Allora... wow. Mi spiego meglio.
Nella prima parte c’è un parallelismo semplicemente perfetto tra il Steve degli anni ‘40, con i suoi momenti di gloria, e il Steve del 2018, reduce dagli ultimi eventi che sembrano avergli prosciugato sia speranza che voglia di vivere... sfido chiunque a mettersi nei suoi panni e reagire in modo così “pacato”, scene del genere mi riportano sempre alla mente la frase di Ultron (“Capitan America, un uomo che non può vivere senza una guerra”) specialmente in questo passaggio dove lasci in bella vista l’uomo stanco dei conflitti, eclissando completamente il ruolo di soldato creato per la guerra.
Ho adorato la descrizione “sospesa” del Complesso, il modo in cui fai trasparire con dettagli microscopici il modo in cui tutti reagiscono alla recente battaglia. Ho apprezzato particolarmente il fatto che Tony si sia rinchiuso nel laboratorio, probabilmente a lavorare mentre si dispera (nel mentre si è scoperto che fine ha fatto Pepper o lo scoprirò nei prossimi capitoli?), come ho adorato il riferimento a Natasha intenta a distruggere manichini in palestra (l’avresti mai detto eh?), il tutto condito con una nota di angst che va a toccare l’apice con “in una massa torbida e acre che gli avvelena il respiro.” WOW.
E poi torni a descrivere quella situazione sospesa, l’attesa di una svolta sulla quale riversare tutte le speranze, vivendo in quello stato di limbo dove ognuno si preoccupa dei propri ritmi incurante a quelli degli altri.
In un passaggio che sembra banale (sembra), descrivi il come Steve si accorga del distacco da parte di Nat ma decide di non voler sapere nulla, probabilmente per evitare altre dosi di dolore perché sicuramente lei ha i suoi buoni motivi (sono i motivi che immagino o hai trovato altri argomenti da sviluppare? Sono curiosa, in ogni caso, sorprendimi). A parte la nota sul comportamento di Natasha, non ho potuto far a meno di associare per contrasto le scene dei film in cui Steve si presenta sulla porta del disperato di turno impostato in modalità fata madrina/consigliere... qui invece gira i tacchi e ignora, mettendo se stesso al primo posto (per la prima volta in vita sua probabilmente).
E vogliamo parlare del “cessate al fuoco” tra lui e Tony? Che prevedo già che le prossime conversazioni si manterranno nella stessa linea sofferta e micidiale degli altri scritti. E quel riferimento al progetto Avengers andato alla deriva? Di come tutti fossero consapevoli degli eventi post-Sokovia e nessuno ha detto mezza parola o fatto qualcosa? Così mi uccidi. (probabilmente ti stai “vendicando” del girone infernale che ho costruito in 1956, almeno io la vedo così, correggimi se sbaglio ma se non era questo l’intento ci sei riuscita ugualmente.)
E poi c’è il colpo di grazia, la consapevolezza mista ad una delle paure più radicate di Steve: il non essere abbastanza, l’essere costretto a risolvere tutto con sacrifici enormi, la consapevolezza che tutte quelle situazioni sono più grande di lui (a partire dal “suicidio” nell’Artico) e che in fondo lui è ancora il ragazzino di Brooklyn che aspetta Bucky per tirarsi fuori dai guai... ma Bucky. Non. C’è.
È crudeltà legalizzata questa, sappilo.
Giusto per la cronaca, l’ultima frase preannuncia una catastrofe, ho il sospetto che quello che sembra un fronte unito Narasha-Tony nasconde solo la prossima mazzata, il tutto condito con la benedetta emicrania onnipresente.
Ma soprattutto i miei complimenti perché Steve è Steve, sai quanto è importante detto da me.
Nella speranza di non dover aspettare ere preistoriche per il prossimo capitolo, un bacio
_T <3
(Recensione modificata il 01/12/2018 - 03:20 pm) |