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Autore: Ray Wings    24/03/2012    2 recensioni
Sophie era una ragazza come molte ma con una particolarità: era appassionata dei libri di Tolkien... in particolare "il signore degli anelli". Oltretutto si era talmente immedesimata nel libro che aveva cominciato a provare un certo interesse sentimentale verso uno dei personaggi. Un giorno il caso (o forse no? ;) ) la trascinò sulla terra tanto amata e sognata. Sophie in un primo momento si sentì dispersa e impaurita ma poi comprese di avere un compito e di non essere stata mandata lì per caso. Inizia così un’avventura difficoltosa che le porterà tanti pericoli, ma la sua determinazione e il suo amore saranno tali da aiutarla a trovare sempre la forza di alzare la testa e andare avanti fino alla fine. (N.B. Questa ff è una "riscrittura". Ovvero avevo già scritto questa storia in precedenza ma dato che ero alle prime armi non ne era uscita una cosa molto carina dal punto di vista linguistico. Ora, con la maturazione di oggi, spero di averla resa più interessante)
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Boromir, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Uscii dalla casa di cura e mi guardai attorno in cerca di qualcuno che potesse darmi spiegazioni, sapevo benissimo che non avrebbero mai potuto mettere il capitano Boromir di Gondor in una delle tante stanze della casa di cura, in mezzo a malati e altri “plebei”. Sicuramente gli era stato riservato un posto d’onore, ma chissà dove. Per fortuna in quel momento passò una guardia << Scusate, buon uomo >> dissi ridendo di me stessa come di un comico, era la prima volta che usavo quell’espressione e mi sembrava a dir poco esagerata e ironica, ma da quelle parti usavano così << Sapete mica indicarmi la via per arrivare alla stanza dove riposa il capitano Boromir? >> La guardia mi guardò dapprima scettica, poi si voltò a guardare la via di fronte a noi << Lungo questa via, poi a sinistra. >> ringraziai e cominciai ad avviarmi. Non era stato messo molto lontano dalla casa di cura, come immaginavo, così che se ce ne fosse stata la necessità i medici avrebbero impiegato poco tempo a raggiungerlo. Giunsi davanti alla porta e allungai una mano per bussare ma esitai. Una volta entrata come mi sarei comportata? Ora mi chiedevo addirittura perché mai fossi voluta andare a trovarlo. Non avevo niente da dirgli, e anche se avessi avuto qualcosa da dirgli non ne avrei avuto il coraggio. Abbassai il braccio decisa a rimandare la mia visita, non aveva senso entrare in quel momento, anche perché probabilmente stava riposando e aveva bisogno di essere lasciato in pace. Stavo per andarmene quando la porta si aprì di fronte a me facendomi sobbalzare e mi trovai di fronte Aragorn che come al solito sorrideva << Allora avevo veramente sentito qualcosa >>
<< Sicuro di non essere un elfo? >> quasi brontolai, come diavolo aveva fatto a sentirmi? Avevo respirato così forte? Bah.
<< Abbastanza. Sei venuta a trovarlo? >> mi chiese uscendo dalla porta e facendosi da parte per farmi passare << Beh, le mie intenzioni erano quelle ma probabilmente starà riposando quindi è meglio se lo lascio in pace >> sorrisi imbarazzata, ovviamente non era proprio quello il motivo.
<< E’ sveglio >> “Doh!” << Entra pure, gli farà piacere vederti >>
<< Ne sei certo? >> chiesi ancora esitando, chissà che invece non continuasse a disprezzarmi. Nelle prigioni era stata quella l’impressione.
<< Più che certo. >> disse prima di congedarsi con un lieve inchino regale e andarsene. Rimasi immobile di fronte alla porta aperta, ero ancora in tempo per fuggire via. Ma no, sarebbe stato da stupidi, ormai ero lì tanto valeva entrare. E così feci, chiudendomi la porta alle spalle.
La stanza era illuminata da una semplice candela posta sopra un mobiletto poco lontano dal letto su cui giaceva Boromir, con gli occhi chiusi e il respiro tranquillo. Il pavimento cigolò sotto i miei piedi e ciò destò l’uomo dal suo riposo apparente, portandolo ad aprire gli occhi e facendomi capire che non stava dormendo ma semplicemente riposando, o forse pensando. Mi guardò privo di espressione e si sollevò a sedere sul letto con fatica.
<< Ero venuta a vedere come stavi >> dissi semplicemente tenendo lo sguardo basso per la vergogna.
<< Ho avuto momenti migliori, ma Aragorn è un ottimo medico. Sono già quasi come nuovo. >> disse e non riuscii a cogliere nessun tipo di emozione nella sua voce. << Tu come stai? >> mi chiese questa volta facendo trasparire la sua dolcezza. Annuii e mi misi a sedere su una sedia vicino al letto. Gli afferrai la mano sinistra accarezzandola appena con il pollice << La tua mano è tornata calda >> constatai ricordando di come era stata gelida.
<< Sì e pian piano riesco anche a muoverla, ma temo che non tornerà mai quella di un tempo >>
<< Mi dispiace >> riuscii a trovare la forza di dirgli in un flebile sussurro, mentre i sensi di colpa mi rosicchiavano dall’interno come topi.
<< Non chiedermi scusa >> disse lui voltando i suoi occhi verso la piccola finestrella posta alla sua destra, un po’ troppo in alto per riuscire ad affacciarsi e vedere di fuori. << Sono io che devo chiederlo a te. Se solo mi fossi fidato… >> non concluse la frase ma sentii che c’era del rancore nella sua voce, rancore verso se stesso.
<< Non dire questo! Hai fatto ciò che ritenevi più giusto >>
<< Molto spesso il mio cuore mi ha condotto per via sbagliate, non riesco più a fidarmi della sua voce, non sono più sicuro di ciò che sia giusto o sbagliato. >>
<< Tutti commettono degli errori e il tuo è più che giustificato. Non colpevolizzarti inutilmente. >>
Boromir fece una pausa prima di portare gli occhi sulle lenzuola che aveva sopra le sue gambe per poi spostarlo di nuovo verso me << Mi dispiace, Sophia, per tutto ciò che ti ho fatto passare. Sono stato spregevole e cieco, terribilmente cieco. >>
Non sapevo cosa rispondergli, aveva ragione: mi aveva fatto patire le fiamme dell’inferno, non potevo mentirgli.
<< Ma adesso ti sei reso conto del tuo errore, adesso è tutto passato ed è questo che conta. Non è così? >> chiesi conferma sperando che veramente avessi detto al verità, che veramente fosse tutto passato ma non ricevetti subito risposta. Anzi, non ricevetti proprio risposta. Ciò mi preoccupò non poco, ancora portava rancore? Possibile, dopo ciò che mi aveva detto? Che uomo cocciuto e orgoglioso! Mi faceva venire una gran rabbia, perché diavolo si comportava in quella maniera? Mi alzai in piedi intenzionata a non rimanere un attimo di più in quella stanza, era inutile, potevo piangere, disperarmi e urlare , era tutto inutile, mai mi avrebbe visto e mi avrebbe dato importanza.
Stavo per voltarmi per andarmene, così senza dire nemmeno una parola, quando fu lui a parlare finalmente. Ma ciò che disse non fu esattamente ciò che mi aspettavo.
<< Il tuo amore è ingiustificato >>.
Rimasi pietrificata mentre lui ancora una volta si voltava a guardare quella piccola finestrella in alto, che puntava verso un cielo nero e cupo pronto a cadere sopra una terra ormai priva di vita. Capii che lo faceva perché incapace di rivolgere il suo sguardo a me.
<< Non sono degno di tutto ciò >> disse stringendo le lenzuola tra le dita con forza << Dopo tutto ciò che ho fatto per renderti il cammino difficile, dopo tutto l’odio che ti ho rivolto…come puoi… >> non finì la frase che aveva pronunciato con astio, strinse i denti e si portò una mano sugli occhi abbassando la testa. Nella mia testa non passava niente se non pietà verso l’uomo che davanti  a me si stava crucciando per un crimine che aveva commesso inconsapevolmente. Si può perdonare un colpevole qualora chiedesse scusa? Qualora si fosse reso conto del suo errore?
<< Riusciresti a distruggere un muro di pietra prendendolo a pugni? >> risposi con una serietà uscita da chissà quale cavità del mio cuore << Il mio amore non è ingiustificato, è una fiamma troppo alta per spegnersi con una leggera brezza mattutina >>. Feci poi un inchino come era solito fare dai soldati di fronte al loro capitano, ero risultata fredda e passionale allo stesso tempo, qualcosa di inconcepibile che mi era nato da non so bene dove. Forse dalla disperazione, o forse dalla consapevolezza ormai remota che il mio fuoco, benché alto, non avrebbe trovato alimentazione in nient’altro se non in se stesso.
Mi voltai verso la porta e mi avvicinai a quella che segnava il confine tra la speranza e la realtà. Boromir aveva riconosciuto il suo errore, si era evidentemente pentito, la cosa non poteva che farmi piacere, ma dopo mesi di lacrime e dolore mi ero stufata di continuare a sperare, la speranza mi aveva illusa troppe volte, era giunta l’ora di tornare alla realtà con freddezza e consapevolezza. Il cuore del capitano di Gondor non mi apparteneva, dopo tutto ciò che era successo non potevo certo sperare di andare avanti ignara del passato, Saruman aveva ragione. Ora riuscivo ad accettarlo con più diplomazia.
Allungai una mano verso il pomello della porta e dopo aver fatto un sospiro l’aprii per affacciarmi nella mia realtà e prendervi parte ma mi fu impossibile. La porta fu spinta in avanti tanto da richiuderla con un gran tonfo. Inizialmente non capii cosa stava succedendo, ma dopo vidi che a chiudere la porta era stata…una mano…LUI! Mi voltai completamente a guardarlo esterrefatta non capendo il significato del suo gesto, o almeno non subito in quanto lui si apprestò a darmi spiegazioni…con un bacio.

 
La piccola candela a fianco del letto stava cominciando a morire, la sua luce stava affievolendosi lasciando che la stanza cadesse nel buio della notte. Che ore erano? Non avrei saputo proprio dirlo. Da quando ero arrivata lì avevo perso completamente la concezione del tempo, riuscivo solo a capire se fosse notte o giorno, e ultimamente anche quella capacità stava svanendo. Le nubi di Mordor stavano prendendo il dominio su tutto il cielo, senza alcuna pietà. Luna e Sole si stavano alienando, non riuscivano più a vedere la terra che per anni aveva accarezzato. E questa, a sua volta, non riusciva a vedere loro, protettori di ere.
Tutti pensieri molto tristi e cupi, come quelli di ogni abitante della Terra di Mezzo probabilmente.
Ma non per me. Non quella notte.
Penso di non essermi mai sentita così bene da quando avevo scoperto di essere piombata a Gran Burrone. Infondo, dopo mille e più pericoli, dopo dolori e rammarichi, preoccupazioni e paura….finalmente era arrivato il mio lieto fine.
La fiamma si spense completamente, il buio calò, e l’unica cosa di cui mi rattristavo era di non poter più veder muoversi ritmicamente il petto nudo dell’uomo che mi giaceva accanto, avvolto nel sonno, benché la vista delle sue tre cicatrici mi riempivano il cuore di uno strano liquido nero. Così, non potendo più vedere con occhi, decisi di vedere con gli altri sensi. Mi strinsi a lui, abbracciandolo, e chiudendo gli occhi lasciai che il suono del suo respiro mi cullasse portandomi al sonno. Il calore della sua pelle a diretto contatto con la mia era un dolce tepore, che solo poche volte ero riuscita a percepire tanto piacevole.
Cosa avrei dato perché il tempo si fermasse a quel preciso istante. La gioia che provavo era tanta in quel momento da impedirmi di dormire, tanta da pulire tutte le macchie che avevo accumulato dentro me.
Niente aveva più importanza.
Finalmente ero lì, e sapevo che non era un sogno. Finalmente ero giunta in cima a quella montagna che tanto mi aveva ferito con le sue rocce, e tanto mi aveva punto con il suo freddo. Ma finalmente ero lì. E non mi sarei più mossa da quel cucuzzolo  accogliente, che mostrava a me tutte le meraviglie di un paesaggio mozzafiato, accarezzato dalle nuvole. Mai avrei smesso di allungare il braccio, avida di quel telo blu cristallino sopra di me, per poterlo toccare e accarezzare, cucciolo gioioso.
Finalmente morfeo aveva ceduto a me il suo posto, ora potevo abbracciarlo e cullare il suo sonno donandogli tutto ciò che il mio amore poteva offrirli per la sua serenità.
Lui.
La mia anima.
La mia vita.
Boromir.

 
Il mattino arrivò fin troppo presto, avevo dormito davvero molto poco, e non mi era chiaro se per la gioia di poterlo stringere a me, o per una strana ansia che testarda continuava a battermi in petto per una ragione a me oscura. Cosa avevo da essere ansiosa? Stava andando tutto bene: avevo realizzato il mio sogno, ero sulla terra più meravigliosa che uomo potesse conoscere e avevo ricevuto l’amore di un uomo altrettanto meraviglioso. Il male incombeva a pochi passi da noi, vero, ma sapevo che tutto si sarebbe risolto per il meglio. Tutto stava andando come era stato scritto. O almeno così credevo.
Sembrava quasi che avessi dovuto pagare un prezzo per quel piccolo dono: la mia memoria in cambio della felicità. Ormai stavo dimenticando tutto. Ricordavo della caduta di Sauron ma i mezzi mi erano ormai oscuri. Vuoto assoluto. Non che la cosa mi dispiacesse troppo, ormai eravamo giunti alla conclusione, avevo tutto inciso nel mio passato e non in un foglio di carta bruciacchiato. Potevo ricordare lo stesso quella magnifica avventura passata accanto a persone meravigliose. Ma l’idea di non sapere cosa ci sarebbe stato da lì a pochi giorni mi tormentava.
E se avessi commesso un errore? E se avessi sbagliato qualcosa? Se qualche particolare mi era sfuggito? Se….qualcuno fosse morto in battaglia?
Sospirai esasperata, non riuscivo più a stare ferma. Dovevo muovermi, dovevo alzarmi e fare due passi per scaricare la tensione. E poi era già mattino: se qualcuno fosse venuto a trovare il grande Capitano Boromir e mi avesse trovato nel suo letto? Non mi piaceva l’idea.
Per quanto mi dispiacesse interrompere quel meraviglioso incanto sapevo che il tempo era implacabile, non potevo più restare. Scostai appena le coperte da sopra di me per potermi alzare, cercando di fare tutto con la massima cautela per non svegliare l’angelo che riposava al mio fianco. Ma scoprii ben presto che non ce n’era bisogno.
<< Sono ben sei >> la sua voce lievitò delicatamente dentro la stanza, senza macchiare il silenzio melodioso che per tutta la notte ci aveva fatto compagnia << Sei sospiri da quando ti sei risvegliata, circa un’ora fa. Cosa turba i tuoi pensieri? >> Mi chiese scoprendo quei meravigliosi diamanti che erano i suoi occhi, puntandoli dritti contro di me, colpendomi come una freccia di cupido. Un’altra.
<< Non stavi dormendo? >> cercai di deviare il discorso, non mi piaceva parlare dei miei “poteri” con lui, non ancora. Dovevo aspettare che tutto fosse finito, mi sentivo ancora troppo vulnerabile. Una parola di troppo e tutto sarebbe crollato.
<< Sono stato più sveglio di te >> disse con un leggero sorriso e si alzò poggiandosi su un gomito, così da potermi guardare meglio in volto. << Ma mi piace tenertelo nascosto. E bello sentire i tuoi occhi puntati su di me. >>
<< I miei occhi sono puntati su di te anche quando sei sveglio >> dissi prima di stendermi su di un fianco per potermi rilassare.
<< Non è vero. Fuggi dal mio sguardo, lo hai sempre fatto. Mi temi. E non ne capisco il motivo. >> la sua voce era pregna di dolcezza, mai l’avevo sentito così. Sentivo che un grosso nodo si era sciolto, sentivo che adesso tutto sarebbe stato diverso. La lontananza che c’era stata fino a poche ore prima ora si era dissolta completamente. Io potevo vedere lui e lui poteva vedere me. O forse l’aveva sempre fatto?
Non sapevo cosa rispondergli, effettivamente aveva ragione. Ero sempre stata intimorita dal suo sguardo, mi ero sempre allontanata da lui e da tutto ciò che lo riguardava, ma non per disprezzo. Il mio era un fuggire timido. Uno di quelli da film, dove l’unica soluzione richiesta è un inseguimento da parte dell’altra persona. E lui era stato veloce abbastanza da prendermi e stringermi a sé, precludendomi l’eventualità di un ulteriore fuga. Fuga che, intimidita, continuavo a ricercare.
Ero timida, vero.
<< Allora, mi dici perché sei tanto agitata? Perfino il sonno non ti ha donato la quiete. >> Accidenti era tornato sull’argomento di prima! Non avevo intenzione di affrontarlo con lui, non adesso.
<< Temo la mia sorte. >> Risposi accennando un sorrisino divertito. Boromir rimase in silenzio a guardarmi incuriosito, probabilmente si stava chiedendo cosa volessi dire.
<< Il tuo sguardo >> cominciai a spiegare aprendo gli occhi e fissando il suo braccio a pochi centimetri di ma << Non temo il tuo sguardo, temo la mia sorte se mai dovessi incrociarlo. Ecco perché evito sempre di farlo. >> feci una piccola pausa alzandomi a sedere e voltandomi lentamente per riuscire finalmente a puntare i miei occhi verdi nei suoi azzurri. Il risultato fu quello che mi aspettavo e molto peggio. L’invisibile linea che collegava le due uniche fonti di accesso alla nostra anima era colma di energia che vibrava nell’aria, la rendeva calda e leggera. Il cuore cominciò a battere forte, decisamente troppo forte, ma non ero intenzionata ad arrendermi. Sentivo che in quel momento lui poteva benissimo toccarmi nel profondo e farne ciò che più preferiva. Ma non lo temevo, sapevo che avrebbe avuto cura della mia linfa vitale e l’avrebbe donata di nuova luce.
<< Anni fa lessi per la prima volta di un uomo. >> cominciai a parlare con la voce che tremava << Non un uomo qualunque: un grande uomo, conosciuto da tutto il suo popolo e da molti dei popoli che vivevano su una splendida terra, la quale brillava di luce propria. Il sospiro dei suoi venti erano carezze, il calore del suo sole era un abbraccio, i canti dei suoi fiumi ninna nanne per cuori affranti in cerca d’aiuto. Alberi premurosi di curare chi volesse concedersi una pausa dagli abbracci di quel caloroso amico che sopra il cielo vegliava su tutto. Una terra piena di magia, che curava le proprie creature con amore promettendo loro pace e quiete. Lessi di una terra ferita che ben presto avrebbe chiesto aiuto a nove dei suoi figli. Figli che non avrebbero tardato a curarla. Lessi di nove coraggiosi cavalieri che, percorrendo per esteso questa meraviglia, correvano verso il centro dello squarcio per impedire la fine. Attraversarono boschi in grado di allietare le loro fatiche con dei canti, attraversarono fiumi che prendendoli sulle spalle, e permettendo loro di riposare, li portarono lontani finchè potevano. Lessi di montagne amiche e nemiche. E lessi con orrore ciò che quella ferita stava portando: lessi della progressiva morte di tutto ciò. >> Ero un po’ divagata dal discorso iniziale, ma ero volata sopra quella magnifica terra di cui tanto avevo sentito parlare e che finalmente avevo potuto toccare con mano. << Ma il mio dolore trovava sollievo in quei nove cavalieri: coraggiosi, colmi di amore e speranze, leali e fedeli, dall’animo puro e un po’ burlone. Quanti sorrisi ho donato alle loro gioie, quante lacrime ho donato ai loro dolori, quanta ansia alle loro paure. Io ero lì, ero sempre stata lì con voi, spettatrice impotente. E proprio questa impotenza mi aveva portato alla follia, soprattutto laddove volevo donare a voi qualcosa di diverso. E lo trovai: il culmine della mia follia. >> feci un’altra pausa cercando di raccogliere le parole e nel frattempo chinai la testa, staccandomi un po’ dai suoi occhi che continuavano a scrutare la mia anima, bramosi di vederne tutti i significati più profondi. Feci un piccolo sorriso intenerito nel ricordare tutte le sensazioni che avevo provato nel leggere di Boromir, e rialzai lo sguardo per poter permettere all’uomo di continuare la sua caccia al tesoro dentro me << C’era un uomo tra loro. Un cavaliere, un capitano, figlio della sua terra, servitore del suo popolo, dall’animo fiero e valoroso. Lui era IL cavaliere. Il suo cuore bruciava per il suo popolo, si sarebbe gettato nelle fiamme e sarebbe morto lì se solo loro glielo avrebbero chiesto. Ma il suo cuore lo condusse troppo lontano, laddove l’amore si mischia alla follia… e non se ne fa più ritorno. >> Ricordare la sua morte non mi faceva mai bene, mi incupiva sempre, anche se sapevo che ormai il pericolo era scampato. << Lessi di un uomo anni fa. Un uomo tormentato dal profondo, un uomo il cui padre, accecato da lame avvelenate, l’aveva incitato a giungere su quella linea di confine. Lessi di un uomo dai capelli neri e gli occhi azzurri, ingrigiti dall’età e dalle fatiche, un uomo che morì percorrendo una via sbagliata in cerca della luce. E me ne innamorai follemente. >> mi sentii avvampare, non mi ero mai stata aperta tanto con lui. A dir il vero: non mi ero mai aperta tanto con nessuno. Mi sentivo spogliata di tutto, non avevo più niente con cui proteggermi. Ero così vulnerabile.
<< La notte, quando chiudevo gli occhi, dopo aver letto la sua storia, lo vedevo come fosse lì a due passi da me. Il sole fiero di battere sulla sua pelle richiamava tanto le immagini delle divinità, il suo sorriso risplendeva più del sole stesso e i suoi occhi… >> mi bloccai emozionata, la voce mi tremò << Splendide pietre preziose, incastonate su di un viso perlaceo, porte che si spalancavano verso un mondo colmo di dolore e amore per la propria terra. Un mondo che tremava sotto i piedi di chiunque tentasse di far percorrere i suoi passi. Riuscivo a vedere in quegli occhi il tormento dell’impotenza di fronte alla morte e il desiderio di tornare a sorridere. E io tremavo e cadevo, toccando quel suolo così fragile, capendo quanto ciò gli facesse male e desiderando più di qualsiasi altra cosa poterlo aiutare. Ogni singola notte vedevo quel mondo cadere nelle mani dell’oscurità, e io… >> la voce mi morì in gola, stavo andando oltre, dove mai mi ero avventurata. Abbassai di nuovo lo sguardo, incapace di continuare a guardarlo, occhi e gola bruciavano, minacciosi. << Boromir >> proseguii portando al limite del possibile la mia stabilità << Tu bruciavi dentro me già da prima che io arrivassi qui. Per anni ho sognato di poterti vedere con i miei occhi e impedire la tua caduta. Non era giusta! Tu eri stato il migliore di tutti, tu avevi sacrificato te stesso per tutto quello che amavi, non potevi concluderti così. Anche tu avevi diritto di ritrovare la serenità, era inconcepibile la tua caduta! Avrei dato qualsiasi cosa pur di donarti la felicità tanto ambita, QUALSIASI! E...e Saruman fu colto dai miei sogni, io ho raggiunto Saruman pregandogli di darmi una possibilità per aiutarti. E lui non s’è fatto scappare l’occasione e mi ha portato qua. >>
<< Conosco già la tua storia, adesso basta. >> disse dolcemente invitandomi a rimanere in silenzio, vedeva che parlare di quelle cose mi portava solo sofferenze. Mi accarezzò i capelli e tentò di tirarmi a sé per potermi abbracciare.
<< No, è giusto che tu sappia DA ME, quel che è successo. E’ giusto che tu senta le MIE parole. >> cercai di dire ma la voce mi impedì di parlare chiaro continuando a tremare, forse per vergogna dei miei errori, o forse per dolore nel ricordare la morte dell’uomo che avevo accanto a me che, nonostante fosse stata evitata, continuava  a tormentare la mia mente, mostrandomi il suo volto privo di vita. << Hai già detto abbastanza, adesso rasserenati. Non amo vederti così. >>
Mi strinse a sé e io, affondando il volto nel suo pettò, continuai singhiozzando << Quando sono giunta qui e ti ho visto con i miei occhi è stato tutto diverso, capii che non era amore quello che avevo provato fino a quel momento ma semplice compassione. Tutto è nato stando al tuo fianco. Mi sono innamorata di te una seconda volta, in maniera più decisa e significativa. Un amore vero, non illusorio. Ho fatto tutto questo per te! Perché io ti amo. >> E quelle furono le ultime parole da me pronunciate. Non avevo altro da aggiungere: mi ero aperta completamente, ormai tutte le mie cicatrici avevano un significato ai suoi occhi.
Boromir però non rispose. Si limitò a sospirare e a stringermi più forte a sé, sperando di calmare il mio animo turbato con carezze. La cosa però non mi piacque molto, non ricevere risposta mi faceva pensare che i miei sentimenti non erano ricambiati. Ma allora perché era lì con me? Perché era insieme a me in quel letto?
<< I nostri destini erano legati fin dal principio. >> disse lui con una voce profonda come poche volte avevo avuto l’onore di udire << O almeno così mi piace pensare, anche se molti lo riterrebbero sciocco e insensato. >>
Alzai lo sguardo verso i suoi occhi, curiosa di scoprire cosa stesse cercando di dirmi. Il suo sguardo, perso nel vuoto, era al contempo serio e imbarazzato. Conoscevo bene quello sguardo, capitava spesso anche a me di assumerlo quando rivelavo qualcosa che ritenevo serio, ma che temevo fosse preso alla leggera dagli altri.
<< Pochi giorni prima del tuo arrivo sulla Terra di Mezzo, una figura mi apparve in sogno. Una figuro dal volto indistinto, pareva quasi angelica, dai lunghi capelli dorati e un’aura brillante che quasi accecava il mio sguardo, privandomene la vista. Io mi trovavo nel buio più completo, sperduto in un luogo indistinto, tra ombre e oscurità. Ma quell’angelo, avvicinandosi a me, illuminò improvvisamente il mio cammino con una sua lacrima e io ripresi a vedere. E vidi cose meravigliose! Ma di lei... neanche l’ombra. Era sparita nel nulla lasciandosi dietro solo una piccola stella. >> Vidi il suo sguardo spostarsi lungo la stanza fino a raggiungere il comodino, dove vicino alla candela ormai spenta, brillava di vita propria il braccialetto regalatomi da Galadriel.
<< Boromir. >> cominciai intimorita all’idea di infrangere le sue convinzioni, ma non potevo tenere la lingua a freno << Lo sai che probabilmente era solo un incanto di Saruman, non… >>
<< Sì, lo so. >> mi interruppe privandomi della possibilità di proseguire << Ma ognuno è libero di credere a quel che vuole. E io voglio credere che sia stato il fato ad anticiparmi la tua venuta e ad avvertirmi di darti la giusta importanza. >> Abbassò lo sguardo e sorrise appena << Mi conosci, no? Quando un’idea lascia un segno nella mia testa, questo diventa indelebile. >>
<< Già, sì. >> sorrisi << Sei molto testardo. >>
<< Quando ti vidi la prima volta mi colpisti particolarmente. >> un altro sorriso si dipinse sul suo volto, ma questo fu più divertito << Eri davvero strana: non ricordavi niente (o almeno così ci facesti credere), ti guardavi attorno meravigliata anche del più insignificante sassolino, dicevi cose strane e prive di senso, non sapevi usare un’arma, eri spaventata dalla tua stessa ombra. Insomma apparentemente eri abbastanza inutile per la squadra. Ma Elrond ci aveva assicurato la tua importanza, quindi non facevo altro che studiarti (come penso tutti abbiano fatto nella compagnia) per riuscire a trovare queste potenzialità. Potenzialità che accennasti appena qualche volta: solo un occhio esperto poteva cogliere in quei piccoli segnali un grande potere. Un occhio come quello di Legolas e Gandalf, non certo il mio. Per me rimanevi inutile. >>
<< Grazie mille! >> dissi alquanto offesa, ma sapevo bene che aveva ragione. Boromir rise divertito << Inutile ma non per questo da abbandonare. Avevi bisogno di cure più di chiunque altro, io l’avevo visto. Avevi bisogno di una guida e di protezione: eri un cucciolo sperduto. E non potevo certo lasciarti lì, da sola nel tuo mondo di fantasmi e terrori. Mi intenerivi così tanto: dovevo stare al tuo fianco e aiutarti. E poi c’era l’ultimo particolare, il più rilevante a dir il vero: la tua energia. Certo, i primi tempi eri stata abbastanza silenziosa e chiusa, forse per timidezza o timore, ma ben presto vidi in te qualcosa che non vedevo anni: un sorriso. Non un sorriso come tutti gli altri: un vero sorriso! Sincero e pieno di gioia. Erano tempi bui quelli, nessuno più riusciva a sorridere, e tu sei piombata qui come….come una stella! Illuminando il viso di noi viandanti immersi nell’oscurità con la tua gioia e la tua allegria. Ricordo i giochi che facevi con i due piccoletti, come una sorella gioca con i due fratellini più piccoli: desideravo tanto prenderne parte, desideravo tanto tornare a sorridere come facevate tu, Merry e Pipino. Perfino nelle battaglie dimostravi un’allegria inconcepibile per la situazione: scherzavi con la morte, ridevi di essa, tanto da riuscire ad allontanarla. Tanti hanno visto in questo tuo atteggiamento la follia, ma non io. Io vedevo ben altro, io vedevo qualcosa che tutti da anni non vedevamo più e che probabilmente ci eravamo dimenticati cosa fosse: la gioia di vivere. Sophia, io ho riconosciuto subito in te quell’angelo che mi era parso in sogno! Tu stavi illuminando il mio cammino, il NOSTRO cammino, donando calore e luce alle nostre anime afflitte. >> Il suo sorriso trasognato, che fino a quel momento aveva preso possesso del suo viso, si trasformò in uno più malinconico e buio << E trovai ulteriore conferma quel giorno. >> Seppi subito di quale giorno stava parlando: il giorno della sua morte. << La morte che mi stava prendendo rendeva il mondo intorno a me sfocato e indecifrabile, il tuo viso era avvolto dalla nebbia, non riuscivo a coglierlo perfettamente. Ma vedevo l’aura brillante intorno a te, probabilmente era il sole alle tue spalle. E poi….la tua lacrima illuminò il mio cammino, tu sparisti, trascinata via dalle ombre, lasciandoti dietro solo una piccola stella. Un braccialetto luminoso, regalo degli elfi. I miei occhi cominciarono a vedere: capii. Dovevo sopravvivere, dovevo farlo per te e per questa magnifica terra. Tu mi avevi donato della vista. Poi, una volta ripresa conoscenza, e scoperto che eri stata trascinata via dagli orchi verso Isengard, capii che anche io avevo un ruolo in tutto questo: dovevo proteggere l’unica fonte di luce che ci fosse stata mandata. Dovevo correre a salvarti per permetterti di portare calore e luce a tutti gli altri e donare questa terra di nuova vita. >>
<< Boromir, mi stai idealizzando troppo. >>
<< No, Sophia! >> mi disse deciso, tanto che mi spaventò << No! Non ti sto affatto idealizzando! Tu sei stata mandata qui dai Valar per vegliare su tutti noi e aiutarci! Lo so! Ne sono certo! >>.
<< No! E’ stato Saruman >> dissi scandendo bene le parole << IO ho chiesto di venire qui per avere una possibilità di salvarti, SARUMAN mi ha portato qui. Non ci sono Valar di mezzo! Né tanto meno angeli! E non sono certo quel profeta che credi che sia. >>
<< Questo è quello che credi tu! Ci sono tante cose nascoste ai nostri occhi, non tutte sei in grado di vederle. >> Improvvisamente mi ricordai di Faramir. Anche lui, la sera prima, nel vedermi, mi aveva attribuito il ruolo di angelo mandato da sua madre per vegliare sulla sua famiglia. Doveva essere un vizio di famiglia quello di considerare Apostoli tutti quelli che aiutavano qualcun altro.
E se invece avessero avuto ragione?
Cosa mi aveva spinto quel giorno a comprare quel libro? Cosa mi aveva spinto a leggerlo? Cosa mi aveva spinto a sorbirmi 12 ore di film? Se veramente fosse stato tutto scritto nel destino? Mi portai una mano alla fronte e negando debolmente sghignazzai << Sciocchezze. >>
Non era possibile! Come poteva una forza invisibile guidare i miei movimenti e i miei sentimenti in un arco di tempo così lungo e variabile? No, era assolutamente impossibile. Perché proprio me, poi? Cosa avevo di così speciale? La gioia di vivere? Il mondo ne è pieno di gente come me!
<< Io credo di no. >> intervenne lui assumendo un sorriso compiaciuto, come se avesse raggiunto un traguardo (o lo stesse per raggiungere) << Non ti basta tutto ciò che ti ho detto? Non ti basta come prova l’avermi salvato la vita? Non ti basta come prova l’aver salvato la vita di mio fratello? >>
<< Chiunque l’avrebbe fatto. E poi, come ti ho già detto, mi stai idealizzando troppo. Vedi i miei successi e non i miei errori: tuo padre è morto, e io non sono riuscita a portare “luce e calore” in lui, come dici tu. >>
<< Tu invece vedi i tuoi errori e non i tuoi successi. Mio padre era già morto. Tanti anni fa. Non potevi fare niente, prima o poi il suo corpo avrebbe ceduto lo stesso. Se non oggi, domani. Era tutto scritto nel destino. >>
Quei discorsi mi stavano stufando, era impossibile riuscire a farlo ragionare. Uomini privi di speranze e spiegazioni logiche tendono ad aggrapparsi a soluzioni illusorie e fallaci, create dalla potenza dell’immaginazione. E’ il loro unico modo di sopravvivere: la loro essenza rimarrebbe schiacciata dall’oscura, pesante verità. Ognuno tende a proteggersi come può.
E così stava facendo lui: si aggrappava a ragioni insensate, dandomi una natura divina pur di nascondere l’egoismo puro che aveva portato a muovere i miei passi.
Mi alzai dal letto staccandomi dalle sue braccia: ora più che mai avevo bisogno di muovermi e camminare all’aria aperta per liberare la mente. Boromir non si oppose, mi lasciò fare guardando ogni mio singolo movimento mentre cercavo di rivestirmi. Nessuno dei due proferì parola fino a quando non afferrai la maniglia della porta per poterla aprire e poter uscire.
<< Sophia. >> mi chiamò lui attirando la mia attenzione << Tu sei stata mandata qui per vegliare su di noi, qualunque siano le ragioni a te manifeste, è questa la verità. Tutti qua la pensiamo allo stesso modo: hai rischiato la vita più volte per assicurarla a noi. Questa non è una cosa che farebbero tutti. Hai sacrificato tutto ciò che potevi sacrificare pur di garantirci un sorriso sul volto. Non è così? >>
Titubai. Aveva ragione. Aveva pienamente ragione.
<< E tutt’ora la tua anima non trova pace, benché tu abbia avuto ciò a cui più ambivi, perché non riesci a cogliere nei tuoi ricordi il sorriso di TUTTI i tuoi compagni incisi nel futuro. Non è così? >>
Come faceva a sapere? Sorpresa mi voltai e lo guardai interrogativo, ma non ebbi il tempo di parlare che lui mi anticipò.
<< Ormai posso dire di conoscerti. Ora che conosco tutti i tuoi segreti i tuoi pensieri non mi sono più così oscuri. Tu non ricordi, e temi per la vita dei tuoi compagni, non è così? >>
La mia pazienza stava raggiungendo un limite. Non che LUI mi irritasse, ma i suoi discorsi sì! Perché aveva stramaledettamente ragione! Non ricordavo e avevo una paura folle che qualcuno potesse morire.
<< Perché tu no? >>
<< Certo. Sono terrorizzato all’idea che la morte possa prendere uno di noi. >>
<< Lo vedi? Non siamo tanto diversi io e te. >> risposi risoluta, il suo discorso non aveva né capo né coda. Si stava arrampicando sugli specchi: io non ero un angelo! Ero una semplice ragazza mossa dall’egoismo, dalla bramosia di poter possedere ciò che non mi apparteneva.
<< No, Sophia. Ti sbagli ancora. Noi siamo tutti sulla stessa barca, navighiamo nell’ombra. Non sappiamo ciò che il futuro ci porterà. Tu invece no! Tu SAI e tu poi MODELLARE il futuro conoscendone gli esiti. L’hai già fatto e lo farai ancora. >>
<< Io non ricordo!! >> quasi urlai mossa dall’ira. Perché si ostinava a non credermi? Perché non capiva che io ero una come loro, non un essere angelico, non un essere divino. Io ero umana, esattamente come loro. Non avevo nessun potere, solo tanta fortuna! Fortuna che ora come ora mi stava abbandonando.
<< Cecità momentanea. Ricorderai. E allora agirai. >>
Niente, era tutto inutile.
<< Questa discussione si è conclusa molte parole fa. >> brontolai stufa e abbassai la maniglia della porta mettendo un piede fuori dalla stanza. La brezza mattutina era ancora molto fredda, nonostante tutto però sentivo il calore del Monte Fato nascosto tra i soffi gelati. Carezza presagio di morte. Poco tempo restava, e allora….sarebbe giunta la fine.
<< Sophia. >> mi richiamò ancora. Che altro voleva? << Se questa notte sei stata qui con me, in questo letto, non è stato per innalzarmi ai Valar, né tanto meno per renderti grazie. Solo questo voglio ti sia chiaro. >>
<< Molte grazie. >> dissi sarcastica e uscii a fare due passi, chiudendomi la porta alle mie spalle. Ero alquanto intrattabile quella mattina, vedere nelle mie conoscenze il buio assoluto mi aveva reso fragile di nervi e poco tollerante. A dir il vero era già da tempo che avevo perso la “luminosità” di cui parlava Boromir. Da quando avevo assistito alla sua presunta morte ero mutata completamente. Non avevo più sorriso da allora se non alla festa del fosso di Helm, ma probabilmente lì erano stati i fumi dell’alcool. Ero partita con le migliori intenzioni, ero partita con la gioia nel cuore causata da una libertà mai provata prima. Mi ero sempre sentita libera, forse ecco dov’era il segreto. Avevo il compito di salvare Boromir ma era sempre stato così lontano quel giorno ai miei occhi che non me n’ero mai preoccupata. Ora sapevo che il mio ruolo era un altro. Avevo scoperto pian piano di aver avere un certo valore e significato dentro quella storia, non ero una semplice intrusa: io ero la mano che cancellava le parole e le riscriveva.
L’avevo capito da tempo, ma mai con così tanta consapevolezza. Avevo tra le mani un tesoro inestimabile, quale la Terra di Mezzo, e potevo farne ciò che volevo. Era stata questa scoperta a cambiarmi completamente e caricarmi di un energia mai vista prima, energia che mai avevo avuto modo di conoscere dentro di me. Mi ero trasformata improvvisamente in una Signora dallo sguardo serio, dimenticando il significato della parola gioia. Ecco tutto.
Boromir aveva ragione.
E l’averlo capito, molto, molto tempo prima, mi aveva fatto perdere ciò di che avevo di più prezioso. Questa verità mi uccideva.
Per questo desideravo tanto cancellare dalla mente di tutti quella mia immagine tanto potente, preferivo di gran lunga essere “Sophia la simpatica folle imbranata” che “la Signora della preveggenza”. Il potere non mi si addiceva per niente, era un vestito che mi andava stretto.
Ma dovevo ancora aspettare. La Signora della preveggenza aveva ancora un ruolo importante in questa storia, aveva ancora del lavoro dal svolgere per garantire una vita serena a Sophia la simpatica folle imbranata.
Non era ancora tempo.

   
 
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