Arrivo a questo penultimo capitolo e già mi ritrovo vicino a Watson, durante la sua visita al manicomio giudiziario.
Il tuo John, quello che hai fatto agire nella presente long, è, secondo me, dopo Mycroft di cui ti ho già scritto, il personaggio in assoluto che ho trovato ben riuscito.
Infatti l'hai fatto espressione di una maturazione interiore che, abbinata in modo mirabile alle innegabili caratteristiche IC che gli hai impresso, mi ha veramente soddisfatto.
Dal buio e dall'intreccio contorto e senza scampo di paure e fragilità, all'uomo che, senza più timore di amare, cammina con consapevolezza e determinazione in un luogo pieno di echi sinistri ed agghiaccianti per noi cosiddetti "normali".
E tutto perché venga restituito a Sh ciò che gli era stato tolto, cioè la certezza di contare qualcosa per qualcuno.
Così John diventa il braccio ed il veicolo della mente superiore del consulting di cui lui, sicuramente, ha assorbito l'energia e le modalità di azione. Qui si tratta di fare giustizia, anche se, in balia degli altri, è rimasta solo una creatura sfortunata e predestinata dalla sua stessa vita di sofferenza.
Mary è rinchiusa, così, nel manicomio giudiziario, senza approfondimenti ulteriori d'indagini, se non altro per scagionarne l'innocenza di vittima a sua volta.
John riesce a ricostruire la verità grazie ai registri su cui veniva annotato il funzionamento della "clinica" Abbott.
Davvero, riemerge nettamente come, te l'ho già scritto, tu abbia saputo "prendere il volo" dalle vicende raccontate da King, per inoltrarti su una strada difficile e bellissima.
Bellissima anche per i cultori, come me, del genere giallo, perché gli intrecci criminali, su cui hai fondato gli aspetti inquietanti della personalità problematica di Mary, sono veramente convincenti e credibili come proposte per una buona trama di quel genere.
Non c'è solo quello, ovvio, ma la qualità della tua long sta nella "tridimensionalità" che hai saputo dare alla storia ed ai suoi personaggi, occupandoti di tutto ciò che dà più spessore agli avvenimenti che ruotano intorno alla Johnlock.
Per quanto riguarda il manicomio, non ti sei dilungata in facili descrizioni che indugiassero sui particolari più inquietanti o scenografici ma, in modo equilibrato e quasi pudico rispetto a realtà del genere, hai condensato tutta la solitudine e la mancanza di speranza, di quello spazio tra mura invalicabili, nello squallore della nuda stanza per i colloqui e, soprattutto, in quella visione di Mary.
Mary che "si staglia alta e possente tra tutte le altre", prigioniera anche della triste divisa troppo piccola per lei che le toglie anche l'ultimo briciolo di dignità.
Con quest'immagine hai reso il senso del suo disperato essere sola in mezzo agli altri. Suscita pietà, sicuramente.
È ovvio che un caso del genere non può essere lasciato senza accompagnarlo nel pieno rispetto di un'umanità offesa e dolente e, al contempo, tenendo conto anche della sicurezza della società ma, l'immaginarla così, mi ha provocato molta tristezza e temo che situazioni del genere, nella vita reale, non siano rare.
E si coglie che lo stesso sentimento si è acceso anche in John, che si rivolge a lei trattandola con naturalezza, con rispetto. Infatti mi ha attirato il particolare che, se tu hai inserito vuol dire che ha un suo valore, dell'atto di sedersi: Mary, forse in uno sprazzo di desiderio di affermare la propria personalità, non obbedisce al brusco ed odioso ordine della guardia, ma ascolta l'invito pacato di John che le si rivolge con calma e con dolcezza.
Hai scritto con equilibrio e credibilità il dialogo tra i due, percorso difficilissimo, ma è risultato verosimile e estremamente significativo.
Vi hai inserito il passaggio di Mary dalla "cattiva" alla "bambina", in un mutare di gesti ed espressioni davvero suggestivo.
John viene a sapere che Sh si è confidato con la donna riguardo al modo in cui Johanna l’ha trattato, come un oggetto, e scopre che, dietro a quel nome femminile, il consulting ha mascherato proprio lui.
Chiaro è che, tra le cose più sorprendenti che tu hai ideato nella situazione di prigionia di Holmes, c’è quest’operazione che ha consentito a Sh di condividere con qualcuno la sua dolorosa delusione. E l’ha fatto con una creatura sfortunata ma ricca di sensibilità. Interessante l’aspetto di dolente umanità con cui tu hai arricchito la connotazione di Sh.
E, lasciamelo dire, a John, la scoperta non può fare che bene perché gli viene confermato, indirettamente, che il suo atteggiamento, dopo il momento di estasi con Sh, è veramente riprovevole.
Comunque, come ho già osservato, lui sta già passando attraverso una specie di “purificazione”, nell’affrontare situazioni e sentimenti molto forti, che lo porterà, sicuramente, a presentarsi a Sh, innamorato, senza più maschere.
Nel racconto di Mary che getta luce sul suo penoso passato, ritorna un elemento che mi riporta all’altra tua long, “Hasta…”. Lo stanzino in cui è stato rinchiuso Sh ed anche Mary, prima, mi richiama alla mente un altro luogo simile, teatro di sensazioni e sentimenti quasi estremi nella loro manifestazione: amore, dolore, gelosia, paura…
È simile al ripostiglio in cui Moriarty, inseguito da uno Sh furioso perché teme che lui abbia ucciso John, si rifugia e rivede il suo passato. La porta, intanto è tempestata violentemente dai colpi con cui il consulting cerca di abbatterla per fare giustizia. E ritorna la stessa atmosfera allucinata, di “Cercasi…”, in cui è Sh a trovarsi nello stanzino di casa Abbott, al tempo stesso prigioniero ma anche protetto dalla collera incontrollabile ed omicida di Mary, e la sua cupa solitudine è popolata dagli incubi che si fanno sempre più concreti.
Nella seconda parte del capitolo assistiamo al risveglio, solo apparentemente più pacato del precedente, di Sh nel suo letto d’ospedale. Accanto a lui poni uno splendido Mycroft, premuroso ed attento. E, tra i due, fai rispuntare le spigolosità del loro rapporto che, comunque, al di là di tutti i mascheramenti e le incomprensioni, è saldo e benefico anche per il consulting
Come di consueto, non mi stancherò di ripetertelo, si delinea, perfetta, la tua gestione dei dialoghi, anche quelli più difficili da tradurre, come questo tra i due.
Mycroft parla di John in modo franco e davvero ammirevole, mettendo in risalto il ruolo ma, soprattutto, il sincero sentimento che il medico prova per Sh.
Anche il chiarimento che quest’ultimo ha con John è ben costruito e credibile, assolutamente rispettoso delle caratteristiche IC con cui hai connotato Sh.
Metti in evidenza il suo senso assoluto per la giustizia, la sua fragilità ed il suo amore per Watson.
Le ultime frasi sono cariche di calore, dopo tutto quel gelo, e non solo dovuto alla tempesta di neve.
Beh, chiudo qui, e ti rinnovo i miei più sinceri complimenti. |