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Autore: Raggedy Moon    24/03/2012    1 recensioni
Abbandonare una persona, a volte, può essere l'unica soluzione per donarle una vita che sfiori la serenità.
In puro stile George Lucas, ecco il prequel alla vicenda di Clopin
Genere: Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I stay, I pray, to see you in Heaven one day.
I stay, I pray, to see you in Hell far away.


Devi abbandonarlo, lo sai.
Devi, ma non lo fai. 
È già stato con voi per troppo tempo. Avete già rischiato troppo.
È il figlio bastardo. Il frutto di un peccato troppo grande. È proibito: lo sai bene. Un angelo ed un demone non si possono unire, sono nemici.
SIAMO NEMICI.
Tutto ciò che ti hanno sempre insegnato è falso: l’Amore non vince.”


Una porta che sbatteva fece sussultare la donna angelo, interrompendo il flusso dei suoi pensieri. Un demone, vestito come un umano, entrò nella piccola stanza dalle pareti di pietra. Il cappuccio della felpa calato sul viso ne nascondeva i lineamenti, ma per quanto tentasse di celarsi, la donna conosceva ogni tratto di quel volto: l’aveva amato, accarezzato, baciato, e non poteva cancellare i segni che il peccato che avevano commesso insieme aveva lasciato incisi nella sua anima.
“Non sei ancora pronta?” La sua voce era dura; mai una sola lacrima era scesa dai suoi occhi, e non sarebbe successo nemmeno ora che stava per abbandonare suo figlio. Aleksandra, ancora vestita come usavano gli angeli, di bianco splendente, poco adatto per camminare tra gli umani, cullava un neonato: il suo volto era segnato da tatuaggi neri, indice del fatto che egli fosse un figlio del peccato.
“Allora? Vuoi darti una mossa?” Il bambino si agitò nel sonno, come se fosse stato disturbato tra le parole brusche del padre.
“Non farlo agitare, non voglio che si svegli.” La voce di Aleksandra era ferma, nonostante la tristezza. Lasciando il bambino in una culla, la donna andò in una stanzetta laterale per cambiarsi.
Eric rimase solo con il figlio. In un momento di rabbia, allungò un braccio sferrando un pugno contro il muro di pietra: ignorò il dolore, dopotutto era un demone.
“Adesso non vuole nemmeno più spogliarsi davanti a te. Una volta ti amava, ma ora?
L’hai persa, e stai per perdere anche lui.”
Si avvicinò alla culla, carezzando con un dito i segni neri sul volto del figlio. “Scusa…” mormorò. Sapeva di avere commesso una colpa troppo grande per un demone come lui: non gli piaceva dover sempre fare la parte del cattivo, ma quello era l’unico ruolo che sapeva interpretare alla perfezione. Certo, di vite ne aveva rovinate parecchie, ma quella di un bambino, del suo bambino, era troppo.
Appena Aleksandra rientrò, lui si allontanò dalla culla. Ora che anche lei sembrava una semplice umana, potevano andare.

Senza un rumore, i tre scomparvero, per riapparire poco dopo nel centro di un piccolo paesino francese: lì, nell’orfanotrofio locale, avrebbero abbandonato il piccolo.
“Vai solo tu.” Eric non si scompose: non voleva salutare suo figlio, non voleva vederlo tra le braccia di uno sconosciuto. Avevano discusso a lungo riguardo all’abbandono, ma alla fine lei aveva prevalso: il bambino avrebbe vissuto tra gli umani, poiché, essendo figlio di due razze nemiche, nel mondo ultraterreno non avrebbe avuto né patria né serenità. L’orfanotrofio, però, era stato scelto da lui: lì viveva una donna, figlia di antiche tradizioni, che forse avrebbe potuto mettere in contatto suo figlio con lui stesso ed altri demoni; si fidava di Jorinne.
Eric rimase nella piazza, seduto su una panchina. Solo quando Aleksandra girò l’angolo, lui scomparve. La donna, non appena si accorse dell’assenza del demone, abbandonò le vesti da essere umano: la luce che gli angeli, per la loro natura, irradiavano, illuminò il vicolo in cui si trovava l’entrata dell’orfanotrofio. Nonostante l’aura luminosa di Aleksandra fosse più flebile a causa del peccato che aveva intaccato il suo animo, fu sufficiente a permetterle di leggere l’insegna: ORPHELINAT MARIE PUOLAIN.
La donna bussò alla porta e venne ad aprirle un ometto spettinato, con un viso sveglio e gioviale, che nono si stupì della luce innaturale che illuminava il vicolo.
“Buona sera, signorina.”
Aleksandra lo guardò porgendogli il bambino. “Raccontategli di me, quando sarà adulto.”
Senza dire altro, la donna scomparve, mentre l’uomo, chiudendo la porta, chiamò una giovane infermiera, Jorinne, perché si prendesse cura del nuovo arrivato. Lui si chiuse nel suo studio per preparare le carte necessarie, e decise che il bambino si sarebbe chiamato Clopin. Nessuno, né lui né gli infermieri, si curò dei segni sul viso del neonato.

Intanto, nel luogo di luce dove dimorano gli angeli, Aleksandra sperava ardentemente di rivedere il proprio figlio, un giorno, in quello stesso posto dove lei adesso viveva, e di stare in pace con lui. Sapeva che quel pensiero era sbagliato e la sua speranza era vana.

In quello stesso momento Eric, rifugiatosi nel fuoco del centro della Terra, aveva la certezza che, un giorno, avrebbe rivisto suo figlio. Un mago oltrepassò le mura fiammeggianti che circondavano il demone, portando con sé un grande specchio. “Sei pronto?” Domandò lo stregone.
“Sì.”
Dopo una serie di incantesimi, luci e scoppi, Eric si trovò intrappolato dietro allo specchio, senza possibilità di uscire: avrebbe fatto di tutto per poter, un giorno, rivedere suo figlio. Mai un demone aveva compiuto una simile azione: forse, conosceva altre parti oltre a quella del cattivo.




Ebbene, ecco qui, in puro stile George Lucas, la prima "puntata" della storia di Clopin (che devo ancora concludere, lo so).
Come sempre, ringrazio AmazingFreedom e Com Amely Jarjayes per aver corretto la bozza e per aver sopportato i miei dialoghi con me stessa durante la stesura di sti due fogli C:
E sì, prima di scrivere la storia avevo visto "Il favoloso destino di Amelie Puolain".
E sì, la citazione all'inizio è una parte modificata della canzone "Moonlight Shadow" di Mike Oldfield.
E sì, ho finito di dir cavolate.
   
 
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