Serie TV > Glee
Segui la storia  |       
Autore: Alchbel    24/03/2012    5 recensioni
La soddisfazione che stava provando in quel momento, il sentire il potere che scorreva nelle sue vene come fosse sangue, il sorrisetto superiore che restava stampato sul viso come marchio della sua essenza: Sebastian Smythe non era mai apparso tanto raggiante mentre camminava per i corridoi della Dalton con fare maestro nonostante stesse in quella scuola da meno tempo della maggior parte dei ragazzi che incontrava.
Thadastian - Klaine - Niff e chi più ne ha più ne metta :D
Partendo da "On my way" e provando ad inserire qualcosa di un po' diverso, una nuova long ^^
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Sebastian Smythe, Thad Harwood
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

~ 2° Too late  ~

 

Thad si svegliò, quella mattina, con un’emicrania terribile. Era riuscito a prendere sonno solo quando ormai stava albeggiando e la sveglia era suonata troppo presto.

Si tirò su, sperando che almeno una cosa andasse nel verso giusto; quando, però, vide che il letto di Sebastian era vuoto e che del ragazzo non sembrava esserci traccia da nessuna parte nella stanza, si convinse che la giornata era cominciata sul serio male.

Sospirò. Non era tornato quella notte. Lo aveva atteso: aveva sperato di sentirlo rientrare, gli sarebbe bastato per prender sonno tranquillamente e invece non si era fatto vivo e la preoccupazione non gli aveva dato tregua per tutto il tempo, fino a che semplicemente la stanchezza non aveva avuto la meglio trascinandolo in poche e tormentate ore di sonno.

Lanciò un pugno alla scrivania, avvertendo subito il dolore che quel gesto ovviamente comportava. Maledizione! Per quale motivo si era ridotto in quello stato? Perché improvvisamente si stava preoccupando del ragazzo che più odiava al mondo? Era pazzesco! Ci teneva così tanto a farsi del male da solo? Non  avrebbe dovuto. Semplicemente non c’era motivo per cui–

Ah, al diavolo! Qui non si trattava di avere o meno motivo di preoccuparsi per un tizio che a stento sopportava, si trattava di calmare ciò che provava e che di certo non avrebbe potuto semplicemente ignorare.

Avrà passato la notte fuori, si disse, cercando con scarso impegno di convincersi, sarà andato a divertirsi in qualche modo.

Si costrinse a crederci e andò in bagno: una doccia era il modo migliore per scrollarsi di dosso tutto quel groviglio di emozioni e poi lo aspettava un’intensa giornata di prove: le Regionali ormai erano vicinissime e loro non potevano permettersi di perdere. Non stavolta!

Si fiondò sotto il getto di acqua calda e tentò di rilassarsi e di farsi scivolare da dosso anche la stanchezza, ma il tepore in cui sprofondò ebbe l’effetto contrario e in breve gli sembrò quasi di addormentarsi. Per questo fece in modo che il getto si raffreddasse almeno di un po’ e si concentrò sulle canzoni della scaletta per non crollare definitivamente.

Pessima idea anche quella. Sebastian sarebbe stato il solista della canzone che stava mentalmente ripassando e non poté fare a meno di chiedersi se lo avrebbe trovato quella mattina alle prove.

A quel che ne so, potrebbe essere rientrato dopo che mi sono addormentato ed uscito prima che mi svegliassi, si disse. Quella cosa stava toccando livelli di pateticità assurdi, soprattutto perché non gliene era mai fregato nulla di Smythe.

L’immagine del suo compagno di stanza pallido e con un misto fra rabbia e sofferenza in viso lo colpì come se lo stesse vedendo in quell’istante. Mai avrebbe creduto di poter vedere simili emozioni – e con tanta intensità! – trasfigurare quelle fattezze; mai avrebbe pensato che una simile visione avrebbe potuto scuoterlo così nel profondo: sentiva una strana ansia chiudergli lo stomaco e farlo respirare male.

Da quando, Thad?, si chiese.

Non ci capiva nulla, non riusciva a capacitarsi della cosa eppure stava male, non poteva negarlo.

Uscì dalla doccia peggio di come ci era entrato e si decise ad indossare la sua divisa tentando di non pensare affatto – distrarsi con qualsiasi altro pensiero sembrava non servire a nulla.

Quando fu pronto, gettò un altro sguardo alla stanza, troppo ordinata per essere davvero tutto a posto e poi si chiuse la porta alle spalle. Lo avrebbe trovato in sala, col solito atteggiamento da prendere a pugni e magari anche qualche battutina pronta a colpirlo – in fondo era in astinenza dalla sera prima, avrebbe dovuto recuperare.

Quando, però, entrò in sala comune, il cuore accelerò il battito alla ricerca del ragazzo e non smise ma anzi si intensifico nel momento in cui si rese conto che non era lì.

Sei assurdo, Harwood. Patetico. Smettila. Sembri una ragazzina alla sua prima cotta, ti pare che-

Anche la sua mente si bloccò appena realizzò che cosa aveva pensato. Una ragazzina alla sua prima cotta? Lui? Per Sebastian?

Oddio.

No, affatto. Era semplicemente preoccupato, come lo sarebbe stato per qualsiasi altro ragazzo a scuola – e forse quella cosa li avrebbe dovuti offendere, considerato che conosceva Sebastian da poco tempo a confronto e che non lo sopportava affatto.

Semplicemente non lo aveva mai visto così: era sconvolto e la cosa lo aveva turbato perché non se lo sarebbe mai aspettato. Fine della storia.

«Ed il simpaticone dove lo hai lasciato?», gli chiese Jeff alludendo ovviamente a Smythe.

«Speravo di trovarlo qui, ad essere sincero», confessò quello sedendosi al suo posto, al tavolo del consiglio.

Flint accanto a lui, lo guardò, cogliendo il turbamento nei suoi occhi e con una lieve gomitata parve chiedergli se ci fosse altro, ma il diretto interessato sorrise scuotendo la testa e concentrandosi sul lavoro da fare: gli capitava spesso di preoccuparsi, dopotutto… e con Sebastian nelle prime settimane aveva imparato che quasi sempre – per non dire ogni volta – era inutile, che a lui non interessava e che non ce n’era in ogni caso motivo.

Quindi pace. Meglio concentrarsi sulle cose che meritavano davvero la sua attenzione.

«Dunque», comincio il terzo membro del consiglio, Cameron «Direi che anche se ormai a così pochi giorni dall’esibizione, ogni cosa sia stata ultimata, non dobbiamo bearci di questo e rilassarci, ma continuare a provare fino a che non rasenteremo la perfezione. Ma… », si bloccò.

Ovviamente non sarebbe potuto andare avanti: provare implicava inscenare l’esibizione che avrebbero fatto di lì a pochi giorni e come sarebbe stato possibile senza il loro solista nonché capitano? Era in momenti come quelli che l’assenza di Blaine si faceva sentire: lui era sempre stato il primo ad arrivare e l’ultimo a lasciare la stanza quando si trattava dei Warblers e per quanto Sebastian aveva mostrato di tenere particolarmente alla squadra – forse anche troppo – non poteva di certo concedersi assenze simili in un memento tanto cruciale.

Un silenzio quasi imbarazzante scese nella sala quanto tutti focalizzarono quale fosse il problema. Thad sospirò, guardando la porta d’ingresso, come se si aspettasse che sarebbe spuntato da un momento all’altro. Avrebbe detto che aveva avuto da fare tutta la notte e che lui poteva farsi aspettare. Tutto normale. Eppure nessuno entrò e la brutta sensazione che lo accompagnava da quella mattina tornò a farsi sentire.

 «Beh», provò Flint «potremmo provare passi e coro. Almeno non vanifichiamo la giornata: non possiamo permettercelo».

«Aspettate!»

Thad sussultò e non avrebbe voluto che il suo cuore facesse una capriola appena la voce di Sebastian interruppe la proposta. Tutti si voltarono verso il nuovo arrivato e la perplessità si diffuse nella stanza. Che diavolo aveva fatto Smythe? I capelli fuori posto e due leggere occhiaie a sporcargli il viso, senza giacca e con la camicia fuori posto, sembrava avesse passato tutta la notte sveglio a fare chissà cosa – e no, nulla di piacevole.

«Dove diavolo eri finito? E che cosa hai combinato?» chiese furioso Flint, scattando in piedi.

Sebastian esitò abbassando lo sguardo – cosa che non sfuggì al compagno di camera che al momento tratteneva a stento la paranoia – e per un attimo si persuase che fosse una follia e che avrebbe semplicemente dovuto lasciar perdere. Poi i muscoli delle braccia e delle gambe, lamentandosi, gli ricordarono quanto ci tenesse e che  no, non avrebbe rinunciato.

«Io… provavo», disse con rinnovata forza negli occhi «devo parlarvi… E per quanto la cosa possa sembrarvi folle, vi prego di lasciarmi prima finire», chiese; poi rimase in silenzio, in attesa.

Le buone maniere non gli erano mai mancate e non furono di certo queste a sorprendere il resto del gruppo quanto la richiesta, il tono di bisogno che, pur non volendo, era trasparito da essa. Per questo il loro silenzio sorpreso fece capire all’altro che poteva procedere.

«Dobbiamo cambiare scaletta» disse tutto d’un fiato.

In un istante più voci gridarono senza ritegno la follia di quella proposta. Cori di “Sebastian ha voglia di scherzare” o “Ricordatemi perché è il nostro capitano” e ancora grida indistinte e risate isteriche che esprimevano il malcontento generale.

I Warblers, semplicemente, erano esplosi: quello era troppo, la proverbiale goccia che fa traboccare il vaso – non avrebbero sopportato oltre le iniziative del nuovo arrivato, poco contava che fosse il loro capitano. Dopotutto quel titolo non valeva se non aveva una squadra da capitanare.

Il consiglio si era astenuto dall’unirsi ai cori impazziti e con lo sguardo fisso su Sebastian attendeva che la rabbia scemasse. Dal canto suo, il ragazzo non era sorpreso dalla reazione degli altri, quanto infastidito: aveva chiesto che lo lasciassero parlare, prima di scatenare un simile putiferio, ma ovviamente quell’avvertimento era andato a farsi benedire. Per questo attese anche lui che la prima ondata di rabbia animale passasse per poi riprendere a parlare.

«Avevo–», tentò dopo alcuni minuti alzando la voce «avevo chiesto di lasciarmi finire di parlare. È meno folle di quel che sembra ed è… per una giusta causa».

Quelle parole fecero scattare qualcosa in Thad che fino a quel momento lo aveva osservato in silenzio, notando quanto fosse diverso dal solito. E quello sguardo, lo sguardo che Smythe aveva assunto mentre parlava, sembrò così profondo da scuoterlo dall’interno.

«Che causa?» chiese ingenuamente Andrew.

Sebastian era pronto a rispondere con una delle sue migliori – o peggiori, a seconda dei punti di vista – battute, ma qualcosa lo bloccò. La stessa cosa che gli aveva fatto provare le coreografie per tutta la notte o che gli stava rendendo ridicolo davanti all’intera squadra. Avrebbe voluto prendersi a schiaffi se solo ne avesse avuto veramente la forza in quel momento.

Il silenzio che era piombato nella stanza, ad ogni modo, fu abbastanza eloquente: non tutti avevano già dimenticato cos’era successo il giorno prima e stavano collegando le cose. Chi non era ancora riuscito a farlo, semplicemente stava zitto intimorito dalla serietà improvvisa che aleggiava nell’aria.

«Che… che canzoni avevi in mente di inserire nella nuova scaletta?».

Smythe si destò con un lieve sussulto e guardò Cameron, che gli aveva posto la domanda quasi con serenità. Lo guardò per un attimo prima di rispondere e quello che vide non gli piacque affatto. Compassione. Compassione e pietà. Dio, quanto si stava rendendo ridicolo in quel momento? Aveva davvero perso la spina dorsale? Strinse forte la mascella per non esplodere in irripetibili imprecazioni, il nervosismo che a stento riusciva a tenere a freno.

«Stand e Glad you came», disse, con malcelato nervosismo: poteva essere scosso e poteva aver fatto cose che non credeva possibili per uno come lui, ma a tutto c’era un limite e I Warblers parevano volerlo avvicinare pericolosamente.

«E hai detto di aver preparato anche le coreografie adatte», continuò Cameron con la stessa calma.

Flint gli scoccò uno sguardo allucinato: che diavolo stava facendo? Non era abbastanza chiaro che era pura follia? Perché stavano continuando quella discussione? Il sorriso pacifico del ragazzo lo mandò nella confusione più totale, ma lo convinse a reggergli il gioco e non contraddirlo.

«Ci ho lavorato tutta la notte», sottolineò Sebastian, sperando che capissero che era la mossa giusta da fare e accettassero la proposta, quanto meno per tutto lo sforzo che aveva fatto e il sonno che aveva perso.

«E sei certo – al di là della tua personale richiesta di esibirci con queste canzoni – che avremo più possibilità di vittoria così, o che almeno saremo competitivi quanto lo siamo adesso?».

Stavolta era stato Thad a parlare, capendo dove volesse arrivare Cameron: stavano tutti giudicando quella proposta una pazzia, ma erano davvero certi che non ne avrebbero ricavato dei vantaggi? La coreografia era pronta ed avevano ancora dei giorni per impararla. Lo stesso poteva dirsi per il canto, considerato che Sebastian sarebbe stato il solista e che certamente conosceva già entrambe le canzoni.

L’interpellato lo guardò senza sapere che dire. Gli chiedeva se obbiettivamente avrebbero potuto vincere anche con un cambiamento tanto improvviso. Gli stavano dando davvero ascolto, quindi? E chiedevano a lui di giudicare? Con un suo sì, la cosa sarebbe stata approvata? Non aveva senso, dato che un sì era quello che voleva e che non avrebbe mai risposto in modo negativo.

Al di là della tua personale richiesta di esibirci con queste canzoni.

Thad era stato chiaro. Voleva un giudizio obiettivo su quale delle due scalette fosse migliore. E la chiedeva a lui perché, nonostante tutto, sapeva che non avrebbe scelto che per il bene della squadra.

Si fidava.

«Sì, avremo le stesse possibilità, se non superiori, di vincere. Non ci sono rischi. Semplicemente le canzoni scelte avranno tutta un’altra portata».

Il suo tono serio, il suo sguardo fisso in quello di Thad non lasciarono più dubbi al Warbler – come se prima ne avesse avuti – e per un istante si sentì connesso a quel ragazzo in un modo tutto suo. Personale.

Il sospiro di Flint lo riportò alla realtà della stanza.

«Essendo una scelta fondamentale, esigo una votazione di tutti i membri», disse, rassegnato.

Quando le mani che si alzarono furono in numero superiori a quelle che rimasero abbassate, troppo scosse da un cambiamento così repentino, la decisione fu presa.

«Bene», riprese parola Cameron «ora, Sebastian, mostraci il tuo lavoro notturno».

 

*

 

«Ripetetelo».

Era la terza volta che veniva fatta loro quella richiesta e la cosa stava diventando leggermente assurda. Kurt sbuffò, seriamente innervosito e portò le braccia al petto, in un chiaro segno che non l’avrebbe ripetuto di nuovo.

Blaine lo guardò, divertito nonostante tutto, poi si apprestò a rispondere al suo posto.

«Sebastian ha alzato bandiera bianca. Ha capito si essere stato uno stronzo e ha chiesto scusa, prima a me e poi a tutti voi. Ha distrutto le foto di Finn e ha detto che giocheranno pulito. Inoltre… loro dedicheranno le canzoni a Karofsky e alla sua famiglia e… ci hanno chiesto se volevamo unirci».

Nel pronunciare le ultime parole, il riccio aveva preso la mano del suo ragazzo che aveva avuto un lieve sussulto. Stava meglio, aveva ripreso a mangiare e dormire, ma non stava ancora del tutto bene e anche solo sentire quel nome lo faceva tremare.

Rachel, intanto, insieme agli altri della squadra, continuava a guardare loro due, Santana e Brittany come se vedesse degli alieni. Sebastian aveva cambiato idea? Era improvvisamente rinsavito e diventato buono? Era quasi come dire che il paradiso fosse tutto ad un tratto andato in fiamme.

«Questo è tutto?», chiese Will, sorpreso quanto gli altri.

«Questo è tutto», confermò anche Santana «non ci darà più fastidio».

«Aveva la faccia da cucciolo di cagnolino», disse poi la bionda, con sguardo adorante.

«Sì, sembrava davvero pentito», aggiunse Blaine.

«Non mi fido: chi ci dice che non sia una delle sue manovre per assestarci un altro colpo?».

Molti membri del gruppo annuirono convinti alla supposizione di Mercedes che effettivamente non faceva una piega. Come anche Kurt aveva detto, stavano semplicemente aspettando che arrivasse il pugno allo stomaco.

«Non stavolta. Era sincero, questo lo so», si espose ancora il riccio «non so perché, ma era diverso, pentito, in un certo qual modo triste… e forse più maturo. Non ho idea di come sia possibile in così poco tempo, ma mi fido».

Sguardi indecisi attraversarono la stanza: le parole di Blaine era tanto belle quanto poco credibili, data la loro esperienza, ma la convinzione che trasudavano aveva messo in dubbio tutte le loro certezze.

«Quindi possiamo stare tranquilli riguardo il ricatto e tutti gli altri sotterfugi?», volle assicurarsi Finn.

«Sì, credo di sì».

«E per la loro proposta di esibirci per Karofsky?».

In un attimo lo sguardo di tutti fu rivolto a Kurt che riportò le braccia al petto quasi volesse proteggersi dall’attenzione improvvisamente concentratasi su di lui. Tuttavia sapeva che non se ne sarebbe liberato se non avesse espresso per primo la sua opinione. In fondo era il più coinvolto e nessuno avrebbe messo in mezzo alcuna “dedica” se lui non avesse voluto.

Sospirò abbassando la testa, poi annuì.

«Sì, la proposta è davvero buona. Io voglio farlo».

«Ma ci sarà da rivedere la nostra scaletta», li avvisò Will, tuttavia fiero del fatto che i suoi ragazzi avessero anteposto una cosa del genere alla buona riuscita della loro esibizione.

«Non si preoccupi professor Shue», lo rassicurò Rachel con un sorriso inquietante «io ho già alcune idee in mente e ovviamente sono fantastiche!».

Lo sguardo generale di leggera indifferenza fece sorridere l’uomo. Certe cose non sarebbero mai cambiate.

 

*

 

Blaine lasciò l’auditorium per ultimo. Aveva provato ancora per un po’ la sua parte nella prima delle tre canzoni della nuova scaletta ed ora poteva ritenersi soddisfatto di come era venuta. Con un sorriso rilassato sulle labbra, che poco aveva a che fare con la rabbia che lo aveva accompagnato nell’ultima performance in quel posto, spalancò la porta per trovarsi Kurt che, appoggiato al muro, sembrava averlo atteso fino a quel momento.

Sorrise di tale premura – avevano dato tutti il massimo ed erano stanchissimi quando avevano concluso le prove, compreso Kurt – quando si accorse che il ragazzo, sorridendogli di rimando, manteneva però il cellulare all’orecchio.

Inclinò la testa con una buffa espressione di curiosità e si appoggiò al muro accanto a lui, per cercare di capire con chi stesse parlando, ma si accorse che dall’altro lato si sentiva ancora il suono ad intermittenza della chiamata in uscita. Solo dopo svariati squilli, una voce maschile rispose. Blaine la riconobbe in un attimo, ma la cosa non fece che incuriosirlo ancora di più.

«Ciao, Thad. Sono Kurt», lo salutò quello.

«Ehii, Kurt! Come… come va?», esitò per un attimo il Warbler, ricordandosi della situazione.

«Bene, ti ringrazio», rispose con un sorriso alla premura che quella frase sottintendeva «ma ho bisogno di parlarti. Di Sebastian».

Blaine sgranò gli occhi nello stesso modo in cui fece Thad dall’altro lato della conversazione. Perché Kurt che voleva parlargli di Smythe era di certo una delle poche cose che davvero nessuno dei due si sarebbe mai aspettato.

Hummel sorrise ancora, stavolta con la tipica espressione di chi la sa lunga e si appoggiò più rilassato contro il muro.

«Stamattina ci ha chiamato e ha voluto parlare con una “delegazione” delle Nuove Direzioni», disse, non sapendo fino a che punto i Warblers sapessero ciò che faceva Sebastian.

Il sospiro di Thad gli fece capire che forse non sapeva proprio nulla, ma prima che potesse finire di spiegare fu altro a prendere parola.

«Ascolta Kurt… io davvero non so che passa per la testa di quello lì, ma qualunque stupidata anche solo vagamente offensiva abbia fatto, te ne chiedo scusa. Non sappiamo più che fare con lui e davvero io–».

«Ma no, che hai capito! Sebastian ci ha chiesto scusa!», si affrettò a spiegare Kurt, se non per amore della verità almeno per calmare il tono così colpevole che aveva preso la voce di Thad.

Per un attimo tutti e tre restarono in silenzio, mentre il Warbler non riusciva a credere alle sue orecchie: parlavano della stessa persona? Perché non era certo che “Smythe” e “chiedere scusa” potessero stare nella stessa frase. Poi ancora una volta la sua mente lo smentì e gli parve di rivedere il Sebastian deciso eppure bisognoso del sì della squadra che si era presentato loro quella mattina.

Forse….

«Wow, io… non so che dirti, Kurt», confessò, comunque spiazzato.

«Ed è questo il punto! Noi non sappiamo che pensare… ci ha colti tutti di sorpresa e l’idea che sia solo uno dei suoi folli piani sembra più plausibile della sua improvvisa redenzione… Mi chiedevo se avessi notato qualcosa di strano… se sapessi vagamente che progetta».

Thad restò per un istante in silenzio. Non era una montatura. Non poteva esserlo. Sebastian era davvero sconvolto per la notizia del suicidio; non aveva dormito quella notte preparando un nuovo numero per le Regionali e si era scusato con loro: tutto collegato. Non poteva far parte di un piano – sarebbe stato troppo meschino e faticoso, persino per lui.

«Fidatevi. Negli ultimi giorni è cambiato. Beh… in effetti da quando… lo sai», cercò di spiegare senza avere la forza di essere chiaro, sicuro che l’altro avrebbe capito.

In effetti Kurt ci mese un po’ per collegare lei due cose, poi sussultò appena. Blaine, che per tutto quel tempo gli era stato accanto in silenzio, riuscendo a cogliere le frasi di entrambi, lo guardò negli occhi, trattenendosi dal prendergli la mano in un gesto che avrebbe potuto sembrare inopportuno.

«Lo… lo conosceva?», chiese con voce sottile.

«Non lo so. Ma ero con lui quando ha saputo e… avresti dovuto vederlo: è sbiancato di colpo, tremava ed è corso fuori dalla stanza. Ovviamente quando ho provato a parlargli mi ha risposto in malo modo ed è andato via, ma rimasto davvero sconvolto per quanto non lo ammetterà mai».

Stavolta era il ragazzo delle New Direction ad essere senza parole. Già vedere lo sguardo leggermente perso di Sebastian mentre parlava con loro poche ore prima gli era sembrato strano, ma ora il racconto di Thad era al limite dell’inverosimile. Non si fidava, non riusciva a credergli fino in fondo, eppure qualcosa non quadrava, i dubbi stavano cominciando a confondere anche lui.

Sospirò, salutando l’amico con qualche imbarazzata parola di raccomandazione per il suo compagno di stanza – per quanto si sentisse davvero assurdo a pronunciare una cosa del genere.

Blaine lo guardò non appena ebbe attaccato. Kurt non sapeva che dire e avrebbe voluto credere che la cosa non lo sfiorasse più di tanto considerato l’odio che provava per Smythe, eppure un leggero peso gli si era appena formato all’altezza dello stomaco.

Nello stesso tempo, anche Thad con un sospiro simile aveva posato il cellulare il tasca. Non sapeva che pensare e di certo non si aspettava un simile passo indietro da parte di Sebastian: chiedere scusa non era da lui, no davvero.

La preoccupazione che già lo stava assillando dal giorno prima incrementò la sua presa alla bocca dello stomaco e fece muovere le gambe del ragazzo senza che questi se ne rendesse veramente conto. In breve si trovò si fronte alla porta della sua camera; vi entrò, sperando che l’altro fosse lì e per la prima volta da quella mattina la fortuna sembrò sorridergli, perché il ragazzo era steso sul proprio letto, un braccio posato sugli occhi e l’altro che penzolava: sembrava dormisse.

Thad gli si avvicinò, cercando di vedere se riposasse davvero o comunque come stesse. Si mosse nella maniera più silenziosa e avvicinatosi al bordo del letto si sporse verso il ragazzo. Sembrava respirare con una certa regolarità, proprio come se stesse dormendo e restò a guardarlo per qualche istante.

«Vattene».

Quella semplice parola lo fece rabbrividire. Era sveglio. Ovvio che era sveglio. Ed era il solito stronzo.

Sbuffò, spostandosi sul suo letto, infastidito da tanta maleducazione. Si sistemò, con le braccia dietro la testa, intenzionato a non parlargli, né preoccuparsi più, dato che davvero l’altro sembrava non avere bisogno del suo aiuto, ma il suo proposito non durò che pochi minuti.

«Non mi aspettavo ti arrendessi in questo modo», tentò, guardando un punto indefinito del soffitto e cercando di dare alla voce un tono disinteressato.

Sebastian non si mosse, né rispose e le parole andarono sprecate per la stanza. Per un attimo il Warbler credette di aver solo pensato quelle parole e che non gli erano davvero uscite dalla bocca – semplicemente non riusciva a capacitarsi del fatto che il suo compagno di stanza lo stesse ignorando in quel modo.

Lo fa praticamente sempre, per quale diavolo di motivo ora te ne sorprendi?, si chiese stizzito, facendo difficoltà a stare fermo sul letto – non avrebbe mai ammesso che più che sorprenderlo, la cosa sembrava fargli male. Non aveva senso: era abituato ad essere trattato così da lui e non c’era motivo di reagire in modo differente proprio ora.

«Il Grande Sebastian Smythe che chiede pubblicamente scusa delle meschinità fatte in precedenza! Sono allibito» e lo era davvero.

Accadde in una manciata di secondi: poco, troppo poco perché la mente di Thad riuscisse a comprenderlo. Un secondo prima aveva osato un po’ troppo con le parole ed un attimo dopo Sebastian era scattato dal proprio letto arrivando sul suo, lo aveva preso per colletto del blazer e sbattuto contro la spalliera del letto con violenza, occhi negli occhi.

Gli mancò improvvisamente il fiato, sia per il colpo alla schiena che per lo sguardo con cui l’altro lo stava trafiggendo. Non se l’aspettava, ovviamente, e gli sembrava di aver dimenticato come si respirava mentre rabbia ed odio si riversavano su di lui.

E fece male. Fece male perché sapeva di non andare a genio a Smythe e sapeva che non avrebbero fatto altro che deridersi e sbeffeggiarsi a vicenda, ma di certo non si sarebbe mai aspettato tanto disprezzo.

«Cosa non ti è chiaro della parola “vattene”?», soffiò tra i denti Sebastian con nervosismo.

Thad davvero non sapeva come si facesse a rispondere. Era pietrificato, le mani dell’altro che ancora lo stringevano per il colletto. Per alcuni istanti rimasero semplicemente così: la rabbia dell’uno e la sorpresa dell’altro parevano aver congelato ogni cosa. Poi Sebastian parve rendersi conto di quello che stava facendo e lentamente lo lasciò andare.

«Sarò chiaro, un’ultima volta», disse con un controllo forzato «Di tutto quello che faccio, nulla, nulla ti riguarda. Non devi metterti in mezzo, non ne hai alcun diritto. Lasciami semplicemente in pace».

«Ma io… diavolo, io mi stavo semplicemente preoccupando per te!».

Stavolta fu Thad a scoppiare, sporgendosi in avanti.

«Tu non hai alcun diritto di trattarmi in questo modo, io mi sto solo preoccupando, perché non mi sembri più tu! Maledizione, non c’è simpatia tra noi, ma siamo compagni di stanza, almeno questo concedimelo!».

«E chi diamine te l’ha chiesto?! Io non ci certo! Quindi smettila! Smettila di preoccuparti, smettila di essermi compagno, smettila di parlarmi! Non voglio più sentire nulla!» e senza aggiungere altro, al limite del sopportabile, Sebastian uscì dalla stanza praticamente correndo.

Ancora una volta Harwood era senza parole. Avrebbe voluto urlare, avrebbe voluto sfogare tutto quello che sentiva in qualche modo, ma rimase lì, fermo, senza dir nulla e con il cuore a pezzi.

 

*

 

Quando anche le New Direction ebbero concluso la loro esibizione, la giuria chiese come al solito una mezz’ora per ritirarsi e votare. I vari gruppi si ritirarono nei rispettivi camerini aspettando il verdetto e cercando di non farsi divorare dall’ansia che li agitava.

«Abbiamo la vittoria in pugno. Abbiamo la vittoria in pugno», continuava a ripetere Rachel, seduta sulle gambe di Finn «il mio assolo è stato magnifico e le altre canzoni perfette: non saremmo potuti andare meglio», si complimentò.

Il suo ragazzo le regalò un sorriso, stringendola a sé con affetto.

«Rachel ha ragione: siete stati davvero bravi», si complimentò il professor Shue, facendo partire un applauso di apprezzamento da parte di tutta la squadra – si erano sentiti davvero motivati stavolta, su questo non c’erano dubbi.

Blaine sorrise, abbracciando con dolcezza Kurt da dietro.

«Sei stato davvero bravo», gli sussurrò questi voltandosi e lasciandogli un leggero bacio sulla guancia, a cui il riccio rispose incontrando le sue labbra.

A nessuno dei due sfuggirono i sorrisi che il resto del gruppo stava rivolgendo loro e il petto parve gonfiarsi ancora di più. Era così che doveva essere: stare con loro e regalarsi quelle semplici attenzioni era la cosa più semplice del mondo.

«Sono la sola ad essere nervosa per la premiazione?», chiese Mercedes e un paio di ragazzi le fecero eco.

Santana sorrise in modo sfacciato.

«La vittoria è nostra, tranquilli!».

 

Si poteva forse diluire il dolore e la rabbia bevendo? E no, non alcool, ma semplice acqua? Thad non lo sapeva, ma al momento era la seconda bottiglina che prosciugava, come se, in mancanza di altre cose da fare, bere continuamente potesse riempire il tempo.

Sospirò, poggiando l’involucro di plastica vuoto sul tavolo della mensa deserta del McKinley e prese la testa fra le mani. Ecco un’altra cosa che non smetteva di fare, come se i pensieri fossero così pesanti da non riuscire a reggerli senza aiuto.

Eppure aveva un solo pensiero in testa. Sebastian.

«Smettila di preoccuparti, smettila di essermi compagno, smettila di parlarmi! Non voglio più sentire nulla!»

Quelle parole gli provocarono una pesante fitta allo stomaco. Aveva creduto fosse uno sfogo momentaneo, un’esagerazione dovuta alla rabbia e che di certo non avrebbe dovuto prenderle alla lettera. Invece era successo proprio questo: Sebastian non gli aveva più rivolto la parola da quel momento e quando si erano trovati a stare in camera insieme lo aveva completamente ignorato.

E lui aveva provato a parlargli, gli aveva addirittura chiesto scusa senza essere sicuro di avere un motivo per farlo. Non era servito a niente: quando diventava insopportabile – e in alcuni momenti si era davvero impegnato – semplicemente Smythe levava le tende e non si faceva vedere per ore o notti.

Come avessero preparato il numero delle regionali in quelle condizioni restava un mistero. La tensione fra loro era palpabile e nessuno sapeva come comportarsi. Dopo il terzo giorno, Thad aveva semplicemente rinunciato ad avere un qualsiasi rapporto col su compagno di stanza, sperando che la cosa sarebbe passata da sé.

Non era ancora successo.

Erano stati davvero bravi nell’esibirsi: tutto era stato fatto alla perfezione ed il pubblico ne era parso davvero entusiasta. Sebastian era stato il migliore: lo aveva osservato – era l’unica cosa che gli restava da fare al momento – ed era stato maledettamente bravo a nascondere tutto e sorridere in quel modo ammiccante e stupendo che solo lui aveva…

Thad sospirò. Era patetico. Fare simili apprezzamenti era assurdo, soprattutto se rivolti al suo… suo cosa? Non aveva senso: loro due non erano nulla e comunque a lui non piacevano i ragazzi… e…

«Thad!».

La voce di Kurt lo porto fuori da pensieri troppo pericolosi e il ragazzo gli fu immensamente grato.

«Ehi, Kurt», lo abbracciò sincero «è bello vederti! Come stai?».

«In ansia. Siete stati fantastici: è stata dura competere con voi!», si complimentò.

«Lo avete fatto egregiamente», ricambiò con un sorriso il Warbler.

«Quando tu sei in ansia… bevi?», chiese Kurt notando le due bottigline vuote sul tavolo dietro il ragazzo; Thad arrossì, abbassando lo sguardo in imbarazzo.

«Diciamo… di sì», rispose senza sbilanciarsi.

L’altro lo guardò un po’ sospettoso, poi si sedette al tavolo.

«Problemi?», volle indagare, leggermente preoccupato – in effetti, a guardarlo, Thad non sembrava avere una bella cera.

«No, affatto», tentò di mentire quello, ma lo guardo di Kurt pareva dire “so che è così, cerco solo di farlo dire a te”, quindi rinunciò «sì… Sebastian…», sussurrò come se sé ne vergognasse.

«Sebastian… cosa?»

Harwood alzò immediatamente lo sguardo: il tono del ragazzo non gli era affatto piaciuto e anche gli occhi con cui lo stava guardando adesso non promettevano nulla di buono.

«Ascolta, sono il primo a non sapere che pensare a riguardo, ok?», si mise sulla difensiva «è completamente cambiato in questa settimana e non mi ha più rivolto la parola. È il mio compagno di stanza ed io… sono preoccupato per lui, ecco».

Lo disse tutto d’un fiato, quasi non sarebbe stato in grado di farlo se si fosse dato più tempo. Kurt lo guardò senza sapere cosa dire: non si sarebbe mai aspettato una simile reazione da parte di Thad, eppure non poteva di certo ignorare la preoccupazione che ora leggeva nei suoi occhi.

«Ouh… io… non so che dire…», confessò «Hai provato…?».

«Ho provato tutto, credimi. Mi ignora! O va via…», abbassò la testa sconsolato e l’altro gli poggiò una mano sul braccio, tentando di confortarlo.

Non ce ne fu tempo. Non ci fu tempo per fare nulla. In un attimo finì ogni cosa.

Né Kurt, né Thad o chiunque altro all’interno della scuola capì cosa successe.

Un’esplosione. Improvvisa, che non diede scampo. Un boato sordo che sconvolse tutto ed annullò ogni altro suono. Ogni cosa ne rimase investita senza possibilità di scampo: oggetti e persone scaraventate via dalla sua forza improvvisa.

In un attimo sembrò tutto finito, distrutto da qualcosa di cui nessuno lì dentro riuscì a rendersi conto.

Poi, il silenzio.

 

 

 

 

 

 

 

 

___________________________

 

Chiedo venia per l’enorme attesa, ma mi ha fatto compagnia un terribile blocco e non sono riuscita ad andare avanti per un po’. Anyway, ora sono qui ^^

Ringrazio chiunque stia prestando attenzione a questa cosetta e soprattutto alle anime pie che stanno recensendo!

Che sarà mai successo al McKinley? Spero di aver suscitato almeno un po’ la vostra curiosità!

A presto! Baci ♥

 

   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Glee / Vai alla pagina dell'autore: Alchbel