Il
mio pensiero ti ha raggiunto?
Busta
bianca con il logo
del ristorante cinese, barba incolta sul viso e profonde occhiaie sotto
agli
occhi. Il mio aspetto non era dei migliori, sembravo un povero barbone
in cerca
di un ponte dove rifugiarsi per la notte. Rallentai il passo e svoltai
l’angolo, cercando di superare in fretta la vetrina del
negozio di dvd a
noleggio. Non potevo sopportare un altro dei sorrisi melensi di Molly.
Con una
veloce occhiata mi accorsi che era intenta a passarsi lo smalto sulle
unghie,
così mi defilai velocemente prima di essere visto. Continuai la mia
passeggiata notturna e mi
tirai su il cappuccio della felpa, naturalmente aveva ricominciato a
piovere.
Non poteva aspettare ancora due minuti? Ma si sa, le sfortune non
arrivano mai
da sole, quindi mi ritrovai con un lato del corpo completamente
fradicio. Un
maledetto taxi aveva costeggiato il marciapiede a tutta
velocità e aveva
sollevato un ingente quantità d’acqua che
risiedeva sulla strada.
Bel venerdì sera Edward!
Una volta arrivato dinnanzi al vecchio portoncino del mio palazzo,
tirai fuori
le chiavi e dopo tre tentativi riuscii ad aprire. Eh sì,
abitavo in uno dei
quartieri più malfamati di New York e mi andava bene
così. Salii le scale e
arrivai al quarto piano. Aprii la porta del mio appartamento e posai la
busta,
anch’essa bagnata, sul tavolo della cucina. Accesi il
portatile e mi andai a
cambiare. Dovevo assolutamente finire quella dannatissima storia,
sennò chi lo
raccontava al mio editore che non ero affatto pronto a consegnargli il
mio manoscritto?
Da mesi mi stava col fiato sul collo e io non facevo che promettere di
finire
presto. Niente di più lontano dalla verità.
Essere uno scrittore era sempre
stato il mio sogno, non ero famoso ma piuttosto conosciuto. Non potevo
lamentarmi, la mia vita in fondo mi piaceva. Non stavo in un ufficio,
ma a casa
a godermi ciò che amavo di più: Lucky e il mio
computer. Stavo bene persino
senza una donna. L’ultima era andata via, sbattendo la porta
d’ingresso
talmente forte da rompere la già precaria finestra del
soggiorno, urlandomi
cose come “fallito”, “stupido
egoista”, “scrittore da quattro soldi” e
altre
cose impronunciabili. Poco male, la convivenza non faceva per me. Cindy
era una
brava ragazza, ma troppo pettegola. Tra l’altro amava la
bella vita e i soldi,
cosa che io non avrei mai potuto dargli. Qualcosa da parte
l’avevo, grazie ai
miei libri pubblicati, ma non volevo andare in una casa migliore, come
lei
desiderava e no, non volevo mandare via il mio labrador. Quindi aveva
preferito
“andare via”. Certo poteva anche evitare di
rompermi una finestra, che tra l’altro
era rimasta mezza rotta da allora, ma non potevo che essere sollevato
per
essere tornato lo scrittore da quattro soldi e single.
<< No Lucky, sta giù! >>
Spostai il grosso muso nero del mio migliore amico peloso dalla busta,
che
conteneva il mio orribile cibo. Non ero capace di cucinare nemmeno un
uovo,
quindi mi dovevo accontentare. Certo, in effetti Cindy alle volte mi
preparava
qualcosa di più commestibile…
<< Va via, tu hai già mangiato e credimi te la
passi meglio di me.
>>
Lucky non si arrese e rimase seduto accanto a me, mentre mangiavo con
una
smorfia ciò che avevo comprato. Rilessi alcuni pezzi della
mia storia, ma era
come se non avessi mai scritto una sola parola in vita mia. Niente da
fare.
Lasciai tutto sul tavolo, compreso quello strano pollo speziato, e mi
gettai
sul divano del salone. Rinunciai a richiamare il mio cane, mentre
cercava di
raggiungere il cartoncino bianco, senza farsi sentire da me.
<< Fa pure. >> dissi annoiato e Lucky si
fiondò sui rimasugli della
mia cena. Poi soddisfatto, si accucciò vicino a me.
Sbadigliai e mi stiracchiai
leggermente. Qui il problema era serio. O finivo quel libro o dicevo
addio al
mio editore. Continuai a guardare svogliatamente la tv fin quando la
stanchezza
non prese possesso di me e scivolai su Lucky, già
addormentato vicino a me.
L’ho già detto? Lo ripeto: bel Venerdì
sera, Edward.
**********************************
Che
diavolo stava succedendo?
Una serie di suoni simili e continui mi martellavano il cervello.
Sentii
qualcosa bagnarmi il viso e non appena capii che si trattava del mio
cane, lo
mandai via con un gesto della mano. I suoni continuavano
incessantemente, così
mi sollevai con un gran dolore alla schiena, dal divano, e mi misi a
sedere. Il
cellulare? Il citofono? Il portone? Sembrava che qualcuno stesse
suonando a
tutti e tre contemporaneamente. No, c’era pure la sveglia
della stanza da
letto. Mi misi le mani nelle orecchie e per prima cosa afferrai il
telefono che
continuava a squillare, senza sosta.
<< Pronto? >> mugugnai senza neppure vedere
chi era.
<< Edward hai finito vero?
>>
<< Chi parla? Finito cosa? Mi sono appena svegliato,
maledizione!
>>
<< Come sarebbe? Edward sono
John,
ricordi? Il tuo maledettissimo editore! >>
Oh. Bene, questa non ci voleva. Non potevo guardare il display del
cellulare
prima di rispondere? E poi chi diavolo suonava ancora alla porta e al
citofono?
Aprii la porta d’ingresso, con un diavolo per capello e
trovai il sorriso
radioso di mia madre.
<< Tesoro! >>
<< Mamma, cosa ci fai qui? >>
<< Hai un aspetto orribile, lo sai? >>
disse entrando e scansandomi
in malo modo.
Risposi anche al citofono,appoggiando il ricevitore
nell’altro orecchio.
<< Chi è? >> sputai con rabbia.
<< Eddino, mi dovevi riportare il dvd
dell’altra sera. Sai com’è Doris,
creerebbe problemi sia a me che a te. Controlla ogni mattina che tutto
sia a
posto. >>
Desideravo sbattermi la testa al muro.
<< Ehm sì, te lo porto tra poco,
d’accordo? >> richiusi il citofono
senza attendere risposta e chiusi la porta di casa.
<< Edward dove sei finito? Mi
senti? >>
<< Sì John, non è giornata.
>>
<< E quando è
giornata, allora?
>>
<< Non lo so, ma di sicuro non oggi! >>
<< Fammi sapere qualcosa entro
domani
mattina, altrimenti ti dovrai cercare un altro editore! >>
Mi chiuse il telefono in faccia, ma c’era da aspettarselo.
Ero in ritardo di
più di un mese rispetto ai nostri accordi. Sospirai e gettai
il telefonino sul
divano.
<< Edward, questa casa è uno schifo! Che fine
ha fatto Cindy? >>
<< Cindy se ne è andata, mamma.
>>
<< Come? E perché non me l’hai
detto! >>
La guardai sorpreso del suo tono entusiasta, come se gli avessi appena
detto di
aver vinto alla lotteria.
<< Oh, meno male! Io e tuo padre ci chiedevamo appunto
quando se ne
sarebbe andata! >>
Sorrisi mio malgrado, i miei genitori erano davvero dei tipi strani.
<< Sei terribilmente pallido, amore. Vieni a casa con me,
hai bisogno di
mangiare qualcosa di più sano, a giudicare dai pacchettini
del ristorante cinese
che ci sono sul tuo tavolo. >>
<< Oh no, devo lavorare e non posso venire.
>>
<< La mia non era una domanda. Forza, fatti una doccia e
renditi
presentabile. Ora devo andare a prendere Alice alla stazione e poi a
casa, a
preparare un pranzo come si deve per mio figlio. >>
Venne ad abbracciarmi e io ricambiai. Nonostante tutto ero contento di
passare
del tempo a casa e mangiare qualcosa di decente. Tanto non avrei
concluso nulla
stando da solo.
<< Non fare tardi e porta Lucky! >> mi
urlò dal pianerottolo.
Lucky per risposta abbaiò e io dopo averlo strapazzato di
coccole, come facevo
ogni mattina, mi preparai per uscire. Mi portai dietro la borsa del mio
portatile e andai al parco, come al solito. Queste erano le mie
abitudini, solo
che invece di tornare a casa sarei stato un po’ di tempo con
la mia famiglia.
Mi ero persino dimenticato di mia sorella che tornava da uno stage a
Parigi. In
strada comprai il mio solito giornale, potevo benissimo passare per un
ultra
ottantenne invece che un ragazzo di venticinque anni, e lasciai il dvd
nell’apposito spazio fuori al negozio. Di vedere Molly non se
ne parlava. Dalla
sera di qualche mese prima in cui l’avevo baciata, in preda
alla solitudine e
all’alcool, lei non mi aveva più lasciato in pace.
Era molto carina, ma non
m’interessava minimamente. Meglio che si mettesse il cuore in
pace, una volta
per tutte.
Mi sedetti su una panchina del parco e lasciai libero il mio labrador,
tanto
non si sarebbe allontanato. Passai in rassegna le notizie della
giornata,
riportate sul giornale e mi godetti la tranquillità di
quella giornata di sole.
Ad un certo punto sentii Lucky abbaiare di continuo e mi guardai
intorno. Era
poco lontano da me, ma cercava di attirare l’attenzione di un
bel pastore
tedesco, seduto accanto ad una ragazza con lunghi capelli castani e un
cappotto
beige.
<< Lucky, vieni qui. >>
Stranamente non mi diede retta e continuò a gironzolare
attore al pastore.
Forse era una femmina a giudicare dal suo atteggiamento. Di solito non
dava
molta importanza agli altri maschi. Beh, aveva preso dal suo padrone!
Mi alzai,
preoccupato che disturbasse pure la ragazza e afferrai il guinzaglio.
<< Ehi, cosa ti ho detto? Vieni subito qui!
>>
Arrivai accanto alla giovane, ma non feci in tempo a guardarla bene in
viso,
che si alzò e tirò il suo cane da un'altra parte.
<< Mi scusi signorina. Di solito è
più ubbidiente, comunque non è
pericoloso. >>
<< Non fa nulla. Terry, andiamo. >>
mormorò talmente piano che a
stento la udii.
Acchiappai Lucky, prima che la seguisse, e lo attaccai al guinzaglio.
<< Che ti prende? >> dissi severamente e
lui abbassò le orecchie.
Uscii dal parco, non capendo l’atteggiamento di quella
ragazza. Forse si era
arrabbiata. Decisi di non pensarci più e tornai verso casa
per prendere la
macchina. Impiegai diverso tempo prima di raggiungere la casa dei miei
genitori, per via del traffico. Quando arrivai riconobbi la macchina di
mia
madre, dovevano essere già tornate lei e Alice. Suonai il
campanello e fu
proprio lei ad aprire.
<< Fratellone! >>
<< Ali >> ricambiai il suo abbraccio e la
feci volteggiare un paio
di volte.
<< Ti sei scordato di me. >>
piagnucolò come una bambina piccola.
La misi giù e le scompigliai i capelli neri tagliati a
caschetto.
<< Che dici nana! In questi giorni sono stato
terribilmente impegnato. Il
mio editore mi vuole abbandonare. >>
<< Cosa? Perché? >>
<< Voi due avete intenzione di rimanere alla porta?
>>
Mio padre mi tirò la manica del giubbotto e mi fece entrare.
<< Non vedo più mio figlio, tu l’hai
visto? >>
Risi e ci abbracciammo. Avevo sempre avuto un rapporto quasi fraterno
con mio
padre.
<< Mi ha mandato una cartolina, dice che
tornerà presto. >>
<< Sì, come no! Vieni qui sciagurato di un
figlio, il pranzo è quasi
pronto. >>
Come facesse mia madre a cucinare, in così breve tempo, era
sempre stato un
mistero per me.
<< Mamma, l’editore di Edward vuole lasciarlo.
>>
<< Tesoro come mai? >>
<< Beh, non riesco a terminare il mio libro entro i
termini previsti. Lui
ha molti altri progetti in coda, quindi non può permettersi
di perdere tempo
con me. >>
<< Potevi fare il medico >>
borbottò mio padre, beccandosi uno
scappellotto da mia madre.
<< Carlisle! Falla finita con questa storia. Tuo figlio
vuole fare lo
scrittore e sai anche tu quanto sia famoso! >>
Non esageriamo… le vendite andavano piuttosto bene, ma non
ero ancora a livello
di best seller.
<< Edward, hai mai pensato di cambiare genere?
>>
Ascoltai distrattamente la domanda di mia sorella, perché
ero impegnato a
gustare uno dei miei piatti preferiti. Aveva ragione mia madre, era da
troppo
tempo che non mangiavo per bene.
<< Ehm… non saprei. Mi sono sempre dedicato ai
gialli. >>
<< Perché non scrivi qualcosa di romantico?
>>
<< Romantico? >> le feci eco, inorridito.
<< Non credo sia possibile, tra l’altro devo
finire il mio progetto.
>> continuai risoluto.
<< Non sarebbe una cattiva idea, però. Ti
aiuterebbe cambiare, senza
contare che un bravo scrittore sa scrivere diversi generi.
>>
Avrei voluto ribattere che non era proprio così, certo uno
scrittore capace
poteva scrivere generi diversi, ma questo non stava a significare che
non lo si
era, se ci limitava a un certo tipo di standard letterari. Cambiai
discorso
chiedendo ad Alice del suo viaggio, per distogliere
l’attenzione da me e
continuare a mangiare in santa pace. A quanto pare mia sorella si era
invaghita
di un pittore francese, che veniva dall’america, Jasper Hale.
Chi era adesso
questo?
<< Alice sei troppo piccola. >>
<< Lo dici solo perché tu sei vecchio!
>>
<< No, che non lo sono! >>
<< State buoni che la mamma porta il dolce.
>>
Entrambi guardammo nostro padre per poi tornare a fissarci. Sorrisi, mi
sembrava di essere tornato ai tempi della scuola, dove a tavola
qualsiasi scusa
era buona per battibeccare.
<< I miei bambini! >> disse sognante mia
madre quando ci servì una
deliziosa fetta di torta al cioccolato.
<< Oh mamma, per favore! >> mormorai
arrossendo. Non mi erano mai
piaciute le attenzioni.
<< Eddy si vergogna! >>
Detti un pizzicotto alla mia nana e poi spostai l’attenzione
su Lucky che,
disteso vicino a me, si era sollevato e aveva posato il muso sulla mia
gamba.
Di solito gli allungavo sempre qualcosa da mangiare.
<< Lucky, amore, vieni qui. >> mia madre
pensò anche a lui, che la
seguii scodinzolando.
<< Ragazzi, scusatemi ma oggi c’è la
partita. >> mio padre
raggiunse il salone di gran carriera, seguito da mia sorella che
protestava per
avere la televisione libera, per vedere uno dei suoi soliti telefilm.
<< Mamma ti do una mano. >> presi qualche
piatto dal tavolo e
glielo portai.
<< Sei sempre così dolce, tesoro. Va pure a
rilassarti, penso a tutto io.
>>
Mi accarezzò una guancia e sempre seguita a breve distanza
dal mio labrador,
che sperava sempre in
qualche extra,
tornò in cucina. Non sapendo cosa fare, dato che la
televisione non m’
interessava, salii le scale per tornare alla mia vecchia stanza. Erano
anni che
non ci entravo.
Aprii la porta ed entrai. La stanza era pulita e in perfetto ordine,
grazie a
mia madre. Tutto era rimasto come l’avevo lasciato. La mia
chitarra in un
angolo, vicino ad una pianola elettrica. I poster dei Rolling Stone
alle pareti
e il vecchio giradischi di mio nonno su una mensola, con tutti i dischi
di
musica classica, ormai introvabili. Ero sempre stato un appassionato di
Debussy. Sospirai e mi sedetti sul letto, che ne aveva viste di tutti i
colori.
Ricordavo ancora la mia prima volta con Jessica Stanley, avvenuto in un
pomeriggio
dove dovevamo fare una ricerca insieme. Questo però non era
un ricordo del
tutto importante. Era un momento che ovviamente non avrei mai
dimenticato, ma
non amavo Jessica. Anzi era piuttosto insopportabile, ma ero pur sempre
un
ragazzo in cerca di nuove emozioni, di cose mai provate prima e lei di
certo
era sempre stata piuttosto chiara nelle sue intenzioni. Avevo colto la
palla al
balzo, insomma. L’unica vera donna importante era stata
Isabella. In realtà era
solo una bambina. La mia migliore amica. L’unica che mi era
stata accanto
quando venivo preso in giro, da tutti, per il mio aspetto troppo
sportivo, i
miei occhiali enormi e i brufoli sul viso. Avevamo passato insieme
quasi tutti
i pomeriggi in questa stanza a studiare e divertirci. Lei mi ascoltava
suonare
con la chitarra e scriveva con me alcune canzoni. Non sapevo
perché stavo
pensando a lei, di nuovo. L’ultima volta che la vidi, eravamo
in quinta
elementare. Era l’ultimo giorno di scuola e le stavo
già proponendo qualcosa da
fare insieme per l’estate, ma lei mandò il mio
mondo in frantumi quando mi
disse che i suoi stavano divorziando e che doveva partire in Francia
con la
madre. Ero innamorato di lei, anche se non avevo mai avuto il coraggio
di
dirglielo. Eravamo piccoli e non sapevo sul serio cosa fosse
l’amore, ma quello
che provavo per lei era un sentimento puro e profondo, che ancora mi
scuoteva
l’animo. So che era assurdo, lei di sicuro era fidanzata con
l’uomo della sua
vita e io ero ancora qui, patetico, a ricordarla. Era dolce e gentile e
mi
difendeva da tutte le battute e gli scherzi dei miei compagni, a causa
del mio
aspetto. Con il tempo ero cambiato e al liceo le ragazze facevano a
gara per
avere le mie attenzioni. Nessuna era come lei, però. Nessuna donna, mai,
avrebbe preso il suo posto
nel mio cuore. Non sapevo se io avevo un posto nel suo, ma lei avrebbe
fatto
parte per sempre della mia vita. Il mio sguardo cadde sulla libreria,
davanti
c’era un asse del parquet leggermente rialzato. Una morsa mi
prese lo stomaco e
raggiunsi quel punto. Presi un piccolo cacciavite e sollevai la
tavoletta.
Sotto c’era una scatola di latta, che conoscevo bene.
L’avevo messa io lì, il
giorno in cui era andata via, e non l’avevo mai
più riaperta. Potevo
semplicemente buttare tutto, come tentai di fare, in lacrime, quando
tornai a
casa. Alice era piccolina e vedendomi in quello stato, indeciso se
buttare via
tutti i nostri ricordi, mi disse di nascondere tutto, come aveva visto
fare a
un personaggio dei cartoni animati. Seguii il consiglio della mia
sorellina di
quattro anni e ora mi trovavo qui a riaprire quella scatola, che era
per me
come un vaso di pandora.
<< Eddy sei qui? >>
La guardai e le feci cenno di avvicinarsi. Si sedette a terra, vicino a
me e
guardò la scatola come se le fosse familiare.
<< Te la ricordi? >>
<< Mi sembra di averla già vista, cosa
c’è dentro? >>
<< Io ero in quinta elementare, tu avevi solo quattro
anni. La mia
migliore amica, Isabella, stava per partire e io volevo buttare tutto
ciò che
me l’avrebbe ricordata. >>
<< Sì! Ho dei ricordi vaghi, ma se non sbaglio
te l’ho consigliato io di
conservare e nascondere tutto. >>
<< Sì, nana. >>
<< Sei emozionato fratellino. >>
<< Che dici?! >>
<< Dai apri. >>
<< Non sono sicuro di volerlo. >>
<< Che può succedere? Sei un adulto ormai.
>>
Aveva ragione, oltretutto mi sarebbe rimasto questo desiderio, tanto
valeva
aprirla. Lo feci dopo qualche minuto e un sorriso mi nacque spontaneo
quando
vidi, per prima cosa, il braccialetto porta fortuna che ci eravamo
scambiati.
Eravamo andati in giro per il mercatino, o meglio lei mi ci aveva
trascinato.
Ad un certo punto si era fermata in una bancarella dov’ erano
esposti dei
braccialetti colorati. Disse che ne dovevamo avere uno per entrambi e
cominciò
a scegliere dei colori tremendi per me, ovvero rosa, viola, fucsia.
Davanti
alla mia faccia inorridita, si era arresa ad un braccialetto giallo.
Desideravo
dirle che neanche quel colore mi piaceva e cercai di fermarla,
sopraffatto
dalla vergogna, mentre mi tirava su la manica del maglione e tentava di
infilarmi
quel laccetto.
<<
Tu sei come il sole. >>
Quella
parole mi avevano
fatto desistere. Non sapevo cosa voleva dire, ma doveva essere qualcosa
d’importante a giudicare dal suo sguardo.
<< Ehi, ci sei? >>
Alice mi picchiettò sulla spalla, riportandomi alla
realtà. Misi da parte il
braccialetto, leggermente sfilacciato ai margini, in quanto me
l’ero strappato
via con violenza, il giorno in cui era andata via, e
presi una pietra verde brillante. Mia
sorella me la levò dalle mani e la mise sotto alla lampada
della libreria.
<< Wow! Luccica! >>
Io e Isabella eravamo andati al parco, vicino al laghetto. Lei voleva
assolutamente imparare a lanciare i sassi sull’acqua, senza
farli affondare
subito. Era una pessima allieva e ci misi un po’ per
insegnarglielo. Stavo per
lanciare quella strana pietra verde, per farle vedere di nuovo come si
faceva,
quando lei strillò, facendomi spaventare. Prese la pietra
dalle mie mani e la
osservò con attenzione. Poi m’impose di
conservarla.
<<
Perché? >> le chiesi senza capire.
<< Mi ricorda i tuoi occhi. >>
<< E perché la devo tenere io? >>
<< Così non ti dimenticherai mai di questa
giornata. >>
Me
la sarei ricordata lo
stesso, avrei voluto dirle. Passai oltre e afferrai un leoncino di
peluche.
Alzai gli occhi al cielo con un sorriso. Me l’aveva regalato
per il mio
compleanno. Diceva che i miei capelli sembravano la criniera di un
leone. Lo
misi da parte e vidi una cosa che non mi sarei mai aspettato. Era una
busta,
con dei fogli piegati a metà, dove c’era scritto
il suo nome. Li lessi ed erano
degli appunti, frasi e annotazioni fatte su di lei.
“
Al vento i suoi capelli assumono il colore di un
caldo mogano e i suoi occhi s’illuminano d’oro al
tramonto “
“ La sua dolcezza è qualcosa che mi disarma
continuamente. Il suo animo non
conosce cattiveria. Mi fa stare bene la sua presenza, come fosse un
angelo
custode, senza cui sarei perso. “
“Questa strana sensazione che provo quando incontro i suoi
occhi o ascolto la
sua voce si chiama amore? Cos’ è questo
sentimento? “
“ Se conoscesse i miei pensieri capirebbe quanto vale, quanto
è bella, quanto è
importante. Che farei senza di lei? Non voglio pensare alla
possibilità di
perderla. “
Di
colpo ricordai la folle
idea di scriverle un libro. Lei era l’unica a sapere di
questa mia passione,
l’unica che rimaneva con me durante la pausa pranzo della
scuola, ad ascoltare
tutti i miei dubbi e i miei sproloqui sulle storie che inventavo, e
ancora
l’unica che mi capiva e mi sosteneva. Così a sua
insaputa, naturalmente, avevo
pensato di scrivere un libro su di lei. Immaginavo che avrei sfondato
nel campo
della scrittura e sarei diventato famoso grazie a quello, quindi a lei.
Mi
accorsi che quella bambina era diventata il centro del mio mondo.
Tutto ruotava intorno a lei.
<< Edward, questa pietra è bellissima. Te
l’ha regalata Isabella?
Richiama il colore dei tuoi occhi! >>
<< Già. >> risposi atono.
Mi rifiutai di vedere il resto delle cose, quindi misi tutto a posto.
Quando mi
rialzai, vidi Alice con i fogli che avevo dimenticato fuori. Li leggeva
con
attenzione e io cercai di sottrarglieli.
<< Alice dammeli, forza. >>
<< Edward, ci sono scritte cose bellissime qui. Volevi
scriverci un libro
su tutto questo, vero? >> mi sventolò i fogli
sotto al naso e io
sospirai, senza rispondere.
<< Perché non lo fai? >>
<< Cosa dovrei fare? >>
<< Scrivi questo libro. >>
<< Sei matta? Non posso, cosa dovrei scrivere poi?
>>
<< Di Isabella, ovvio! Devi seguire la tua idea
originale! >>
<< Non sai di cosa parli. Ero solo un bambino quando ho
scritto quegli
appunti. E’ ridicolo. >>
<< Non lo è, lo sai pure tu. Metti un attimo
da parte la storia che stai
scrivendo e dedicati a questo. Chissà, magari anche lei
potrebbe leggerlo.
>>
A quelle parole sgranai gli occhi. Era altamente improbabile e poi non
avrei
messo il suo nome all’interno della storia.
<< Scrivi su di lei, su di voi! >>
<< Non c’è nessun “ noi
“ Alice. >>
<< Smettila! Scrivi su Bella! E’ il diminutivo
del suo nome, è perfetto
>>
<<
Sai, Edward, dovresti trovarmi un nomignolo.
Isabella non mi piace! >>
<< E’ un bellissimo nome. >>
<< No! Dai, trovami qualcos’altro. Mi chiamerai
solo tu così! >>
<< Va bene. Vediamo… che ne dici di Bella?
>>
Lei sorrise e mi diede un bacio sulla guancia. Non l’aveva
mai fatto.
Non riuscivo a
crederci… tra l’altro se lei
avesse davvero letto una cosa del genere mi avrebbe preso per pazzo.
<< Devi farle capire che parli di lei, senza farlo notare
chiaramente.
>>
<< Alice non credo sia una buona idea. >>
Lei mi diede i fogli e mi battè una mano sulla spalla.
<< Coraggio, comincia a scrivere da questi.
>>
Si avviò verso la porta, quasi saltellando, e poco prima di
chiudersi la porta
alle spalle mi schiacciò l’occhio.
<< Te l’avevo detto, no? Cambia genere e scrivi
qualcosa di più
romantico! >>
Mi lasciò solo con quei pensieri e io per un attimo presi in
seria
considerazione la sua idea. Era assurdo, no? Allora perché
più passava il tempo
più mi convincevo che potevo farlo? Alla fine cosa avevo da
perdere? Afferrai
il cellulare e composi il numero di John.
<< Hai ragione, oggi è la giornata giusta.
>> dissi non appena mi
rispose.
<< Giusta per cosa? Edward,
ragazzo
mio, fattelo dire tu sei proprio matto. >>
<< Ti consegnerò una nuova storia.
>>
<< Cosa? Nuova? No, non
c’è tempo!
>>
<< Dammi almeno un mese! >>
<< Non se ne parla.
>>
<< Non te ne pentirai. >>
<< Invece sì.
>>
<< Ti prego, John. >>
<< Un mese soltanto e dopo sei
fuori! >>
Lo ringraziai e chiusi la comunicazione. Isabella Swan,
terrò fede alla mia
promessa, anche se non te l’avevo mai fatta per davvero.
Scriverò su di te.
Scriverò su Bella.
****************************************
Un
mese mi doveva bastare.
Pensavo a questo continuamente, anche adesso con i miei occhiali da
lavoro, che
non erano più quelli terribili della mia infanzia, e il
portatile davanti. Mia
sorella mi aveva pure trovato una foto di me e Isabella, nel parco
della
scuola. Io ero imbarazzato, mentre Isabella sorrideva entusiasta, con
un
braccio intorno al mio collo e una mano sul viso per ripararsi dal sole
di
inizio estate. Era dolcissima con quelle due codine e un abito rosa
senza maniche.
Non sapevo dove Alice aveva trovato quella foto, probabilmente
dall’album di
famiglia custodito da mia madre, ma non riuscivo più a
separarmene. Me la
mettevo davanti ogni volta che scrivevo. Erano passate quasi due
settimane da
quando mi ero gettato in questo folle impegno. Ci sarei riuscito?
Dovevo.
Lucky cominciò a lamentarsi e io a spazientirmi.
<< Non è il momento. >>
borbottai pigiando sui tasti più del
dovuto. In risposta il mio cane abbaiò con decisione.
Svogliatamente guardai
l’orologio da polso e mi accorsi che avevo saltato
l’uscita del pomeriggio.
<< E va bene! Usciamo. >>
Il mio amico si fiondò verso la porta e io con un sospiro
presi il guinzaglio e
uscii. Mi ero pure dimenticato della giacca, mi accorsi in ascensore,
ma decisi
di non tornare a recuperarla.
<< Belle scarpe. >> disse ridendo una bella
ragazza mora, che
incrociai per strada. La giacca non era l’unica cosa che
avevo dimenticato, a
quanto pare.
<< A te starebbero meglio, però.
>> le risposi, mentre lei mi
superava con un occhiataccia, ondeggiando sui suoi tacchi. Sorrisi tra
me e
continuai la mia breve passeggiata.
<< Visto che mi fai fare? >> chiesi
all’indirizzo di Lucky, che
scodinzolò in risposta.
Quando tornai indietro trovai una sgradevole sorpresa ad attendermi,
davanti al
portone. Una ragazza con lunghi capelli scuri, una gonna
così corta da lasciare
ben poco spazio all’immaginazione e dei tacchi da far invidia
pure alla ragazza
che avevo incontrato prima.
<< Cindy hai dimenticato qualcosa nel mio appartamento?
>>
Lei si voltò con un sorriso e mi corse incontro. Come faceva?
<< Tesoro! Finalmente sei tornato! Ti aspettavo.
>>
Tesoro? Finalmente? Ti aspettavo?
<< Non capisco Cindy. Sei scappata via da casa mia, mesi
fa, e mi hai
pure rotto una finestra! >>
Quasi risi di me stesso alla mia ultima affermazione. Lei mi
guardò per nulla
intimorita, come se le avessi detto che mi si era solo fermata la
macchina in
mezzo al traffico.
<< Mi conosci, sono un po’ lunatica! Ero solo
arrabbiata, ma ora è tutto
a posto. >>
<< Tutto a posto? Secondo me non sei solo lunatica. Ti
saluto. >>
Aprii il portone ed entrai, subito seguito da lei. Feci finta di non
vederla,
magari si sarebbe sentita umiliata e se ne sarebbe andata, invece la
ritrovai
con me in ascensore.
<< Si può sapere che vuoi? >>
<< Stare con te, Edward, non è ovvio?
>>
<< No, dal momento che te ne sei andata nel bel mezzo di
una discussione.
>>
<< Voglio rimediare. >>
Si avvicinò a me e io mi ritrassi, sorpreso.
<< Cindy, ora tu rimani in questo fottuto ascensore e
scendi di nuovo
giù. Devi andartene, ok? >>
<< Per favore dammi una possibilità.
>>
Nel frattempo eravamo giunti al mio appartamento, mi seguii anche
lì e si mosse
in casa con tranquillità, come faceva un tempo.
C’erano stati tempi migliori,
in cui spesso tornavamo insieme ed eravamo sereni e non tesi come
adesso, per
lo meno io lo ero. Aveva tanti difetti, quanto pregi Cindy e mi ero
comunque
affezionato molto a lei. Le cose però non erano sempre
andate bene, specie
quelle più semplici e il rivederla non mi aveva fatto nessun
effetto, se non
tristezza e rabbia. Avevamo passato diversi anni insieme, dove io
credevo ogni
volta che le cose sarebbero migliorate ma così non era stato
e il suo
comportamento me ne stava dando conferma.
<< Cindy, non voglio essere sgarbato ma devi andare via.
Tra noi è
finita. >>
Lei fece finta di nulla e si diresse in cucina.
<< C’è già un'altra
donna, vero? O magari c’è sempre stata.
>>
Non seppi perché il volto della mia migliore amica mi
affollò la mente. C’era
sempre stata lei nel mio cuore, ma non era il motivo per cui tra noi
non aveva
funzionato.
<< Sai che non è così. Siamo
diversi, devi accettarlo. >>
La vidi guardare il portatile e poi afferrare qualcosa, che poi capii
essere la
foto di me e Isabella.
<< Lei chi è? >>
<< Non è affar tuo. >>
<< Quindi è come pensavo. >>
disse gettando la foto sul tavolo.
<< No, ma in ogni caso cosa cambierebbe? >>
<< Io voglio stare con te, Edward, questo cambierebbe.
>>
<< Cindy è finita, perché non lo
capisci? Sei stata tu la prima ad
andartene. >>
Lei scosse il capo e mi raggiunse. In un attimo sentii le sue labbra
sulle mie.
Un contatto familiare e per certi versi confortante in un momento
simile. Mi
sentivo solo e senza un obbiettivo. Ero così stupido da
scrivere pure un libro
sulla mia migliore amica, di cui ero sempre stato innamorato.
Mi staccai da lei, pentendomi di essermi fatto coinvolgere. Cindy non
sarebbe
stato di nuovo un ripiego, una giustificazione o una compagnia.
<< Esci da casa mia e non tornare. >> le
dissi perentorio.
Le aprii la porta e la vidi uscire con rassegnazione. Tornai in cucina
e presi
la fotografia. Che cosa stavo facendo? Mi sedetti di nuovo e mi presi
la testa
tra le mani. Tornare indietro sarebbe stato inutile. Forse proprio
Cindy mi
aveva dato lo spunto per essere sincero e riversare in quello scritto
tutto me
stesso. Così feci, con la speranza di concludere quel
progetto e con il sogno
che tutto questo potesse in qualche modo raggiungerla.
************************************
Aggiustare un tubo era più complesso che scrivere un libro.
Girai ancora la
chiave inglese e un fiotto d’acqua mi colpii il viso.
Imprecai e sollevandomi
sbattei la testa nel bordo del lavello. Imprecai di nuovo e finalmente
mi
alzai. Decisi che mi sarei arreso, avrei fatto meglio a chiamare
l’idraulico.
Presi il telefono e dopo aver fatto la mia telefonata, notai decine e
decine di
messaggi. Molti erano da parte del mio editore. Era rimasto entusiasta
del
libro.
Il mio pensiero ti ha raggiunto?
Sì,
non era per nulla originale, ma i tempi erano stretti e avevo deciso il
titolo
poco prima di entrare nell’ufficio di John. Lui mi aveva
guardato scettico,
dopo averlo sentito, ma si era convinto a mandarlo subito in stampa.
Tempo
dopo, il libro si era posizionato in un ottimo posto nella classifica
dei
migliori libri della grande mela e io ero soddisfatto. Credevo che
sarei stato
più felice dalla buona riuscita del mio progetto, ma
così non era stato. Erano
passati sei mesi e nulla era cambiato. Vivevo ancora nel mio vecchio
appartamento, con la finestra rotta, un divano che stava cadendo a
pezzi e ora
anche un tubo rotto del lavandino, della cucina.
In fondo cosa mi aspettavo?
Per sino Molly si era presentata, un giorno, alla mia porta chiedendomi
se il mio pensiero fosse rivolto a
lei.
Incredibile. Adesso John tentava di trascinarmi a una serie di feste ed
eventi
insieme ad altri scrittori ed editori, di varie case editrici. Ero
stato ad
alcune di queste, ma alla fine non erano altro che cene dove le ragazze
invitate cercavano di sedurmi o convincermi a scrivere qualcosa per
loro.
Insomma una vera follia e non ero intenzionato ad andarci di nuovo.
Il campanello
suonò e io mi sorpresi
della velocità dell’idraulico. Sospirai e con la
maglietta mezza bagnata andai
ad aprire. Fu in quel momento che il tempo sembrò fermarsi.
Davanti a me non
c’era affatto l’uomo dell’impresa
idraulica, che avevo contattato, ma una
bellissima donna dagli occhi scuri che mi guardava timidamente,
mordendosi il
labbro inferiore. La riconobbi subito, nonostante fossero passati
quindici
anni. Il suo sguardo non era cambiato. Deglutii un paio di volte a
vuoto.
Dovevo dire o fare qualcosa di particolare? Il cuore mi martellava nel
petto e mi
sentivo a corto d’aria. Lei fece un passo avanti e io uno
indietro. Da quanto
eravamo sulla soglia della porta senza riuscire a dire una parola?
<< Hai i capelli scombinati. >> disse
lasciandomi di sasso. Tutto
mi aspettavo tranne che quello. Tante volte mi ero immaginato il nostro
ipotetico incontro e le sue parole erano decisamente diverse da quelle
che
aveva appena pronunciato. D’altronde era Isabella e lei era
capace anche di
questo.
<< Come sempre. >> aggiunse abbassando il
suo viso d’angelo e mordendosi
le labbra.
Le feci spazio e lei mi passò accanto, inondandomi con il
suo profumo floreale.
Possibile che non fosse cambiato dall’ultima volta che
l’avevo vista?
La vidi guardarsi intorno e posare la borsa. Tra le mani stringeva un
libro, ma
non mi persi in ulteriori dettagli.
<< Wow, quest’appartamento ha bisogno di una
donna. >>
Risi nervosamente e sentii il panico montarmi addosso con
velocità. La mia
mente ancora non riusciva a comprendere cosa stesse accadendo. Lei, la
mia
Bella, era nel mio appartamento.
Adesso non
era più la piccola
bambina, dalle guance rosse e le treccine, ma una splendida donna non
molto
alta ma longilinea, con lunghi capelli mossi che le arrivavano alla
schiena. Il
suo profilo era dolce e mi ricordava terribilmente la bambina che mi
aveva
portato via il cuore. Continuai ad osservarla e lei fece lo stesso. Era
in
evidente imbarazzo e io ancora non avevo detto una parola.
<< Edward. >> m’irrigidii nel
sentire di nuovo il mio nome
pronunciato da lei.
<< Come… >> non sapevo neppure
io cosa volevo chiederle. Come mai
sei qui? Come mi hai trovato? Hai pensato a me in questi anni? Sei qui
per
rimanere?
<< Ti starai chiedendo cosa ci faccio qui.
>>
Mi avvicinai a lei e le accarezzai il viso con una mano.
<< Non capisco come questo sia potuto accadere, davvero,
ma come hai
fatto a trovarmi? >>
Mi fece vedere il libro e sorrise.
<< Tante volte sono arrivata dietro la tua porta, ma solo
adesso ho
trovato il coraggio di bussare. >>
<< Isabella, cosa… >> mi
interruppe, posandomi un dito sulla bocca.
<< Dopo che me ne sono andata, non sono riuscita a
smettere di pensare a
te. All’inizio pensavo che ti saresti sentito solo, volevo
difenderti da
qualunque cosa e da chiunque. >>
Sorrisi e le accarezzai i capelli. Era esattamente ciò che
faceva quando
eravamo alle elementari. Per colpa del mio aspetto ero la principale
vittima
degli scherzi dei bulli della scuola e dei risolini beffardi delle
bambine più
belle, così lei c’era sempre stata per me e non mi
aveva mai abbandonato.
<< Con il tempo, ho immaginato il tuo cambiamento. Sapevo
che eri
diventato uno splendido ragazzo che non aveva più bisogno di
una vecchia amica,
circondato da donne molto più belle di me e con una luminosa
carriera da
scrittore. >>
<< Non sono splendido e non sono circondato da donne!
>>
<< Lo sei sempre stato. Ricordi che te lo dicevo?
>>
Arrossii e io la strinsi a me, era adorabile esattamente come la
ricordavo! Era
vero, alcune volte la sorprendevo a fissarmi. Avevo due occhiali
terribili, i
brufoli sul viso e i capelli scombinati ma lei diceva di trovarmi bello.
<< Quando sono arrivata a Parigi, con mia madre, sapevo
di non poter
resistere. Pensavo a te ogni giorno e il pensiero di rivederti un
giorno, mi ha
accompagnato fino alla fine dei miei studi. Per fortuna la NYU aveva
accettato
la mia proposta e finalmente sono riuscita a tornare qui.
>>
<< Questo vuol dire che sono almeno cinque anni che sei
tornata a New
York? >>
<< Sì. Ti ho cercato, ma tu eri con una donna.
Avevi la tua vita e io non
ero più compresa in questa. >>
<< Bella, ma quella era… >>
Mi fermai di colpo, rendendomi conto di quello che avevo detto.
L’avevo
chiamata con il nome che le avevo dato nel mio libro, lo stesso che
avevo
scelto quando lei mi aveva chiesto di chiamarla in modo diverso. Beh,
lei non
lo ricordava no? Abbassai lo sguardo per incontrare i suoi occhi, che
ora
brillavano. Aggrottai le sopracciglia, confuso, e notai per la prima
volta la
copertina del libro, che teneva stretto tra le braccia. Era
terribilmente
familiare, tanto che mi si chiuse lo stomaco. Lei mi sorrise e io
ricambiai con
imbarazzo, non credevo che lei lo avrebbe letto davvero, ma infondo
perché
avevo scritto quel libro se non per farlo arrivare a lei? Stavo per
dire
qualcosa quando mi ritrovai le sue labbra sulle mie, come tante volte
avevo immaginato.
Nulla però poteva prepararmi a delle sensazione
così travolgenti. Dopo
l’iniziale stordimento, risposi al bacio e la strinsi a me
con forza. Il suo
fragile corpo si adattò al mio e assaporai quelle labbra
dolci e profumate. Ci
separammo, per mancanza d’aria e mi ritrovai ad osservare, da
molto vicino,
quelle due pozze di cioccolato che avevano popolato i miei sogni per
tutto
questo tempo.
<< Ero convinta che fossi io, ma adesso ne ho la
certezza. >>
sventolò il libro davanti a sé e rise con quella
risata argentina, che tanto mi
era mancata. Ero terribilmente nervoso e non sapevo cosa dire.
<< Hai scritto delle cose bellissime. Sono la tua
più grande fan sai? Ho
letto tutti i tuoi libri, ero sempre la prima della fila in libreria.
Questo,
però, è un libro diverso dal tuo genere.
L’ho letto in pochi giorni e ho pianto
per notti intere. Credevo di essere folle e volevo… dovevo
venire da te. Sapere
se avevo ragione, dirti che ti ho amato anch’io fin da quando
eri un bambino
pallido e con gli occhiali mal ridotti. Farti sapere che ti ho visto
scendere
quasi tutte le mattine con quell’adorabile labrador per
andare al parco, dove
ti piace spesso scrivere i tuoi racconti.>>
La guardavo a bocca aperta. Non potevo davvero credere alle mie
orecchie.
<< Ti sembrerà assurdo, ma io vivo a pochi
isolati da qui e la mattina
vado al tuo stesso parco con Terry. >>
<< Quel pastore tedesco è tuo? >>
<< Sì, ci siamo quasi incontrati quella
mattina, ricordi? >>
<< Sei scappata, perché? >>
<< Non sarei riuscita a dire una sola parola, tanto ero
agitata all’idea
di averti così vicino. >>
<< Oh, Bella. >> mi alzai e le presi il
viso tra le mani. Era così
bella e dolce. Non volevo perderla mai più.
<< E’ carino questo nome. >>
<< Sei tu la mia Bella. Speravo che un giorno potessi
leggere quelle
parole. >>
<< Beh, è stato così.
>>
Il sorriso lentamente morì sulle mie labbra. Tanto ero
sconvolto che non avevo
prestato molta attenzione. Mi amava, aveva detto così?
Impossibile.
<< Mi ami? >> sussurrai.
Lei sfuggì alla mia presa e riprese il libro, aprendo le
pagine finali.
<< Nel tuo libro scrivi… >>
<< Bella, mi ami? >> ho scritto questo nel
mio libro, ma non
ottengo risposta.
<< Questa domanda
aleggerà per
sempre nel tempo e nella mia mente. Vorrei che questo mio pensiero
prendesse il
volo e la raggiungesse, anche solo per farle sapere che in questo mondo
ci sono
ancora anch’io, che l’ amo come nessuno farebbe mai.
>> smise la
lettura e gettò il libro sul divano.
<< Il mio pensiero ti ha raggiunto? >> le
domandai piano. Avvolse
le braccia intorno al mio collo e sorrise.
Sì, l’aveva raggiunta, pensai mentre gustavo le
sue labbra.
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Salve! J
Questa one-shot è stata scritta per un contest, ma
è saltato per cui l’ho
postata qui. Mi piaceva l’idea, così
l’ho scritta. Poco da fare, sono un
inguaribile romantica! E voi lo siete?
Spero che questa piccola storia vi sia piaciuta!
Un bacio
Stella
Del Sud