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Autore: Stella Di Mezzanotte    24/03/2012    9 recensioni
Ci sono persone che non si dimenticano mai. Possono passare, mesi, anni ma loro rimangono lì, nel tuo cuore. Cosa c’è di più bello dei ricordi? Grazie a quelli uno scrittore decide di scrivere un libro sulla sua migliore amica, di cui è sempre stato innamorato e che non vede da quindici anni. Il suo pensiero arriverà a destinazione?
" Nel tuo libro scrivi… "
" Bella, mi ami? " ho scritto questo nel mio libro, ma non ottengo risposta.
" Questa domanda aleggerà per sempre nel tempo e nella mia mente. Vorrei che questo mio pensiero prendesse il volo e la raggiungesse, anche solo per farle sapere che in questo mondo ci sono ancora anch’io, che l’ amo come nessuno farebbe mai. " smise la lettura e gettò il libro sul divano.
" Il mio pensiero ti ha raggiunto? " le domandai piano.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alice Cullen, Edward Cullen, Isabella Swan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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        Il mio pensiero ti ha raggiunto?

 

 

 

 

Busta bianca con il logo del ristorante cinese, barba incolta sul viso e profonde occhiaie sotto agli occhi. Il mio aspetto non era dei migliori, sembravo un povero barbone in cerca di un ponte dove rifugiarsi per la notte. Rallentai il passo e svoltai l’angolo, cercando di superare in fretta la vetrina del negozio di dvd a noleggio. Non potevo sopportare un altro dei sorrisi melensi di Molly. Con una veloce occhiata mi accorsi che era intenta a passarsi lo smalto sulle unghie, così mi defilai velocemente prima di essere visto.  Continuai la mia passeggiata notturna e mi tirai su il cappuccio della felpa, naturalmente aveva ricominciato a piovere. Non poteva aspettare ancora due minuti? Ma si sa, le sfortune non arrivano mai da sole, quindi mi ritrovai con un lato del corpo completamente fradicio. Un maledetto taxi aveva costeggiato il marciapiede a tutta velocità e aveva sollevato un ingente quantità d’acqua che risiedeva sulla strada.
Bel venerdì sera Edward!
Una volta arrivato dinnanzi al vecchio portoncino del mio palazzo, tirai fuori le chiavi e dopo tre tentativi riuscii ad aprire. Eh sì, abitavo in uno dei quartieri più malfamati di New York e mi andava bene così. Salii le scale e arrivai al quarto piano. Aprii la porta del mio appartamento e posai la busta, anch’essa bagnata, sul tavolo della cucina. Accesi il portatile e mi andai a cambiare. Dovevo assolutamente finire quella dannatissima storia, sennò chi lo raccontava al mio editore che non ero affatto pronto a consegnargli il mio manoscritto? Da mesi mi stava col fiato sul collo e io non facevo che promettere di finire presto. Niente di più lontano dalla verità. Essere uno scrittore era sempre stato il mio sogno, non ero famoso ma piuttosto conosciuto. Non potevo lamentarmi, la mia vita in fondo mi piaceva. Non stavo in un ufficio, ma a casa a godermi ciò che amavo di più: Lucky e il mio computer. Stavo bene persino senza una donna. L’ultima era andata via, sbattendo la porta d’ingresso talmente forte da rompere la già precaria finestra del soggiorno, urlandomi cose come “fallito”, “stupido egoista”, “scrittore da quattro soldi” e altre cose impronunciabili. Poco male, la convivenza non faceva per me. Cindy era una brava ragazza, ma troppo pettegola. Tra l’altro amava la bella vita e i soldi, cosa che io non avrei mai potuto dargli. Qualcosa da parte l’avevo, grazie ai miei libri pubblicati, ma non volevo andare in una casa migliore, come lei desiderava e no, non volevo mandare via il mio labrador. Quindi aveva preferito “andare via”. Certo poteva anche evitare di rompermi una finestra, che tra l’altro era rimasta mezza rotta da allora, ma non potevo che essere sollevato per essere tornato lo scrittore da quattro soldi e single.
<< No Lucky, sta giù! >>
Spostai il grosso muso nero del mio migliore amico peloso dalla busta, che conteneva il mio orribile cibo. Non ero capace di cucinare nemmeno un uovo, quindi mi dovevo accontentare. Certo, in effetti Cindy alle volte mi preparava qualcosa di più commestibile…
<< Va via, tu hai già mangiato e credimi te la passi meglio di me. >>
Lucky non si arrese e rimase seduto accanto a me, mentre mangiavo con una smorfia ciò che avevo comprato. Rilessi alcuni pezzi della mia storia, ma era come se non avessi mai scritto una sola parola in vita mia. Niente da fare. Lasciai tutto sul tavolo, compreso quello strano pollo speziato, e mi gettai sul divano del salone. Rinunciai a richiamare il mio cane, mentre cercava di raggiungere il cartoncino bianco, senza farsi sentire da me.
<< Fa pure. >> dissi annoiato e Lucky si fiondò sui rimasugli della mia cena. Poi soddisfatto, si accucciò vicino a me. Sbadigliai e mi stiracchiai leggermente. Qui il problema era serio. O finivo quel libro o dicevo addio al mio editore. Continuai a guardare svogliatamente la tv fin quando la stanchezza non prese possesso di me e scivolai su Lucky, già addormentato vicino a me.
L’ho già detto? Lo ripeto: bel Venerdì sera, Edward.

 

********************************** 

Che diavolo stava succedendo? Una serie di suoni simili e continui mi martellavano il cervello. Sentii qualcosa bagnarmi il viso e non appena capii che si trattava del mio cane, lo mandai via con un gesto della mano. I suoni continuavano incessantemente, così mi sollevai con un gran dolore alla schiena, dal divano, e mi misi a sedere. Il cellulare? Il citofono? Il portone? Sembrava che qualcuno stesse suonando a tutti e tre contemporaneamente. No, c’era pure la sveglia della stanza da letto. Mi misi le mani nelle orecchie e per prima cosa afferrai il telefono che continuava a squillare, senza sosta.
<< Pronto? >> mugugnai senza neppure vedere chi era.
<< Edward hai finito vero? >>
<< Chi parla? Finito cosa? Mi sono appena svegliato, maledizione! >>
<< Come sarebbe? Edward sono John, ricordi? Il tuo maledettissimo editore! >>
Oh. Bene, questa non ci voleva. Non potevo guardare il display del cellulare prima di rispondere? E poi chi diavolo suonava ancora alla porta e al citofono? Aprii la porta d’ingresso, con un diavolo per capello e trovai il sorriso radioso di mia madre.
<< Tesoro! >>
<< Mamma, cosa ci fai qui? >>
<< Hai un aspetto orribile, lo sai? >> disse entrando e scansandomi in malo modo.
Risposi anche al citofono,appoggiando il ricevitore nell’altro orecchio.
<< Chi è? >> sputai con rabbia.
<< Eddino, mi dovevi riportare il dvd dell’altra sera. Sai com’è Doris, creerebbe problemi sia a me che a te. Controlla ogni mattina che tutto sia a posto. >>
Desideravo sbattermi la testa al muro.
<< Ehm sì, te lo porto tra poco, d’accordo? >> richiusi il citofono senza attendere risposta e chiusi la porta di casa.
<< Edward dove sei finito? Mi senti? >>
<< Sì John, non è giornata. >>
<< E quando è giornata, allora? >>
<< Non lo so, ma di sicuro non oggi! >>
<< Fammi sapere qualcosa entro domani mattina, altrimenti ti dovrai cercare un altro editore! >>
Mi chiuse il telefono in faccia, ma c’era da aspettarselo. Ero in ritardo di più di un mese rispetto ai nostri accordi. Sospirai e gettai il telefonino sul divano.
<< Edward, questa casa è uno schifo! Che fine ha fatto Cindy? >>
<< Cindy se ne è andata, mamma. >>
<< Come? E perché non me l’hai detto! >>
La guardai sorpreso del suo tono entusiasta, come se gli avessi appena detto di aver vinto alla lotteria.
<< Oh, meno male! Io e tuo padre ci chiedevamo appunto quando se ne sarebbe andata! >>
Sorrisi mio malgrado, i miei genitori erano davvero dei tipi strani.
<< Sei terribilmente pallido, amore. Vieni a casa con me, hai bisogno di mangiare qualcosa di più sano, a giudicare dai pacchettini del ristorante cinese che ci sono sul tuo tavolo. >>
<< Oh no, devo lavorare e non posso venire. >>
<< La mia non era una domanda. Forza, fatti una doccia e renditi presentabile. Ora devo andare a prendere Alice alla stazione e poi a casa, a preparare un pranzo come si deve per mio figlio. >>
Venne ad abbracciarmi e io ricambiai. Nonostante tutto ero contento di passare del tempo a casa e mangiare qualcosa di decente. Tanto non avrei concluso nulla stando da solo.
<< Non fare tardi e porta Lucky! >> mi urlò dal pianerottolo.
Lucky per risposta abbaiò e io dopo averlo strapazzato di coccole, come facevo ogni mattina, mi preparai per uscire. Mi portai dietro la borsa del mio portatile e andai al parco, come al solito. Queste erano le mie abitudini, solo che invece di tornare a casa sarei stato un po’ di tempo con la mia famiglia. Mi ero persino dimenticato di mia sorella che tornava da uno stage a Parigi. In strada comprai il mio solito giornale, potevo benissimo passare per un ultra ottantenne invece che un ragazzo di venticinque anni, e lasciai il dvd nell’apposito spazio fuori al negozio. Di vedere Molly non se ne parlava. Dalla sera di qualche mese prima in cui l’avevo baciata, in preda alla solitudine e all’alcool, lei non mi aveva più lasciato in pace. Era molto carina, ma non m’interessava minimamente. Meglio che si mettesse il cuore in pace, una volta per tutte.
Mi sedetti su una panchina del parco e lasciai libero il mio labrador, tanto non si sarebbe allontanato. Passai in rassegna le notizie della giornata, riportate sul giornale e mi godetti la tranquillità di quella giornata di sole. Ad un certo punto sentii Lucky abbaiare di continuo e mi guardai intorno. Era poco lontano da me, ma cercava di attirare l’attenzione di un bel pastore tedesco, seduto accanto ad una ragazza con lunghi capelli castani e un cappotto beige.
<< Lucky, vieni qui. >>
Stranamente non mi diede retta e continuò a gironzolare attore al pastore. Forse era una femmina a giudicare dal suo atteggiamento. Di solito non dava molta importanza agli altri maschi. Beh, aveva preso dal suo padrone! Mi alzai, preoccupato che disturbasse pure la ragazza e afferrai il guinzaglio.
<< Ehi, cosa ti ho detto? Vieni subito qui! >>
Arrivai accanto alla giovane, ma non feci in tempo a guardarla bene in viso, che si alzò e tirò il suo cane da un'altra parte.
<< Mi scusi signorina. Di solito è più ubbidiente, comunque non è pericoloso. >>
<< Non fa nulla. Terry, andiamo. >> mormorò talmente piano che a stento la udii.
Acchiappai Lucky, prima che la seguisse, e lo attaccai al guinzaglio.
<< Che ti prende? >> dissi severamente e lui abbassò le orecchie.
Uscii dal parco, non capendo l’atteggiamento di quella ragazza. Forse si era arrabbiata. Decisi di non pensarci più e tornai verso casa per prendere la macchina. Impiegai diverso tempo prima di raggiungere la casa dei miei genitori, per via del traffico. Quando arrivai riconobbi la macchina di mia madre, dovevano essere già tornate lei e Alice. Suonai il campanello e fu proprio lei ad aprire.
<< Fratellone! >>
<< Ali >> ricambiai il suo abbraccio e la feci volteggiare un paio di volte.
<< Ti sei scordato di me. >> piagnucolò come una bambina piccola.
La misi giù e le scompigliai i capelli neri tagliati a caschetto.
<< Che dici nana! In questi giorni sono stato terribilmente impegnato. Il mio editore mi vuole abbandonare. >>
<< Cosa? Perché? >>
<< Voi due avete intenzione di rimanere alla porta? >>
Mio padre mi tirò la manica del giubbotto e mi fece entrare.
<< Non vedo più mio figlio, tu l’hai visto? >>
Risi e ci abbracciammo. Avevo sempre avuto un rapporto quasi fraterno con mio padre.
<< Mi ha mandato una cartolina, dice che tornerà presto. >>
<< Sì, come no! Vieni qui sciagurato di un figlio, il pranzo è quasi pronto. >>
Come facesse mia madre a cucinare, in così breve tempo, era sempre stato un mistero per me.
<< Mamma, l’editore di Edward vuole lasciarlo. >>
<< Tesoro come mai? >>
<< Beh, non riesco a terminare il mio libro entro i termini previsti. Lui ha molti altri progetti in coda, quindi non può permettersi di perdere tempo con me. >>
<< Potevi fare il medico >> borbottò mio padre, beccandosi uno scappellotto da mia madre.
<< Carlisle! Falla finita con questa storia. Tuo figlio vuole fare lo scrittore e sai anche tu quanto sia famoso! >>
Non esageriamo… le vendite andavano piuttosto bene, ma non ero ancora a livello di best seller.
<< Edward, hai mai pensato di cambiare genere? >>
Ascoltai distrattamente la domanda di mia sorella, perché ero impegnato a gustare uno dei miei piatti preferiti. Aveva ragione mia madre, era da troppo tempo che non mangiavo per bene.
<< Ehm… non saprei. Mi sono sempre dedicato ai gialli. >>
<< Perché non scrivi qualcosa di romantico? >>
<< Romantico? >> le feci eco, inorridito.
<< Non credo sia possibile, tra l’altro devo finire il mio progetto. >> continuai risoluto.
<< Non sarebbe una cattiva idea, però. Ti aiuterebbe cambiare, senza contare che un bravo scrittore sa scrivere diversi generi. >>
Avrei voluto ribattere che non era proprio così, certo uno scrittore capace poteva scrivere generi diversi, ma questo non stava a significare che non lo si era, se ci limitava a un certo tipo di standard letterari. Cambiai discorso chiedendo ad Alice del suo viaggio, per distogliere l’attenzione da me e continuare a mangiare in santa pace. A quanto pare mia sorella si era invaghita di un pittore francese, che veniva dall’america, Jasper Hale. Chi era adesso questo?
<< Alice sei troppo piccola. >>
<< Lo dici solo perché tu sei vecchio! >>
<< No, che non lo sono! >>
<< State buoni che la mamma porta il dolce. >>
Entrambi guardammo nostro padre per poi tornare a fissarci. Sorrisi, mi sembrava di essere tornato ai tempi della scuola, dove a tavola qualsiasi scusa era buona per battibeccare.
<< I miei bambini! >> disse sognante mia madre quando ci servì una deliziosa fetta di torta al cioccolato.
<< Oh mamma, per favore! >> mormorai arrossendo. Non mi erano mai piaciute le attenzioni.
<< Eddy si vergogna! >>
Detti un pizzicotto alla mia nana e poi spostai l’attenzione su Lucky che, disteso vicino a me, si era sollevato e aveva posato il muso sulla mia gamba. Di solito gli allungavo sempre qualcosa da mangiare.
<< Lucky, amore, vieni qui. >> mia madre pensò anche a lui, che la seguii scodinzolando.
<< Ragazzi, scusatemi ma oggi c’è la partita. >> mio padre raggiunse il salone di gran carriera, seguito da mia sorella che protestava per avere la televisione libera, per vedere uno dei suoi soliti telefilm.
<< Mamma ti do una mano. >> presi qualche piatto dal tavolo e glielo portai.
<< Sei sempre così dolce, tesoro. Va pure a rilassarti, penso a tutto io. >>
Mi accarezzò una guancia e sempre seguita a breve distanza dal mio labrador, che sperava sempre  in qualche extra, tornò in cucina. Non sapendo cosa fare, dato che la televisione non m’ interessava, salii le scale per tornare alla mia vecchia stanza. Erano anni che non ci entravo.
Aprii la porta ed entrai. La stanza era pulita e in perfetto ordine, grazie a mia madre. Tutto era rimasto come l’avevo lasciato. La mia chitarra in un angolo, vicino ad una pianola elettrica. I poster dei Rolling Stone alle pareti e il vecchio giradischi di mio nonno su una mensola, con tutti i dischi di musica classica, ormai introvabili. Ero sempre stato un appassionato di Debussy. Sospirai e mi sedetti sul letto, che ne aveva viste di tutti i colori. Ricordavo ancora la mia prima volta con Jessica Stanley, avvenuto in un pomeriggio dove dovevamo fare una ricerca insieme. Questo però non era un ricordo del tutto importante. Era un momento che ovviamente non avrei mai dimenticato, ma non amavo Jessica. Anzi era piuttosto insopportabile, ma ero pur sempre un ragazzo in cerca di nuove emozioni, di cose mai provate prima e lei di certo era sempre stata piuttosto chiara nelle sue intenzioni. Avevo colto la palla al balzo, insomma. L’unica vera donna importante era stata Isabella. In realtà era solo una bambina. La mia migliore amica. L’unica che mi era stata accanto quando venivo preso in giro, da tutti, per il mio aspetto troppo sportivo, i miei occhiali enormi e i brufoli sul viso. Avevamo passato insieme quasi tutti i pomeriggi in questa stanza a studiare e divertirci. Lei mi ascoltava suonare con la chitarra e scriveva con me alcune canzoni. Non sapevo perché stavo pensando a lei, di nuovo. L’ultima volta che la vidi, eravamo in quinta elementare. Era l’ultimo giorno di scuola e le stavo già proponendo qualcosa da fare insieme per l’estate, ma lei mandò il mio mondo in frantumi quando mi disse che i suoi stavano divorziando e che doveva partire in Francia con la madre. Ero innamorato di lei, anche se non avevo mai avuto il coraggio di dirglielo. Eravamo piccoli e non sapevo sul serio cosa fosse l’amore, ma quello che provavo per lei era un sentimento puro e profondo, che ancora mi scuoteva l’animo. So che era assurdo, lei di sicuro era fidanzata con l’uomo della sua vita e io ero ancora qui, patetico, a ricordarla. Era dolce e gentile e mi difendeva da tutte le battute e gli scherzi dei miei compagni, a causa del mio aspetto. Con il tempo ero cambiato e al liceo le ragazze facevano a gara per avere le mie attenzioni. Nessuna era come lei, però.  Nessuna donna, mai, avrebbe preso il suo posto nel mio cuore. Non sapevo se io avevo un posto nel suo, ma lei avrebbe fatto parte per sempre della mia vita. Il mio sguardo cadde sulla libreria, davanti c’era un asse del parquet leggermente rialzato. Una morsa mi prese lo stomaco e raggiunsi quel punto. Presi un piccolo cacciavite e sollevai la tavoletta. Sotto c’era una scatola di latta, che conoscevo bene. L’avevo messa io lì, il giorno in cui era andata via, e non l’avevo mai più riaperta. Potevo semplicemente buttare tutto, come tentai di fare, in lacrime, quando tornai a casa. Alice era piccolina e vedendomi in quello stato, indeciso se buttare via tutti i nostri ricordi, mi disse di nascondere tutto, come aveva visto fare a un personaggio dei cartoni animati. Seguii il consiglio della mia sorellina di quattro anni e ora mi trovavo qui a riaprire quella scatola, che era per me come un vaso di pandora.
<< Eddy sei qui? >>
La guardai e le feci cenno di avvicinarsi. Si sedette a terra, vicino a me e guardò la scatola come se le fosse familiare.
<< Te la ricordi? >>
<< Mi sembra di averla già vista, cosa c’è dentro? >>
<< Io ero in quinta elementare, tu avevi solo quattro anni. La mia migliore amica, Isabella, stava per partire e io volevo buttare tutto ciò che me l’avrebbe ricordata. >>
<< Sì! Ho dei ricordi vaghi, ma se non sbaglio te l’ho consigliato io di conservare e nascondere tutto. >>
<< Sì, nana. >>
<< Sei emozionato fratellino. >>
<< Che dici?! >>
<< Dai apri. >>
<< Non sono sicuro di volerlo. >>
<< Che può succedere? Sei un adulto ormai. >>
Aveva ragione, oltretutto mi sarebbe rimasto questo desiderio, tanto valeva aprirla. Lo feci dopo qualche minuto e un sorriso mi nacque spontaneo quando vidi, per prima cosa, il braccialetto porta fortuna che ci eravamo scambiati. Eravamo andati in giro per il mercatino, o meglio lei mi ci aveva trascinato. Ad un certo punto si era fermata in una bancarella dov’ erano esposti dei braccialetti colorati. Disse che ne dovevamo avere uno per entrambi e cominciò a scegliere dei colori tremendi per me, ovvero rosa, viola, fucsia. Davanti alla mia faccia inorridita, si era arresa ad un braccialetto giallo. Desideravo dirle che neanche quel colore mi piaceva e cercai di fermarla, sopraffatto dalla vergogna, mentre mi tirava su la manica del maglione e tentava di infilarmi quel laccetto.

<< Tu sei come il sole. >>

Quella parole mi avevano fatto desistere. Non sapevo cosa voleva dire, ma doveva essere qualcosa d’importante a giudicare dal suo sguardo.
<< Ehi, ci sei? >>
Alice mi picchiettò sulla spalla, riportandomi alla realtà. Misi da parte il braccialetto, leggermente sfilacciato ai margini, in quanto me l’ero strappato via con violenza, il giorno in cui era andata via,  e presi una pietra verde brillante. Mia sorella me la levò dalle mani e la mise sotto alla lampada della libreria.
<< Wow! Luccica! >>
Io e Isabella eravamo andati al parco, vicino al laghetto. Lei voleva assolutamente imparare a lanciare i sassi sull’acqua, senza farli affondare subito. Era una pessima allieva e ci misi un po’ per insegnarglielo. Stavo per lanciare quella strana pietra verde, per farle vedere di nuovo come si faceva, quando lei strillò, facendomi spaventare. Prese la pietra dalle mie mani e la osservò con attenzione. Poi m’impose di conservarla.

<< Perché? >> le chiesi senza capire.
<< Mi ricorda i tuoi occhi. >>
<< E perché la devo tenere io? >>
<< Così non ti dimenticherai mai di questa giornata. >>

Me la sarei ricordata lo stesso, avrei voluto dirle. Passai oltre e afferrai un leoncino di peluche. Alzai gli occhi al cielo con un sorriso. Me l’aveva regalato per il mio compleanno. Diceva che i miei capelli sembravano la criniera di un leone. Lo misi da parte e vidi una cosa che non mi sarei mai aspettato. Era una busta, con dei fogli piegati a metà, dove c’era scritto il suo nome. Li lessi ed erano degli appunti, frasi e annotazioni fatte su di lei.

 

“ Al vento i suoi capelli assumono il colore di un caldo mogano e i suoi occhi s’illuminano d’oro al tramonto “
“ La sua dolcezza è qualcosa che mi disarma continuamente. Il suo animo non conosce cattiveria. Mi fa stare bene la sua presenza, come fosse un angelo custode, senza cui sarei perso. “
“Questa strana sensazione che provo quando incontro i suoi occhi o ascolto la sua voce si chiama amore? Cos’ è questo sentimento? “
“ Se conoscesse i miei pensieri capirebbe quanto vale, quanto è bella, quanto è importante. Che farei senza di lei? Non voglio pensare alla possibilità di perderla. “

 

Di colpo ricordai la folle idea di scriverle un libro. Lei era l’unica a sapere di questa mia passione, l’unica che rimaneva con me durante la pausa pranzo della scuola, ad ascoltare tutti i miei dubbi e i miei sproloqui sulle storie che inventavo, e ancora l’unica che mi capiva e mi sosteneva. Così a sua insaputa, naturalmente, avevo pensato di scrivere un libro su di lei. Immaginavo che avrei sfondato nel campo della scrittura e sarei diventato famoso grazie a quello, quindi a lei. Mi accorsi che quella bambina era diventata il centro del mio mondo.
Tutto ruotava intorno a lei.
<< Edward, questa pietra è bellissima. Te l’ha regalata Isabella? Richiama il colore dei tuoi occhi! >>
<< Già. >> risposi atono.
Mi rifiutai di vedere il resto delle cose, quindi misi tutto a posto. Quando mi rialzai, vidi Alice con i fogli che avevo dimenticato fuori. Li leggeva con attenzione e io cercai di sottrarglieli.
<< Alice dammeli, forza. >>
<< Edward, ci sono scritte cose bellissime qui. Volevi scriverci un libro su tutto questo, vero? >> mi sventolò i fogli sotto al naso e io sospirai, senza rispondere.
<< Perché non lo fai? >>
<< Cosa dovrei fare? >>
<< Scrivi questo libro. >>
<< Sei matta? Non posso, cosa dovrei scrivere poi? >>
<< Di Isabella, ovvio! Devi seguire la tua idea originale! >>
<< Non sai di cosa parli. Ero solo un bambino quando ho scritto quegli appunti. E’ ridicolo. >>
<< Non lo è, lo sai pure tu. Metti un attimo da parte la storia che stai scrivendo e dedicati a questo. Chissà, magari anche lei potrebbe leggerlo. >>
A quelle parole sgranai gli occhi. Era altamente improbabile e poi non avrei messo il suo nome all’interno della storia.
<< Scrivi su di lei, su di voi! >>
<< Non c’è nessun “ noi “ Alice. >>
<< Smettila! Scrivi su Bella! E’ il diminutivo del suo nome, è perfetto >>

 

<< Sai, Edward, dovresti trovarmi un nomignolo. Isabella non mi piace! >>
<< E’ un bellissimo nome. >>
<< No! Dai, trovami qualcos’altro. Mi chiamerai solo tu così! >>
<< Va bene. Vediamo… che ne dici di Bella? >>
Lei sorrise e mi diede un bacio sulla guancia. Non l’aveva mai fatto.

 

 Non riuscivo a crederci… tra l’altro se lei avesse davvero letto una cosa del genere mi avrebbe preso per pazzo.
<< Devi farle capire che parli di lei, senza farlo notare chiaramente. >>
<< Alice non credo sia una buona idea. >>
Lei mi diede i fogli e mi battè una mano sulla spalla.
<< Coraggio, comincia a scrivere da questi. >>
Si avviò verso la porta, quasi saltellando, e poco prima di chiudersi la porta alle spalle mi schiacciò l’occhio.
<< Te l’avevo detto, no? Cambia genere e scrivi qualcosa di più romantico! >>
Mi lasciò solo con quei pensieri e io per un attimo presi in seria considerazione la sua idea. Era assurdo, no? Allora perché più passava il tempo più mi convincevo che potevo farlo? Alla fine cosa avevo da perdere? Afferrai il cellulare e composi il numero di John.
<< Hai ragione, oggi è la giornata giusta. >> dissi non appena mi rispose.
<< Giusta per cosa? Edward, ragazzo mio, fattelo dire tu sei proprio matto. >>
<< Ti consegnerò una nuova storia. >>
<< Cosa? Nuova? No, non c’è tempo! >>
<< Dammi almeno un mese! >>
<< Non se ne parla. >>
<< Non te ne pentirai. >>
<< Invece sì. >>
<< Ti prego, John. >>
<< Un mese soltanto e dopo sei fuori! >>
Lo ringraziai e chiusi la comunicazione. Isabella Swan, terrò fede alla mia promessa, anche se non te l’avevo mai fatta per davvero. Scriverò su di te. Scriverò su Bella.

 

 

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Un mese mi doveva bastare. Pensavo a questo continuamente, anche adesso con i miei occhiali da lavoro, che non erano più quelli terribili della mia infanzia, e il portatile davanti. Mia sorella mi aveva pure trovato una foto di me e Isabella, nel parco della scuola. Io ero imbarazzato, mentre Isabella sorrideva entusiasta, con un braccio intorno al mio collo e una mano sul viso per ripararsi dal sole di inizio estate. Era dolcissima con quelle due codine e un abito rosa senza maniche. Non sapevo dove Alice aveva trovato quella foto, probabilmente dall’album di famiglia custodito da mia madre, ma non riuscivo più a separarmene. Me la mettevo davanti ogni volta che scrivevo. Erano passate quasi due settimane da quando mi ero gettato in questo folle impegno. Ci sarei riuscito? Dovevo.
Lucky cominciò a lamentarsi e io a spazientirmi.
<< Non è il momento. >> borbottai pigiando sui tasti più del dovuto. In risposta il mio cane abbaiò con decisione. Svogliatamente guardai l’orologio da polso e mi accorsi che avevo saltato l’uscita del pomeriggio.
<< E va bene! Usciamo. >>
Il mio amico si fiondò verso la porta e io con un sospiro presi il guinzaglio e uscii. Mi ero pure dimenticato della giacca, mi accorsi in ascensore, ma decisi di non tornare a recuperarla.
<< Belle scarpe. >> disse ridendo una bella ragazza mora, che incrociai per strada. La giacca non era l’unica cosa che avevo dimenticato, a quanto pare.
<< A te starebbero meglio, però. >> le risposi, mentre lei mi superava con un occhiataccia, ondeggiando sui suoi tacchi. Sorrisi tra me e continuai la mia breve passeggiata.
<< Visto che mi fai fare? >> chiesi all’indirizzo di Lucky, che scodinzolò in risposta.
Quando tornai indietro trovai una sgradevole sorpresa ad attendermi, davanti al portone. Una ragazza con lunghi capelli scuri, una gonna così corta da lasciare ben poco spazio all’immaginazione e dei tacchi da far invidia pure alla ragazza che avevo incontrato prima.
<< Cindy hai dimenticato qualcosa nel mio appartamento? >>
Lei si voltò con un sorriso e mi corse incontro. Come faceva?
<< Tesoro! Finalmente sei tornato! Ti aspettavo. >>
Tesoro? Finalmente? Ti aspettavo?
<< Non capisco Cindy. Sei scappata via da casa mia, mesi fa, e mi hai pure rotto una finestra! >>
Quasi risi di me stesso alla mia ultima affermazione. Lei mi guardò per nulla intimorita, come se le avessi detto che mi si era solo fermata la macchina in mezzo al traffico.
<< Mi conosci, sono un po’ lunatica! Ero solo arrabbiata, ma ora è tutto a posto. >>
<< Tutto a posto? Secondo me non sei solo lunatica. Ti saluto. >>
Aprii il portone ed entrai, subito seguito da lei. Feci finta di non vederla, magari si sarebbe sentita umiliata e se ne sarebbe andata, invece la ritrovai con me in ascensore.
<< Si può sapere che vuoi? >>
<< Stare con te, Edward, non è ovvio? >>
<< No, dal momento che te ne sei andata nel bel mezzo di una discussione. >>
<< Voglio rimediare. >>
Si avvicinò a me e io mi ritrassi, sorpreso.
<< Cindy, ora tu rimani in questo fottuto ascensore e scendi di nuovo giù. Devi andartene, ok? >>
<< Per favore dammi una possibilità. >>
Nel frattempo eravamo giunti al mio appartamento, mi seguii anche lì e si mosse in casa con tranquillità, come faceva un tempo. C’erano stati tempi migliori, in cui spesso tornavamo insieme ed eravamo sereni e non tesi come adesso, per lo meno io lo ero. Aveva tanti difetti, quanto pregi Cindy e mi ero comunque affezionato molto a lei. Le cose però non erano sempre andate bene, specie quelle più semplici e il rivederla non mi aveva fatto nessun effetto, se non tristezza e rabbia. Avevamo passato diversi anni insieme, dove io credevo ogni volta che le cose sarebbero migliorate ma così non era stato e il suo comportamento me ne stava dando conferma.
<< Cindy, non voglio essere sgarbato ma devi andare via. Tra noi è finita. >>
Lei fece finta di nulla e si diresse in cucina.
<< C’è già un'altra donna, vero? O magari c’è sempre stata. >>
Non seppi perché il volto della mia migliore amica mi affollò la mente. C’era sempre stata lei nel mio cuore, ma non era il motivo per cui tra noi non aveva funzionato.
<< Sai che non è così. Siamo diversi, devi accettarlo. >>
La vidi guardare il portatile e poi afferrare qualcosa, che poi capii essere la foto di me e Isabella.
<< Lei chi è? >>
<< Non è affar tuo. >>
<< Quindi è come pensavo. >> disse gettando la foto sul tavolo.
<< No, ma in ogni caso cosa cambierebbe? >>
<< Io voglio stare con te, Edward, questo cambierebbe. >>
<< Cindy è finita, perché non lo capisci? Sei stata tu la prima ad andartene. >>
Lei scosse il capo e mi raggiunse. In un attimo sentii le sue labbra sulle mie. Un contatto familiare e per certi versi confortante in un momento simile. Mi sentivo solo e senza un obbiettivo. Ero così stupido da scrivere pure un libro sulla mia migliore amica, di cui ero sempre stato innamorato.
Mi staccai da lei, pentendomi di essermi fatto coinvolgere. Cindy non sarebbe stato di nuovo un ripiego, una giustificazione o una compagnia.
<< Esci da casa mia e non tornare. >> le dissi perentorio.
Le aprii la porta e la vidi uscire con rassegnazione. Tornai in cucina e presi la fotografia. Che cosa stavo facendo? Mi sedetti di nuovo e mi presi la testa tra le mani. Tornare indietro sarebbe stato inutile. Forse proprio Cindy mi aveva dato lo spunto per essere sincero e riversare in quello scritto tutto me stesso. Così feci, con la speranza di concludere quel progetto e con il sogno che tutto questo potesse in qualche modo raggiungerla.

 

 

 

 

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Aggiustare un tubo era più complesso che scrivere un libro. Girai ancora la chiave inglese e un fiotto d’acqua mi colpii il viso. Imprecai e sollevandomi sbattei la testa nel bordo del lavello. Imprecai di nuovo e finalmente mi alzai. Decisi che mi sarei arreso, avrei fatto meglio a chiamare l’idraulico. Presi il telefono e dopo aver fatto la mia telefonata, notai decine e decine di messaggi. Molti erano da parte del mio editore. Era rimasto entusiasta del libro.
Il mio pensiero ti ha raggiunto? Sì, non era per nulla originale, ma i tempi erano stretti e avevo deciso il titolo poco prima di entrare nell’ufficio di John. Lui mi aveva guardato scettico, dopo averlo sentito, ma si era convinto a mandarlo subito in stampa. Tempo dopo, il libro si era posizionato in un ottimo posto nella classifica dei migliori libri della grande mela e io ero soddisfatto. Credevo che sarei stato più felice dalla buona riuscita del mio progetto, ma così non era stato. Erano passati sei mesi e nulla era cambiato. Vivevo ancora nel mio vecchio appartamento, con la finestra rotta, un divano che stava cadendo a pezzi e ora anche un tubo rotto del lavandino, della cucina.
In fondo cosa mi aspettavo?
Per sino Molly si era presentata, un giorno, alla mia porta chiedendomi se il mio pensiero fosse rivolto a lei. Incredibile. Adesso John tentava di trascinarmi a una serie di feste ed eventi insieme ad altri scrittori ed editori, di varie case editrici. Ero stato ad alcune di queste, ma alla fine non erano altro che cene dove le ragazze invitate cercavano di sedurmi o convincermi a scrivere qualcosa per loro. Insomma una vera follia e non ero intenzionato ad andarci di nuovo.
 Il campanello suonò e io mi sorpresi della velocità dell’idraulico. Sospirai e con la maglietta mezza bagnata andai ad aprire. Fu in quel momento che il tempo sembrò fermarsi. Davanti a me non c’era affatto l’uomo dell’impresa idraulica, che avevo contattato, ma una bellissima donna dagli occhi scuri che mi guardava timidamente, mordendosi il labbro inferiore. La riconobbi subito, nonostante fossero passati quindici anni. Il suo sguardo non era cambiato. Deglutii un paio di volte a vuoto. Dovevo dire o fare qualcosa di particolare? Il cuore mi martellava nel petto e mi sentivo a corto d’aria. Lei fece un passo avanti e io uno indietro. Da quanto eravamo sulla soglia della porta senza riuscire a dire una parola?
<< Hai i capelli scombinati. >> disse lasciandomi di sasso. Tutto mi aspettavo tranne che quello. Tante volte mi ero immaginato il nostro ipotetico incontro e le sue parole erano decisamente diverse da quelle che aveva appena pronunciato. D’altronde era Isabella e lei era capace anche di questo.
<< Come sempre. >> aggiunse abbassando il suo viso d’angelo e mordendosi le labbra.
Le feci spazio e lei mi passò accanto, inondandomi con il suo profumo floreale. Possibile che non fosse cambiato dall’ultima volta che l’avevo vista?
La vidi guardarsi intorno e posare la borsa. Tra le mani stringeva un libro, ma non mi persi in ulteriori dettagli.
<< Wow, quest’appartamento ha bisogno di una donna. >>
Risi nervosamente e sentii il panico montarmi addosso con velocità. La mia mente ancora non riusciva a comprendere cosa stesse accadendo. Lei, la mia Bella, era nel mio appartamento.  Adesso  non era più la piccola bambina, dalle guance rosse e le treccine, ma una splendida donna non molto alta ma longilinea, con lunghi capelli mossi che le arrivavano alla schiena. Il suo profilo era dolce e mi ricordava terribilmente la bambina che mi aveva portato via il cuore. Continuai ad osservarla e lei fece lo stesso. Era in evidente imbarazzo e io ancora non avevo detto una parola.
<< Edward. >> m’irrigidii nel sentire di nuovo il mio nome pronunciato da lei.
<< Come… >> non sapevo neppure io cosa volevo chiederle. Come mai sei qui? Come mi hai trovato? Hai pensato a me in questi anni? Sei qui per rimanere?
<< Ti starai chiedendo cosa ci faccio qui. >>
Mi avvicinai a lei e le accarezzai il viso con una mano.
<< Non capisco come questo sia potuto accadere, davvero, ma come hai fatto a trovarmi? >>
Mi fece vedere il libro e sorrise.
<< Tante volte sono arrivata dietro la tua porta, ma solo adesso ho trovato il coraggio di bussare. >>
<< Isabella, cosa… >> mi interruppe, posandomi un dito sulla bocca.
<< Dopo che me ne sono andata, non sono riuscita a smettere di pensare a te. All’inizio pensavo che ti saresti sentito solo, volevo difenderti da qualunque cosa e da chiunque. >>
Sorrisi e le accarezzai i capelli. Era esattamente ciò che faceva quando eravamo alle elementari. Per colpa del mio aspetto ero la principale vittima degli scherzi dei bulli della scuola e dei risolini beffardi delle bambine più belle, così lei c’era sempre stata per me e non mi aveva mai abbandonato.
<< Con il tempo, ho immaginato il tuo cambiamento. Sapevo che eri diventato uno splendido ragazzo che non aveva più bisogno di una vecchia amica, circondato da donne molto più belle di me e con una luminosa carriera da scrittore. >>
<< Non sono splendido e non sono circondato da donne! >>
<< Lo sei sempre stato. Ricordi che te lo dicevo? >>
Arrossii e io la strinsi a me, era adorabile esattamente come la ricordavo! Era vero, alcune volte la sorprendevo a fissarmi. Avevo due occhiali terribili, i brufoli sul viso e i capelli scombinati ma lei diceva di trovarmi bello.
<< Quando sono arrivata a Parigi, con mia madre, sapevo di non poter resistere. Pensavo a te ogni giorno e il pensiero di rivederti un giorno, mi ha accompagnato fino alla fine dei miei studi. Per fortuna la NYU aveva accettato la mia proposta e finalmente sono riuscita a tornare qui. >>
<< Questo vuol dire che sono almeno cinque anni che sei tornata a New York? >>
<< Sì. Ti ho cercato, ma tu eri con una donna. Avevi la tua vita e io non ero più compresa in questa. >>
<< Bella, ma quella era… >>
Mi fermai di colpo, rendendomi conto di quello che avevo detto. L’avevo chiamata con il nome che le avevo dato nel mio libro, lo stesso che avevo scelto quando lei mi aveva chiesto di chiamarla in modo diverso. Beh, lei non lo ricordava no? Abbassai lo sguardo per incontrare i suoi occhi, che ora brillavano. Aggrottai le sopracciglia, confuso, e notai per la prima volta la copertina del libro, che teneva stretto tra le braccia. Era terribilmente familiare, tanto che mi si chiuse lo stomaco. Lei mi sorrise e io ricambiai con imbarazzo, non credevo che lei lo avrebbe letto davvero, ma infondo perché avevo scritto quel libro se non per farlo arrivare a lei? Stavo per dire qualcosa quando mi ritrovai le sue labbra sulle mie, come tante volte avevo immaginato. Nulla però poteva prepararmi a delle sensazione così travolgenti. Dopo l’iniziale stordimento, risposi al bacio e la strinsi a me con forza. Il suo fragile corpo si adattò al mio e assaporai quelle labbra dolci e profumate. Ci separammo, per mancanza d’aria e mi ritrovai ad osservare, da molto vicino, quelle due pozze di cioccolato che avevano popolato i miei sogni per tutto questo tempo.
<< Ero convinta che fossi io, ma adesso ne ho la certezza. >> sventolò il libro davanti a sé e rise con quella risata argentina, che tanto mi era mancata. Ero terribilmente nervoso e non sapevo cosa dire.
<< Hai scritto delle cose bellissime. Sono la tua più grande fan sai? Ho letto tutti i tuoi libri, ero sempre la prima della fila in libreria. Questo, però, è un libro diverso dal tuo genere. L’ho letto in pochi giorni e ho pianto per notti intere. Credevo di essere folle e volevo… dovevo venire da te. Sapere se avevo ragione, dirti che ti ho amato anch’io fin da quando eri un bambino pallido e con gli occhiali mal ridotti. Farti sapere che ti ho visto scendere quasi tutte le mattine con quell’adorabile labrador per andare al parco, dove ti piace spesso scrivere i tuoi racconti.>>
La guardavo a bocca aperta. Non potevo davvero credere alle mie orecchie.
<< Ti sembrerà assurdo, ma io vivo a pochi isolati da qui e la mattina vado al tuo stesso parco con Terry. >>
<< Quel pastore tedesco è tuo? >>
<< Sì, ci siamo quasi incontrati quella mattina, ricordi? >>
<< Sei scappata, perché? >>
<< Non sarei riuscita a dire una sola parola, tanto ero agitata all’idea di averti così vicino. >>
<< Oh, Bella. >> mi alzai e le presi il viso tra le mani. Era così bella e dolce. Non volevo perderla mai più.
<< E’ carino questo nome. >>
<< Sei tu la mia Bella. Speravo che un giorno potessi leggere quelle parole. >>
<< Beh, è stato così. >>
Il sorriso lentamente morì sulle mie labbra. Tanto ero sconvolto che non avevo prestato molta attenzione. Mi amava, aveva detto così? Impossibile.
<< Mi ami? >> sussurrai.
Lei sfuggì alla mia presa e riprese il libro, aprendo le pagine finali.
<< Nel tuo libro scrivi… >>
<< Bella, mi ami? >> ho scritto questo nel mio libro, ma non ottengo risposta.
<< Questa domanda aleggerà per sempre nel tempo e nella mia mente. Vorrei che questo mio pensiero prendesse il volo e la raggiungesse, anche solo per farle sapere che in questo mondo ci sono ancora anch’io, che l’ amo come nessuno farebbe mai. >> smise la lettura e gettò il libro sul divano.
<< Il mio pensiero ti ha raggiunto? >> le domandai piano. Avvolse le braccia intorno al mio collo e sorrise.
Sì, l’aveva raggiunta, pensai mentre gustavo le sue labbra.




 

 

 

 

 

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Salve!
J
Questa one-shot è stata scritta per un contest, ma è saltato per cui l’ho postata qui. Mi piaceva l’idea, così l’ho scritta. Poco da fare, sono un inguaribile romantica! E voi lo siete?
Spero che questa piccola storia vi sia piaciuta!
Un bacio

Stella Del Sud

  
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