Finalmente trovo del tempo per dire la mia modesta opinione su quest'ultima, conclusiva poesia.
In realtà non la ritengo particolarmente concludente.
È stata una lettura un po' complicata, anche perché non ci ho trovato nessuno zuccherino che indora la pillola. Intendo dire nessuna ricerca estetica per rendere i tuoi versi più "eleganti", anche se il concetto di eleganza è tremendamente relativo.
Gli accapo nei punti più improbabili danno alla poesia un aspetto lievemente singhiozzante, dietro una facciata fredda e, anzi, aggressiva. L'ultima strofa tende a confermare questa impressione di impotenza: una pistola scarica.
Le anime più fragili sono portate a non accettare di mostrarsi come sono e amano indossare una maschera di aggressività e di conflittualità. Come qui: una vita descritta come una raccolta di processi, di duelli, di conflitti.
Cosa importa, in fondo, chi ha ragione? Perché giudicare?
Dare ragione, a noi stessi, o all'altro, o agli altri: è il mestiere del giudice, di colui che giudica, che cerca i colpevoli.
Non so se la tua sia una deformazione professionale, se tu sia in qualche modo legata al mondo della legge. Io mi tiro indietro, mi trovo su un terreno che non mi è congeniale.
"Il mondo a guardarmi male". Non è anche questa una espressione di fragilità? Cosa ci importa di come ci guarda il mondo? Chi ci dice che ci stia guardando male? A me il confronto col mondo då un'impressione di grande indifferenza, non di ostilità, e cerco più che posso di evitarlo.
Cerco di smorzare i conflitti, mentre qui è innegabile la perentorietà dei toni: "decisivo" il grilletto, incenerita e dispersa l'anima.
La seconda strofa evidenzia una sensazione tormentata di inadeguatezza: "non valgo la pena". Ancora una volta esprime l'ncapacità a dirimere i conflitti che la mente si crea, preda del "tumulto".
La raccolta è completa, ma spero di rileggerti in altre poesie, vibranti sensibilità, curiosità, e voglia di capire.
Un abbraccio. |