“Le onde della storia battono fino all’aldilà, in parte come ricordo del passato terreno, in parte come partecipazione al terreno presente, in parte come ansia per il terreno futuro, ma ovunque come, in senso figurale, temporalità contenuta nell’eternità senza tempo”. È facile iniziare bene, citando Auerbach. Ma una storia di vasto respiro richiede una penna all’altezza, più salda della mia.
Facile iniziare bene, meno facile continuare, se non lo si fa in terzine, ma quelle te le lascio. Lavoro da certosino, da monaco amanuense, da adepto. Incatenare e concatenare narratori di secondo livello alle terzine dantesche, essere quelli Voltaire e Romanov, creazioni icastiche e vive come non mai della mia comandante Rouge, non è cosa da poco. Se la tua storia fosse un centone, sarebbe già lavoro notevole e lodevole. Più lodevole ancora il fatto che ci sia del tuo proprio, a fondere Dante con i soldati della compagnia B, che per certo il poeta fiorentino avrebbe apprezzato, con cui avrebbe spezzato volentieri il pane.
Ci si dimentica spesso di quanta importanza abbiano gli umili nella Commedia: poema non di eroi, poema senza eroe, poema in cui un Ciacco o un Belacqua hanno la stessa rilevanza di Ulisse, e più rilevanza di Alessandro Magno o dell’imperatore Federico II di Svevia. Poema che vede la condanna dei papi simoniaci, l’esaltazione in Paradiso della altrimenti dimenticabilissima Piccarda Donati; in cui si sceglie come guida in primis non un santo, non un beato, bensì un poeta precristiano, ma il ‘suo maestro’, e il ‘suo autore’; e in secundis una fanciulla fiorentina di nessuna rilevanza, se non quella datagli dall’amore nella giovinezza. Un poema che è un romanzo corale.
E anche l’opera di madame Ikeda, mutatis mutandis, a distanza siderale di tempo e di spazio, è un’opera corale, in cui ciascuno mantiene la propria individualità potenziata, il tutto fuso nella Storia che ogni cosa sovrasta.
Creare un ponte fra gli umili e i dimenticati di ogni tempo è mostrare che le storie si cercano, si ritrovano, si richiamano. Che l’essere umano è fatto di carne, sangue, passioni obliate nel tempo di un paio di generazioni, ma eternate dalla scrittura.
Stavolta Dio non ha giudicato da buon borghese, e non ha condannato i ragazzi a diecimila anni più le spese, perché là dove non si salvano i potenti, si salvano i derelitti, anche per un sol gesto di filìa.
Non so se ho reso l’idea di quanto questo lavoro mi sia sembrato potente, lo stile (il mio, intendo) può sembrare un po’ enfatico, un po’ retorico, cosa quanto mai lontana dalle intenzioni – resta fermo il proposito di parlarne in un vinaino ove servono rosso forte, ed estendo l’invito a Fabrizio, la cui assenza comincia a farsi pesante; nel frattempo, amico mio, con questo breve poema resta la memoria “di voi quando nel mondo ad ora ad ora/ m’insegnavate come l’uom s’etterna”.
Mai una storia più di questa meritò “commedia” come genere scelto.
Devoti omaggi,
Sacrogral |