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Autore: Exelle    26/03/2012    1 recensioni
Pensava a casa, mentre s’incamminava, lasciando dietro di sé il sempre più lontano complesso del Barth’s. Cominciò a guardarsi in giro, cambiando la spalla della tracolla, chiedendosi perché mai quell’euforia non accennasse a svanire.
Genere: Drammatico, Malinconico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Lestrade , Molly Hooper, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo quarto
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Molly sobbalzò. Afferrò il cellulare e prese la chiamata, senza nemmeno guardare il display. Con un bip, avviò la comunicazione, ma all’altro capo non sentì alcun suono.
Poteva essere…
“Buongiorno sono Derly Shepperd della Bear Press. Mi chiedevo se fosse interessata a…”
Molly attaccò la chiamata. Poi disse a nessuno, tranne che a sé stessa: “No, grazie.” Posò il cellulare sul divano, con delicatezza. Era un po’ scossa.
Le veniva da piangere, era una giornata così strana. Un momento prima era felice; era riuscita a sorprendersi, a scappare dal laboratorio quando tutti la davano per scontata.
Lei, che si buttava nel lavoro. John che cambiava casa e tornava a sopportare sua sorella. Mrs. Hudson che girovagava per i paesi caldi. Aveva interrotto la sua routine del lutto,
ed era stata così contenta. Ma forse, era perché lei era l’unica che poteva farlo. Lei fingeva; non doveva essere triste per davvero. Però ora lo era. In parte, era per Greg.
Non voleva prenderlo in giro. C’era già qualcun altro che aveva cercato di fargliela e lei aveva visto quanto fosse teso e preoccupato. Per lei, per tutti loro.
Nessuno voleva altri brutti titoli sui giornali con parole come falso, impostore, menzogna.
La reputazione di Greg era già scesa abbastanza dopo il processo del secolo, con l’arresto di Sherlock e tutto quello che ne era conseguito.
Le aveva detto che i casi per lui erano sempre meno. Meno campo e più ufficio. Non era sorpresa che i suoi colleghi a Scotland Yard non volessero aiutarlo.
Qual era la parola che aveva usato, una delle ultime sere che si erano visti? Un appestato. Un porta grane
Bè, Greg le era sembrato esattamente così ma Molly gli voleva troppo bene per ammetterlo davvero. E poi c’era sempre quella tristezza di fondo, mista ad una vaga speranza.
Sherlock era là fuori e lei lo sapeva. Era passato abbastanza tempo, e lui doveva per forza tornare.
Era vivo e sarebbe riuscito ad sistemare le cose e lei passava il tempo a pensare alla faccia che avrebbe fatto John. All’espressione che avrebbe avuto lei.
Di radiosa felicità, ecco.
Sarebbe stato un altro Natale a Baker Street. E Sherlock non l’avrebbe fatta piangere e non avrebbe confuso ed umiliato tutti loro, perché ora riusciva a capirli un po’ meglio.
Si era buttato perché voleva bene a qualcuno, a tutti i suoi amici. E si era perfino fatto aiutare. 
Quello di Sherlock sarebbe stato un grande ritorno e lei…
Sarebbe stata pronta?
Sì, si disse Molly. Lo sarebbe stata. E Sherlock le avrebbe detto grazie. Grazie, Molly Hooper. Voleva tanto sentirselo dire… e ora che lui non c’era, ancora di più.
Quando lui sarebbe tornato, Molly avrebbe smesso di guardare con aspettativa la porta, di prendere trepidante le chiamate al cellulare, d’irrigidirsi al passaggio di ogni ombra.
Vedeva Sherlock in ogni dettaglio, in ogni cosa poco chiara dei posti in cui andava, persino della sua stessa casa. A guardare la realtà con gli occhi di Molly, Sherlock era dappertutto.
Lo vedeva ovunque. L’aveva visto nell’espressione grave di Greg e lo vedeva in sé stessa, in quella luce negli occhi che non si spegneva mai. Poi si rendeva conto di quanto fosse
sciocca ad illudersi così. Fuori continuava a piovere e lei si chiedeva dove fosse davvero.
Lo sguardo le cadde di nuovo sul laptop e sulla chiavetta argentata posata lì a fianco. Non era una bambina, non doveva illudersi così. 
Ogni tanto, magari durante una pausa in ufficio o alle macchinette del caffè, Mike Stanford la prendeva bonariamente in giro. Le diceva che era un’adolescente che amava i mattini e giocava coi morti e lei non sapeva in quale delle due Molly riconoscersi. In quella che portava scarpe basse con le stringhe colorate o in quella che studiava fino a tarda sera, per capire quali disegni assumessero gli ematomi e le ferite da lama seghettata o a fissare iridi sfocate dove la vita non brillava più?
Ci voleva coraggio in entrambe le cose, si disse. Ci voleva coraggio a portare delle stringhe color rosa evidenziatore e ci voleva coraggio a respirare vicino a chi non respirava più.
Per questo, non riusciva a capacitarsi di non voler controllare quello che Greg le aveva dato. Aveva sperato in una consolazione e cosa importava se era falsa, contraffatta…
Ma sono vere, pensò con un fremito di piacere e paura. Greg le ha fatte controllare. E’ sicuro che sono vere… L’idea dietro ci fosse un piano ben congegnato tornò a visitarla. 
Perché una donna a Seven Sisters doveva avere quello che lei n0n aveva nemmeno mai immaginato di possedere? L’adolescente che era in lei aveva sempre desiderato una foto di Sherlock e anche l’adulta Molly. Perché una sconosciuta e non lei? La scienza provava che erano autentiche, filtrando dati e indagando ogni singolo pixel. Ma Greg, Greg voleva che la conferma venisse dal cuore di una persona vera… ma era un trucco, uno sciocco trucco.
Al diavolo. Accese il laptop e mentre si avviava la schermata iniziale, Molly prese una pausa per prepararsi una tazza di tè. Voleva che fosse tutto in ordine, tutto tranquillo, quasi un piacere. Come se controllare delle foto di Sherlock, delle potenziali foto, fosse un piacere dolce come le quattro zollette annegate nell’Oolong. E lo era, pensò Molly soffiando sulla tazza bollente, arrossendo un pochino e vergognandosi, anche se nessuno poteva vederla. Inserì la chiavetta e attese. Comparì un’icona. Doppio clic. La cartella si aprì. 
Niente suoni, niente fuochi d’artificio. Tutto normale. Un centinaio e più di piccole icone a forma di finestrella arancio e gialla, brillarono sullo schermo, popolando lo sfondo bianco come tanti insetti. Ce n’era anche una blu a forma di occhio.  Un video?
Nessuna icona aveva nome. Molly cliccò sulla prima, in alto a sinistra. L’immagine si aprì e lei fu costretta a posare la tazza sul tavolino basso. Un po’ di tè strabordò. La foto era un po’ mossa ma era… Indubbiamente… 
Era una foto serale. E lui non sembrava accorgersi di essere stato fotografato. Era girato di tre quarti e quei suoi ricci strani ricadevano su un occhio. Era voltato come se fosse sorpreso, ma non in direzione del fotografo, ma verso qualcosa che nell‘immagine non compariva. 
Molly fu costretta a chiudere gli occhi per un momento. Non riusciva a guardarlo. Era di nuovo piccola e stava guardando la tv con i suoi genitori e non riusciva a guardare lo schermo perché c’erano due che si baciavano. E lei era così imbarazzata che arrossiva sempre e apriva la bocca per dire cose stupide, cercando di vncere una tensione che sentiva solo lei. Stava guardando qualcosa che non doveva vedere.
Aprì gli occhi. Cliccò ancora avanti.
 Un mezzo busto, un po’ più vicino adesso. Con le mani tremanti prese un altro sorso di tè. Sembrava così vero. Non capiva dove lui si trovasse. Posò la tazza con un suono sordo. Era in una strada buia, illuminata giusto da qualche palo della luce che non compariva nell’immagine e da delle lucine sfocate di qualche insegna illeggibile. Niente nomi, né cartelli.
Solo Sherlock, con indosso una camicia bianca. Il colletto era un po’ alzato e faceva da contrasto con la sua pelle chiara. Bianco brillante e bianco osso. Non sorrideva, ma quante volte l’aveva fatto quando era con loro, in fondo? Quando era con lei. Così poche e rare volte che non le aveva mai contate, perché se ne sarebbe solo dispiaciuta… non sembrava teso, né preoccupato. Era Sherlock, davvero? Sembrava solo un po’… sorpreso. Era Sherlock. Sherlock intrappolato nel suo computer, che pensiero stupido. Molly si accorse che stava respirando poco. Come se avesse il torace compresso. Con una mano serrava il mouse e l’altra con le unghie e le dita contro i denti. Sentiva ancora la pioggia che l’aveva inzuppata quella mattina nelle ossa.
Non c’era altra spiegazione a come si sentiva, così sciupata e tesa. Poi, cosa più terribile, si accorse di avere gli occhi bollenti e lucidi. Era solo alla seconda foto e già non riusciva a vederla bene perché aveva gli occhi pieni di lacrime.
Era lui che l’aveva presa in giro, era tutto un trucco? Si chiese, la donna morta a Seven Sisters dimenticata. Che importava? Non era niente, era come se non fosse mai esistita. Irrilevante.
E lei, Molly che sapeva che era vivo e a volte aveva l’impressione di aver sognato tutto… Ora aveva una vera prova, quelle immagini erano vere. Perché non aveva detto subito sì, a Greg? Perché era riuscita a guardarle la prima volta fingendo quasi disinteresse e ora si ritrovava a piangere come una stupida, alla seconda fotografia?  Avrebbe dovuto dirgli di sì….
Non era coraggiosa. Era piccola e sciocca. Quelle foto la sminuivano perché volevano dire che qualcun altro sapeva che Sherlock era vivo. Lei non aveva più alcun privilegio.
Si passò la manica della maglia sulle guance, inspirando, ma gli occhi continuavano a tornarle lucidi. Era così arrabbiata ora che comincio a cliccare avanti, ancora. E cliccò ancora, mentre con gli occhi lucidi guardava le immagini succedersi, rincorrersi. Erano un po’ sfocate e per lei con gli occhi liquidi, ancora di più ma era sempre Sherlock e ora che lo sapeva non importava.
Continuò a cliccare. Ora usciva da quello che sembrava un hotel e il cielo era color ferro. Altri clic. Nella folla, giusto un po’ coperto e nessuno si accorgeva di lui. Clic, clic.
Un’altra strada, giorno, paesaggio suburbano, camicia blu scuro. Poi alcune in cui non indossava il cappotto. Era proprio il suo. Continuò a cliccare, sempre più in fretta, presa da una strana agitazione. Era Londra?  Il paesaggio cittadino era indubbiamente inglese. Chi l’aveva fotografato era stato attento. Clic, clic…
E poi arrivò in fondo. L’immagine si mosse, Molly sobbalzò ancora. Partì un’ audio registrazione gracchiante e delle immagini abbastanza mosse, qualche luce di fanali e altre della strada, un’altra. Basta strade, pensò Molly. L’immagine si stabilizzò, inquadrando il marciapiede. Molly sentì il suono di qualche clacson acuto nella notte misto ad un brusio di fondo che non capiva se appartenente all’apparecchio o a qualche passante che ogni tanto tagliava l’immagine.
Poi da chissà dove spuntò Sherlock. Veniva quasi dritto verso la telecamera, guardandosi in giro, convinto di essere nascosto nella folla. Molly si passò le mani sugli occhi umidi, mentre Sherlock camminava davanti a lei. L’immagine si restrinse mentre lui si voltava in camera, un po’ accigliato. Il video si bloccò e l’audio tacque. Molly fissò lo schermo.
Era Sherlock. Ora, Molly ne era sicura. Stava guardando proprio lei.
“Sì” mormorò flebile. “Sì” ripetè un po’ più forte.
Come se qualcuno potesse sentirla.


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