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Autore: LaniePaciock    25/03/2012    5 recensioni
La rapina in banca vista solo dalla parte di Kate Beckett. E con un piccolo missing moment finale…
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kate Beckett, Quasi tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quarta stagione
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Part Two

Beckett corse immediatamente dentro il furgoncino con su scritto POLICE e disse subito a Peterson del messaggio di Castle.
“Hanno il C4?” domandò sorpreso il capitano, aggrottando le sopracciglia. Kate annuì.
“Io non l’ho visto, ma se Castle dice che c’è vuol dire che è così” rispose.
“Allora un’irruzione è fuori discussione” esclamò categorico Peterson. “Non posso mandare i miei uomini a macello. Metteremo i rapinatori sul pullman”
“Il pullman sarà qui tra venti minuti e c’è ne restano solo cinque. Inizierà a uccidere gli ostaggi” disse scoraggiata dopo aver dato uno sguardo al suo orologio da polso.
“Deve guadagnare altro tempo” le disse il capitano per poi allontanarsi per ordinare a un suo agente di chiamare il rapinatore. Kate fece un sospiro rassegnato. Riprese l’auricolare e si preparò allo scontro che ne sarebbe seguito da quella richiesta. Trapper John rispose al secondo squillo.
“Dov’è il mio pullman?” esordì questa volta. Sembrava aver perso un accenno della calma che aveva mantenuto fino a quel momento.
“Il pullman sta arrivando, sarà qui tra venti minuti” rispose. Aveva le mani sui fianchi e aveva iniziato a fare su e giù per il furgone come le altre volte faceva Peterson.
“E gli ostaggi moriranno tra due minuti” esclamò quello, come se fosse una cosa ovvia.
“No! Ascolta, non morirà nessuno. Ok? Il pullman sta arrivando, è solo bloccato nel traffico.” Sperò che questo bastasse, ma era un’illusione.
“Ti ricordo il nostro patto Kate. Se non mi porti il pullman, ucciderò gli ostaggi. E io mantengo sempre la mia parola”
“E io manterrò la mia! Mi serve solo…” ma lui la interruppe.
“Ti avevo avvertita. Non dovevi prendermi in giro. Conosci bene le conseguenze, devo provarti che non scherzo? Vuoi questo?” No, doveva calmarlo. Non doveva andare così. Si stava agitando troppo, si stava arrabbiando, e questo non era un bene per gli ostaggi.
“Ok facciamo entrambi un respiro profondo, così ne discutiamo con calma” disse cercando di placarlo, ma ottenne l’effetto contrario.
“Non voglio più discutere!” urlò al telefono. Poi sentì uno sparo che le fece perdere un battito.
“Cos’è stato?” chiese subito allarmata.
“Uno sparo di avvertimento Kate! Al prossimo morirà un ostaggio!” No! Meno di un secondo dopo sentì chiaramente la voce di Martha che gridava contro Trapper John e quella di Castle che cercava di fermarla. “Kate!” la chiamò Trapper John. “Sto per macchiare di rosso il tuo fidanzato!” Rick! “Ho la pistola puntata alla sua gola e farò un bel quadro di Pollock con le sue budella!” le urlò.
“Deve calmarlo” sentì dire a Peterson vicino a lei, ma non lo ascoltò minimamente. Stava minacciando Castle. Lui aveva fatto la sua mossa. Ed era quella sbagliata. Ora toccava a lei.
“Ascolta bene, jackass! Io non controllo il traffico. Quindi dovrai darmi altri venti minuti!”
“Hai solo un minuto Kate!”
“No! Ne ho venti” rispose sillabando e spuntando veleno a ogni parola. “Hai capito? Venti. E se provi a premere quel grilletto… Entrerò là dentro e io stessa ti ficcherò una pallottola nel cranio.” Ci fu qualche secondo di silenzio assoluto e teso.
“D’accordo Kate” rispose quello ritornando al suo solito tono calmo. “Hai altri venti minuti” e chiuse la chiamata. La donna si accorse solo in quell’istante di aver trattenuto il respiro.
“È un altro modo di negoziare…” sentì commentare Peterson dietro di lei. Aveva un tono a metà tra l’ammirato e lo stupito.
 
Kate tolse l’auricolare e si aggrappò al bancone davanti a lei per non cadere. Era andata bene sì, ma aveva rischiato parecchio. Chiuse gli occhi per qualche istante e prese un respiro profondo. Però ora che ci pensava le sembrava strano. Prima aveva fatto un sacco di storie per la puntualità del pullman, mentre dopo aveva ceduto facilmente. Troppo facilmente… Scosse la testa e si girò verso Peterson che la stava chiamando. Stava per ricontrollare i punti da cui attaccare con gli altri agenti e voleva che sentisse. Si avvicinò e si appoggiò al banco dietro di lui.
“Mancano 18 minuti. Rivediamo le postazioni…” disse il detective. Beckett sentiva che Peterson parlava, ma non prestava attenzione. Perché è stato così facile? Dopo qualche secondo di ripensamenti, un’altra domande le sorse spontanea e finalmente esternò il suo pensiero, interrompendo Peterson.
“Come mai non mi ha chiesto niente?” domandò, più a sé stessa che al detective davanti a lui.
“Che cosa?” chiese quello in risposta, irritato per essere stato bloccato. Kate sembrò ritornare alla realtà in quel momento.
“Signore… Ci ha concesso altri venti minuti, ma stranamente non ha chiesto niente in cambio” rispose cercando di spiegare il suo punto di vista. Trapper John era un tipo freddo e calcolatore. Forse anche la scena della sparatoria era predisposta per farli rimanere nei tempi. Ma finora aveva sempre chiesto uno scambio, come il pullman per l’ostaggio epilettico. “Se avesse voluto mantenere il controllo, avrebbe preteso qualcosa in cambio. Insomma è fin troppo facile così”
“Si goda la vittoria” le rispose Peterson secco. Il capitano non capiva.
“No senta, ci sfugge qualcosa. Non stiamo facendo le domande giuste.” Di solito negli interrogatori sapeva sempre cosa chiedere, ma stavolta qualcosa non quadrava. “Insomma… Serve il C4 per rapinare una banca? E come può essere collegato l’omicidio di Agnes Fields?” Troppe domande. E stavolta non aveva nessun sospettato da poter interrogare. Stavolta poteva fidarsi solo del suo istinto e della sua logica. E il suo istinto le stava urlando che c’era qualcosa di sbagliato. Peterson la guardò per qualche secondo, soppesando le sue domande. Poi un agente gli passò il telefono e interruppe quel contatto, lasciando aperti gli interrogativi della donna. Ma Beckett non si sarebbe fermata.
 
Kate chiamò Esposito per vedere se almeno lui riusciva a risolvere qualcuno dei suoi dubbi.
“Scoperto qualcosa sulla vittima?” chiese.
“Abbiamo esaminato i tabulati telefonici e parlato con i vicini, ma finora niente” rispose il detective. La donna si passò una mano sul viso, stanca e delusa.
“E riguardo alla cassetta di sicurezza nella banca? Qualcuno fingeva di essere il suo defunto marito per accedervi ogni mese. Qualche pista?”
“No, per ora niente” sentì rispondere Ryan, più in lontananza.
“Altri parenti?”
“Uhm, non aveva parenti in vita” replicò stavolta Esposito. “Suo marito è morto. E sua figlia e suo nipote sono morti in un incidente in barca circa un anno fa”
“L’unico parente in vita è il genero, Ron Brandt. Abbiamo provato a chiamarlo, ma non ha risposto” continuò Ryan. Beckett fece un sospiro.
“Sentite, non c’è tempo per aspettare che risponda al telefono. Quindi cercatelo…” Uno scoppio le fece interrompere la frase. Kate perse un battito e le mancò il respiro. Il botto aveva fatto tremare il furgone e lei ora aveva le mani agganciate al banco dietro di lei. Il cellulare le era caduto a terra, ma neanche se ne era accorta. La bocca semiaperta dallo stupore. No… Non poteva essere… Non poteva averlo fatto davvero! pensò terrorizzata. Non riuscì a muoversi per qualche secondo, poi deglutì, lasciò andare il bancone e si avviò a passo lento verso la porta del camioncino. La aprì e scese il gradino per arrivare all’asfalto. Ma doveva essersi chiuso sui suoi piedi perché non riuscì più a muovere un muscolo quando alzò gli occhi sulla banca. O meglio su ciò che ne restava. Del fumo chiaro avvolgeva tutto l’atrio, nascondendo i danni alla vista. Avevano fatto scoppiare il C4. No… NO! Si accorse a malapena degli altri agenti e delle persone intorno a lei. Qualcuno urlava ancora, spaventato. Altri avevano la sua stessa espressione attonita. Altri ancora, soprattutto poliziotti e artificieri, chiamati alla notizia dell’esplosivo, correvano o si spostavano per sottrarsi al fumo. Fu subito organizzata una squadra di ricognizione all’interno della banca. Kate si presentò immediatamente volontaria. Le diedero un giubbotto antiproiettile, per precauzione, che indossò subito, mentre Peterson decideva chi altro fa entrare. Impugnò la pistola e un torcia elettrica. Poi si avvicinarono alla porta, Beckett in testa. Fu però spinta dietro due agenti perché non perfettamente equipaggiata in caso di assalto. Il fumo si stava diradando velocemente per fortuna. Scostarono i resti dell’entrata e si avventurarono dentro velocemente.
“Castle!” gridò appena varcata la soglia della porta. In tre passi si portò comunque in testa al gruppo, ignorando gli ordini. Ti prego rispondimi! Dimmi che sei vivo! “Castle!” gridò ancora sempre più preoccupata. Iniziava a disperare di trovarlo vivo. “Castle!”
“Beckett?” urlò una voce stupita in risposta. Veniva da davanti a lei. Ed era la voce dello scrittore. Kate puntò subito nella sua direzione, finché non lo vide dietro una doppia porta con le sbarre. E con lui c’erano gli ostaggi, tutti seduti a terra. Sembrava una gabbia, ma doveva essere stato il luogo in cui erano custodite le cassette di sicurezza. Illuminò Rick con la pila. Era in un angolo, vicino alle sbarre. Le fece un mezzo sorriso sollevato e alzò una mano come saluto.
“Sono qui!” gridò Kate all’indietro per avvertire gli agenti aprendo la prima grata. Gli ostaggi erano dentro la grata più interna. Corse in avanti e aprì anche la seconda. Non erano chiuse a chiave. Mentre entrava, sentì Castle gongolare felice.
“Ve l’avevo detto, no?” esclamò scoppiando in una risata liberatoria. Kate sentì vagamente gli altri ostaggi, compresa Martha, che mormoravano sollevati. Si inginocchiò davanti allo scrittore, tra le sue gambe. Vide che aveva i polsi legati. Rimise la pistola nel fodero ed estrasse un coltello dalla tuta. Non poté fare a meno di guardarlo e sorridergli. Era davvero vivo, davanti a lei. E lui rispondeva con un sorriso altrettanto sollevato.
“Ora ti libero” mormorò allo scrittore. Gli tagliò la fascetta che gli teneva i polsi con solo colpo. “Ecco fatto” disse in un sussurro. Poi alzò gli occhi per legarli ai suoi. Aveva avuto paura di non poterlo più fare. Senza pensarci si avvicinò leggermente allo scrittore e gli prese delicatamente il colletto della giacca per sistemarglielo. Non sapeva perché l’aveva fatto. Aveva agito d’impulso, “Come stai?” chiese preoccupata e felice. Non riusciva a smettere di guardare in quei suoi occhi blu e sorridere. Il sorriso dell’uomo invece di spense un poco al gesto della detective. Non se lo aspettava, ma non sembrava dispiaciuto. Anzi pareva quasi in attesa e ora che si era ripreso stava sorridendo ancora di più. Kate lo vide muoversi impercettibilmente in avanti, quando la voce di Martha bloccò entrambi e li fece girare verso di lei.
“Non è l’unico qua dentro, sai?” esclamò la donna con un sorriso mostrando i polsi legati. Ah sì? fu il primo pensiero, stupito, di Kate a quelle parole. Poi si riprese scuotendo leggermente la testa. Per un momento si era completamente dimenticata degli altri ostaggi.
“Oh, scusami…” disse la detective imbarazzata lasciando il colletto della giacca di Castle. Vide l’uomo alzare gli occhi al cielo, portare la testa all’indietro e sbatterla con una mezza smorfia contro la parete di cassette di sicurezza cui era appoggiato. Sentì un piccolo tonfo vuoto quando la testa gli cozzò contro uno dei contenitori di metallo. Beckett però era quasi certa che la smorfia dello scrittore non fosse dovuta al dolore per la zuccata. Non riuscì anche in questo caso a trattenere un sorriso. “Perdonami Martha” mormorò ancora la detective. “Ti libero subito. Come stai?” chiese tagliando la fascetta ai suoi polsi.
“Mi fischiano un po’ le orecchie” commentò l’attrice. “E a te?” domandò poi rivolta al figlio.
“Sì, anche a me…” mormorò lui con tono rassegnato. Beckett li aiutò ad alzarsi e si avviarono verso l’uscita della stanza, insieme agli altri ostaggi liberati e agenti. Mentre tutti uscivano, si accorse che Peterson era sulla porta della camera di sicurezza ad aspettarli.
“Manca qualcuno?” chiese a quello che doveva essere il direttore della banca, appena dietro Beckett.
“No. Siamo tutti qui e stiamo bene” rispose quello con un sospiro sollevato.
“Che fine hanno fatto i rapinatori?” domandò allora Beckett. Non potevano essersene andati senza che nessuno li vedesse.
“Sono morti. Nell’esplosione” rispose il capitano lapidario.
“Che cosa?” esclamò sorpresa la donna, aggrottando le sopracciglia.
“A quanto pare il C4 serviva per la loro fuga” rispose. Dopo qualche passo si fermò e indicò la camera blindata della banca alla loro sinistra, quella in cui erano depositati i contanti. Era completamente distrutta. La porta con le sbarre divelta. Martha si portò le mani alla bocca, inorridita. “Hanno scavato un passaggio nel pavimento del caveau che porta a una stazione della metropolitana abbandonata.” Kate era rimasta stupita dalla scena, ma anche dall’intelligenza di Trapper John. Sarebbero scappati senza che nessuno se ne accorgesse e poi avrebbero fatto esplodere le tracce e gli ostaggi. “Ma devono aver commesso un errore. Hanno fatto scattare l’esplosione in anticipo e sono saltati in aria” concluse Peterson. Non è possibile... pensò Kate.Trapper John era intelligente e calcolatore. Non avrebbe mai sbagliato a regolare il timer o l’esplosivo.
“Come è possibile?” chiese Castle esponendo il suo stesso dubbio. “Il C4 è un esplosivo molto stabile. Non ci si può sbagliare e loro non erano ladruncoli da quattro soldi” disse rivolgendosi a Beckett, cercando di spiegare ciò che aveva notato dei rapinatori. “Sembravano ben addestrati. Non avrebbero commesso un errore del genere” disse convinto. Peterson alzò le sopracciglia dubbioso.
“Sicuro? Perché i loro corpi smembrati dimostrano il contrario” replicò. Non trovando appoggio dall’uomo, Castle si girò verso Kate. Sapeva che poteva leggere il suo stesso pensiero. Beckett però non continuò la conversazione. Non era né il momento né il luogo. Rick e Martha avevano qualcuno da riabbracciare fuori e lei voleva uscire da quella banca ormai distrutta e che portava con sé solo pensieri d’angoscia, fumo nei polmoni e odore di corpi carbonizzati. Aveva bisogno di aria pulita per pensare lucidamente.
“Andiamo via da qui” disse infine. Si diressero quindi senza dire niente verso l’uscita. Kate avanzò di qualche passo, appena fuori dalla banca, per chiamare con un gesto i paramedici delle ambulanze presenti. Rick e Martha stavano aiutando la cassiera incinta Simon a camminare. Poi vide l’attrice trattenuta dal direttore della banca e notò che le passava un biglietto da visita. Fece un mezzo sorriso alla scena e si girò verso lo scrittore. Aveva appena lasciato la cassiera a un paramedico e anche lui stava osservando la madre. Kate poi lo guardò girarsi e bloccarsi con gli occhi in un punto poco distante, vicino alle transenne. Alexis. Lo vide mormorare il suo nome e dirigersi a passo spedito verso la figlia che gli corse incontro, chiamandolo. Si abbracciarono stretti. Dopo qualche secondo, Martha li raggiunse e si unì anche lei all’abbraccio. Kate era qualche passo dietro di loro e li osservò con gli occhi che minacciavano di farsi umidi. Era riuscita a mantenere la promessa. Le aveva riportato la sua famiglia. Poi Alexis, immersa in un ulteriore abbraccio di padre e nonna, alzò la testa verso di lei. Aveva gli occhi lucidi. Non disse niente. Semplicemente la guardò e le fece un quasi impercettibile cenno con la testa per ringraziarla. Kate le sorrise in risposta. Dopo qualche secondo vide le figure di Ryan ed Esposito che si avvicinavano e si fermavano poco lontano. Li raggiunse, lanciando un ultimo sguardo ai tre.
“Stanno tutti bene?” chiese Esposito.
“Sì, devono solo riprendersi dallo shock” rispose con un sospiro.
“Sappiamo che i rapinatori sono morti” disse Ryan. Beckett scosse la testa.
“Non capisco. Un’anziana viene uccisa per la chiave della sua cassetta di sicurezza, alla quale il suo defunto marito accedeva ogni mese. E poi questo!” esclamò indicando la banca dietro di sé. “C’è qualcosa che ci sfugge” continuò mordendosi l’interno della guancia, nervosa e scocciata. Doveva esserci un nesso che non vedeva. Le venne in mente che prima dell’esplosione stavano parlando al cellulare. “Che stavate dicendo prima sull’unico parente in vita di Agnes Fields?”
“Il genero, Ron Brandt” rispose Ryan tirando fuori il cellulare. “Gli abbiamo lasciato un messaggio, ma ha molti affari oltreoceano. Potrebbe essere all’estero” continuò mostrandole la foto della patente dell’uomo dal telefono. “Abita in un attico nell’Upper Est Side. Potremmo andare lì a…”
“Aspetta, aspetta…” mormorò bloccandolo. “È lui il genero?” chiese con gli occhi sgranati, stupita.
“Sì, perché?” domandò il detective confuso. L’uomo nella foto, Ron Brandt, era lo stesso che aveva portato fuori lei stessa in barella mezz’ora prima. Sal Martino.
“Era uno degli ostaggi!” esclamò. “Ha avuto una crisi epilettica e…” si bloccò. Potrebbe essere che sia lui il nesso? Ma allora… “Oh, no” mormorò tirando fuori il cellulare. Compose velocemente il numero dell’ospedale in cui era stato ricoverato. Le rispose una ragazza, probabilmente un’infermiera. “Sono il detective Beckett, polizia di New York” disse all’apparecchio. “Voglio notizie su un paziente ricoverato oggi in seguito a una rapina, Sal Martino.” Ma la risposta non le piacque per niente. Martino, o Brandt, era uscito dall’ospedale ed era sparito. Lo comunicò anche ai due detective davanti a lei.“Non c’è dubbio è stato lui a orchestrare tutto questo!” esclamò furiosa. Quell’uomo l’aveva presa in giro.
 
Kate si cambiò velocemente, mentre i due detective si avviavano al distretto. Lei li raggiunse poco dopo. Non ci fu verso a convincere Castle a non venire, così portò anche lui. Non che a Kate dispiacesse. Gli piaceva avere di nuovo la presenza dello scrittore intorno, ma pensava volesse riposarsi. Evidentemente anche lui però credeva che il solo modo per far finire quel giorno era trovare Brandt e arrestarlo.
“Allora, Ron Brandt dirige un’azienda internazionale che fornisce forze speciali alle industrie della difesa” disse Esposito leggendo da una cartelletta che aveva in mano.
“Ok, quindi usa le sue conoscenze in ambito militare per ingaggiare dei mercenari” dichiarò Castle. “E per coprire ogni traccia manomette il timer dell’esplosivo”
“Ci vuole sangue freddo” commentò il detective.
“E avrebbe fatto tutto questo per il contenuto di quella cassetta di sicurezza?” chiese confusa con le sopracciglia aggrottate Beckett. “Castle, hai detto che c’erano lettere e foto all’interno, giusto?” Glielo aveva raccontato, mentre arrivavano in auto al distretto.
“Sì” rispose lo scrittore. “Brandt allora deve averle prese quando si è fatto accompagnare in bagno. Poi ha finto la crisi epilettica ed è stato liberato” ricostruì Castle.
“Ma perché? Che c’era di così speciale nella cassetta di sicurezza della ex-suocera?” domandò ancora Beckett.
“Hai detto ex-suocera?” la interruppe lo scrittore. Sembrava essere stato colto da un’illuminazione.
“Sì” rispose Esposito. “Circa un anno fa, Tania, la moglie di Brandt e figlia di Agnes, è morta in un incidente in barca insieme al figlio Connor”
“No, no. Brandt mi ha parlato del figlio. E non ne ha parlato come se fosse morto” esclamò convinto lo scrittore. “Connor è ancora vivo.” E lo scrittore aveva ragione. I corpi dei due non erano mai stati ritrovati e Ryan scoprì dei sospetti precedenti per violenza domestica dell’uomo. Brandt però non era mai stato accusato perché aveva le giuste conoscenze. Capirono che Tania si era nascosta con il figlio dopo aver finto la propria morte, ma era rimasta comunque in contatto con la madre, Agnes, attraverso la cassetta di sicurezza. Tania spediva lettere e foto a un intermediario che poi lasciava il tutto nella cassetta, fingendosi il marito dell’anziana donna. Brandt, sospettoso sulla morte di moglie e figlio, aveva nascosto delle cimici nella casa della suocera e aveva scoperto il trucco. Quindi aveva fatto uccidere Agnes e creato la messinscena alla banca per scoprire da dove venivano spedite le lettere. La sua idea era una sola: uccidere la moglie e riprendersi il figlio. Scoprirono, attraverso degli assegni di Agnes, che l’intermediario era un prete, padre Sean McCaskey, lo stesso che aveva officiato il funerale di Tania e Connor. Beckett e Castle andarono subito a parlare con lui e si fecero dire dove erano nascosti madre e figlio. La detective avvertì la polizia di Ithaca, dove abitavano Tania e Connor.
 
Erano tornati al distretto ed erano rimasti per tre quarti d’ora in ansia vicino al telefono. Finalmente questo squillò per annunciargli l’arresto di Ron Brandt ad Ithaca. Quando mise giù il telefono si girò verso i tre uomini. Ryan ed Esposito erano in piedi davanti alla sua scrivania, in attesa. Castle invece era sulla sua sedia, a lato della stessa.
“Li hanno trovati” annunciò sollevata. Erano arrivati appena in tempo, un momento prima che Brandt sparisse con il figlio. Tania era un po’ malconcia, ma per il resto stavano bene. Lo scrittore fece un segno di vittoria ed Esposito si animò subito.
“Andiamo a prenderli!” disse felice al suo partner.
“A Ithaca?” domandò quello preoccupato. Erano 4 ore di auto. Appena si allontanarono, Kate si sedette finalmente con un sospiro sulla sua sedia. Decisamente una giornatina niente male… pensò. Ovviamente non poté mancare un commento di Castle, ora che tutto si era concluso per in verso giusto.
“Perfino da ostaggio ti aiuto a risolvere gli omicidi” esclamò compiaciuto. La donna non poté fare a meno di sorridere da dietro le mani incrociate davanti al volto. Castle aveva portato una mano al mento e sembrava stesse pensando a qualcosa di molto importante. “Beckett, credo che… tu abbia il partner perfetto!” Una risata le venne spontanea.
“Già, tranne quando si tratta si scartoffie!” replicò.
“Touché” rispose l’uomo. Forse comunque non hai tutti i torti Castle… pensò Kate guardandolo sempre con un sorriso.
“Allora, andiamo al tuo pub?” chiese poi riprendendosi. “Ti offro da bere.” La musa aveva voglia di coronare quella serata con il suo scrittore.
“No” rispose però lui a sorpresa. “Ho una proposta migliore” continuò con un mezzo sorriso. Beckett inclinò appena la testa di lato, curiosa. La proposta consisteva in una cena a casa Castle insieme a Martha e Alexis. Accettò con piacere. Aveva assolutamente bisogno di stare con qualcuno quella sera, che non fosse il suo freddo e vuoto appartamento. E quale compagnia migliore dell’intera famiglia Castle?
Appena Richard aprì la porta, Kate si ritrovò stretta in un abbraccio di Martha.
“Oh, Kate! Che piacere averti qui, splendida creatura! Entra pure. Unisciti a noi.” L’attrice era decisamente allegra quella sera. E ne aveva tutte le ragioni. Si avvicinarono alla tavolo del salone dove tutto era pronto per cenare e Beckett vide che la donne si era data un gran da fare. C’era abbastanza cibo per far mangiare tutto il distretto.
“Come hai fatto a fare tutto questo?” chiese curiosa e sorpresa con un sorriso.
“Ah, beh, scampare alla morte ti porta a festeggiare la vita!” disse con tono teatrale, ma dietro a quelle parole percepì tutta l’angoscia per quel giorno da dimenticare. “Stasera facciamo festa!”
“Dov’è Alexis?” chiese poi lo scrittore. In effetti la ragazza non si era ancora vista. Martha le indicò lo studio e l’uomo ci si avviò lasciando Kate e la madre a fare brindisi e a chiacchierare. Tornarono in salone qualche minuto dopo quando Martha chiamò la nipote in cucina. Alexis fece un cenno di saluto a Kate con la testa, mentre le passava accanto e lei rispose con un sorriso. La donna aveva in mano due bicchieri pieni a metà di vino e ne porse uno allo scrittore.
“Non ti ho ancora ringraziato a dovere per avermi salvato la vita” disse Rick prendendo il calice.
“Oh, non c’è ne bisogno Castle. Siamo partner. Ci salviamo a vicenda” replicò con un sorriso.
“Già” disse avvicinando il suo bicchiere a quello della donna per un brindisi. “Anche se non sei ancora alla pari…” commentò sottovoce lo scrittore, ma Kate lo sentì benissimo e scostò il calice.
“Aspetta… Che intendi dire?” chiese sospettosa.
“Solo che è l’ottava volta che mi salvi la vita, mentre io te l’ho salvata nove volte” rispose come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Aveva una faccia da schiaffi terribile in quel momento.
“Ok, innanzitutto non riesco a credere che tu stia tenendo il conto…” replicò la detective cercando di rimanere seria. Però un sorriso le scappò comunque. Lui la guardò con finta faccia stupita. “E poi non mi hai salvato la vita più volte di quanto l’abbia fatto io. 9? Ma per favore” continuò. Non è possibile che Castle mi abbia salvato la vita più volte di quanto abbia fatto io! O sì…?
“Facciamo un ripasso ti va?” replicò allora lo scrittore con un mezzo sorriso. “La prima volta è stata quando ho distratto con una bottiglia di champagne quell’uomo armato e, sì!” bloccò la detective prima che potesse controbattere. “Ti ho salvato la vita quella volta. L’hai ammesso anche tu!” Va bene quella poteva tollerarla. Era vero, l’aveva ammesso anche lei. Era successo in uno dei loro primi casi assieme. Si avviarono al tavolo apparecchiato, dove Martha e Alexis li aspettavano. Si sedettero mentre ancora Richard continuava a elencare le volte in cui l’aveva salvata. “La seconda volta è stata… ah già! Quando il serial killer ha fatto esplodere una bomba in casa tua, mentre eri sotto la doccia. Ho affrontato delle fiamme infernali per tirarti fuori dalla vasca da bagno…” Kate era sbalordita. Aveva veramente tenuto il conto delle volte in cui si erano salvati la vita a vicenda! Lo scrittore continuò per tutta la cena, bisticciando con la sua musa, mentre tentava di trovare un modo per non dargliela vinta. Ma era impossibile. Rick aveva ragione: le aveva davvero salvato la vita 9 volte, mentre lei solo 8.
“Beh, sono una poliziotta. Dovrebbe essere normale che io sia più nei guai di te, no?” aveva dichiarato a fine cena Beckett, sconfitta dalla memoria del suo partner. L’uomo ridacchiò. Chiacchierarono ancora per un’ora anche dopo cena, finché la stanchezza non ebbe la meglio. Martha aveva mantenuto il sorriso tutta la sera e anche ora che si apprestava ad andare a dormire sembrava che nulla sarebbe riuscita a turbarla. Salutò figlio e nipote e abbracciò ancora una volta la detective prima di sparire di sopra. Alexis invece le era sembrata per tutto il tempo sollevata, ma anche turbata. Quando la nonna salì, chiese alla detective se potesse parlarle un momento. Rick, con la scusa di dover mettere a posto la tavola e lavare i piatti, se ne andò in cucina, lasciando sole le sue donne. Si infilarono nello studio dello scrittore. Dopo qualche secondo di silenzio, Alexis finalmente parlò.
“Mi dispiace Kate” disse solo facendo un sospiro e senza guardarla negli occhi. La detective aggrottò le sopracciglia.
“Per cosa?” chiese confusa.
“Per quello che ti ho detto oggi, ma soprattutto per il tono in cui l’ho detto” rispose la ragazza mortificata. Kate scosse la testa con sorriso.
“Eri sconvolta Alexis. Tuo padre e tua nonna erano dentro quella banca. Uno scoppio di rabbia era più che giustificato” la rassicurò. In quel momento la ragazza alzò la testa e la guardò con occhi lucidi.
“Sì, ma tu stavi facendo di tutto per aiutarli e io…” cominciò con voce rotta. Kate le mise una mano sul braccio e la fermò.
“Alexis ascoltami. Non sono arrabbiata con te. Tu eri turbata e spaventata. So cosa vuol dire perdere qualcuno che ami. So che emozioni si prova. E so cosa vuol dire aver paura che succeda qualcosa a qualcuno a cui tieni. Rimanere nell’incertezza. Conosco la sensazione” disse amaramente. “Ognuno reagisce a modo suo in questi momenti. La tua reazione è stata la rabbia. Non c’è niente di cui vergognarsi. E niente di cui scusarsi” disse la donna con tono dolce e rassicurante, anche se con un velo di tristezza, senza staccare il legame tra i loro occhi. Diceva la verità. Aveva perso sua madre e il terrore di perdere qualcun altro a lei caro era stato un incentivo a costruirsi intorno un muro. Quel muro che il padre della ragazza davanti a lei stava faticosamente e inesorabilmente distruggendo. Alexis la fissò ancora per qualche secondo, poi fece un passo avanti e l’abbracciò. Kate la strinse a sé confortandola. Quando la ragazza si scostò da lei, Kate la guardò ancora negli occhi. “Non aver paura di mostrare ciò che senti. Inoltre sfogarsi con qualcuno a volte serve a riprendere lucidità” disse la detective con un mezzo sorriso, che Alexis ricambiò, anche se un po’ di scuse. “Se hai bisogno di qualcuno, anche solo per parlare, ricordati che per te ci sarò” continuò. Lo aveva promesso anche allo scrittore tempo prima e non sarebbe mai venuta meno a questo impegno. La vide annuire e stavolta farle un sorriso un po’ più largo. Kate notò però che c’era ancora un fondo di tristezza in quegli occhi blu, ma non chiese niente. Non c’è ne fu bisogno comunque, perché Alexis stessa le confidò di aver lasciato Ashley quella sera. Beckett cercò un po’ di rincuorarla, poi scoppiarono a ridere quando Alexis fece un mega sbadiglio nel bel mezzo si una tirata contro l’ormai ex-ragazzo. Era stata una dura giornata anche per lei. Tornando nel salone, trovarono Rick seduto sul divano che faceva zapping alla tv.
“Ehi, tutto bene?” chiese sorridendo e passandosi una mano nei capelli. Sembrava tranquillo e rilassato. Kate però vide benissimo che era preoccupato per la sua bambina. Lo zapping era solo un modo per passare il tempo senza che lo beccassero a girare come un’anima in pena per la stanza. Entrambe annuirono.
“Sì, tutto bene papà” disse Alexis sorridendo e lanciandole un’occhiata d’intesa. “Ora vado a dormire. Domattina c’è scuola. Buonanotte!” Salutò Kate, baciò il padre su una guancia e salì anche lei di sopra. Rick la guardò andare di sopra con occhi teneri. Probabilmente aveva pensato di non poterlo più fare in quella maledetta banca. Poi si girò verso Kate.
“Non so cosa tu le abbia fatto o detto, detective, ma ora è molto più tranquilla di quando è entrata in quello studio” disse con tono riconoscente. La donna sorrise e fece un cenno col capo come ringraziamento.
“Niente di che. Abbiamo solo fatto qualche chiacchiera al femminile” rispose. L’uomo ridacchiò.
“Ok, se questo è un modo per dirmi che da te non saprò niente, rinuncio in partenza” replicò alzando le mani in segno di resa. Beckett scoppiò a ridere.
“Bravo Castle, vedo che hai capito!” replicò scherzosa. Quando lo guardò però si accorse che era diventato più serio.
Thanks” disse solo. Kate si perse nei suoi occhi blu. Aveva uno sguardo dolce in volto e sinceramente riconoscente. Per aver salvato lui e la madre. Per aver confortato Alexis.
Always” rispose. Dopo qualche secondo però, Kate si sottrasse a quello sguardo magnetico e diede un’occhiata distratta al suo orologio. “È tardi ora. Domattina sveglia presto, mentre tu sicuramente vorrai riposarti dopo la giornata di oggi.” Lo vide sospirare e annuire. “Vieni pure nel pomeriggio se vuoi. O prenditi la giornata libera domani” continuò poi sorridendogli. Lui ridacchiò.
“Non so… dipende da che ora mi sveglierò, credo. Comunque spero non ci siano omicidi domattina, perché il tuo partner perfetto ha tutta l’intenzione di dormire.” Kate alzò gli occhi al cielo senza che il sorriso le sparisse dal volto. Poi si avviò verso l’uscita. Rick le porse la giacca e le aprì la porta. “Beh, buonanotte detective” disse lo scrittore. Sembrava un po’ triste. A vederlo con quello sguardo da cucciolo, Kate non resistette e ancora una volta, come in banca, agì d’impulso. Si avvicinò a Rick e gli diede un bacio sulla guancia, forse un po’ più lungo e un po’ più vicino alla bocca del normale. Lo scrittore era immobile, stupito dal gesto, la bocca semiaperta. La guardò prima come perso, poi con uno strano luccichio negli occhi.
“Buonanotte scrittore” rispose con un sorriso e un po’ rossa in viso. Un attimo prima di girarsi e andare verso l’ascensore, vide chiaramente la consapevolezza della realtà di quel gesto farsi strada nello scrittore. E scorse, con la coda dell’occhio, anche il sorriso fantastico che gli nacque in viso subito dopo, ancora sulla porta, mentre lei entrava in ascensore con un sorriso altrettanto grande.

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Xiao!! :D
Allora spero vi sia piaciuta questo 'resoconto' delle emozioni di Kate e la parte finale! ;) Avevo voglia di scriverlo e con un po' di pazienza ho rivisto la 4x7 in italiano per i dialoghi e in inglese per le intonazioni. Di solito i doppiatori mi piacciono, ma in questa puntata mi avevano soddisfatto un po' poco... Ok so che il vostro primo pensiero sarà "Che voglia...", ma che ci volete fare ero ispirata così! X) 
Detto questo, spero che mi lasciate qualche recensioncina, giusto per sapere che ne pensate! :)
A presto! :)
Lanie
  
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