Uscii dalla casa
di cura e mi guardai
attorno in cerca di qualcuno che potesse darmi spiegazioni, sapevo
benissimo
che non avrebbero mai potuto mettere il capitano Boromir di Gondor in
una delle
tante stanze della casa di cura, in mezzo a malati e altri
“plebei”.
Sicuramente gli era stato riservato un posto d’onore, ma
chissà dove. Per
fortuna in quel momento passò una guardia <<
Scusate, buon uomo >>
dissi ridendo di me stessa come di un comico, era la prima volta che
usavo
quell’espressione e mi sembrava a dir poco esagerata e
ironica, ma da quelle
parti usavano così << Sapete mica indicarmi la
via per arrivare alla
stanza dove riposa il capitano Boromir? >> La guardia mi
guardò dapprima
scettica, poi si voltò a guardare la via di fronte a noi
<< Lungo questa
via, poi a sinistra. >> ringraziai e cominciai ad
avviarmi. Non era stato
messo molto lontano dalla casa di cura, come immaginavo,
così che se ce ne fosse
stata la necessità i medici avrebbero impiegato poco tempo a
raggiungerlo.
Giunsi davanti alla porta e allungai una mano per bussare ma esitai.
Una volta
entrata come mi sarei comportata? Ora mi chiedevo addirittura
perché mai fossi
voluta andare a trovarlo. Non avevo niente da dirgli, e anche se avessi
avuto
qualcosa da dirgli non ne avrei avuto il coraggio. Abbassai il braccio
decisa a
rimandare la mia visita, non aveva senso entrare in quel momento, anche
perché
probabilmente stava riposando e aveva bisogno di essere lasciato in
pace. Stavo
per andarmene quando la porta si aprì di fronte a me
facendomi sobbalzare e mi
trovai di fronte Aragorn che come al solito sorrideva <<
Allora avevo
veramente sentito qualcosa >>
<< Sicuro di non essere un elfo?
>> quasi brontolai, come diavolo aveva fatto a sentirmi?
Avevo respirato
così forte? Bah.
<< Abbastanza. Sei venuta a
trovarlo? >> mi chiese uscendo dalla porta e facendosi da
parte per farmi
passare << Beh, le mie intenzioni erano quelle ma
probabilmente starà
riposando quindi è meglio se lo lascio in pace
>> sorrisi imbarazzata,
ovviamente non era proprio quello il motivo.
<< E’ sveglio >>
“Doh!”
<< Entra pure, gli farà piacere vederti
>>
<< Ne sei certo? >> chiesi
ancora esitando, chissà che invece non continuasse a
disprezzarmi. Nelle
prigioni era stata quella l’impressione.
<< Più che certo. >> disse
prima di congedarsi con un lieve inchino regale e andarsene. Rimasi
immobile di
fronte alla porta aperta, ero ancora in tempo per fuggire via. Ma no,
sarebbe
stato da stupidi, ormai ero lì tanto valeva entrare. E
così feci, chiudendomi
la porta alle spalle.
La stanza era illuminata da una semplice
candela posta sopra un mobiletto poco lontano dal letto su cui giaceva
Boromir,
con gli occhi chiusi e il respiro tranquillo. Il pavimento
cigolò sotto i miei
piedi e ciò destò l’uomo dal suo riposo
apparente, portandolo ad aprire gli
occhi e facendomi capire che non stava dormendo ma semplicemente
riposando, o
forse pensando. Mi guardò privo di espressione e si
sollevò a sedere sul letto
con fatica.
<< Ero venuta a vedere come stavi
>> dissi semplicemente tenendo lo sguardo basso per la
vergogna.
<< Ho avuto momenti migliori, ma
Aragorn è un ottimo medico. Sono già quasi come
nuovo. >> disse e non
riuscii a cogliere nessun tipo di emozione nella sua voce.
<< Tu come
stai? >> mi chiese questa volta facendo trasparire la sua
dolcezza.
Annuii e mi misi a sedere su una sedia vicino al letto. Gli afferrai la
mano
sinistra accarezzandola appena con il pollice << La tua
mano è tornata
calda >> constatai ricordando di come era stata gelida.
<< Sì e pian piano riesco anche a
muoverla, ma temo che non tornerà mai quella di un tempo
>>
<< Mi dispiace >> riuscii a
trovare la forza di dirgli in un flebile sussurro, mentre i sensi di
colpa mi
rosicchiavano dall’interno come topi.
<< Non chiedermi scusa >>
disse lui voltando i suoi occhi verso la piccola finestrella posta alla
sua
destra, un po’ troppo in alto per riuscire ad affacciarsi e
vedere di fuori.
<< Sono io che devo chiederlo a te. Se solo mi fossi
fidato… >> non
concluse la frase ma sentii che c’era del rancore nella sua
voce, rancore verso
se stesso.
<< Non dire questo! Hai fatto ciò
che ritenevi più giusto >>
<< Molto spesso il mio cuore mi ha
condotto per via sbagliate, non riesco più a fidarmi della
sua voce, non sono
più sicuro di ciò che sia giusto o sbagliato.
>>
<< Tutti commettono degli errori e
il tuo è più che giustificato. Non
colpevolizzarti inutilmente. >>
Boromir fece una pausa prima di portare
gli occhi sulle lenzuola che aveva sopra le sue gambe per poi spostarlo
di
nuovo verso me << Mi dispiace, Sophia, per tutto
ciò che ti ho fatto
passare. Sono stato spregevole e cieco, terribilmente cieco.
>>
Non sapevo cosa rispondergli, aveva
ragione: mi aveva fatto patire le fiamme dell’inferno, non
potevo mentirgli.
<< Ma adesso ti sei reso conto del
tuo errore, adesso è tutto passato ed è questo
che conta. Non è così? >>
chiesi conferma sperando che veramente avessi detto al
verità, che veramente
fosse tutto passato ma non ricevetti subito risposta. Anzi, non
ricevetti
proprio risposta. Ciò mi preoccupò non poco,
ancora portava rancore? Possibile,
dopo ciò che mi aveva detto? Che uomo cocciuto e orgoglioso!
Mi faceva venire
una gran rabbia, perché diavolo si comportava in quella
maniera? Mi alzai in
piedi intenzionata a non rimanere un attimo di più in quella
stanza, era
inutile, potevo piangere, disperarmi e urlare , era tutto inutile, mai
mi
avrebbe visto e mi avrebbe dato importanza.
Stavo per voltarmi per andarmene, così
senza dire nemmeno una parola, quando fu lui a parlare finalmente. Ma
ciò che
disse non fu esattamente ciò che mi aspettavo.
<< Il tuo amore è ingiustificato
>>.
Rimasi pietrificata mentre lui ancora una
volta si voltava a guardare quella piccola finestrella in alto, che
puntava
verso un cielo nero e cupo pronto a cadere sopra una terra ormai priva
di vita.
Capii che lo faceva perché incapace di rivolgere il suo
sguardo a me.
<< Non sono degno di tutto ciò
>> disse stringendo le lenzuola tra le dita con forza
<< Dopo tutto
ciò che ho fatto per renderti il cammino difficile, dopo
tutto l’odio che ti ho
rivolto…come puoi… >> non
finì la frase che aveva pronunciato con astio,
strinse i denti e si portò una mano sugli occhi abbassando
la testa. Nella mia
testa non passava niente se non pietà verso l’uomo
che davanti a me si
stava crucciando per un crimine che
aveva commesso inconsapevolmente. Si può perdonare un
colpevole qualora
chiedesse scusa? Qualora si fosse reso conto del suo errore?
<< Riusciresti a distruggere un
muro di pietra prendendolo a pugni? >> risposi con una
serietà uscita da
chissà quale cavità del mio cuore
<< Il mio amore non è ingiustificato,
è
una fiamma troppo alta per spegnersi con una leggera brezza mattutina
>>.
Feci poi un inchino come era solito fare dai soldati di fronte al loro
capitano, ero risultata fredda e passionale allo stesso tempo, qualcosa
di
inconcepibile che mi era nato da non so bene dove. Forse dalla
disperazione, o
forse dalla consapevolezza ormai remota che il mio fuoco,
benché alto, non
avrebbe trovato alimentazione in nient’altro se non in se
stesso.
Mi voltai verso la porta e mi avvicinai a
quella che segnava il confine tra la speranza e la realtà.
Boromir aveva riconosciuto
il suo errore, si era evidentemente pentito, la cosa non poteva che
farmi
piacere, ma dopo mesi di lacrime e dolore mi ero stufata di continuare
a
sperare, la speranza mi aveva illusa troppe volte, era giunta
l’ora di tornare
alla realtà con freddezza e consapevolezza. Il cuore del
capitano di Gondor non
mi apparteneva, dopo tutto ciò che era successo non potevo
certo sperare di
andare avanti ignara del passato, Saruman aveva ragione. Ora riuscivo
ad
accettarlo con più diplomazia.
Allungai una mano verso il pomello della
porta e dopo aver fatto un sospiro l’aprii per affacciarmi
nella mia realtà e
prendervi parte ma mi fu impossibile. La porta fu spinta in avanti
tanto da
richiuderla con un gran tonfo. Inizialmente non capii cosa stava
succedendo, ma
dopo vidi che a chiudere la porta era stata…una
mano…LUI! Mi voltai
completamente a guardarlo esterrefatta non capendo il significato del
suo
gesto, o almeno non subito in quanto lui si apprestò a darmi
spiegazioni…con un
bacio.
La piccola candela a fianco del letto
stava cominciando a morire, la sua luce stava affievolendosi lasciando
che la
stanza cadesse nel buio della notte. Che ore erano? Non avrei saputo
proprio
dirlo. Da quando ero arrivata lì avevo perso completamente
la concezione del
tempo, riuscivo solo a capire se fosse notte o giorno, e ultimamente
anche
quella capacità stava svanendo. Le nubi di Mordor stavano
prendendo il dominio
su tutto il cielo, senza alcuna pietà. Luna e Sole si
stavano alienando, non
riuscivano più a vedere la terra che per anni aveva
accarezzato. E questa, a
sua volta, non riusciva a vedere loro, protettori di ere.
Tutti pensieri molto tristi e cupi, come
quelli di ogni abitante della Terra di Mezzo probabilmente.
Ma non per me. Non quella notte.
Penso di non essermi mai sentita così
bene da quando avevo scoperto di essere piombata a Gran Burrone.
Infondo, dopo
mille e più pericoli, dopo dolori e rammarichi,
preoccupazioni e
paura….finalmente era arrivato il mio lieto fine.
La fiamma si spense completamente, il
buio calò, e l’unica cosa di cui mi rattristavo
era di non poter più veder
muoversi ritmicamente il petto nudo dell’uomo che mi giaceva
accanto, avvolto
nel sonno, benché la vista delle sue tre cicatrici mi
riempivano il cuore di
uno strano liquido nero. Così, non potendo più
vedere con occhi, decisi di
vedere con gli altri sensi. Mi strinsi a lui, abbracciandolo, e
chiudendo gli
occhi lasciai che il suono del suo respiro mi cullasse portandomi al
sonno. Il
calore della sua pelle a diretto contatto con la mia era un dolce
tepore, che
solo poche volte ero riuscita a percepire tanto piacevole.
Cosa avrei dato perché il tempo si
fermasse a quel preciso istante. La gioia che provavo era tanta in quel
momento
da impedirmi di dormire, tanta da pulire tutte le macchie che avevo
accumulato
dentro me.
Niente aveva più importanza.
Finalmente ero lì, e sapevo che non era
un sogno. Finalmente ero giunta in cima a quella montagna che tanto mi
aveva
ferito con le sue rocce, e tanto mi aveva punto con il suo freddo. Ma
finalmente
ero lì. E non mi sarei più mossa da quel cucuzzolo accogliente, che mostrava
a me tutte le
meraviglie di un paesaggio mozzafiato, accarezzato dalle nuvole. Mai
avrei
smesso di allungare il braccio, avida di quel telo blu cristallino
sopra di me,
per poterlo toccare e accarezzare, cucciolo gioioso.
Finalmente morfeo aveva ceduto a me il
suo posto, ora potevo abbracciarlo e cullare il suo sonno donandogli
tutto ciò
che il mio amore poteva offrirli per la sua serenità.
Lui.
La mia anima.
La mia vita.
Boromir.
Il mattino arrivò fin troppo presto,
avevo dormito davvero molto poco, e non mi era chiaro se per la gioia
di
poterlo stringere a me, o per una strana ansia che testarda continuava
a
battermi in petto per una ragione a me oscura. Cosa avevo da essere
ansiosa?
Stava andando tutto bene: avevo realizzato il mio sogno, ero sulla
terra più
meravigliosa che uomo potesse conoscere e avevo ricevuto
l’amore di un uomo
altrettanto meraviglioso. Il male incombeva a pochi passi da noi, vero,
ma
sapevo che tutto si sarebbe risolto per il meglio. Tutto stava andando
come era
stato scritto. O almeno così credevo.
Sembrava quasi che avessi dovuto pagare
un prezzo per quel piccolo dono: la mia memoria in cambio della
felicità. Ormai
stavo dimenticando tutto. Ricordavo della caduta di Sauron ma i mezzi
mi erano
ormai oscuri. Vuoto assoluto. Non che la cosa mi dispiacesse troppo,
ormai
eravamo giunti alla conclusione, avevo tutto inciso nel mio passato e
non in un
foglio di carta bruciacchiato. Potevo ricordare lo stesso quella
magnifica
avventura passata accanto a persone meravigliose. Ma l’idea
di non sapere cosa
ci sarebbe stato da lì a pochi giorni mi tormentava.
E se avessi commesso un errore? E se
avessi sbagliato qualcosa? Se qualche particolare mi era sfuggito?
Se….qualcuno
fosse morto in battaglia?
Sospirai esasperata, non riuscivo più a
stare ferma. Dovevo muovermi, dovevo alzarmi e fare due passi per
scaricare la
tensione. E poi era già mattino: se qualcuno fosse venuto a
trovare il grande
Capitano Boromir e mi avesse trovato nel suo letto? Non mi piaceva
l’idea.
Per quanto mi dispiacesse interrompere
quel meraviglioso incanto sapevo che il tempo era implacabile, non
potevo più
restare. Scostai appena le coperte da sopra di me per potermi alzare,
cercando
di fare tutto con la massima cautela per non svegliare
l’angelo che riposava al
mio fianco. Ma scoprii ben presto che non ce n’era bisogno.
<< Sono ben sei >> la sua
voce lievitò delicatamente dentro la stanza, senza macchiare
il silenzio
melodioso che per tutta la notte ci aveva fatto compagnia
<< Sei sospiri
da quando ti sei risvegliata, circa un’ora fa. Cosa turba i
tuoi pensieri?
>> Mi chiese scoprendo quei meravigliosi diamanti che
erano i suoi occhi,
puntandoli dritti contro di me, colpendomi come una freccia di cupido.
Un’altra.
<< Non stavi dormendo? >>
cercai di deviare il discorso, non mi piaceva parlare dei miei
“poteri” con
lui, non ancora. Dovevo aspettare che tutto fosse finito, mi sentivo
ancora
troppo vulnerabile. Una parola di troppo e tutto sarebbe crollato.
<< Sono stato più sveglio di te
>> disse con un leggero sorriso e si alzò
poggiandosi su un gomito, così
da potermi guardare meglio in volto. << Ma mi piace
tenertelo nascosto. E
bello sentire i tuoi occhi puntati su di me. >>
<< I miei occhi sono puntati su di
te anche quando sei sveglio >> dissi prima di stendermi
su di un fianco
per potermi rilassare.
<< Non è vero. Fuggi dal mio
sguardo, lo hai sempre fatto. Mi temi. E non ne capisco il motivo.
>> la
sua voce era pregna di dolcezza, mai l’avevo sentito
così. Sentivo che un
grosso nodo si era sciolto, sentivo che adesso tutto sarebbe stato
diverso. La
lontananza che c’era stata fino a poche ore prima ora si era
dissolta
completamente. Io potevo vedere lui e lui poteva vedere me. O forse
l’aveva
sempre fatto?
Non sapevo cosa rispondergli,
effettivamente aveva ragione. Ero sempre stata intimorita dal suo
sguardo, mi
ero sempre allontanata da lui e da tutto ciò che lo
riguardava, ma non per
disprezzo. Il mio era un fuggire timido. Uno di quelli da film, dove
l’unica
soluzione richiesta è un inseguimento da parte
dell’altra persona. E lui era
stato veloce abbastanza da prendermi e stringermi a sé,
precludendomi
l’eventualità di un ulteriore fuga. Fuga che,
intimidita, continuavo a ricercare.
Ero timida, vero.
<< Allora, mi dici perché sei tanto
agitata? Perfino il sonno non ti ha donato la quiete. >>
Accidenti era
tornato sull’argomento di prima! Non avevo intenzione di
affrontarlo con lui,
non adesso.
<< Temo la mia sorte. >>
Risposi accennando un sorrisino divertito. Boromir rimase in silenzio a
guardarmi incuriosito, probabilmente si stava chiedendo cosa volessi
dire.
<< Il tuo sguardo >>
cominciai a spiegare aprendo gli occhi e fissando il suo braccio a
pochi
centimetri di ma << Non temo il tuo sguardo, temo la mia
sorte se mai
dovessi incrociarlo. Ecco perché evito sempre di farlo.
>> feci una
piccola pausa alzandomi a sedere e voltandomi lentamente per riuscire
finalmente a puntare i miei occhi verdi nei suoi azzurri. Il risultato
fu quello
che mi aspettavo e molto peggio. L’invisibile linea che
collegava le due uniche
fonti di accesso alla nostra anima era colma di energia che vibrava
nell’aria,
la rendeva calda e leggera. Il cuore cominciò a battere
forte, decisamente
troppo forte, ma non ero intenzionata ad arrendermi. Sentivo che in
quel
momento lui poteva benissimo toccarmi nel profondo e farne
ciò che più
preferiva. Ma non lo temevo, sapevo che avrebbe avuto cura della mia
linfa
vitale e l’avrebbe donata di nuova luce.
<< Anni fa lessi per la prima volta
di un uomo. >> cominciai a parlare con la voce che
tremava << Non
un uomo qualunque: un grande uomo, conosciuto da tutto il suo popolo e
da molti
dei popoli che vivevano su una splendida terra, la quale brillava di
luce
propria. Il sospiro dei suoi venti erano carezze, il calore del suo
sole era un
abbraccio, i canti dei suoi fiumi ninna nanne per cuori affranti in
cerca
d’aiuto. Alberi premurosi di curare chi volesse concedersi
una pausa dagli
abbracci di quel caloroso amico che sopra il cielo vegliava su tutto.
Una terra
piena di magia, che curava le proprie creature con amore promettendo
loro pace
e quiete. Lessi di una terra ferita che ben presto avrebbe chiesto
aiuto a nove
dei suoi figli. Figli che non avrebbero tardato a curarla. Lessi di
nove
coraggiosi cavalieri che, percorrendo per esteso questa meraviglia,
correvano
verso il centro dello squarcio per impedire la fine. Attraversarono
boschi in
grado di allietare le loro fatiche con dei canti, attraversarono fiumi
che prendendoli
sulle spalle, e permettendo loro di riposare, li portarono lontani
finchè
potevano. Lessi di montagne amiche e nemiche. E lessi con orrore
ciò che quella
ferita stava portando: lessi della progressiva morte di tutto
ciò. >> Ero
un po’ divagata dal discorso iniziale, ma ero volata sopra
quella magnifica
terra di cui tanto avevo sentito parlare e che finalmente avevo potuto
toccare
con mano. << Ma il mio dolore trovava sollievo in quei
nove cavalieri:
coraggiosi, colmi di amore e speranze, leali e fedeli,
dall’animo puro e un po’
burlone. Quanti sorrisi ho donato alle loro gioie, quante lacrime ho
donato ai
loro dolori, quanta ansia alle loro paure. Io ero lì, ero
sempre stata lì con
voi, spettatrice impotente. E proprio questa impotenza mi aveva portato
alla
follia, soprattutto laddove volevo donare a voi qualcosa di diverso. E
lo
trovai: il culmine della mia follia. >> feci
un’altra pausa cercando di
raccogliere le parole e nel frattempo chinai la testa, staccandomi un
po’ dai
suoi occhi che continuavano a scrutare la mia anima, bramosi di vederne
tutti i
significati più profondi. Feci un piccolo sorriso intenerito
nel ricordare
tutte le sensazioni che avevo provato nel leggere di Boromir, e rialzai
lo
sguardo per poter permettere all’uomo di continuare la sua
caccia al tesoro
dentro me << C’era un uomo tra loro. Un
cavaliere, un capitano, figlio
della sua terra, servitore del suo popolo, dall’animo fiero e
valoroso. Lui era
IL cavaliere. Il suo cuore bruciava per il suo popolo, si sarebbe
gettato nelle
fiamme e sarebbe morto lì se solo loro glielo avrebbero
chiesto. Ma il suo
cuore lo condusse troppo lontano, laddove l’amore si mischia
alla follia… e non
se ne fa più ritorno. >> Ricordare la sua
morte non mi faceva mai bene,
mi incupiva sempre, anche se sapevo che ormai il pericolo era scampato.
<< Lessi di un uomo anni fa. Un uomo tormentato dal
profondo, un uomo il
cui padre, accecato da lame avvelenate, l’aveva incitato a
giungere su quella
linea di confine. Lessi di un uomo dai capelli neri e gli occhi
azzurri,
ingrigiti dall’età e dalle fatiche, un uomo che
morì percorrendo una via
sbagliata in cerca della luce. E me ne innamorai follemente.
>> mi sentii
avvampare, non mi ero mai stata aperta tanto con lui. A dir il vero:
non mi ero
mai aperta tanto con nessuno. Mi sentivo spogliata di tutto, non avevo
più
niente con cui proteggermi. Ero così vulnerabile.
<< La notte, quando chiudevo gli
occhi, dopo aver letto la sua storia, lo vedevo come fosse
lì a due passi da
me. Il sole fiero di battere sulla sua pelle richiamava tanto le
immagini delle
divinità, il suo sorriso risplendeva più del sole
stesso e i suoi occhi…
>> mi bloccai emozionata, la voce mi tremò
<< Splendide pietre
preziose, incastonate su di un viso perlaceo, porte che si spalancavano
verso
un mondo colmo di dolore e amore per la propria terra. Un mondo che
tremava
sotto i piedi di chiunque tentasse di far percorrere i suoi passi.
Riuscivo a
vedere in quegli occhi il tormento dell’impotenza di fronte
alla morte e il desiderio
di tornare a sorridere. E io tremavo e cadevo, toccando quel suolo
così
fragile, capendo quanto ciò gli facesse male e desiderando
più di qualsiasi
altra cosa poterlo aiutare. Ogni singola notte vedevo quel mondo cadere
nelle
mani dell’oscurità, e io…
>> la voce mi morì in gola, stavo andando
oltre,
dove mai mi ero avventurata. Abbassai di nuovo lo sguardo, incapace di
continuare a guardarlo, occhi e gola bruciavano, minacciosi.
<< Boromir
>> proseguii portando al limite del possibile la mia
stabilità <<
Tu bruciavi dentro me già da prima che io arrivassi qui. Per
anni ho sognato di
poterti vedere con i miei occhi e impedire la tua caduta. Non era
giusta! Tu
eri stato il migliore di tutti, tu avevi sacrificato te stesso per
tutto quello
che amavi, non potevi concluderti così. Anche tu avevi
diritto di ritrovare la
serenità, era inconcepibile la tua caduta! Avrei dato
qualsiasi cosa pur di
donarti la felicità tanto ambita, QUALSIASI! E...e Saruman
fu colto dai miei
sogni, io ho raggiunto Saruman pregandogli di darmi una
possibilità per
aiutarti. E lui non s’è fatto scappare
l’occasione e mi ha portato qua.
>>
<< Conosco già la tua storia,
adesso basta. >> disse dolcemente invitandomi a rimanere
in silenzio,
vedeva che parlare di quelle cose mi portava solo sofferenze. Mi
accarezzò i
capelli e tentò di tirarmi a sé per potermi
abbracciare.
<< No, è giusto che tu sappia DA
ME, quel che è successo. E’ giusto che tu senta le
MIE parole. >> cercai
di dire ma la voce mi impedì di parlare chiaro continuando a
tremare, forse per
vergogna dei miei errori, o forse per dolore nel ricordare la morte
dell’uomo
che avevo accanto a me che, nonostante fosse stata evitata, continuava a tormentare la mia mente,
mostrandomi il suo
volto privo di vita. << Hai già detto
abbastanza, adesso rasserenati. Non
amo vederti così. >>
Mi strinse a sé e io, affondando il volto
nel suo pettò, continuai singhiozzando <<
Quando sono giunta qui e ti ho
visto con i miei occhi è stato tutto diverso, capii che non
era amore quello
che avevo provato fino a quel momento ma semplice compassione. Tutto
è nato
stando al tuo fianco. Mi sono innamorata di te una seconda volta, in
maniera
più decisa e significativa. Un amore vero, non illusorio. Ho
fatto tutto questo
per te! Perché io ti amo. >> E quelle furono
le ultime parole da me
pronunciate. Non avevo altro da aggiungere: mi ero aperta
completamente, ormai
tutte le mie cicatrici avevano un significato ai suoi occhi.
Boromir però non rispose. Si limitò a
sospirare e a stringermi più forte a sé, sperando
di calmare il mio animo
turbato con carezze. La cosa però non mi piacque molto, non
ricevere risposta
mi faceva pensare che i miei sentimenti non erano ricambiati. Ma allora
perché
era lì con me? Perché era insieme a me in quel
letto?
<< I nostri destini erano legati
fin dal principio. >> disse lui con una voce profonda
come poche volte
avevo avuto l’onore di udire << O almeno
così mi piace pensare, anche se
molti lo riterrebbero sciocco e insensato. >>
Alzai lo sguardo verso i suoi occhi,
curiosa di scoprire cosa stesse cercando di dirmi. Il suo sguardo,
perso nel
vuoto, era al contempo serio e imbarazzato. Conoscevo bene quello
sguardo,
capitava spesso anche a me di assumerlo quando rivelavo qualcosa che
ritenevo
serio, ma che temevo fosse preso alla leggera dagli altri.
<< Pochi giorni prima del tuo
arrivo sulla Terra di Mezzo, una figura mi apparve in sogno. Una figuro
dal
volto indistinto, pareva quasi angelica, dai lunghi capelli dorati e
un’aura
brillante che quasi accecava il mio sguardo, privandomene la vista. Io
mi
trovavo nel buio più completo, sperduto in un luogo
indistinto, tra ombre e
oscurità. Ma quell’angelo, avvicinandosi a me,
illuminò improvvisamente il mio
cammino con una sua lacrima e io ripresi a vedere. E vidi cose
meravigliose! Ma
di lei... neanche l’ombra. Era sparita nel nulla lasciandosi
dietro solo una
piccola stella. >> Vidi il suo sguardo spostarsi lungo la
stanza fino a
raggiungere il comodino, dove vicino alla candela ormai spenta,
brillava di
vita propria il braccialetto regalatomi da Galadriel.
<< Boromir. >> cominciai
intimorita all’idea di infrangere le sue convinzioni, ma non
potevo tenere la
lingua a freno << Lo sai che probabilmente era solo un
incanto di
Saruman, non… >>
<< Sì, lo so. >> mi
interruppe privandomi della possibilità di proseguire
<< Ma ognuno è
libero di credere a quel che vuole. E io voglio credere che sia stato
il fato
ad anticiparmi la tua venuta e ad avvertirmi di darti la giusta
importanza.
>> Abbassò lo sguardo e sorrise appena
<< Mi conosci, no? Quando
un’idea lascia un segno nella mia testa, questo diventa
indelebile. >>
<< Già, sì. >>
sorrisi
<< Sei molto testardo. >>
<< Quando ti vidi la prima volta mi
colpisti particolarmente. >> un altro sorriso si dipinse
sul suo volto, ma
questo fu più divertito << Eri davvero strana:
non ricordavi niente (o
almeno così ci facesti credere), ti guardavi attorno
meravigliata anche del più
insignificante sassolino, dicevi cose strane e prive di senso, non
sapevi usare
un’arma, eri spaventata dalla tua stessa ombra. Insomma
apparentemente eri
abbastanza inutile per la squadra. Ma Elrond ci aveva assicurato la tua
importanza, quindi non facevo altro che studiarti (come penso tutti
abbiano
fatto nella compagnia) per riuscire a trovare queste
potenzialità. Potenzialità
che accennasti appena qualche volta: solo un occhio esperto poteva
cogliere in
quei piccoli segnali un grande potere. Un occhio come quello di Legolas
e
Gandalf, non certo il mio. Per me rimanevi inutile. >>
<< Grazie mille! >> dissi
alquanto offesa, ma sapevo bene che aveva ragione. Boromir rise
divertito
<< Inutile ma non per questo da abbandonare. Avevi
bisogno di cure più di
chiunque altro, io l’avevo visto. Avevi bisogno di una guida
e di protezione:
eri un cucciolo sperduto. E non potevo certo lasciarti lì,
da sola nel tuo
mondo di fantasmi e terrori. Mi intenerivi così tanto:
dovevo stare al tuo
fianco e aiutarti. E poi c’era l’ultimo
particolare, il più rilevante a dir il
vero: la tua energia. Certo, i primi tempi eri stata abbastanza
silenziosa e
chiusa, forse per timidezza o timore, ma ben presto vidi in te qualcosa
che non
vedevo anni: un sorriso. Non un sorriso come tutti gli altri: un vero
sorriso!
Sincero e pieno di gioia. Erano tempi bui quelli, nessuno
più riusciva a
sorridere, e tu sei piombata qui come….come una stella!
Illuminando il viso di
noi viandanti immersi nell’oscurità con la tua
gioia e la tua allegria. Ricordo
i giochi che facevi con i due piccoletti, come una sorella gioca con i
due
fratellini più piccoli: desideravo tanto prenderne parte,
desideravo tanto
tornare a sorridere come facevate tu, Merry e Pipino. Perfino nelle
battaglie
dimostravi un’allegria inconcepibile per la situazione:
scherzavi con la morte,
ridevi di essa, tanto da riuscire ad allontanarla. Tanti hanno visto in
questo
tuo atteggiamento la follia, ma non io. Io vedevo ben altro, io vedevo
qualcosa
che tutti da anni non vedevamo più e che probabilmente ci
eravamo dimenticati
cosa fosse: la gioia di vivere. Sophia, io ho riconosciuto subito in te
quell’angelo che mi era parso in sogno! Tu stavi illuminando
il mio cammino, il
NOSTRO cammino, donando calore e luce alle nostre anime afflitte.
>> Il
suo sorriso trasognato, che fino a quel momento aveva preso possesso
del suo
viso, si trasformò in uno più malinconico e buio
<< E trovai ulteriore
conferma quel giorno. >> Seppi subito di quale giorno
stava parlando: il
giorno della sua morte. << La morte che mi stava
prendendo rendeva il
mondo intorno a me sfocato e indecifrabile, il tuo viso era avvolto
dalla
nebbia, non riuscivo a coglierlo perfettamente. Ma vedevo
l’aura brillante
intorno a te, probabilmente era il sole alle tue spalle. E
poi….la tua lacrima
illuminò il mio cammino, tu sparisti, trascinata via dalle
ombre, lasciandoti
dietro solo una piccola stella. Un braccialetto luminoso, regalo degli
elfi. I
miei occhi cominciarono a vedere: capii. Dovevo sopravvivere, dovevo
farlo per
te e per questa magnifica terra. Tu mi avevi donato della vista. Poi,
una volta
ripresa conoscenza, e scoperto che eri stata trascinata via dagli orchi
verso
Isengard, capii che anche io avevo un ruolo in tutto questo: dovevo
proteggere
l’unica fonte di luce che ci fosse stata mandata. Dovevo
correre a salvarti per
permetterti di portare calore e luce a tutti gli altri e donare questa
terra di
nuova vita. >>
<< Boromir, mi stai idealizzando
troppo. >>
<< No, Sophia! >> mi disse
deciso, tanto che mi spaventò << No! Non ti
sto affatto idealizzando! Tu
sei stata mandata qui dai Valar per vegliare su tutti noi e aiutarci!
Lo so! Ne
sono certo! >>.
<< No! E’ stato Saruman >>
dissi scandendo bene le parole << IO ho chiesto di venire
qui per avere
una possibilità di salvarti, SARUMAN mi ha portato qui. Non
ci sono Valar di
mezzo! Né tanto meno angeli! E non sono certo quel profeta
che credi che sia.
>>
<< Questo è quello che credi tu! Ci
sono tante cose nascoste ai nostri occhi, non tutte sei in grado di
vederle.
>> Improvvisamente mi ricordai di Faramir. Anche lui, la
sera prima, nel
vedermi, mi aveva attribuito il ruolo di angelo mandato da sua madre
per
vegliare sulla sua famiglia. Doveva essere un vizio di famiglia quello
di
considerare Apostoli tutti quelli che aiutavano qualcun altro.
E se invece avessero avuto ragione?
Cosa mi aveva spinto quel giorno a
comprare quel libro? Cosa mi aveva spinto a leggerlo? Cosa mi aveva
spinto a
sorbirmi 12 ore di film? Se veramente fosse stato tutto scritto nel
destino? Mi
portai una mano alla fronte e negando debolmente sghignazzai
<<
Sciocchezze. >>
Non era possibile! Come poteva una forza
invisibile guidare i miei movimenti e i miei sentimenti in un arco di
tempo
così lungo e variabile? No, era assolutamente impossibile.
Perché proprio me,
poi? Cosa avevo di così speciale? La gioia di vivere? Il
mondo ne è pieno di
gente come me!
<< Io credo di no. >>
intervenne lui assumendo un sorriso compiaciuto, come se avesse
raggiunto un
traguardo (o lo stesse per raggiungere) << Non ti basta
tutto ciò che ti
ho detto? Non ti basta come prova l’avermi salvato la vita?
Non ti basta come
prova l’aver salvato la vita di mio fratello?
>>
<< Chiunque l’avrebbe fatto. E poi,
come ti ho già detto, mi stai idealizzando troppo. Vedi i
miei successi e non i
miei errori: tuo padre è morto, e io non sono riuscita a
portare “luce e
calore” in lui, come dici tu. >>
<< Tu invece vedi i tuoi errori e
non i tuoi successi. Mio padre era già morto. Tanti anni fa.
Non potevi fare
niente, prima o poi il suo corpo avrebbe ceduto lo stesso. Se non oggi,
domani.
Era tutto scritto nel destino. >>
Quei discorsi mi stavano stufando, era
impossibile riuscire a farlo ragionare. Uomini privi di speranze e
spiegazioni
logiche tendono ad aggrapparsi a soluzioni illusorie e fallaci, create
dalla
potenza dell’immaginazione. E’ il loro unico modo
di sopravvivere: la loro
essenza rimarrebbe schiacciata dall’oscura, pesante
verità. Ognuno tende a
proteggersi come può.
E così stava facendo lui: si aggrappava a
ragioni insensate, dandomi una natura divina pur di nascondere
l’egoismo puro
che aveva portato a muovere i miei passi.
Mi alzai dal letto staccandomi dalle sue
braccia: ora più che mai avevo bisogno di muovermi e
camminare all’aria aperta
per liberare la mente. Boromir non si oppose, mi lasciò fare
guardando ogni mio
singolo movimento mentre cercavo di rivestirmi. Nessuno dei due
proferì parola
fino a quando non afferrai la maniglia della porta per poterla aprire e
poter
uscire.
<< Sophia. >> mi chiamò lui
attirando la mia attenzione << Tu sei stata mandata qui
per vegliare su
di noi, qualunque siano le ragioni a te manifeste, è questa
la verità. Tutti
qua la pensiamo allo stesso modo: hai rischiato la vita più
volte per
assicurarla a noi. Questa non è una cosa che farebbero
tutti. Hai sacrificato
tutto ciò che potevi sacrificare pur di garantirci un
sorriso sul volto. Non è
così? >>
Titubai. Aveva ragione. Aveva pienamente
ragione.
<< E tutt’ora la tua anima non
trova pace, benché tu abbia avuto ciò a cui
più ambivi, perché non riesci a
cogliere nei tuoi ricordi il sorriso di TUTTI i tuoi compagni incisi
nel
futuro. Non è così? >>
Come faceva a sapere? Sorpresa mi voltai
e lo guardai interrogativo, ma non ebbi il tempo di parlare che lui mi
anticipò.
<< Ormai posso dire di conoscerti.
Ora che conosco tutti i tuoi segreti i tuoi pensieri non mi sono
più così
oscuri. Tu non ricordi, e temi per la vita dei tuoi compagni, non
è così?
>>
La mia pazienza stava raggiungendo un
limite. Non che LUI mi irritasse, ma i suoi discorsi sì!
Perché aveva
stramaledettamente ragione! Non ricordavo e avevo una paura folle che
qualcuno
potesse morire.
<< Perché tu no? >>
<< Certo. Sono terrorizzato
all’idea che la morte possa prendere uno di noi.
>>
<< Lo vedi? Non siamo tanto diversi
io e te. >> risposi risoluta, il suo discorso non aveva
né capo né coda.
Si stava arrampicando sugli specchi: io non ero un angelo! Ero una
semplice
ragazza mossa dall’egoismo, dalla bramosia di poter possedere
ciò che non mi
apparteneva.
<< No, Sophia. Ti sbagli ancora.
Noi siamo tutti sulla stessa barca, navighiamo nell’ombra.
Non sappiamo ciò che
il futuro ci porterà. Tu invece no! Tu SAI e tu poi
MODELLARE il futuro
conoscendone gli esiti. L’hai già fatto e lo farai
ancora. >>
<< Io non ricordo!! >> quasi
urlai mossa dall’ira. Perché si ostinava a non
credermi? Perché non capiva che
io ero una come loro, non un essere angelico, non un essere divino. Io
ero
umana, esattamente come loro. Non avevo nessun potere, solo tanta
fortuna!
Fortuna che ora come ora mi stava abbandonando.
<< Cecità momentanea. Ricorderai. E
allora agirai. >>
Niente, era tutto inutile.
<< Questa discussione si è conclusa
molte parole fa. >> brontolai stufa e abbassai la
maniglia della porta
mettendo un piede fuori dalla stanza. La brezza mattutina era ancora
molto
fredda, nonostante tutto però sentivo il calore del Monte
Fato nascosto tra i
soffi gelati. Carezza presagio di morte. Poco tempo restava, e
allora….sarebbe
giunta la fine.
<< Sophia. >> mi richiamò
ancora.
Che altro voleva? << Se questa notte sei stata qui con
me, in questo
letto, non è stato per innalzarmi ai Valar, né
tanto meno per renderti grazie.
Solo questo voglio ti sia chiaro. >>
<< Molte grazie. >> dissi
sarcastica e uscii a fare due passi, chiudendomi la porta alle mie
spalle. Ero
alquanto intrattabile quella mattina, vedere nelle mie conoscenze il
buio
assoluto mi aveva reso fragile di nervi e poco tollerante. A dir il
vero era
già da tempo che avevo perso la
“luminosità” di cui parlava Boromir. Da
quando
avevo assistito alla sua presunta morte ero mutata completamente. Non
avevo più
sorriso da allora se non alla festa del fosso di Helm, ma probabilmente
lì
erano stati i fumi dell’alcool. Ero partita con le migliori
intenzioni, ero
partita con la gioia nel cuore causata da una libertà mai
provata prima. Mi ero
sempre sentita libera, forse ecco dov’era il segreto. Avevo
il compito di salvare
Boromir ma era sempre stato così lontano quel giorno ai miei
occhi che non me
n’ero mai preoccupata. Ora sapevo che il mio ruolo era un
altro. Avevo scoperto
pian piano di aver avere un certo valore e significato dentro quella
storia,
non ero una semplice intrusa: io ero la mano che cancellava le parole e
le
riscriveva.
L’avevo capito da tempo, ma mai con così
tanta consapevolezza. Avevo tra le mani un tesoro inestimabile, quale
la Terra
di Mezzo, e potevo farne ciò che volevo. Era stata questa
scoperta a cambiarmi
completamente e caricarmi di un energia mai vista prima, energia che
mai avevo
avuto modo di conoscere dentro di me. Mi ero trasformata
improvvisamente in una
Signora dallo sguardo serio, dimenticando il significato della parola
gioia.
Ecco tutto.
Boromir aveva ragione.
E l’averlo capito, molto, molto tempo
prima, mi aveva fatto perdere ciò di che avevo di
più prezioso. Questa verità
mi uccideva.
Per questo desideravo tanto cancellare
dalla mente di tutti quella mia immagine tanto potente, preferivo di
gran lunga
essere “Sophia la simpatica folle imbranata” che
“la Signora della preveggenza”.
Il potere non mi si addiceva per niente, era un vestito che mi andava
stretto.
Ma dovevo ancora aspettare. La Signora
della preveggenza aveva ancora un ruolo importante in questa storia,
aveva
ancora del lavoro dal svolgere per garantire una vita serena a Sophia
la
simpatica folle imbranata.
Non era ancora tempo.