Recensioni per
Il tempo delle alte fiamme
di yonoi

Questa storia ha ottenuto 15 recensioni.
Positive : 15
Neutre o critiche: 0


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Recensore Master
03/06/20, ore 14:07

Ciao carissimo^^
Pian piano sto recuperando i tuoi bellissimi scritti.
Ciò che mi ha colpita particolarmente in questo splendido racconto è il forte contrasto che hai creato tra la violenza, l'orrore e la forza distruttiva della guerra rapportata alla calma, alla saggezza e al silenzio dei monaci.
Il protagonista è inizialmente ignaro di questa realtà, ha sempre vissuto la guerra in funzione del suo dovere di soldato, ma fin dal primo contatto con la comunità buddista ne rimane profondamente colpito. Trovare una dimensione così racchiusa e quieta nel mezzo di un devastante conflitto è qualcosa di nuovo e quasi incomprensibile per il sergente. In quel silenzio però ritrova una parte di se stesso, lasciando spazio a quel dolore e a quella compassione che aveva dimenticato.
Significative sono le poche parole che gli americani hanno imparato nella lingua vietnamita, parole di odio e violenza.
A questo proposito anche l'utilizzo del termine "gli altri" è qualcosa che porta i soldati a disumanizzare il nemico, alimentando sia l'odio che la paura.
Le sensazioni che il protagonista scopre rapportandosi con i monaci continuano a maturare in lui per tutto il racconto, che ci mostra passo dopo passo la sua storia di redenzione.
L'evento più significativo è decisamente l'atto della monaca in fiamme per manifestare contro gli orrori della guerra e le sofferenze del suo popolo.
Non conoscevo l'origine di questa forma di protesta, la storia del Re della Medicina è stata davvero interessante.
Di certo un atto così estremo non può lasciare indifferenti, penso a Jan Palach che decise di emulare questo gesto durante la Primavera di Praga.
E naturalmente anche il nostro sergente ne rimane fortemente impressionato, e quando finalmente scopre le reali motivazioni di quel gesto non può far altro che sentirsi coinvolto in tutto ciò.
Nel finale hai lasciato un messaggio di speranza, il protagonista ha acquisito nuove consapevolezze, e mentre ricostruisce il tempio distrutto è come se rimettesse in piedi se stesso come una persona nuova, che rimette in sesto le macerie della propria anima dopo aver imparato qualcosa di prezioso dal suo tragico passato.
Complimenti, è stato davvero un piacere leggere questo racconto.
Sei sempre bravissimo!
Alla prossima! :)

Recensore Junior
02/08/19, ore 16:54

Seconda recensione premio per il contest “Vizi capitali” di Ghostmaker

Ho scelto questa storia perché avevo già letto qualcosa dato che partecipava ad un contest nelle quale c’ero anche io. Finalmente sono “obbligato” a leggerla tutta ^^

Una delle particolarità de3lla tua scrittura che mi piace moltissimo è l’attenta descrizione degli ambienti (e di questo sono particolarmente invidioso). Riesci sempre a creare l’atmosfera e io entro nei tuoi personaggi in un millisecondo.
Nella prima parte sento la tensione del soldato nell’intrufolarsi in un luogo da cui potrebbe non uscire mai vivo e poi la sua sconcertante arrendevolezza davanti a persone che considerano l’arrivo dei soldati come una cosa normale, ma che non deve far cambiare le loro abitudini.
La seconda parte ricorda la fotografia di Thích Quảng Đức (che citi nelle note) e in me scatena le stesse sensazioni del sergente, soprattutto lo sgomento per l’indifferenza generale per ciò che sta accadendo, diventata una prassi in un ambiente di guerra dove le persone bruciano anche per colpa di altri. Nell’immaginario collettivo non cambia niente, ma se si entra dentro la scelta di questa monaca, non è possibile evitare di farsi domande su tutto ciò che ruota intorno.
Nella terza parte ci mostri una delle cose che maggiormente hanno attirato la mia attenzione di giovane studente: questi soldati che hanno visto l’inferno stanno per tornare a casa, ma ogni singola giornata in cui hanno vissuto questa guerra si è impiantata nel loro cervello. In che condizioni tornarono a casa? Cosa lasciarono indietro? Film come il primo “Rambo” ci ha mostrato qualcosa, ma poi si è perso tutto facendo diventare questo personaggio “il docile” americano che salva i compagni. Dubito fortemente che una persona qualsiasi sopravvissuta al Vietnam abbia mai pensato di tornarci. Il sergente qui scopre con sgomento che quel tempio che aveva incrociato tempo prima, così tranquillo e pacifico, è stato raso al suolo dai suoi compatrioti. In un certo senso da la dimensione di uno dei tanti uomini finiti lì in una guerra inutile, perché non c’era solo droga, pazzi scatenati e persone immorali; qualcuno che detestava ciò che stava facendo c’era di sicuro (o che almeno qualche rimorso di coscienza lo avevano) e ho trovato interessate che tu abbia portato l’americano a confrontarsi con la cultura degli “altri”.
L’epilogo l’ho trovato bellissimo, non tanto per la conversione del soldato americano ma per la descrizioni degli ideali radicati nel buddismo che, spesso e purtroppo, sono utilizzati in modi del tutto diversi da quelli che si prefiggono. L’immagine finale mi ha portato pace e la inserita proprio dopo avere scritto “stati noi a distruggere tutto” (non so se voluta, ma di grande effetto di sicuro).

Grazie, bella storia e posizione nel contest meritatissima.

Recensore Master
01/05/19, ore 21:52

"L’uomo non è il nostro nemico"
E' una frase bellissima!!!
Ho letto questa one shot divorandola, mamma mia e se mi sono mancate le tue storie!
Hai il potere di trasportate chi legge nel luogo esatto in cui si svolgono i fatti. Sai descrivere il paesaggio e l'ambiente come pochi autori (e non sto parlando solo di autori di EFP).
E' una storia la tua densa di significati velati da quel senso di impotenza e malinconia che la guerra porta con sé e che sono tipici dell'animo umano. In questo mondo che va in fiamme però troviamo anche un momento di pace e tranquillità, il tempio dei monaci appunto. Ma come sappiamo la guerra non risparmia nessuno, neanche i buoni (che poi chi decide chi è buono e chi cattivo? Sono tutti vittime in fondo, no?).
Il gesto della monaca è forte, ma come spiega il monaco buddhista ha ottenuto il risultato desiderato: attirare gli occhi del sergente e del mondo su di sé. Così come il mandala ha eseguito il suo compito e quindi poco importa se verrà distrutto.
Complimenti davvero yonoi, quando penso di essermi abituata alla tua bravura, riesci sempre a stupirmi con la grazia e la delicatezza di cui sei capace e con cui racconti storie.
A prestissimo,
Nina

Recensore Master
26/03/19, ore 21:46

Recensione premio per il contest: [Inedite e Edite] Concorso a tema (l'amicizia) organizzato da dreamkath, rilasciata da Setsy
Secondo posto: rec 2/2
Questo potrei chiamarlo: il contest delle grandi scoperte. Ho letto solo splendide storie, e questa sulla guerra del Vietnam – adoro i film che ne parlano, soprattutto Platoon – non me l’aspettavo, in nessun senso. Non così dura - visto che si parla di un argomento terribile, cioè l’autodafé dei monaci buddisti, che scelgono questa manifestazione estrema di sacrificio e grido di dolore insieme – non così poetica, visto il titolo che riesce a non stonare affatto con una storia di morte e orrori descritta con gli occhi di un ragazzo. Una persona che però oltre ad essere un soldato in una “guerra” (più che mai un’operazione economica delle più becere)che è stata devastante per la sua inutilità maggiormente che per le perdite umane, animali, e del sistema di vita di un popolo, sa osservare le cose con l’animo di chi vuole capire, vuole disperatamente che tutto abbia un senso.
Purtroppo la vita di queste reclute è fatta di un rituale violento e quasi automatizzato, come i pochi comandi imparati nella lingua del nemico: ‘ti sparo, chi sei, dove sono gli altri’. Un po’ perché è difficile senza averne davvero desiderio acquisire la conoscenza di una lingua in questo modo, un po’, credo, come se aiutasse a lavarsene le mani, quello “stavo solo obbedendo agli ordini” di mostruosa memoria. Ma ci sono forze più grandi dell’odio, e quando parliamo degli insegnamenti del Buddha sai che sfondi una porta aperta. C’è così tanta pace tra quelle persone che lavorano per creare la bellezza, osservarla e poi soffiarla via – anche se il tuo protagonista questo ancora non lo sa ― che questo può solo trasmettersi con la sua magia e purezza, e meraviglia. Immagino come sia preparare un vero mandala di sabbia colorata con pazienza infinita, impiegare tanto tempo solo per lasciarlo andare. Questa sarebbe la Via, smettere di preoccuparsi, di trattenere, di lottare. Si crea del rispetto in questi ragazzi al quale nemmeno loro sanno dare un nome, e anche se vanno via qualcosa ha cominciato a germogliare… Sul tuo fantastico stile ogni volta c’è qualcosa di nuovo di dire! Quando si arriva alla seconda parte del racconto- proprio le alte fiamme del titolo – ho riconosciuto un qualcosa di Apocalyps Now negli incendi, nelle fiammate che distruggevano pochissimi obiettivi militari e tanto di quelli civili e soprattutto natura, visto che secondo me avevano un concetto molto relativo della posizione degli avversari. Il protagonista osserva tutto come se fosse uno spettatore, sconvolto ma quasi affascinato dallo scenario irreale che ha davanti agli occhi. Trovo che sia stata una tua grande prova la descrizione della monaca che sta bruciando con una calma tale da parere una statua. Non sei stato sentimentalista, né gore, né freddo, e non saprei mai capire come fare lo stesso! La tua è l’osservazione di un attendo occhio da storico, da regista, che partecipa ma non si lascia travolgere per non alterare troppo la verità. Sembra impossibile unire il concetto di compassione a quello di lasciar “suicidare” una giovane davanti alla propria indifferenza, per i suoi compatrioti, ma ho capito. Per un occidentale medio, la morale è quella giudaico-cristiana che vorrebbe che l’altro vivesse pur non essendo la sua scelta, per i buddisti il principio di non interferenza nel karma altrui è maggiormente sacro. Commovente la scena del ritrovamento del tempietto abbattuto e non da altri, ma da noi. Altri, definizione che evoca paure primitive, “il differente da me è pericoloso”. Tutti, siamo gli altri di qualcuno, è chiaro. Però una statua è rimasta e così chi si occupa di lei: non esistono le coincidenze, ne sono certa. Il finale, come ho già accennato, da una tale speranza che credo lo rileggerò nei momenti bui. Ci sono cose da riscoprire, perché puoi crederle, ma a volte la vita ti confonde, e tutto quello che vorresti sarebbe aggrapparti con le unghie e coi denti al tua mandala e credere che possa durare per sempre. Non è così, ed è giusto. Questo è già quello che, scherzosamente, si chiama: Karma in action. Non in un’altra reincarnazione, ci sono passaggi che avvengono in coscienza. Il sacchetto che fluisce compirà il suo percorso e si fonderà con qualcosa di più grande. Grazie di avermi fatta leggere questa fiction; non che con te non vada sul sicuro per l’artisticità, ma spesso mi fai anche pensare, e non intendo rimuginare male ^^
baci,
Setsy
 
 
 

Recensore Master
17/01/19, ore 11:59

Quarta Classificata e Vincitrice del Premio "Le meraviglie dell'universo"
Il tempo delle alte fiamme
di Yonoi








Grammatica: 12.5/15

La grammatica è ottima, ma ho trovato qualche imperfezione di punteggiatura che spezza il legame sintattico all’interno delle frasi e qualche frase da rivedere. Inoltre è da rivedere totalmente il metodo che utilizzi per i dialoghi.
Di seguito, gli errori trovati:

ed anzi → -0.5 la d eufonica è meglio limitarla tra vocali uguali
Là, il silenzio era così assordante, e talmente presente → -0.8 La virgola non va posta tra coordinati, come in questo caso
Forse tutta la rabbia che ci portavamo addosso proprio come le zanzare appiccicate al sudore, nasceva → La virgola non va posta tra soggetto e verbo
Quella sera richiamai indietro il soldato:
-“Lascialo in pace, andiamocene”- → -0.8 O utilizzi i trattini o le virgolette alte. In ogni caso devi usare una punteggiatura. Io personalmente la uso al di fuori dei dialoghi, tranne quando la battuta non è seguita da un verbo dicendi.
ad eseguire → togli la d
non si arrendeva ai miasmi delle latrine, né alla decomposizione spaventosa dei morti → In questo caso, la virgola è posta tra coordinati e va tolta
porzioni extra di hamburger servire dal cuciniere → -0.1 servite
che la monaca fiammeggiante aveva compiuto sulla piazza del mercato → -0.3 nella piazza
Io m’inoltravo nella foresta come in un enigma, e mi auguravo solo che anche gli altri →
si faticava a vedere la luce del giorno, non una sola foglia, né un ramo di palma chiudeva la vista del cielo → lo stesso come sopra
ed anzi cominciavo → lo stesso come sopra
I nostri animali uccisi dalle vostre rappresaglie, e da quelle degli altri → lo stesso come sopra
Soltanto la mitezza, e la malinconia che scavava rughe profonde, erano esattamente le stesse → ho capito che effetto volevi ottenere, ma siccome il verbo regge sia mitezza sia malinconia l’inciso non dev’esserci. In alternativa puoi cambiare leggermente la frase.


Stile: 18/20

Lo stile è piacevole, semplice quanto serve per una narrazione in prima persona che sa essere un tutt’uno con il personaggio narrante, scevro di figure retoriche se non la classica similitudine, adatto secondo me a un testo che vuole colpire soprattutto per la sua tematica, con l’obiettivo di raggiungere tutti. È uno stile pulito, sobrio, che comunque sa coinvolgere.
Utilizzi molto le similitudini, in alcuni punti si sente quasi un sovraccarico di questo espediente. Ti consiglio di limitarlo un po’ in certi punti. Per esempio:

- Era il tempo delle alte fiamme, e io avevo l’impressione di vederle dappertutto: ardevano le foreste, le palme esplodevano come fuochi artificiali, piegavano il capo lasciando cadere i loro rami come lingue di brace. Sulle sponde del fiume si specchiavano i salici, i canneti come colonne che reggevano il cielo accendevano torrenti di fiamme. Gli arbusti del sottobosco si appiccavano il fuoco a vicenda, lanciandosi i lapilli come in una staffetta. → Forse è un effetto voluto, ma ho reputato eccessivo aggiungere un paragone a ogni complemento. Si attira troppo l’attenzione sulle similitudine e si distoglie l’attenzione del lettore dalla scena reale. La similitudine serve a spiegare, o ad arricchire certo, quelle sensazioni difficile da capire o quelli elementi ed eventi che non tutti hanno conosciuto e provato su di sé.

La punteggiatura è stata un mezzo tallone d’Achille. Hai piegato le regole cercando di personalizzare il testo, di dare una precisa intonazione alla lettura, riproducendo il ritmo del parlato. In alcuni punti è riuscito, in altri ti sei spinta un po’ oltre, secondo me. Ma ciò che più si nota è l’abuso dei due punti, davvero eccessivo; nel loro caso, l’intonazione che acquista il testo è distorta e appesantita. Ricordo che il loro utilizzo va usato, oltre che con le consuete numerazioni ed elenchi, per dividere una subordinata che esplicazione della principale, o per sostituire certi tipi di congiunzione, come il perché, o ancora per esporre quanto presentato dalla reggente.
Ti riporto alcuni passaggi:

- In quel mondo irreale, una cupola verde su un cielo sempre uguale, avevamo camminato fuori dal tempo, anche noi ridotti ad ombre: senza riuscire più a intercettare le comunicazioni radio e smarrendo persino le ultime ragioni del perché ci trovavamo lì, tra colonie di farfalle grandi come elicotteri, moscerini appiccicati al sudore e lucciole che di notte disegnavano strani segnali in codice, e di nuovo il timore che a piombarci addosso fossero ancora gli altri. → I due punti non sono necessari, sarebbe meglio una virgola o, se vuoi creare un effetto, un punto fermo. Se metti i due punti qui, la pausa così lunga spezza la fluidità della narrazione e confonde il senso che ha la seconda parte.

- L’idea di ritornare non suscitò, lì per lì, neppure un’ombra di entusiasmo: a un tratto il nostro mondo, quello in cui esistevano città e volti noti, pareva così distante, come se non fosse mai esistito per davvero. → Qui invece sono perfetti, perché i due punti sostituiscono una congiunzione esplicativa, mettendo in evidenza la seconda parte e la ragione del mancato entusiasmo.

- […]tramonti di fiamme: si trattava di un tempio, a prima vista un cumulo di rovine nel cuore della foresta. → Qui invece vanno bene, ma trovo che la subordinata diventerebbe più incisiva senza “si tratta di”.

Si tratta, come puoi vedere, di piccole accortezze, soprattutto quella nella terza citazione, che renderebbero alcuni passaggi più chiari e incisivi. Abusi anche del capoverso, spezzando molto la narrazione in alcuni punti. Ti consiglio di limitare l’espediente di isolare con il capoverso una singola frase solo quando la vuoi rendere protagonista, far risaltare; al contrario, invece, tutte le frasi si eguagliano e il testo risulta troppo lento.
La narrazione sa variare. Non usi mai strutture ripetitive e tutte uguali tra loro, nelle descrizioni non sembra mai di leggere la lista della spesa e, laddove è necessario attirare l’attenzione, l’inversione dei sintagmi è un colpo di abilità. I toni, grazie a questo, sono sempre molto espressivi, infondono il ritmo di una storia che vuole commuovere, colpire per la tranquillità con cui affronta certi temi. Trovo comunque che a caratterizzare lo stile siano periodi lunghi, nei quali però il flusso del discorso non si smarrisce mai; li trovo perfetti per un testo introspettivo, dai significati profondi, che non vuole colpire ma avvolgere. Il tono narrativo, quindi, è perfettamente il linea con il contesto.
Il lessico è semplice, molto lineare, ed è più facile quindi percepire maggiormente l’utilizzo di alcuni vocaboli, come luna e foresta. Ripeti molto spesso, nella seconda parte, il soggetto della monaca, giovane e altri con cui ti riferisci a lei, e questo ha l’effetto di rallentare e rendere ripetitivo i paragrafi. Anche qui probabilmente è un effetto voluto, ma a una lettura esterna sembra, secondo me, superfluo e tediante. Non ti serve, il fulcro, l’icona più forte è sempre vivida nella mente del lettore.
Il narratore in prima persona è gestito in maniera abile. Ha carattere e personalità e imprime alla narrazione un punto di vista coerente, che sa mostrare l’ambientazione generale attraverso particolari e sensazioni; inoltre usi molto bene la focalizzazione e l’introspezione, rendendo la vicenda vivida e reale, come se il lettore la vivesse in prima persona. I dettagli abbondono e non sono mai noiosi, anzi sono emblema di una cultura a cui hai saputo essere molto fedele.
Nel testo si evidenziano una predilezione di sequenze descrittive, che hanno il potere di limitare senza farne sentire la mancanza di quelle narrative. I dialoghi sono inseriti in maniera ponderata e solo quando servono, lasciando alla voce narrante il compito di presentare eventi e interazioni. È un testo, quindi, che risulta molto introspettivo e visivo, ma non per questo perde di equilibrio. Hai fatto un ottimo lavoro.
È difficile parlare delle tematiche, perché sono tante e davvero importanti, soprattutto non hanno come obiettivo l’analisi della complessità dell’uomo ma la riflessione sociale e culturale e l’interazione dell’uomo con esse. E ti faccio i complimenti per la delicatezza, la cura e il rispetto con cui lei hai trattato, non esimendo il lettore però da immagini visive forte, simbolo di un pezzo di storia che ha lasciato profonde cicatrici e che avrebbe dovuto insegnare più di quanto l’uomo è stato capace di apprendere alla fine, purtroppo. E credo che questo messaggio – la ritrovata consapevolezza e l’insegnamento appreso dal sergente contrapposta all’indifferenza di molti altri – sia altrettanto impresso nell’epilogo quanto la compassione e l’esaltazione della bellezza.
Emblematiche sono state le citazioni poste all’inizio delle varie scene, le quali si sono fatte carico di interpretare il messaggio e arricchirlo con un pezzo di racconto. Un complimento dovuto invece va a queste parole:

- Distruggere il mandala non serve a rendere inutile il lavoro di mesi. Durante questo tempo, il mandala della Saggezza ha svolto la sua funzione di insegnamento. Ci ha anche aiutato ad acquistare la pazienza necessaria per realizzarlo. Ma noi sappiamo che la vita è cambiamento: ricordarci di questo ci aiuta a non attaccare il cuore alle cose che passano, ad accoglierle quando vengono e a lasciarle andare quando è giunto il momento
Complimenti!


Originalità, Ambientazione e Trama: 15/15

Non so se posso parlare di originalità, ma sicuramente posso parlare di una forte personalità della storia. Non è un racconto che passa inosservato o che può lasciare indifferenti. Lo sfondo della guerra non fa che esaltare la ricerca della compassione, della comprensione e delle risposte di una vita che ha del meraviglioso e del terribile. Questa storia ci ricorda quanto piccoli ed effimeri siamo in questo mondo, e quanto nonostante ciò possiamo fare, nel bene o nel male. Una singola persona può cambiare le sorti di molti, e non importa se il suo gesto sembrerà futile, spazzato l’attimo dopo dal passaggio di altri: la compassione rimane.
Una cosa che risalta è l’invisibilità, o mancanza di un volto, degli “altri”; così come nel finale sfocato è il volto del “noi”. Sono termini che indicano una comunità, un’unione che però è anche una divisione dal resto. Il nemico non acquista mai un volto, diventa un fantasma da cacciare e ricacciare; la guerra non è mai attiva, eppure la gente muore, soffre, piange. Questo perché morte, sofferenza e ingiustizia è tutto ciò che la guerra alla fine lascia. Non le serve un altro volto, un simbolo. “Gli altri” diventano quei volti sofferenti, innocenti, indifesi che fino a metà storia il “noi” si è rifiutato di guardare negli occhi, di ascoltare. Il nemico è l’insensibilità, l’indifferenza, ed è questo che viene cacciato, minacciato da quella voce degli “altri” che riecheggia nella foresta.
L’ambientazione è perfetta, e non posso che farti i miei complimenti. Si nota la cura e lo studio che hai fatto prima di scrivere, il rispetto che hai della materia che tratti, l’amore ma soprattutto l’ammirazione per una cultura che ha del magico, del surreale, dell’impossibile per chi vive tra cemento e ipocrisie. I riferimenti alla guerra del Vietnam sono pochi e ben dosati, fungono da coordinate e si limitano a fare da sfondo a un Paese fatto di colori, natura e un’interazione con il cuore dell’universo che non può essere compreso con uno sguardo. È una cultura diversa che tu fai conoscere cercando di farlo prima dall’esterno e poi intrufolandoti all’interno, senza mai diventare maestra, ma personaggio e lettore apprendono sempre insieme, la loro consapevolezza cammina alla stessa velocità. Hai curato tantissimo i templi, le città, la società, dal mercato ai mestieri, al cibo, alle piante. Ciò che risalta in qualche modo però sono i colori. Sì, i colori della vita, della varietà, della commistione di più elementi con un profumo unico e indescrivibile, che tu associ all’incenso, simbolo della sacralità.
L’incipit è ciò che di più lontano può esserci dallo spirito che pervade la fine: ambito militare, denso di sentimenti di smarrimento e apatia, perdizione, cupi. L’irrealtà e la meraviglia di quel mondo però non tardano ad arrivare, e quando lo fanno il contatto avviene quasi con spavento, terrore e soprattutto incomprensione. La scena del tempio, con i monaci che non fuggono e le statue che sembrano ammonirli vengono quindi mal interpretati e suscitano sentimenti di inadeguatezza, proprio come accade quando un animo scuro conosce per la prima volta la luce, la gentilezza. Si vergogna. Credo che questa sia la parola adatta per esprimere il disagio e l’incapacità del protagonista di attaccare quel luogo. Lo abbandona con un tarlo in testa.
Il secondo incontro è con My Lai, ed è qui che si sente la forza interiore di questo mondo, che soffre senza reagire, senza averne sostanzialmente i mezzi. I deboli soccombono. Anche qui c’è un’incomprensione, ma è quasi una difesa della mente umana stavolta, perché l’orrore che lui sa di aver contribuire ad attuare lo trasforma in rabbia e indignazione. C’è anche la sensazione di una diversa velocità con cui ci si approccia alla vita: gli insegnamenti buddhisti richiedono meditazione e pazienza e soprattutto accettazione. Il protagonista in questo frangente non è ancora pronto, e non lo sarà fino a quando il bisogno di avere delle risposte, di trovare un senso alla sua vita non arriva alla sua ultima possibilità.
Il finale e l’epilogo sono l’emblema del doppio gusto di questo viaggio: la distruzione e la bellezza, o rinascita. È un viaggio che sembra lineare, ma che attraversa un sali e scendi di morte e rinascita della vita che il protagonista aveva vissuto fino a quel momento.
I generi sono ambedue trattati con regolarità, senza mai dominare con forza. Il dramma della guerra e il contesto storico fanno entrambi da sfondo a una ricerca interiore e a un messaggio di vita che colpiscono.


Titolo, Introduzione e impaginazione: 8.25/10

Io credo che con questo titolo tu abbia voluto omaggiare quegli eventi aventi simbolo il maestro Thich Quang Duc: il periodo in cui monaci e laici si davano fuoco, in una protesta silenziosa e non violenta, recitando dei mantra. Impressione esaltata dalla centralità che vuoi dare all’evento di My Lai, ripetendo più volte “monaca fiammeggiante”. L’evento, in questa storia, che segna il turbamento e il cambiamento e fa da molla per il protagonista, non è il solo aspetto importante da tenere conto in questo viaggio fatto da simboli, incontri e luoghi sacri.
Ho trovato il titolo attinente anche perché può rivolgersi perfettamente anche alle fiamme che loro scagliano contro gli altri, ai bombardamenti e alla distruzione, denso di un potere speciale; e quindi dal doppio significato. Anche il tono del titolo non è incisivo, ma è melodioso, “morbido” come la tua storia. Tuttavia trovo che non riesca a racchiudere il cuore di questo viaggio, in cui è il personaggio a essere protagonista. Ho la sensazione che li manchi qualcosa, centralità ecco.
L’introduzione, invece, gioca con frasi brevi, incisive, che hanno la funzione di ripercorrere con sintesi le tappe di questo viaggio. Mi ha colpito perché non usi mai frasi verbali, giochi con un elenco di luoghi, scene e immagini che non possono che colpire e intrigare; inoltre questa scelta stilistica nell’introduzione prelude a toni densi di riflessione, avverte il lettore che sta addentrandosi in un viaggio prima di tutto spirituale. Ciò che manca è l’aggiunta di un estratto del brano, che in questo caso avrebbe dato corpo e fluidità a un’introduzione comunque forte e decisa.
L’impaginazione è molto buona: il testo è giustificato, ma hai un po’ esagerato con l’interlinea e il rientro dei capoversi, entrambi molto accentuati. Se la prima comunque rende il testo più limpido, pulito e godibile visivamente, la seconda ha l’effetto di sbilanciare l’equilibrio della colonna.


Caratterizzazione dei personaggi: 20/20

È una storia che non fa sentire la mancanza dell’effetto visivo del personaggio, forse perché si assume il compito di essere veicolo di una più ampia schiera di persone, emblema di una società e di un mondo. Il non dare una descrizione fisica alle persone non le priva in questo caso di caratterizzazione, ma le rende versatili: chiunque, o comunque in tanti, possono essere i loro prestavolto. È ciò che ognuno di loro rappresenta a essere fondamentale.
Detto questo, non ci sono moltissimi personaggi da valutare: il giornalista è lo specchio di una società che si abitua sempre più alla violenza, che trae profitto dalla sofferenza altrui e che smette di essere protagonista del proprio destino; la monaca fiammeggiante è l’emblema di un livello dell’anima e dello spirito quasi incomprensibili per noi e per il protagonista, la sua compassione, che vuole accogliere e comunicare, avvertire e salvare, ha il potere di punire; persino il monaco che diventa poi suo compagno di noviziato è l’emblema di una cultura sacra e particolare, di un uomo che accoglie la religiosità e gli insegnamenti di pazienza dopo aver visto e conosciuto l’odio e le altre forme di reazione. Anche il protagonista, in un certo qual modo, è un guscio di cui ognuno di noi può esserne il cuore. Le emozioni che prova sono la conseguenza lineare e verosimile di chi, invischiato in una guerra che è fatta di propaganda, minacce e poca chiarezza, di false ideologia e soprattutto richiede indifferenza, si ritrova, a un passo dal tornare a casa, a entrare in contatto con eventi unici, che hanno del sacro e dell’intenso. Il silenzio che pervade parte di questi contatti ha da comunicare più di mille parole. Il personaggio è un uomo che ha grande spirito di osservazione, è un uomo attento che ha fatto la sua piccola carriera ma che dalle parole del giornalista si scopre essere e quindi vivere in una dimensione innocente, illusa del mondo, è giovane ma allo stesso tempo ha già conosciuto la cupezza della guerra. Si scopre, ed è una consapevolezza che arriva in un secondo tempo, smarrito in un orrore più grande di lui, a cui non era preparato e il cui fine non riesce ad acciuffare. Un orrore che diventa insostenibile nel momento in cui lo guarda con gli occhi dell’innocenza e della compassione. Il senso di smarrimento diventa rabbia, una rabbia che vuole proteggerlo dai sensi di colpa e dalla sua piccolezza e stoltezza. Il personaggio cresce e si evolve attraverso queste esperienze, diventa sempre più riflessivo, si lascia attraversare dalle bellezze spaventose di un mondo di cui adesso ha bisogno, perché è l’unico che può dargli la pace e la redenzione, che può insegnargli a vivere veramente.
Parlando così, potrebbe sembrare quindi che i personaggi che abbiano seguito in questa storia non siano stati ben caratterizzati o che non abbiamo personalità, o ancora che siano dei meri stereotipi; invece è proprio questa particolare scelta che fai a renderli così vicini al lettore. La semplice evoluzione delle emozioni del protagonista è facilmente comprensibile e adattabile alla natura più elementare di ognuno di noi, a patto che decida di farsi sconvolgere e inorridire e si decida a cercare le risposte alle proprie domande. I tuoi personaggi hanno la forza dei simboli, il protagonista soprattutto è il compagno perfetto per l’anima di tutti noi.


Gradimento personale: 4.75/5

Questa storia è densa di sacralità. Io non ho parole per esprimerti quanto mi ha dato. A un certo punto, e non ricordo più quale (scusami!) ho sentito le lacrime e il bruciore agli occhi. Sembrerebbe assurdo, visto che non è una storia densa di pathos o di incisività, non vuole colpire come un muro, ma entra dentro come l’acqua che non può essere tenuta fuori da nessuno tipo di muro, che non può essere confinata a una sola forma e che non può essere raccolta tra le mani, per quanto strettamente intrecciate siano. A commuovermi (questa è la parola corretta) è stato il modo in cui sei riuscita a farmi vivere sulla pelle questo mondo magico, colorato, dalla cultura profonda e spirituale; è un viaggio fatto di insegnamenti, da paesaggi dolci e dai profumi intensi e avvolgenti. Il modo in cui sei riuscita a farmi sentire la cultura e questa religione è stato… non lo so spiegare.
L’unico punto che mi è mancato è la presenza di un cast più presente e partecipe alla storia. Il viaggio riflessivo è molto personale, è vero, ma mi sarebbe piaciuto avere modo di contrapporre il protagonista a personaggi diversi, anche del suo stesso plotone, qualcosa che desse maggior corpo alle facce con cui è stato in missione e che penso abbiano comunque contato qualcosa per lui. Invece, nessuno dei tuoi personaggi, a parte la monaca fiammeggiante, ha un nome o un volto. Un altro aspetto che mi è mancato è la possibilità di retrospezione, ovvero elementi del suo passato, del mondo che si è lasciato alle spalle, in modo da dare profondità alle differenze. Sembra quasi essere un personaggio senza legami, e credo che avere qualche dettaglio, seppur generale, della sua vita, non avrebbe impedito al lettore di immedesimarsi.


Punto Categoria: 3/5

Cos’è l’arte se non comunicazione? All’inizio pensavo che avessi inteso la categoria in maniera piuttosto coraggiosa, e non per questo non avrebbe avuto senso o non avrebbe conquistato il mio favore: il tempio, il silenzio dei monaci e l’insegnamento silenzioso di My Lai. Io credo che la forza della categoria sia espressa soprattutto da loro, dall’armonia che trasuda da quei luoghi in mezzo alla foresta o dalla visione di quelle fiamme. La compassione è un’arte che andrebbe coltivata. Il silenzio colpisce il protagonista, parla una lingua a cui neanche con i suoi pensieri riesce a darle un suono ma che il cuore e l’anima comprendono.
Ma non di meno acquista valore e soprattutto corpo attraverso il mandala. Simbolo di armonia, un insegnamento, portatore di un messaggio, ma anche della verità più assoluta del mondo: lo scorrere, il fluire, il cambiamento. Ciò che tutto questo ha da comunicare, protagonista e lettore apprendono, assimilano e imparano. E quando il momento quest’arte si distrugge, torna alla polvere e al mondo, torna al suo dio. La libertà e la pace che si acquisiscono così sono il fine di un’arte effimera quanto eterna.
Per quanto riguarda i punti bonus, non ho riscontrato un mestiere insolito; per cui non te li posso assegnare.

Punteggio: 81.5/90

Recensore Veterano
17/01/19, ore 10:58

Quinto posto 

yonoi. - Il tempo delle alte fiamme 

Titolo: 2/2 
Il titolo è ben pensato e riassume bene la storia, bravo! 

Originalità: 13/15 
Ogni tanto ci provo a leggere qualcosa di storico e puntualmente abbandono, quindi la mia conoscenza del genere è limitata. La storia mi è sembrata originale e ben pensata. 

Lessico & stile: 14/15 
Scrivi molto bene, bravo! Il lessico mi è sembrato appropriato al periodo storico che hai scelto, ma a volte mi è sembrato quasi troppo impostato (magari è solo una mia impressione) ed è solo questo che non ti fa avere il punteggio massimo in questo parametro. 

Uso citazione: 11/13 
All'inizio avevo notato la poesia solo in un paragrafo ed ero rimasta delusa, perché sapevo che il testo era abbastanza lungo ma poi l'ho ritrovata verso la fine e ne sono stata contenta, bravo! Mi piace che tu l'abbia fatta comparire due volte e facendo ragionare il personaggio su questa. 

Gradimento personale: 9/15 
Ben scritta ma non sono proprio un'amante del genere storico, non mi coinvolge mai del tutto, per quanto sia bravo l'autore. Ammetto che ho fatto un po' fatica a finirla ed è questo che ti ho dato un punteggio non proprio altissimo. 

Impaginazione: 8/10 
Ben fatto per il giustificato ma tutto quell'andare a capo frequentemente e il fatto che usi molto dei rientri a volte mi hanno fatto confondere riga leggendo. 

TOTALE: 57/70 

Recensore Master
03/01/19, ore 13:21

TERZA CLASSIFICATA, CON UN TOTALE DI 42/45
Il tempo delle alte fiamme, di yonoi.

Grammatica e Stile: 10/10
Dopo aver letto la storia la prima volta l’ho riletta, cercando attentamente eventuali sviste grammaticali, e non ho trovato nulla. Mi complimento con te per non aver lasciato nemmeno un errore in una storia così complessa! Il punteggio non può che essere 10/10.
Passando invece allo stile, sai benissimo che lo adoro da sempre; ogni volta, infatti, riesci sempre a colpirmi con immagini nuove, ma descritte sempre con la stessa “forza nascosta” che caratterizza le tue parole. In particolare, quando descrivi accuratamente il sacrificio della monaca, che è la parte di maggiore impatto emotivo nonché punto di svolta della storia, alcune delle tue frasi sono state veramente in grado di lasciarmi ancora una volta “il vuoto dentro”, di immergermi completamente nell’ambientazione della tua storia. Te la riporto: “Vidi tra quelle ciglia ormai ridotte in cenere la stessa disperazione muta dei contadini, come alberi spogli sulle aie dei loro villaggi: le braccia attorno agli occhi sgranati dei figli piccoli quando appiccavamo il fuoco alle loro capanne, per punirli di avere offerto un pugno di riso agli altri.”
In questa particolare storia, poi, le descrizioni sono forse tutt’uno con il significato che hai dato loro, ed è un punto che apprezzo sempre; anche l’introspezione, seppur lunga e complessa, non risulta mai pesante, ma facilmente “seguibile”. L’utilizzo del lessico e delle citazioni è ottimo, e denota un accurato lavoro di ricerca e di informazione prima della fase di scrittura.
Anche per lo stile il punteggio è 10, e la media la lascio fare a te! XD

Trama, Originalità e Caratterizzazione dei personaggi 9,5/10
Per quanto riguarda la trama, non ho rilevato incongruenze o imprecisioni, il che è molto importante soprattutto in una storia strutturata come la tua, ovvero “a flashback” e narrata in prima persona. Alla fine, però, più che una struttura a flashback hai creato un incastro tra le varie parti della storia suddivise ottimamente grazie ai piccoli capitoli in cui l’hai divisa, che dal mio punto di vista ha creato un effetto interessante oltre che abbastanza originale per storie del genere di guerra. Al contrario, però, il finale era in un certo senso abbastanza scontato, forse per l’introspezione “troppo” profonda che hai attuato; di certo non è affatto un difetto, però limare un po’ alcuni punti senza intaccare l’intensità delle riflessioni del protagonista avrebbe reso più incerte le ultime righe, facendo chiedere al lettore “cosa succederà quando ritorna al tempio?”
Credo che questo sia l’unico punto che poteva essere reso in modo più efficace di una trama perfetta e molto introspettiva come questa, valorizzata soprattutto dai due personaggi secondari che, alla fine, sono forse i veri protagonisti, che “usano” il soldato come semplice tramite.
Il primo è il monaco novizio del tempio nella giungla: in particolare, tramite la sua storia, si crea nel protagonista e nel lettore una riflessione fondamentale per il proseguire della trama. Lui, infatti, non è sempre stato un religioso, ma ha avuto un percorso che l’ha portato a scegliere una vita più povera, ma anche più pura, dopo aver “provato” tutto il resto; questa, del resto, è una condizione che si rifletterà anche nel protagonista: un percorso iniziato dal rogo della monaca e “concluso” vedendo allontanarsi il sacchetto di sabbia. Proprio quest’altra figura è un personaggio più che fondamentale, che con un solo sguardo ha cambiato la vita di un soldato nell’indifferenza generale che il suo rogo provocava. In un certo senso, senza uno di questi due personaggi Lui sarebbe ripartito per l’America.
Mentre, parlando proprio di Lui…. non c’è molto da dire, perché i suoi occhi che vedono la vicenda dall’interno potrebbero essere i nostri: in questa storia c’è stata una massima immedesimazione emotiva del lettore, almeno dal mio punto di vista, e questa è sicuramente il più grande pregio della parte del significato, mentre, come ho già detto, il livello del significante è veramente alto. Non assegno il punteggio pieno solo per l’appunto sull’originalità fatto all’inizio del parametro.

Attinenza al contesto storico e ai contenuti del bando: 7,5/10 (5+5)
Per quanto riguarda il primo punto, credo che la tua storia parli semplicemente da sola, grazie all’accuratezza delle descrizioni e alla ricchezza di particolari. Invece, per il secondo punto, ho qualche dubbio: già il titolo del contest parla di una “sosta verso casa”, ma in realtà il protagonista non è ancora partito dal Vietnam, e anzi il tempio non è lungo la sua strada, ma torna in dietro con il preciso scopo di vederlo… pertanto, non posso assegnarti più della metà del punteggio.

Pathos e Atmosfera: 5/5
Valutando questo parametro, l’aspetto che è maggiormente visibile è l’atmosfera, resa attraverso descrizioni minuziose (ma come detto, affatto pesanti) in grado di delineare e distinguere le diverse ambientazioni, soprattutto per quanto riguarda la calma quasi soprannaturale del tempio prima e della tenda poi. Sarà forse l’influsso del mandala, che ha aiutato anche te a rendere tutto così bene?
Il senso di pathos, invece, è in un certo senso più velato, in quanto avevo già intuito come sarebbe andata a finire, ma nella prima parte della storia, per esempio, si sente molto forte grazie a un’ottima introspezione e a una narrazione lenta. A mio modestissimo parere, non avresti potuto fare meglio.

Titolo e Introduzione: 5/5
A mio parere il titolo è molto bello, sia come suono che come significato: oltre a richiamare i roghi dei monaci contro la guerra, sotto il punto di vista della forma ho avuto giusto un’idea. Non è che aggiungendo una “i” alla parola tempo, trasformandola in “tempio” il titolo sarebbe ugualmente perfetto per la storia? Probabilmente è un caso, ma se non lo è complimenti per questo collegamento con l’incendio (bombardamento) del tempio.
Passando all’introduzione, è certamente scritta con il “metodo classico”, ma va benissimo così, in quanto mi ha incuriosito fin da subito ed è molto attinente con la vicenda raccontata. Quindi, punteggio pieno.

Gradimento personale: 5/5
Che dire, se non che questa storia mi è davvero piaciuta! In effetti è un commento abbastanza banale, ma è così: ho apprezzato sì molto la costruzione dell’intreccio e la tematica da te scelta, ma soprattutto le descrizioni e il lessico, che rendono unica ogni tua storia. Mi dispiace solo per l’attinenza, ma, se non fosse per il contest, la tua storia sarebbe praticamente perfetta così. Complimenti anche questa volta, non ti smentisci mai!

Recensore Junior
16/12/18, ore 21:51

Ciao!
Complimenti per aver scritto questa storia breve ma toccante. Stile e lessico sono perfetti. E' sempre piacevole immergersi in letture impegnate scritte con cognizione di causa. Ti ammiro davvero!
Buona serata^^

Recensore Master
22/11/18, ore 17:47

Ciao Y.
Sono profondamente imbarazzato di partecipare a questo stesso contest con una storia come quella che ho presentato. Mi sembra di aver unito il sacro (il tuo scritto) al profano (il mio, 😓).
Oltretutto mi sento molto ignorante visto che della guerra in Vietnam so poco (nulla, diciamo) e delle motivazioni, di chi ha vinto o perso, di quanto sia durata (mi sembra un tempo infinito), non ho mai approfondito nulla. Forse perché é storia più recente nel tempo, ma lontanissima nello spazio, per il mio modo di vedere. Mi riduco a pensare che sia la solita guerra, iniziata o fomentata dai soliti americani e che se la sbrighino loro. Ma poi leggo la storia dei monaci in fiamme e lí capisco. Capisco che le motivazioni delle persone possono essere tanto forti da far loro togliere la vita per un'idea. Una giustizia non terrena e per far capire, forse, a gente come me (ignorante) che si può combattere all'infinito con le armi e la distruzione, ma nulla può cancellare il volere dei singoli individui.
Non so se il messaggio che i monaci in fiamme volevano lanciare sia giunto a destinazione. La guerra é finita, in Vietnam, e non so nemmeno se al momento i monaci siano ancora perseguitati. Mi sembra di ricordare che sí, proprio bene non se la passino.
Ma al protagonista il messaggio della ragazza é arrivato e lui da lí non é mai partito, realmente.
Per la mia cultura, intesa come posto dove sono cresciuto, é difficile accettare il suicidio come forma di protesta. Ancor più accettare che uno si dia fuoco in piazza del mercato e nessuno faccia nulla per quantomeno cercare di salvarlo. Ma il buddismo credo sia l'unica religione (diffusa) che crede nella reincarnazione e nel profondo rispetto verso il pensiero e le motivazioni altrui. Alla fine, penso che, se una persona crede ad una seconda opportunità, magari migliore della prima, forse questo le dà più coraggio e la rincuora nel compiere un gesto cosí drammatico.
Ma se vuoi saper realmente cosa ne penso. Io non lo capisco.

Detto ciò, ti faccio un grosso in bocca al lupo per i contest a cui questa storia partecipa e alla prox!
Ssjd

PS frivolo: Ma il rating arancio é in onore ai monaci? Ok, sí, pessima battuta, lo ammetto...
Mi dileguo che é meglio.

Recensore Master
22/11/18, ore 10:25

Ciao...anche io partecipo al contest di Nirvana e mi sono promessa di leggere le altre FF partecipanti...bellissima storia, che mi ha toccato moltissimo, soprattutto grazie allo stile che hai usato, tenendomi incollata costantemente alla storia...bellissima...un saluto e in bocca al lupo
A presto

Recensore Junior
20/11/18, ore 02:13

Buonanotte, amico mio,
questo racconto mi ha folgorato per la sua intensità, per la profondità che comunica. Nel caos di una guerra assurda come quella del Vietnam, in un'ambientazione esotica e faticosa, che mi ha ricordato alcuni passi de "I Misteri della Giungla Nera", un uomo scopre il significato profondo della parola "sacrificare", sacrum facere, e la potenza che questo gesto produce nel mondo sottile e in quello umano. È il sacrificio dell'iniziazione, in cui l'identità puramente umana, oserei dire animale, viene bruciata, distrutta, uccisa per lasciar posto a chi si cela dietro la maschera. I monaci imperturbabili e imperturbati nel tempio antico nel cuore della giungla, la monaca silenziosa tra le fiamme e la scelta radicale del protagonista, fatta in una notte baciata dalla luna, seguono tutti lo stesso filo rosso del sacrum facere, che nella tradizione diventa il Rito, lo *Rta di vedica memoria, ossia un atto che, per un attimo, riconcilia l'empireo con la materia, raddrizza i torti, ricorda all'uomo di essere della "razza degli Dei" (Pitagora). Il sacrificio ultimo è rendere sacri se stessi, quando sacer significa non essere più parte del mondo degli uomini: così fa il tuo protagonista, un sergente senza nome che in guerra, toccando le tenebre, ha fatto riemergere il suo spirito aureo, in una vera e propria iniziazione.
Speravo infatti nell'epilogo che poi ci hai offerto: il sergente non è totnato alla vita profana: è rimasto sacer, come fosse morto, nel tempio distrutto.
Lo stile con cui hai intessuto la trama del tuo racconto mi ha incatenata alla lettura, con le descrizioni suadenti di quest'Asia lontana che appunto mi hanno ricordato la prosa di Salgari...
Davvero un'ottima prova!
Un saluto!

Eleonora

Recensore Master
19/11/18, ore 20:22

Ehi, ma quanto sei attivo in questo periodo?
Davvero poetica la descrizione di questa truppa che si muove nei pressi di un monastero: c'e una bella contrapposizione tra la calma dei monaci e la violenza e l'odio che i soldati sono abituati a praticare e a ricevere.
Davvero impressionante la scena della monaca in fiamme: non sapevo che fossro esistite simili forme di proteste in Vietnam. Mi sono piaciute anche le diverse reazioni di tutti: la devozione della folla, lo shock del sergente, il disgustoso cinismo del giornalista. Tutte reazioni molto credibili e variate.
E continua dannatamente bene, con la fine della guerra e il sergente che, non più bisognoso di scaricare colpe sugli altri, si rende conto delle proprie responsabilità davanti al monastero distrutto.
Semplicementr splendido il finale. La conversazione con i monaci, che accolgono senza rancore chi ha massacrato la loro gente e gli spiegano com calma i propri valori, e la decisione di restare ... me l'aspettavo, ma è stata lo stesso dolcissima.
Complimenti davvero per una splendida storia!

Recensore Junior
19/11/18, ore 14:19

Attendevo con grande curiosità il tuo racconto: non sono rimasto deluso. Sinceramente non saprei neppure da dove iniziare, sono tante le impressioni che potrebbe lasciare questo racconto che ci vorrebbero testi ben più lunghi. Mi limito solo a riportare una mia rapida impressione: le immagini sono molto evocative, anche quella ben più cruda del rogo della monaca, e lo stile risulta essere piano e molto scorrevole. In breve, è stato come guardare un film, uno dei tanti sulla guerra del Vietnam. Ad essere precisi una sorta di via di mezzo tra "Apocalypse now" di Coppola e "Piccolo Buddha" di Bertolucci. Il cammino del soldato è come un viaggio all'interno dell'animo umano, proprio come in "Apocalypse now", la giungla è l'immagine della nostra interiorità. Non ci sono i campi di battaglia, né tantomeno i segni della civiltà, l'unico ambiente urbano (la piazza di Hue) appartiene al passato, al mondo degli incubi e dei ricordi. È la natura a portare con sè i segni della guerra, è il crepuscolo ad essere sanguigno. Solo addentrandosi così a fondo si può compiere la maturazione del protagonista (se così posso chiamarla). L'immagine del mandala (e qui è stato inevitabile pensare a "Piccolo Buddha") rappresenta il momento di massimo sviluppo di questa evoluzione interiore. All'inizio appare come un elemento "esotico", una sorta di contorno alla storia, ma che via via diviene sempre più centrale: è il ciclo della vita che continua, nonostante tutto. Un ciclo che il protagonista riscopre, riuscendo a far pace con la propria coscienza, rendendosi conto delle sue responsabilità. Non casualmente, sempre dentro l'ambientazione della giungla/animo umano, come a dire che l'io narrante sia ritornato in sintonia con sé stesso, superando l'orrore. Non saprei cos'altro aggiungere, veramente ci sarebbe molto da dire su questo racconto così profondo. Non posso far altro che sottolineare come la mia sia una lettura molto personale e, forse, anche opinabile. E poi, non mi resta che fare tantissimi complimenti per questa storia scritta così bene e capace di suscitare tante riflessioni e di far riflettere. Nel contest, sicuramente, questa storia meriterà moltissimo, ne sono certo.

Recensore Master
19/11/18, ore 08:43

Addirittura una storia sulla guerra del Vietnam! Stai diventando sempre più prolifico, mio caro yonoi. E devo farti i miei complimenti non solo per l'ottima qualità del testo, cosa che del resto caratterizza tutte le tue storie, ma anche per l'originalità del tema trattato. Di robe sul Vietnam se ne sono scritte tante, e tutte dal punto di vista degli invasori stranieri, americani o che altro, e sempre a proposito di qualche battaglia particolarmente ostica (mi viene in mente Saigon, o Khe Sanh). In questa storia, invece, c'è sì un soldato, che però non combatte. Anzi, interagisce con un monaco e ascolta la sua vicenda. Questo, a mio parere, aggiunge un bel pò di tragicità a un quadro già disperato di suo. Anche i monaci buddhisti hanno avuto il loro ruolo nel Vietnam, ed è giusto raccontarlo.

Di nuovo complimenti, yonoi. Alla prossima!

Recensore Master
19/11/18, ore 07:27

Buongiorno.
Un testo di altissima qualità.
Nel corso di quest'anno, ho notato tantissimi tuoi progressi... sei sempre stato bravissimo, ma alcune volte, tempo fa, scrivevi periodi un po' lenti... o qualche parte leggermente ripetitiva. Sono cose da nulla, per carità.
Però adesso sei migliorato ancora di più.
Questa è stata una lettura istruttiva, mi ha trasmesso e insegnato molto; ambientata in un periodo spesso affrontato, dove però molti autori preferiscono seguire il punto di vista degli invasori stranieri, senza soffermarsi troppo sui civili.
Bene, mi è piaciuto e il testo è più che soddisfacente.
Ottimo lavoro.
buona giornata :)