, ed è una consapevolezza che arriva in un secondo tempo, smarrito in un orrore più grande di lui, a cui non era preparato e il cui fine non riesce ad acciuffare. Un orrore che diventa insostenibile nel momento in cui lo guarda con gli occhi dell’innocenza e della compassione. Il senso di smarrimento diventa rabbia, una rabbia che vuole proteggerlo dai sensi di colpa e dalla sua piccolezza e stoltezza. Il personaggio cresce e si evolve attraverso queste esperienze, diventa sempre più riflessivo, si lascia attraversare dalle bellezze spaventose di un mondo di cui adesso ha bisogno, perché è l’unico che può dargli la pace e la redenzione, che può insegnargli a vivere veramente.
Parlando così, potrebbe sembrare quindi che i personaggi che abbiano seguito in questa storia non siano stati ben caratterizzati o che non abbiamo personalità, o ancora che siano dei meri stereotipi; invece è proprio questa particolare scelta che fai a renderli così vicini al lettore. La semplice evoluzione delle emozioni del protagonista è facilmente comprensibile e adattabile alla natura più elementare di ognuno di noi, a patto che decida di farsi sconvolgere e inorridire e si decida a cercare le risposte alle proprie domande. I tuoi personaggi hanno la forza dei simboli, il protagonista soprattutto è il compagno perfetto per l’anima di tutti noi.
Gradimento personale: 4.75/5
Questa storia è densa di sacralità. Io non ho parole per esprimerti quanto mi ha dato. A un certo punto, e non ricordo più quale (scusami!) ho sentito le lacrime e il bruciore agli occhi. Sembrerebbe assurdo, visto che non è una storia densa di pathos o di incisività, non vuole colpire come un muro, ma entra dentro come l’acqua che non può essere tenuta fuori da nessuno tipo di muro, che non può essere confinata a una sola forma e che non può essere raccolta tra le mani, per quanto strettamente intrecciate siano. A commuovermi (questa è la parola corretta) è stato il modo in cui sei riuscita a farmi vivere sulla pelle questo mondo magico, colorato, dalla cultura profonda e spirituale; è un viaggio fatto di insegnamenti, da paesaggi dolci e dai profumi intensi e avvolgenti. Il modo in cui sei riuscita a farmi sentire la cultura e questa religione è stato… non lo so spiegare.
L’unico punto che mi è mancato è la presenza di un cast più presente e partecipe alla storia. Il viaggio riflessivo è molto personale, è vero, ma mi sarebbe piaciuto avere modo di contrapporre il protagonista a personaggi diversi, anche del suo stesso plotone, qualcosa che desse maggior corpo alle facce con cui è stato in missione e che penso abbiano comunque contato qualcosa per lui. Invece, nessuno dei tuoi personaggi, a parte la monaca fiammeggiante, ha un nome o un volto. Un altro aspetto che mi è mancato è la possibilità di retrospezione, ovvero elementi del suo passato, del mondo che si è lasciato alle spalle, in modo da dare profondità alle differenze. Sembra quasi essere un personaggio senza legami, e credo che avere qualche dettaglio, seppur generale, della sua vita, non avrebbe impedito al lettore di immedesimarsi.
Punto Categoria: 3/5
Cos’è l’arte se non comunicazione? All’inizio pensavo che avessi inteso la categoria in maniera piuttosto coraggiosa, e non per questo non avrebbe avuto senso o non avrebbe conquistato il mio favore: il tempio, il silenzio dei monaci e l’insegnamento silenzioso di My Lai. Io credo che la forza della categoria sia espressa soprattutto da loro, dall’armonia che trasuda da quei luoghi in mezzo alla foresta o dalla visione di quelle fiamme. La compassione è un’arte che andrebbe coltivata. Il silenzio colpisce il protagonista, parla una lingua a cui neanche con i suoi pensieri riesce a darle un suono ma che il cuore e l’anima comprendono.
Ma non di meno acquista valore e soprattutto corpo attraverso il mandala. Simbolo di armonia, un insegnamento, portatore di un messaggio, ma anche della verità più assoluta del mondo: lo scorrere, il fluire, il cambiamento. Ciò che tutto questo ha da comunicare, protagonista e lettore apprendono, assimilano e imparano. E quando il momento quest’arte si distrugge, torna alla polvere e al mondo, torna al suo dio. La libertà e la pace che si acquisiscono così sono il fine di un’arte effimera quanto eterna.
Per quanto riguarda i punti bonus, non ho riscontrato un mestiere insolito; per cui non te li posso assegnare.
Punteggio: 81.5/90 |