Lo so, avevo promesso che non l'avrei più fatto, ma giusto per smorzare un pochino "l'astinenza" (Lol).
Un assaggino di 'ritorno al passato' che si vedrà nel nuovo capitolo :D
"C'era un momento, poco prima dell'esibizione, in cui amava sciogliersi nel silenzio assoluto che regnava nel teatro. Nella trepidante assenza di suoni che prendeva vita nell'istante in cui le sue dita si posavano sul piano. In quel brevissimo lasso di tempo immaginava una effimera solitudine riempita dalle sole note. In quel brevissimo istante immaginava di essere una eterea entità fluttuante nella musica.
Era come estraniarsi da tutto, per vivere in una dimensione priva di qualsiasi consistenza.
Era come essere un fantasma, tra i passaggi di accordi e armonie.
Amava raccogliersi in quel silenzio quasi sacrale anche quando tornava nel suo camerino, e per un istante rimaneva seduta, le palpebre serrate, pensando agli applausi, al successo riscosso. A che era andata bene, ma si poteva fare sempre meglio.
Quella sera, però, il suo personale rito era stato interrotto da un leggero bussare.
"Miss Woodsbridge?"
Riconobbe la voce di Clark Adler, il direttore artistico del Kennedy Center. Era stato lui a volere la serata in onore dei reduci del Vietnam; per quei ragazzi che alcuni chiamavano eroi, ma sui quali altri sputavano addosso, incolpandoli di una guerra inutile svuotata di ogni significato da amministrazioni cieche e ottuse, e caricati del fardello che dopo la disfatta dell'Offensiva del Tet, nel 1968, aveva posto il Presidente Johnson sull'orlo di un pericoloso baratro, tanto politico quanto umano.
"E' ancora presentabile? Avrebbe un minuto da dedicarmi?"
La voce ovattata dalla porta raggiunse le sue orecchie, e con un lieve sospiro percorse il breve tratto che la separava dal battente: l'accolse un sorriso stampato sulla faccia del basso ometto vestito in un elegantissimo smoking nero, un sciarpa in lino panna i cui lembi cadevano sul petto da ogni spalla.
"Miss Woodsbridge, vorrei rubarle solo un istante." Il sorriso non scomparve dal volto rugoso, la testa calva incorniciata da una striscia di folti capelli bianchi. "Per presentarle una persona."
Facendosi da parte l'invitò ad uscire, e fu solo una volta mosso un passo all'esterno del camerino che Emily notò la figura in attesa, a cavallo tra la luce e un cono di penombra nato da un faretto appeso al basso soffitto delle quinte che si era fulminato, e che fu la causa di una smorfia di disappunto nel volto di Adler; un affronto alla sua puntigliosità maniacale. Vide una divisa, medaglie allineate. La mano destra che spariva nella tasca per poi rapidamente uscirvi dopo appena un istante.
La sagoma a metà tra luce e ombra sembrò realizzare la presenza del motivo per il quale si trovavano lì, e decise di palesarsi.
"Miss Woodsbridge, il Maggiore Takeshi Tenou." L'introdusse Clark Adler. "Maggiore, Miss Emily Woodsbridge. A mio parere, una delle migliori pianiste che gli Stati Uniti d'America siano stati in grado di produrre negli ultimi anni."
L'uomo in uniforme le concesse un angolo della bocca appena piegato all'insù, mentre Emily gli tendeva la mano. E nel breve lasso di tempo in cui quella scomparve nella stretta paradossalmente delicata, pensò che fosse impossibilmente alto. E che non fosse, decisamente, un tipo abituato a sorridere. [...]"
(The Steadfast Tin Soldier, Capitolo 25 - Cenere)
(hypatia_of_alexandria - 21/08/13, ore 19:26)
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