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Autore: Shibahime    19/04/2004    1 recensioni
Una Fanfiction a cui tengo tanto, ua storia nata dopo aver visto un telegiornale che ha segnato la mia vita infinitesimale rispetto al mondo...e alla morte.
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Questa fan fiction è nata mentre cercavo di addormentarmi e, anche se non so come, si è sviluppata tanto da non lasciarmi più un briciolo di sonno e da accendere il pc e buttarne giù una prima copia.
Buona lettura e spero vi piaccerà…

Shibahime


Una notte di luna piena dopo un giorno tinto di sangue


Il cielo di agosto, terso e affollato di stelle brillanti, era dominato dalla rassicurante e misteriosa presenza della luna piena. Si udivano risate allegre e sguaiate, urla festose e un po’ rissose, ululati di cani disturbati dal grande caldo.
Una ragazza, vestita con una semplice camicia da notte di cotone, di foggia molto pudica, lunga fino alle caviglie e con una scollatura a V, stando seduta sull’abbaino dell’attico di un vecchissimo condominio del celebre quartiere di Montmartre, osservava e ascoltava Parigi dall’alto con un sorriso triste dipinto sul viso altero e d’ altri tempi.
Alle sue spalle, illuminati dalla luna, si potevano individuare un letto matrimoniale in ferro battuto sfatto, addossato alla parete ormai usurata dal tempo, un comodino sullo stesso stile, un armadio antico, una poltrona malandata con un puf ridotto ancora peggio e, in un angolo, un piccolo cucinino con un tavolo per due, la parte più nuova del monolocale.
I servizi si trovavano sul corridoio in comune con altri due appartamenti, ma era già tanto che ci fossero.
Ma l’elemento più importante di tutta la stanza, posto per questo in centro, era il pianoforte a coda, nero e lucido. Su di esso erano presenti due cornici, recanti una foto ingiallite di una coppia con una bambina, seduta su un’altalena, e quella di un ragazzo bellissimo abbracciato in spiaggia a quella che doveva essere stata la bambina, diversi spartiti lasciati senza un ordine possibile, un foglio candido, una matita tenera e un vaso di eccellente manifattura rovinato solo da tre rose gialle ormai appassite.
Quando l’aria divenne priva di qualunque suono, la ragazza, chiamata Jean, in onore alla più celebre Jeanne d’ Arc, si alzò repentinamente, ergendsi nella sua statura e si spostò sulla sedia spaiata che stava davanti al pianoforte, pigiando inavvertitamente il do centrale. Come incantata, posseduta da una forza maggiore, senza l’uso degli spartiti che si trovavano vicinissimo alle sue mani sottili, sul cui anulare brillava una semplicissima vera di oro rosa, cominciò a suonare una melodia splendida: dolce, struggente, eppure forte, capace di trasmettere, nell’intrico delle note, altre sensazioni in base al proprio orecchio musicale. Anche Jeanne era rimasta turbata da quello che le sue mani avevano fatto, i suoi occhi ambrati erano lucidi.
Dopo aver osservato la sua immagine riflessa sul nero lucido, e sorridendole mestamente, raccolse i fogli scritti da un mano evidentemente nervosa e maschile e se li portò al cuore.
D’un tratto, notò il lampeggiare della segreteria telefonica, e stacamente si diresse verso di questo. Premuto il pulsante, si apprestò ad ascoltare le egistrazioni appoggiata al vecchio muro in più punti scrostrato, nonostante lei e Marc avessero da poco passato una mano di bianco.

I° Messaggio

<< Biiiiiiip…Ciao Jeanne! Sono Adèle. Come stai? Volevo chiederti se Marc è tornato dal suo viaggio…devo sottoporgli una questione moto urgente e importante…non lo sento da un po’, ma dovrebbe essere tornato con l’ultimo treno, no? Per favore, richiamami. Bacioni e riguardati! Biiip…>>

Messaggio lasciato alle ore 10.24 a.m. dell’11 marzo.

Jeanne sospirò pesantemente e si portò la mano agli occhi.

II° Messaggio

<< Biiiiiiiiip…Ciao Jeanne…Sono Françoise. Stai bene? Ho bisogno di parlarti…quando ci possiamo incontare? Bacioni. >>

Messaggio lasciato alle ore 12.35 p.m. dell’11 marzo.

Françoise era la mamma di Marc, l’uomo che amava e con cui era sposata. Era rimasta incinta del bel ragazzo ancora adolescente e ora, a 43 anni, era ancora una bella donna dai profondi occhi blu, solare ed energica, che adorava, ricambiata, il figlio. Dal tono del messaggio, sembrava una cosa piuttosto grave, come era nella realtà. Infatti era stata raggiunta da una sua chiamata via cellulare nel pomeriggio, mentre stva cercando nei negozietti della Rive Gauche il regalo per il I° anniversario di matrimonio dadare a Marc l’indomani.
Le due donne si erano date appuntamento in un bar poco affollato di quel quartiere per parlare di ciò che era accaduto.

III° Messaggio

<< Biiiiiiiip…Jeanne…ho visto il notiziario…non sarà mica successo quello che penso io, no? Non posso rimanere nel dubbio! Marc era a Madrid…o no? Ti prego, rispondimi! O penserò per il peggio! Come farai senza di lui? Ah, hai capito chi sono, sono sempre Adèle!>>

Messaggio lasciato alle ore 16.35 p.m. dell’11 marzo.

No, purtroppo era successo proprio quello che lei pensava. Gliel’aveva sbattuto in faccia, come al suo solito, una Françoise in lacrime, il viso sfatto, senza trucco. Sembrava invecchiata di 30 anni tutto d’un colpo. Jeanne si chiedeva cosa l’avesse spinta a uscire di casa per parlarle…sarebbe stato meglio parlare a casa, con quella faccia!
“ Jeanne, ciao, cara!”. L’aveva accolta con due baci sulle gote appena truccate, sulla porta del locale, praticamente vuoto nel pomeriggio di marzo. Era un locale nostrano, tipico dell’ambiente parigino della Rive Gauche, con i tavolini verde scuro intonati alle pareti di legno. Decisamente, erano i locali che Jeanne non sopportava. Oppressivi, chiusi, poche finestre e luci fioche. Il cibo, inoltre, era tropo aromatizzato per i suoi gusti. Marc e Françoise, però, adoravano quei posti e spesso, quando s’incontravano nelle pause pranzo, si recavano qui. Françoise la guidò verso un tavolo molto molto appartato, sul quale stava la sua borsetta, straripante di fazzolettini di carta pronti all’uso, e una bottiglia di scotch.
Scotch? Da quando bevevano? Jeanne non reggeval’alcool in nessuna sua forma, era astemia e sapeva che anche sua suocera lo era. Cos’era questa novità?
“ Siediti, carissima. Vuoi un bicchierino? Poco poco, per prepararci…”.
“ No, grazie. Lo sai che ora non posso bere. Lo danneggerei!”
“ Oh sì…vedi, ho ricevuto una telefonata che ci interessa in modo particolare…hai visto il notiziario di mezzogiorno?”
“No, ero a lavoro. Poi, sai, sono uscita a comprare il regalo per Marc…” Fece per tirarlo fuori dalla borsetta ma:
“No, non ti disturbare. So che qualcunque cosa gli avessi comprato, a lui sarebbe piaciuto.”
“Perchè usi il condizionale e l’imperfetto? Domani verrà e vedrà! Domani abbiamo anche il controllo…”
Françoise impallidì di brutto e il bicchierino le cadde a terra frantumandsi in mille pezzi e tingendo il pavimento di rosso.
“ Jeanne, vedì…Marc è morto in un attentato terroristico a Madrid, stamane.” La sua voce era diventata improvvisamente grave e triste, e si era incurvata quasi portase un fardello invisibile sulla sua piccola schiena.
“…”
“ Jeanne…mi rispondi?”
No, non poteva essere! L’unico uomo che l’avesse amata, l’unico amante che avesse avuto, l’unico amico che mai avesse posseduto, il padre di quel figlio che doveva nascere, non sarebbe mai tornato?!
Gli occhi le si erano annebbiati e la memoria era tornata al passato, mentre Françoise le toccava dolcemente e con preoccupazione il braccio morto.
“…Era una giornata di sole estiva e Jeanne era in vacanza al mare con un gruppo di amiche. Aveva appena fatto l’esame di maturità, che aveva superato con il massimo dei voti, e stava pensando ancora a cosa avrebbe potuto fare all’università.
Erano andate al mare per trascorrere una giornata allegra, ma mancando Michelle, il pagliaccio del gruppo e allora migliore amica di Jeanne, ella non si stava divertendo. Decise perciò di allontanarsi dal gruppo.
Indossava un costume intero rosso, sgambato, che valorizzava le lunghe gambe toniche, gli occhi verdi nel bel viso dalla carnagione chiara, mentre i capelli rosso tiziano erano raccolti in un cappello a larghe falde di paglia.
D’un tratto, camminando scalza sulla sabbia calda, notò, nel punto in cui la costa diventava più scoscesa e rocciosa, una sagoma da cui proveniva il suono armonioso e caldo tipico del violino. Jeanne, come un serpente incantato, si diresse verso questa sagoma, l’incantatore di serpenti, inerpicandosi sulla costa dove cominciavano a crescere sterpaglie e erba, fino ad accorgersi ch la sagoma era quella di un ragazzo, e che ragazzo!
Moro, occhi chiarissimi, più dei suoi e il bel viso, dai tratti fini, abbronzato, era contratto dall’attenzione alla melodia e alle note che componevano la Gavotta .
Alto, magro, vestito con un paio di bermuda verde marcio ed una camicia bianca leggermente aperta sul davanti, il ragazzo la guardava con attenzione mista a sorpresa.
Dalla sua faccia, sembrava che Jeanne l’avesse appena colto in fallo sul luogo della marachella, ma non era affatto così!
Jeanne, però, non riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere, mentre il ragazzo la guardava un po’ offeso, tenendo il violino per il collo, delicatamente.
Ricomposta, Jeanne gli chiese scusa sorridendo:
“ Scusami, ma hai fatto una di quelle facce! Stavi suonando una canzone splendida, Le Gavotte I e II della Suite n.3 in re maggiore di Bach, vero? Suoni proprio bene, con sentimento. L‘unica cosa che sbagli, è il do diesis. Tu lo fai naturale…ma senza gli spartiti non è affatto grave…” Gli spiegò sorridendo serenamente. A quando l’aveva incontrato, tutta la voglia di fare qualcosa di divertente le era passata. Quel ragazzo le bastava per stare bene. Un attimo: non si era mica innamorata a prima vista, vero? No, perché conoscendo la sua proverbiale sfortuna, sicuramente il tipo sarebbe stato un arrogante, presuntuoso, figlio di papà…, però Jeanne sperava.
“ Ma tu come fai a saperlo?” Le rispose, se si può definire risposta, il giovane.
“L’ho suonata al pianoforte due anni fa, ad un concorso. Mi chiamo Jeanne, piacere.” E la nostra amica gli porse la mano sorridendo ancora una volta.
“Sul serio? Io sono Marc. Faccio il musicista, mi sono appena diplomato al Conservatorio. Il piacere è mio…non ho mai incontrato una ragazza con questa conoscenza della musica…ho fatto spesso da asociale, anche se in realtà non lo sono…” Il ragazzo rise, scoprendo i denti bianchissimi e regolari.
La loro storia era nata a poco a poco, accumunata dalla passione per la musica, ma da tantissimi altri interessi, dapprima ancora in vacanza, poi, scoprendo di vivere addirittura nello stesso quartiere, nei parchi e nei bar di Parigi. I due si erano poi resi conto che i loro incontri piuttosto filosofici non erano sempre dettati dall’interesse per l’argomento, bensì dall’interesse per l’altra persona. Lo stesso giorno, a sei mesi dal loro primo incontro, Jeanne e Marc si rivelarono il loro amore timorosamente, semplicemente, per paura di non essere corrisposti e di rovinare quel rapporto. Entrambi però sapevano, nel profondo del loro cuore, che non sarebbero stati rifiutati, perché avevano trovato la loro anima gemella, come diceva ….. nel Simposio:
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Vissero momenti felicissimi, intuendo che sarebbero stati pochi nella loro vita. Non per un’ opposizione da parte dei rispettivi genitori, ma dalla loro convinzione che, convivendo, dovevano riuscire a fare tutto da soli.
Jeanne, studiando ancora Belle Arti, aveva poco tempo e lo utilizzava studiando o dando ripetizioni di piano nell’appartamento che avevano comprato lei e Marc.
Marc, laureatosi da pochissimo in giornalismo, sognava però di fare il musicista a tempo pieno e, dopo qualche anno di gavetta in localucci senza nome, era riuscito a sfondare accompagnato da un violoncello e da un piano, a cui sedeva, a volte, anche Jeanne. Quando non studiava, lavorava da un vecchietto tenendoli i conti e scriveva articoli sul giornale di quartiere. Con quei soldi, Jeanne e Marc riuscivano a sbarcare il lunario.
Si amavno tanto e a loro bastava, non potendosi concedere alcun lusso, incontrarsi e coccolarsi alla sera, prima di andare a letto per una giornata successiva sfiancante quanto quella precedente.
La vita stava diventando una routine, quando Jeanne, riuscitasi a laureare, aveva vinto un concorso di piano con il montepremi costituito da un viaggio a Lisbona e ad un assegno di 500 €.
Si erano diveriti tantissimo in quella bellissima capitale e Marc si era accorto di non poter più vivere senza Jeanne. Una sera di luna piena, in riva al mare, sfoderò il suo più bel sorriso e, in ginocchi con una vera in oro rosa in mano, le chiese di sposarlo.
Jeanne era contentissima: desiderava passare tutta la sua vita a fianco di quell’uomo così splendido e si pentiva di quello che aveva pensato di lui al loro primo incontro.
Jeanne era contentissima: desiderava ardentemente passare tutta la sua vita a fianco di quell’uomo cosìs plendido e si pentiva di quello che aveva pensato di lui al loro primo incontro.
Il matrimonio era stato semplicissimo ma molto bello.
Jeanne, vestita di panna, come ogni sposa che si rispetti e con i capelli tenuti da una tiara appartenuta alla sua defunta madre, aveva risposto alla domanda del parroco senza incertezza, con un sorriso che le illuminava il bel volto appena abbronzato, dato il mese di luglio.
Marc, in classico frac nero, senza cravatta né farfallino, l’aveva guardata a lungo, rapito, prima di ripetere la risposta della sua amata. Il pranzo era stato allegro, dominato dalla felicità e dalla gioia. I genitori, soddisfatti del proprio genero/ nuora, avevano bevuto un po’ troppo e alla fine del pranzo i neosposini avevano dovuto riportarli a casa. Non era stata una cosa propriamente romantica, ma erano stati felici lo stesso.
La loro notte era stata splendida, piena di dolcezza e desiderio, come tutta la loro storia, del resto.
La vita era poi ripresa normalmente, dato che Jeanne e Marc non volevano andare in viaggio di nozze.
Dopo aver tanto risparmiato per l’acquisto dell’appartamento, entrambi cercavano di finire al più presto il lavoro quotidiano per tornare a casa e cercare di migliorare lo stato: le tubazioni erano vecchie, la pittura si scrostava, il pavimento era rovinato; ma piano piano, era diventato sempre più accogliente e Jeanne e Marc avevano messo in progetto un bambino.
Nel frattempo, Jeanne, a soli 26 anni, era riuscita a trovare un lavoro, attraverso il ministero, in uno dei musei del quartiere, così era molto vicino a casa ed aveva uno stipendio fisso.
Nel tempo libero, davvero aumentato rispetto a quello degli anni precedenti, si dedicava alla ricerca di nuovi patrimoni da salvare e di vecchi dischi in vinile di musica classica.
Marc aveva finalmente cominciato a scrivere la sua opera, che provava spesso al piano. Quando meno se lo aspetteva, arrivava l’ispirazione e Marc, per non farsi cogliere impreparato, aveva sempre un block-notes in mano. Era riuscito ad ottenere un posto in un importante giornale parigino ed era molto felice.
L’epoca, splendida sotto tutti i punti di vista, si chiuse con due eventi altrettanto importanti: Jeanne si era accorta di essere incinta, mentre a Marc era stata fatta un’offerta…
Era una sera come le altre e i due innamorati stavano cenando, quando squillò il telefono.
Marc rispose al telefono sorridendo per la pasta al forno bruciacchiata di Jeanne. Dall’altro capo del telefono una voce grave e profonda, simpatica, lo invitò a partecipare ad un provino per un posto fisso in un’orchestra itinerante. Esso si svolgeva a Valladolid, in castiglia-Leon, durante la 1^ settimana di marzo.
Dopo un attimo di smarrimento, Marc ringraziò calorosamente l’uomo e si informò sul giorno e l’ora precise del provino, l’occasione che aspettava da tutta la vita e che ora si poteva realizzare. Successivamente, posata la cornetta, abbracciò stretta stretta la sua sposina, ancora ignaro che questo suo sogno l’avrebbe portato alla morte…
Marc si mise subito all’opera per comporre un’opera inedita, in modo da sfruttare il fattore sorpresa rispetto gli altri partecipanti, e si dedicò anima e corpo in questa opera, aiutato nei passaggi difficili o comunque moralmente, con un caffè, un bacio, una carezza, da Jeanne, che si appesantiva ogni giono di più per il frutto del loro amore incondizionato.
Marc le aveva più volte proposto di andare con lui, di fare il loro viaggio di nozze cogliendo questa occasione, ma Jeanne si faceva scrupoli per il lavoro, dato che era stata appena inaugurata una importante mostra, e per i soldi che lui e lei avrebbero speso in quel viaggio.
E venne il giorno della partenza: soleggiato, un poco ventoso, e all’aereoporto di Parigi si erano raccolti tutti i più grandi amici di Mrc, i compagni di suonate, di bravate, la mamma e la moglie. Era stato un addio festoso, allegro, pieno di battute e di “in bocca al lupo” sinceri, sentiti, inconsci che quello sarebbe stato veramente l’ultimo saluto ad un grande.
Jeanne ci teneva a salutare il suo amore, perché sentiva uno strano presentimento e voleva auguragli buona fortuna prima della partenza.
Si era anche fatta copiare gli spartiti su altri fogli, come ricordi, e aveva raccolto quelli del marito all’interno di una cartellina monogrammata.
Marc, dal canto suo, aveva lucidato più volte Flaubert, il suo violino, fino a renderlo splendente e, ripostolo all’interno della sua custodia in cuoio, aveva preparato una valigetta per quei quattro giorni di assenza da casa.
Si erano salutati allegri, pieni di aspettative per un nuovo futuro, più sicuro, più felice, più roseo…
- Jeanne, amore! Stai attenta a te e al pupo e pensami tanto. Vedrai che vincerò!- le aveva detto sorridendo, consapevole della sua arroganza. Però, nei suoi occhi, si era accesa una sfumatura di scherzo e di tenerezza, quando il suo sguardo si posava sul ventre appena arrotondato di Jeanne.
Lei lo abbracciò stretto stretto:
- Sono sicura che vincerai! Se non lo farai, stai sicuro che il tuo pupo non ti riconoscerà come padre! Stai attento e cerca di mantenere la calma. Quando sei in crisi, stringi questo.- e la dolce mogliettina gli allungò un medaglione con su scritto le loro iniziali con la foto del loro incontro, fatta scattare da un pescatore del luogo.
Si guardarono a lungo, ignari della tragedia, ebbri solo della felicità per la nuova esperienza…”
Jeanne si risvegliò da quell’enorme flashback, ritrovandosi in quella locanda opprimente e, mentre il suo senso di nausea aumentava, posò gli occhi verdi, da cerbiatta, sul volto preoccupato di Françoise.
Ella le stava dicendo che Marc aveva deciso di partire prima del suo charter delle 20.30 di quella stessa sera per arrivare dalla sua amata al più prsto, e aveva trovato posto solo su un treno con scalo a Madrid. Il treno che l’avrebbe poi portato alla morte.
La ragazza pronunciò solo: - Lo sapevo già.-, si alzò dal tavolo e uscì all’aperto.
La sua affermazione era dovuta al fatto che quella stessa mattina, prima di uscire di casa per lavorare, circa alle 8.15 del mattino, le era caduta inspiegabilmente a terra una delle foto incorniciate che possedeva di Marc. Inoltre, aveva sentito un senso di angoscia opprimente attanagliarla quando i vetri si erano frantumati a terra.
Stranamente, il sole era sparito dietro grandi nubi nere e minacciose che sembravano partecipare suo destino crudele, troppo grande da sopportare da sola. Ah già, lei non era sola.
C’era il frutto del loro amore nel suo grembo, che grandicello avrebbe saputo che suo padre era morto innocentemente per mano di assassini in una stazione di Madrid, dopo aver superato brillantemente un provino per l’orchestra viaggiante di Valladolid.
E Jeanne si allontanò per i vicoli di Parigi, sorridendo mestamente, dimentica di tutto il mondo esterno, immersa nelle sue disillusioni e nei suoi ricordi, uniche cose che l’avrebbero potuta salvare dalla disperazione per la perdita di quel meraviglioso ragazzo che tanto aveva amato e che per tutta la vita avrebbe rimpianto.

  
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