A volte mi appassiono a qualcosa (una storia, un libro, una serie tv) e per qualche mese mi ci immergo completamente, così tanto che poi, per fare spazio a una nuova passione o semplicemente agli impegni quotidiani, ho bisogno di distaccarmene del tutto, almeno per un periodo; ogni tanto devo abbandonare le cose che mi piacciono per poterle apprezzare in modo “sano”, con equilibrio e moderazione. Questo è il motivo per cui a volte intaso la tua casella di efp con recensioni di questa storia e poi sparisco per mesi, senza dar segno di aver letto i nuovi capitoli.
Ho preso infatti una lunga pausa dalle recensioni, però non dalla lettura della storia, che ho continuato a seguire con piacere. La prima neve dell’anno è il momento adatto per tornare a recensire una storia di folklore, popolata di creature fantastiche che sembrano uscite da un libro di fiabe, ai tempi in cui le fiabe facevano ancora paura, perchè erano metafore dell’inconscio collettivo dei nostri antenati, delle zone d’ombra che si portavano dentro e non sapevano come esprimere, delle storture del mondo in cui vivevano, a cui dovevano dare una spiegazione, una qualunque, per poterle sopportare. Quando c’era il bisogno di un lieto fine per andare avanti, o un finale tragico per esorcizzare le paure o nobilitare i sentimenti più negativi che non si possono esprimere. Nulla come il vorticare bianco dei fiocchi nel cielo invernale risveglia questi sentimenti, nel giorno in cui la frenesia della città viene ricoperta da un soffice strato di gelo immacolato. Forse la neve in città e la pioggia nei boschi si assomigliano, perchè entrambe avvolgono un intero paesaggio con il silenzio o il rumore scrosciante, e ricoprono oppure lavano via le tracce di realtà, lasciando nell’aria un profumo di fiaba, o di Apocalisse.
Nell’estate della tua storia non c’è la neve, ma la un temporale estivo, violento e ricco di odori, che con la sua forza impetuosa spezza la calda e sonnolenta monotonia di un paesino del centro Italia, assorto nelle proprie sacre abitudini e cieco di fronte alle proprie stranezze. Una pioggia fitta, scura, che scroscia giù dal cielo da diversi capitoli, come un Diluvio universale venuto a punire gli umani per i loro segreti, la loro intolleranza e i loro intrighi- tutte umanissime caratteristiche che stanno pian piano avvelenando e distruggendo ciò che rimane delle creature dell’Altrove, già da tempo decimate costrette a vivere nascoste, nel buio della notte o delle fronde degli alberi, nonostante siano gli abitanti originari del bosco, i veri padroni morali del luogo. E Tobia, Roisin ed Ettore sono i tre novelli (e più simpatici) Noè, che cercano di salvare le creature in pericolo da un mostro senza coscienza e senza volontà, governato da qualcuno che sembra sempre più avere come obiettivo lo sterminio totale e sistematico di tutte le creature magiche ma inermi, le cui uniche colpe sono la loro diversità e la loro incapacità di adattarsi alla società, ai ritmi e al confuso codice morale degli esseri umani. Ma è difficile rintracciare questo misterioso antagonista quando la pioggia cala giù dai pendii della Montagnola annientando le tracce, trasformando il terriccio secco del bosco in una fanghiglia appiccicosa, densa, che ricopre ogni cosa e impaccia le camminate di avventurieri ed esploratori. È un pantano di segreti, colpe e confusione in cui Malacena sta annegando, mentre i nostri eroi cercando di districarsi da un groviglio di enigmi che li distraggono dal problema principale, nascondendolo sotto strati di false piste e mezze verità. Un gomitolo di nodi di cui tutti, a Malacena, sono complici, perchè chi non è cieco è corrotto, oppure direttamente colpevole. Un manipolo di giovani eroi solitari e ribelli (in realtà un’eroina riluttante e due anomali cavalieri) si getta a capofitto nella ricerca della verità, mentre un gruppetto di vecchi stanchi e preoccupati cerca a tutti i costi di mantenere la sicurezza di tutti- e i loro obiettivi, che dovrebbero camminare affiancati per poter salvare la magia della Montagnola, finiscono per scontrarsi, perchè tra i due gruppi manca la comunicazione, e così ognuno vede l’altro come nemico, in una brillante metafora dell’eterno e irrisolvibile conflitto generazionale. E così Rosi rimprovera sua madre Marina di non esser stata abbastanza efficiente come Sorvegliante, cosa che forse è vera, ma poi l’accusa di star attivamente lavorando per la distruzione dell’Altrove nella Montagnola, cosa che non potrebbe essere più falsa e inesatta. E Marina non riesce a sopportare il fatto di venire aggredita da sua figlia per aver sbagliato in un ruolo che quella stessa figlia si è rifiutata di prendersi sulle spalle. Pensa che Rosi la odi per aver montato un teatrino di cui in realtà Roisin neanche sa l’esistenza: quel telaio di bugie e inganni che Marina intreccia da dieci anni per salvare la vita di un ragazzo non è altro che un depistaggio nella caccia al Regolo di Roisin e dei suoi cavalieri. La cosa tragica è che, forse, se Marina raccontasse a Roisin di Elia, la figlia si arrabbierebbe con la madre per la sua doppiezza (e per aver infangato la reputazione di Tobia per salvare un membro della famiglia Ghini), ma capirebbe le sue ragioni, e forse l’aiuterebbe pure, sia pure malvolentieri. Perchè anche Roisin alla fine è una Silvani, una donna del bosco che, seppur fedele alla sua missione di Sorvegliante, mette il cuore e il proprio codice morale al di sopra di ordini imposti dall’alto e di regole ferree tramandate di generazione in generazione. E nonostante sia pronta a riempire di schiaffi Elia, nella sua forma umana di cocco di papà viziato e razzista, non lo condannerebbe mai a morte per il fatto di essere nato diverso, come invece impongono le regole rigide e arcaiche dell’Ordine dei Sorveglianti.
Viceversa, se Marina sapesse qual è il pericolo che Roisin sta cercando di risolvere, sarebbe sicuramente in prima linea per cercare di sconfiggerlo- o perlomeno per cercare di minimizzarne i danni, com’è più nel suo stile, visto che, laddove Rosi ha il modus operandi di una guerriera, Marina ha quello della mediatrice o diplomatica.
Ma nessuna delle due si fida abbastanza dell’altra per chiarirsi davvero; e ognuna delle due, annaspando nell’ignoranza, pensa di aver capito abbastanza da sapere di cosa l’altra stia parlando, senza bisogno che lei lo dica. E così finiscono per lavorare in direzioni contrarie, mettendosi una contro l’altra, pur avendo a cuore la stessa cosa- il benessere del Bosco, delle sue creature, delle persone che amano e dell’intera Malacena.
Solo la chiarezza e la collaborazione tra i vari protagonisti potranno salvare il Bosco, perchè solo mettendo a confronto i dati raccolti da ognuno si potrebbe risalire al nocciolo del problema: ma perchè ci sia collaborazione è necessario che ci sia onestà, e come può esserci onestà quando tutte le persone a Malacena che sono a conoscienza dell’Altrove devono occuparsi di proteggere i propri segreti? |