Ciao!
Allora, da dove partire? Forse dal dolore. Questa storia è stata devastante, ha fatto male, mi ha fatto sentire tutto il dramma di Hange nei suoi ultimi capitoli, ma io ti ringrazio tantissimo per averla scritta. Davvero, dal profondo del cuore. Hai reso giustizia a un personaggio straordinario e l'hai fatto con grande rispetto, mantenendo intatto il suo carattere.
Entrando nel dettaglio, inizierei banalmente dall'incipit. E' brutale, introduce chi legge già nel clima di questa fantastica introspezione, ma allo stesso tempo è quasi un'illusione: la sensazione della benda, dell'orbita ormai vuota, dell'occhio che non c'è più e che ha lasciato solo uno squarcio sul volto è spaventosa, è un ricordo che Hange non vorrebbe avere, ma non è la cosa peggiore che le sia capitata. La necessità di rincorrere l'assenza dell'occhio ti ha dato l'occasione di introdurre il contrasto con la presenza, con le cose che rimangono e che non se ne vanno. E' una riflessione amara, terribile, quella sull'abituarsi a non avere più una cosa, un oggetto, un organo o una persona, ma è anche una riflessione estremamente realistica e che applicata a un contesto militare assume connotazioni ancora più disperate. Hange è una soldatessa, oltre che una scienzata, ed è anche per la salvaguardia della propria salute mentale che deve potersi considerare capace di andare avanti e di superare le perdite subite in combattimento. La vera sfida è accettare quello che rimane in vita, o meglio che dopo queste perdite rimanga in vita qualcuno. La presenza di ciò che è assente grava sulle spalle di Hange come un macigno, come un peso atroce che le ricorda che lei è sopravvissuta e gli altri no - Moblit, Erwin, tutti coloro che non è riuscita a salvare -, dandole un irrazionale quanto spaventoso senso di colpa e di inadeguatezza che le rende davvero tanto complicato continuare a vivere così, perché Hange è stanca.
Ho apprezzato tantissimo la fluidità con cui hai unito tutti i tasselli della sua personalità, rendendo al lettore chiare tutte le sue componenti caratteriali, ma senza far mai sembrare questa ricostruzione qualcosa di artificioso, di costruito. Qui il tema della stanchezza è valorizzato per contrasto dall'iperattività con cui abbiamo potuto ammirare Hange nel corso della sua carriera prima di Shiganshina, quella smania che la portava a dimenticare le attività basilari della natura umana, come mangiare, dormire e lavarsi. Torna Moblit nella riflessione - torna sempre, ed è giusto che sia così: Moblit era una costante nella sua vita, la sua ombra, la sua àncora, ciò che le permetteva di mantenere un'essenza umana. Adesso tutto quello che le resta è Levi, ma con lui il rapporto si è fatto complicato, macchiato dal peso della decisione che quest'ultimo ha preso anche per lei, sostituendosi a lei e all'umanità tutta. Hange non riesce a vedere il senso profondo della scelta che Levi ha fatto a Shiganshina - e come potrebbe? Lei ha sempre vissuto mossa dalla curiosità, dalla scienza, dal desiderio di conoscere e di scoprire. Non si sente tagliata per il comando e per le strategie - non si è mai vista in questo ruolo, nemmeno quando Erwin glielo ha detto in faccia, che qualora gli fosse capitato qualcosa sarebbe stata lei a prendere in mano le redini del Corpo di Ricerca - e di conseguenza vede quello che Levi ha fatto come un tradimento nei suoi confronti, un'imposizione ingiusta in cui non ha avuto la minima voce in capitolo. Non capisce di essere adatta, di essere la migliore di loro, migliore di Erwin, e il suo odio verso Levi è comprensibile, ha la sua storia, ma allo stesso tempo Hange non può permettere a questo sentimento di prendere il sopravvento: Levi è una presenza ancora viva, nonostante i fantasmi che si trascina dietro, ed è qualcosa che deve custodire perché non può sopportare di perdere anche lui.
Mi è piaciuto tanto il contrasto tra il prima e il dopo Shiganshina in termini di obiettivi. Il sacrificio prima aveva un senso, era votato alla ricerca, alla scoperta, alla liberazione, ma adesso appare come un'inutile perdita di tempo e di vite perché la guerra sembra non avere fine e perché loro non sono gli ultimi sopravvissuti di chissà quale catastrofe. Prima era più facile uccidere e studiare i giganti senza sapere cosa fossero in realtà, ma adesso nemmeno questo può essere ignorato. E' tutto troppo per lei, dal ruolo che le è stato riservato a tutto il contorno di informazioni che sono piombate addosso agli abitanti di Paradis da un momento all'altro. Anche la svolta di Eren è troppo per lei, l'ennesimo problema di cui non riesce a vedere la soluzione. Ma come dici nelle note, la soluzione l'ha letteralmente creata lei riuscendo in un'impresa che sembrava impossibile a tutti: unire le fazioni contro il nemico comune. Ha superato le differenze, ha fatto sì che i coinvolti le mettessero da parte insieme a lei e ha creato un'alleanza vincente.
Solo alla fine, negli ultimi istanti della sua vita, Hange torna felice, recuperando la gioia e l'impronta all'azione che l'hanno sempre contraddistinta. Finalmente ha qualcosa per cui dare la vita, a cui dedicare il cuore. E soprattutto non ha più assenze di cui dover sopportare la presenza. Il suo ultimo sacrificio è l'unica grande possibilità che può dare al resto della squadra, è il destino che si è scelta con cui onora le promesse fatte. Ed è un momento così intenso da leggere che mi ha commossa vederla così fiera e forte un secondo prima di morire. Il fatto che ritrovi Moblit e gli altri può far considerare questo come un lieto fine a tutti gli effetti. Hange ha smesso di soffrire e ha ritrovato le persone più importanti della sua vita. L'assenza non c'è più, il vuoto è riempito di nuovo e lei può tornare a sorridere.
Questa storia è stata un colpo al cuore. Una lucida analisi di Hange e una ricostruzione bellissima del suo personaggio dopo Shiganshina. Non posso che ringraziarti immensamente per averla scritta: nonostante il dolore, Hange è speranza e penso che tu abbia trasmesso quella altrettanto bene.
Complimenti vivissimi!
Un abbraccio,
Menade Danzante |