Eccomi a questa seconda parte. Davvero pertinente e molto evocativa, penso per tutti noi, almeno per me, sicuramente, la citazione da Voltaire che hai riportato all’inizio, in cui viene espresso un concetto che dovrebbe ispirare tutto il nostro modo di agire. Infatti, nei confronti della vita, non è sufficiente non compiere azioni dannose nei confronti degli altri; secondo me questo atteggiamento porterebbe alla piattezza del nostro percorso ed all’assenza di emozioni benefiche, quali il ricevere un sorriso di gratitudine o, solo, avere la consapevolezza di aver costruito un pezzo in più della nostra meravigliosa umanità. Vivendo in mezzo ad una rete di relazioni, eludere la responsabilità verso chi ci accompagna, anche per un breve tratto, nel nostro cammino, può portare ad un pericoloso impoverimento di ciò che siamo (modalità filosofo de noantri : off).
Veniamo così al racconto di Mary, che tu fai snodare attraverso frasi significative, strutture linguistiche accattivanti. Tanto più che, far esprimere un personaggio così complesso com’è la moglie di John nella Serie BBC, non è semplice perché si può scivolare ogni momento nella banalità o nel troppo labirintico. Invece qui da te ciò che scrivi scivola con facilità, tenendo ben sveglia la nostra attenzione.
Che la vita della Mary professionista del crimine non dovesse essere facile è un fatto non sorprendente, ma ci fai entrare subito in un’atmosfera in cui appare chiaro che la sua vita è davvero un gioco molto pericoloso. Cade l’elicottero, lei si salva e, quello che mi è piaciuto, è stato il modo obiettivo e distaccato con cui l’hai fatta raccontare il fatto. Il suo tono appare quasi giornalistico, obiettivo, distaccato sicuramente dal rischio mortale che è il suo pane quotidiano. Per una donna come Mary, uscire viva da un incidente del genere, salire su un canotto e salvarsi, diventa veramente pane quotidiano.
E qui fai davvero risaltare il contrasto tra la sua fredda determinazione e la sua “professione” con il suo essere, molto in fondo, umana e desiderosa di emozioni semplici che scaldino il cuore. A questo proposito, mi è piaciuto molto il passaggio tra l’osservare l’anziana venditrice di spezie e l’accensione abbagliante nella sua mente dell’amara consapevolezza di non avere vita davanti a sé ma solo l’attesa di un killer più spietato e bravo di lei.
Compare così, agli occhi della sua mente, l’immagine di Rosie, “scricciolo rosa”, e quella di John che, comunque, è riuscito a dire qualcosa al suo cuore. E poi c’è Sh, invidiato perché è l’unico destinatario del grande amore che suo marito non può sinceramente provare per lei, visto che, l’unica luce che segue il suo cuore, è quella del consulting. A Mary questo fa male, nonostante la freddezza professionale ma, in questo caso, la sentiamo spiazzata ed in crisi.
John, Sh e Rosie costituiscono, ormai, per lei, una vera famiglia in cui sentirsi amata e compresa, in cui i lati oscuri rimangono nascosti e muti.
Oltretutto Holmes, per lei, è diventato paradossalmente un vero amico, che la capisce e l’accetta così com’è. A questo proposito, è chiaro che Sh l’abbia accettata perché è stata scelta da John e, quello che decide il medico per lui è indiscutibile, tanto grande è l’amore, nascosto, che lega quei due.
Ed è Sh quello che si sacrifica di più, rispetto a Watson, perché rinuncia ad esprimere ciò che dal primo istante ha provato sin dal primo incontro al Bart’s, complice l’impagabile Mike. Accetta, infatti, di fargli da testimone in quella farsa grottesca che è il suo matrimonio, e persino non cessa di dare fiducia alla donna che gli ha sparato al cuore.
E io penso che lo scopo di Mary, altro che precisione chirurgica, fosse proprio quello di uccidere il consulting. Per motivi professionali e per motivi personali, in quanto per lei era ormai evidente che John non avrebbe amato nessuno al di fuori di Sh.
Ed arriviamo alle scene salienti del tuo pezzo, in quel “tugurio” in India dalle “quattro mura ingiallite” in cui Mary vive ormai nella consapevolezza livida che il suo destino sia già segnato e che la fine sia imminente. È il triste bilancio della sua vita che porta a quel risultato di fallimento esistenziale anche a causa di qualcosa d’imprevisto che ha fatto perdere il ritmo spietato al perfetto meccanismo criminale da lei gestito. Il “granello di polvere” che si è insinuato negli ingranaggi dal moto efficiente del piano per distruggere Sh definitivamente, servendosi addirittura di Eurus, la folle sorella Holmes, non è altro che il bisogno di amare e di essere amata che la presenza affettuosa di John, la certezza di Rosie come parte “pulita” e futuribile di se stessa, la sincera, anche se incomprensibile, amicizia di Sh hanno risvegliato dall’abisso di una vita perduta.
Il modo in cui ci trasmetti i suoi pensieri è talmente realistico, non banale e supportato da una solida introspezione psicologica, che, quasi quasi, il perdono glielo concediamo noi che leggiamo. Almeno parlo per me e sono sincera: il personaggio di Mary, fin dal primo momento in cui è apparso al fianco di John, mi è sempre risultato indigesto, falso e sicuramente ingombrante rispetto allo sviluppo di quello che poteva essere, finalmente, l’esito sperato e tanto atteso da noi johnlocker. Lei si è messa in mezzo ad un legame inscindibile ma gran parte della responsabilità, ahimè, io l’attribuisco alla tracotante sicurezza di Sh che John avrebbe capito il suo ritorno dal mondo dei (falsi) morti. Comunque, nonostante tutto il risentimento che Watson ha accumulato a causa del suo sentirsi messo in disparte e lasciato indietro da Sh, il suo legame con il consulting non si è spezzato e continua a vivere, sia pure sotto forma di una corrente sotterranea.
Mary questo lo sa benissimo ed ecco l’illuminazione per “fare qualcosa” che la riscatti dal buio di una vita vissuta all’insegna del distruggere le esistenze altrui. Prende forma l’espiazione, per ottenere il perdono, la pace, il silenzio della coscienza.
E qui entra in campo la tua incredibile inventiva che ci presenta una soluzione ai problemi della donna che, davvero, è unica per la sua audacia ed originalità.
Lei, come ho già scritto più volte, sa benissimo che Sh e suo marito si amano da anni ma, se dipendesse da loro, il “non detto” e “non fatto” continuerebbero all’infinito, alimentati dalla cocciuta cecità di fronte all’evidenza, dai fraintendimenti, dalle paure, dai pregiudizi, dalla rabbia di sentirsi messi da parte, dal peso terribile della disistima di sé.
Ed eccoci arrivati alla scena clou, a quella che ho dovuto rileggere per capire meglio il tuo colpo d’ala. Mary costringe i due ad amarsi sotto i suoi occhi, sotto la minaccia di una pistola.
Sono le parole che Sh rivolge a John, nel tentativo di placare la sua ira contro la moglie, che accendono l’idea folle, geniale, davvero esplosiva che prende vita nella mente di Mary (“….ha fallito e sta già pagando per questo…”).
Mary che si sente accerchiata e sconfitta dal vuoto di una vita in cui tutto è stato sprecato perché nulla ha avuto la luce dell’umanità e dell’attenzione per gli altri. Ora che capisce che la sua fine è imminente, che tutto è finito, desidera almeno lasciare una traccia di buono, di positivo in coloro che, comunque, l’hanno amata. Dunque ha deciso l’unica cosa folle ma necessaria a risolvere il problema di John e Sh: costringerli a fare ciò che, in condizioni normali non avrebbero mai fatto.
La sequenza delle immagini che riguardano questo loro forzato trovarsi dopo anni d’attesa è stato da te trattato con sensibilità e delicatezza, nonostante l’assurdità della situazione. Assurdità che sfuma nell’atmosfera velata e soffice di una poesia d’amore (“…creando quell'incantesimo a cui avevo assistito fin troppe volte…), in cui, anche se il luogo e le circostanze sono davvero lontanissime da ciò che potrebbe essere perfetto, i due, che si amano da sempre, riescono a fuggire, con le loro anime, in un posto dedicato, noto solo a loro, dove sentirsi davvero un’unica realtà.
Sei stata veramente brava a riportarci, a parte il “volo” irraggiungibile dei due (finalmente) amanti, il trascolorare delle emozioni e dei sentimenti di Mary, dalla consapevolezza dell’assurdità della decisione da lei presa, al comprensibile imbarazzo, alla gelosia, al sollievo, alla presa di coscienza che, per lei, non ci sarebbe stata più storia da vivere.
Davvero, nella particolarità della scena che hai ideato, dallo stupore iniziale sono arrivata ad una partecipazione rispettosa e commossa, non solo dell’espressione di un amore che aveva sofferto anche troppo a lungo di silenzi e di spreco di tempo ma, soprattutto, del dolore straziante di una criminale che, con uno sforzo eroico, riesce a diventare donna proprio nel momento in cui capisce di non avere più niente d’importante per cui continuare a vivere. Nulla è più suo, nemmeno la figlia.
Perciò la morte le diventa necessaria e liberatoria, ora che ha compiuto la sua espiazione ed ottenuto il perdono, soprattutto da se stessa.
Dopo aver letto il prompt cui ti sei ispirata, ti apprezzo ancora di più, perché la proposta fa davvero “tremare i polsi”, narrativamente parlando, in quanto si chiede di stravolgere i personaggi ed i rapporti tra di loro in un modo veramente inusuale. E la cosa ha fatto “esplodere” in maniera devastante la caratterizzazione dei protagonisti che, depositata la polvere del disorientamento iniziale, ha fatto apparire, splendido, l’IC più puro.
Ti meriti dei sinceri complimenti perché ritengo che lo scrivere un testo del genere, soprattutto nella sua seconda parte, travolgente e aggressiva dal punto di vista puramente narrativo, non sia stato affatto facile.
P.S. Se tu continui a scrivere cose così belle, le osservazioni che m’ispiri saranno sempre più logorroiche… la colpa è tua. Solo tua, che produci pezzi di una qualità unica, anche nella loro spiazzante originalità come questo. |