Recensioni per
La storia di uno di noi
di cabol

Questa storia ha ottenuto 12 recensioni.
Positive : 12
Neutre o critiche: 0


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Recensore Veterano
05/03/18, ore 12:47

Mi hai lasciato con un nodo in gola non da poco, leggendo questa storia. Anch'io sono un'addetta ai lavori, ma - diciamo - da un punto di vista diverso. Sono passati anni (sette o quasi, se non sbaglio) dalla pubblicazione di questo racconto e spero che sì, qualcosa si sia smosso nel frattempo: c'è più attenzione alle cure palliative, ora, al supporto psicologico... e forse ora con la legge sulle DAT qualcosa cambierà ulteriormente. Ma quello che mi ha colpito in questa storia non è la bontà delle cure, quanto l'indifferenza che trapela. E quella mi ha fatto male. E mi ha fatto male quando sono stata io stessa paziente, anche se per situazioni decisamente meno complesse. Che poi non credo neanche che il problema sia solo nella presunta onnipotenza del medico: quella - almeno a me - l'hanno tolta in fretta, se mai è nata. Ma forse è anche carattere. Il problema è che non ci insegnano che il tempo dedicato alle cure è cura. Oppure, se anche ce lo insegnano o lo capiamo con l'esperienza, te lo portano via, non te ne danno mai abbastanza. A volte ti sembra lavorare in catena di montaggio. E a volte ti prosciughi - o vai in un burn out di cui nessuna si cura - perché ci hai messo troppo di te. Ma al nostro sistema non fa differenza se a muoversi sono gusci vuoti o persone... basta terminare la lista. 
Perdona lo sfogo, ma le tue parole - così lisce, crude, quasi telegrafiche, senza spazio per descrizioni che sarebbero state di troppo - hanno davvero smosso qualcosa.

Recensore Junior
08/08/14, ore 12:26

Ho letto questo emozionante ed impressionante racconto di vita vera qualche tempo fa e, una volta finito, ricordo di aver pensato “dovrebbe leggerla un medico”, ma poi sono arrivata fino alla fine della pagina e ho scoperto che l’autore è precisamente un medico. Avrei voluto recensire subito questo resoconto, ma ti confesso che non ne ho avuto né la forza né il coraggio.
Ho aspettato che il tempo e la vita mi aiutassero a metabolizzarlo prima di inserire un commento che potesse andare d’accordo con la storia in sé e anche con la mia coscienza.
Oggi mi sento in dovere di ringraziarti per questo scorcio di verità che hai generosamente regalato al perlopiù giovane mondo di EFP. Eventi come quello che hai riportato qui sono in grado di aumentare rapidamente il carico di anni che una persona porta sulle spalle; entrare in contatto con quanto di più oscuro esiste in questo mondo ci fa sentire più vecchi, in un modo così sorprendentemente realistico che ci sembra davvero di poter toccare con mano la fatica della vecchiaia.
Mi sono sempre chiesta cosa possa provare un dottore di fronte alla morte di un paziente e alla conseguente sofferenza – quasi imbarazzante – dei parenti. E forse, alla luce della lettura di questo racconto e anche della recente perdita di una persona cara, posso dire di aver intravisto l’ombra di una risposta.
La verità è che ho sempre pensato ai medici come a esseri dotati di un potere disumano: la capacità di esibire freddezza e indifferenza in occasioni in cui si mette in dubbio il senso stesso della vita. Ma forse mi stavo ponendo la domanda sbagliata.
Dal tuo racconto emerge il punto di vista di un esperto: narri di questa esperienza in modo distaccato, crudo e asciutto; in poche parole sei l’oggettività fatta persona. E’ come se il fatto si raccontasse da solo, usando te come tramite di espressione.
Da qui si evince il tuo lato professionale, quello che ti permette di affrontare eventi del genere senza che i sentimenti e la consapevolezza di ciò che realmente sta accadendo intacchino minimamente il tuo equilibrio mentale.
Tuttavia, la domanda reale è: la parte umana di te cosa dice di tutto questo? Tu sei un dottore, ma prima della tua professione viene – in ordine cronologico, ma anche ontologico – la tua natura umana. L’uomo che sei e che ha vissuto questa storia attraverso la maschera professionale cosa prova?
Questa è la mia domanda: la persona che c’è oltre il medico come fa a sopravvivere di fronte al dramma della vita?
Non studio Medicina, ho scartato l’opzione prima ancora che l’idea mi sfiorasse la mente perché la sofferenza altrui mi disarma. Se tutto va bene vorrei studiare Filosofia – ora ti sarà chiaro il perché di tutte le domande precedenti – ma prima di questo c’è una gran voglia di scrivere. E vorrei che la mia scrittura fosse un tipo di medicina diverso da quello che somministrano i dottori: un balsamo per l’anima. Grazie al tuo racconto ho capito molte cose, dal momento che offre numerosi spunti su cui riflettere ad una realtà che troppe volte evita di pensare e porsi domande.
Spero che la tua testimonianza possa cambiare in qualche modo le cose e se non ci riesce nell’immediato, almeno costituisce un barlume di speranza in un presente oscuro e alquanto menefreghista.
 
A presto,
Sara

Recensore Veterano
21/10/13, ore 16:40

Un racconto del genere non passa inosservato, senza dubbio. È un pugno nello stomaco: ed è difficile picchiare i lettori, perchè prima bisogna coinvolgerli. Tanto di cappello, dunque, allo stile diretto, quasi brutale, con cui hai narrato la vicenda: necessario, potremmo dire, vista la tematica affrontata.
Che dire? La chemioterapia è una brutta bestia: è un po' come scacciare un insetto dal braccio di uno prendendolo a martellate (o almeno, questo mi suggerisce l'esperienza indiretta e la totale incompetenza in campo medico). Forse a volte sarebbe meglio evitare inutili sofferenze al malato, eppure c'è sempre quel barlume di speranza che possa funzionare. C'è chi guarisce, c'è chi no. 
Ma certo, se tentare vuol dire morire comunque ma in modo peggiore, allora la questione non si pone neppure.
In sintesi: un racconto amaro, ma che fa molto pensare. Era un argomento difficile, e credo che tu abbia fatto la scelta giusta ad affrontarlo.

Tanti cari saluti, e alla prossima!

Recensore Master
16/10/13, ore 13:06

Cabol, salve. Per ricambiare la tua gentilezza ho deciso di passare dalle tue parti e leggere un tuo lavoro.



Avendo dedicato un anno della mia vita al Servizio Civile nelle Associazioni di Volontariato; avendo accompagnato personalmente tante di quelle persone a fare visite mediche e chemioterapie, e avendo passato anche un po' di tempo in Ospedale a trasportare i pazienti di reparto in reparto ecc. posso confermare quanto questa storia rappresenti la pura, nuda e cruda realtà. Ogni singolo fatto narrato è vero. Non c'è niente da fare.
E non è solo quest'uomo di 52 anni ad esser svanito in questo modo. Altra persone, a me conosciute, sono volate via così, nella pura illusione di stare meglio e guarire. Purtroppo il cancro è un male difficile da curare. Soprattutto se attacca il cervello, i polmoni e il fegato, o altri organi di vitale importanza. Tutte le soluzioni che i medici propongono sono solo un prolungamento della sofferenza fisica e mentale. Sì, continui a vivere, ma in condizioni pietose. Alla fine il destino ti porta via ed ogni tentativo è stato praticamente nullo. Certo, c'è chi guarisce (apparentemente) ma dovrà sempre fare la chemioterapia per tenere a bada eventuali ricadute. È triste che io dica questo, ma è inutile girarci intorno. È così. L'unica soluzione è avere compassione ed essere sensibili nei confronti di queste persone. E non trattarle come se fossero pezzi di legno. O peggio... un maledettissimo numero. Tempo fa scrissi una riflessione su questo dettaglio dei numeri. Dei letti numerati. Quante volte ho sentito le infermiere dei reparti dire "Il numero 12 deve essere medicalizzato" - non importa quanto quella persona stia soffrendo o che malattia abbia. A loro quasi non interessa. E forse sarò presuntuosa facendo questo discorso, ma l'ho visto con i miei stessi occhi e sentito con le mie stesse orecchie. Non posso negarlo. Ed è per questo che ho deciso che se mai mi verrà un tumore, preferisco lasciarmi morire piuttosto che intensificare la sofferenza e illudermi di rimanere in vita. Anche questo è altrettanto inquietante detto da me che sono giovane. Ma sono giunta a tale conclusione. Cabol, perdona il mio lungo discorso, ma era d'obbligo. Questo tuo racconto lascia spazio alla riflessione e alla voglia di esprimere un parere.
Passando al tuo racconto. Inutile dire che è bellissimo. Mi è piaciuto tanto. L'ho messo tra i preferiti, immediatamente. Dovrebbero leggerlo tutti quanti. Grandi, piccini, anziani, adolescenti. Così che vengano sensibilizzati. 
E poi è scritto tutto divinamente. Com'è giusto che sia. Ho provato tanta compassione per quest'uomo. Ed ho compreso perfettamente il suo stato d'animo. L'ho visto mille volte negli occhi sofferenti dei pazienti che ho incontrato lungo il cammino. Perciò, Cabol, i miei complimenti. Questa storia è perfetta così com'è. E grazie per averla condivisa con noi lettori.

Un saluto.     
 

Recensore Junior
16/04/13, ore 15:11

Storia molto triste, putroppo molto spesso vero. Quanta gente muore per uno sbaglio della diagnosi e scrivere una storia così è uno splendido modo per denunciare questi episodi. Il linguaggio è perfetto, così specifico e così vicino a quel mondo che fin dai primi righi stavo sospettando che fossi un medico o che comunque lavorassi in quel mondo. 
Avvenimenti di questo genere dovrebbero sparire e sono le storie come questa che aiutano a riflettere e comprendere come bisogna reagire.
Storia malinconica quanto bella. Scorre così velocemente che non ci si rende conto di essere già arrivati alla fine. 
Saluti, Meg.

Nuovo recensore
24/03/13, ore 01:00

Appena scoprii le tue storie le lessi tutte una dopo l'altra, eppure ho deciso di leggere questa solo ora ed è incredibile perché se solo l'avessi letta qualche settimana fa non avrei avuto il coinvolgimento emotivo che ho avuto leggendola oggi. Perché anche io ho perso da poco una persona amica e ancora non ne so le cause (e probabilmente non le saprò mai), perché seppure la malattia che aveva poteva essere rara è stata scoperta solo 3 giorni prima che tutto degenerasse quando invece i sintomi risalivano a mesi prima e il tutto era stato liquidato come semplice sinusite. Altri amici, miei e suoi, studiano medicina e non si capacitano di come possa essere stato possibile tutto questo...purtroppo è una triste realtà che non è facile accettare soprattutto per chi ha scelto di lavorare nel settore medico per passione e dedizione alla causa, ma purtroppo, e soprattutto in questo Paese, esisteranno sempre persone che ti prestano le attenzioni e le cure necessarie solo pagando privatamente e lautamente, persone che, quando questo servizio dovrebbe essere gratuito, lo fanno approssimativamente e di malavoglia e tutto questo fa male. Fa male ai pazienti che soffrono le malattie e le angosce causate da diagnosi e cure sbagliate, fa male ai parenti che soffrono con la consapevolezza di non poter far niente a causa della loro ignoranza nel campo medico fa male a quei medici che invece sono costretti a vivere questo dolore con la consapevolezza di tutto ciò. E però continuo a sperare ancora che un giorno ci sarà più umanità e giustizia e meno interesse personale anche in questo settore, che ci saranno più medici desiderosi di fare questo mestiere per il bene che comporta e non per il profitto personale, persone che come te, soffrono per i dolori altrui e che svolgono questo lavoro per alleviarlo. Perdonami la recensione non direttamente attinente allo scritto ma più riflessiva sull'argomento ma d'altronde penso il tuo intento fosse proprio il far riflettere sull'argomento...

Recensore Master
28/12/12, ore 05:39

Questa cronaca è terribile, ma è vera, è disperatamente e tristemente vera. Quando ti viene diagnosticata una malattia come il tumore, la trafila ospedaliera è l'inizio di un incubo che se termina bene, prevede continue analisi e chemioterapie orribili e quando va male, non ci sei più. E di te rimangono solo gli ultimi mesi di vita trascorsi in interminabili giorni di dolore, che ti consumano giorno dopo giorno e ti tolgono via anche ciò che di più prezioso possa esserci per un uomo: la sua dignità. Se aggiungiamo anche che spesso i medici sono degli sciacalli e gli infermieri non sanno nemmeno il significato della parola gentilezza, forse l'inferno è un luogo più accogliente dell'ospedale e della sofferenza che è da sempre ad esso associata.

Non sei un povero scemo e credo che questa storia insegni molto, sia a chi studia medicina, a chi la pratica sia a chi è dall'altra parte, ed ha vissuto sulla sua pelle o su quella di chi ama, un'esperienza del genere. E anche per chi non ha minimamente idea di cosa sia.

Recensore Veterano
16/05/12, ore 20:31

Ciao eccomi qui a leggere questa shot interessantissima. Nono solo fa riflettere su come un medico tratta col paziente ma è molto esplicita nel tema scelto. Mi piace e come dici tu nella vita reale succede e purtroppo ne succedono di tutti i colori. Passiamo alla story: mi piace come l'hai interpretata, meno come il medico si comporta verso il suo paziente. Ma la vita va cosi. Povero lui dopo molti controlli e il ritorno in ospedale d'improvviso ecco che il medico gli dice che come lui ne vede tanti e che tutto passa. Si come no.Infine mi chiede? Ma perché si fanno medici? Ti lascio pensarci, ma so già la risposta. Sono felice di averla letta. Grande. Un abbraccio Yuuki

Recensore Master
24/09/11, ore 15:46

E' quello che non vorresti mai capitasse. Ciò che capita sempre "agli altri". Poi... poi non è così, e il tunnel è esattamente quello che hai descritto tu. Troppe immagini di persone care mi sono scorse davanti agli occhi leggendo le tue righe. Ho letto fino in fondo, anche se la conclusione era scontata e sì, ad oggi la rabbia è esponenzialmente più forte del dolore.
Spero davvero tanto che questo scorcio di "vita" possa raggiungere qualche studente di medicina e lo faccia riflettere un po'...
eos75

Nuovo recensore
03/09/11, ore 15:13

Mamma mia... mi hai commosso, davvero.
Non oso paragonare nemmeno lontanamente la mia esperienza ad una malattia cosi' grave, ma alcuni anni da ho trascorso un mese in ospedale per una peritonite (che il medico di famiglia aveva diagnosticato come influenza) e mi ricordo di quel periodo quasi come una vacanza, perche' i medici erano delle persone squisite. Insomma, non so bene come dirlo, ma capisco quello che hai voluto comunicare con questa storia...

Ok, sono davvero pessima con le recensioni, ti volevo solo ringraziere di questo racconto cosi' toccante.

Recensore Master
31/08/11, ore 22:06

Bellissima, drammatica, veramente sentita. Mi è sembrato di essere lì a vivere quella tragedia. Ironia e tragedia si mischiano in maniera perfetta... Una dottore scrittore pieno di empatia...che volere di più dal mio autore preferito?

Recensore Master
31/08/11, ore 09:27

Hai perfettamente ragione. Io studio Infermieristica (anche se sono super-indietrissimo con gli esami...) e ho già fatto i primi due tirocini del primo anno.
Purtroppo casi simili ci sono. E' vero che ci sono anche tante persone che fanno il loro lavoro con passione, ma ce ne sono anche tante altre che non distinguono più i pazienti da un numero.
E' una cosa tristissima vedere persone in difficoltà, che hanno bisogno, e nessuno che li aiuta; soprattutto quando non puoi farci niente e ti senti impotente.
Per fortuna nelle Università si cerca di fare attenzione a queste cose e piano piano la situazione cambia, ma a mio parere sempre troppo lentamente.
Hai fatto bene a scrivere questa storia, come hai detto è parte della vita di tutti noi ed è giusto affrontare certe cose. Bravo.