Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Whatadaph    27/03/2012    5 recensioni
Te l'ho detto, Albus. Noi non siamo come gli altri. Come noi ci siamo solo io e te, sarà sempre così.
Un ragazzo prodigio e un'estate che sembra il concentrato di tutti i suoi peggiori incubi. Un incontro inaspettato, che cambierà ogni cosa. Dove c'è molta luce, l'ombra è più nera: qual è allora il confine tra bene e male?
Gellert aveva sete di potere, Albus di giustizia. Insieme, avrebbero potuto fare grandi cose.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Silente, Altro personaggio, Gellert Grindelwald | Coppie: Albus/Gellert
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Licht und Schatten'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 2

"C'erano una volta tre fratelli"

Beta: Unbreakable Vow

Gellert neanche si era sprecato a fingersi dispiaciuto. Non avrebbe avuto senso, no, non sarebbe servito a nulla.

Già da qualche tempo aveva notato l’insofferenza che gli insegnanti cominciavano a manifestare nei suoi confronti, e aveva compreso che, se davvero i suoi grandi progetti dovevano giungere a compimento, non poteva agire rinchiuso nelle mura di Durmstrang.

Sarebbe... restrittivo.

Il maggiore richiamo subito da Gellert Grindelwald era stato quello del professor Petrov. Questi era un possente russo di San Pietroburgo che insegnava Pozioni, dai folti mustacchi neri e lucidi. Teneva molto ai propri baffi, Andrej Petrov, e nei corridoi si vociferava che li spazzolasse con cura mattina e sera, appena sveglio e subito prima di andare a dormire. Gli studenti lo immaginavano nella solitudine della sua stanza da letto, l’immensa corporatura avvolta in una vestaglia di velluto ricamato, dedito a ricoprire d’olio profumato ogni pelo scuro. Un personaggio interessante, dagli occhi grigi e arguti, con i quali scrutava attentamente ogni allievo con l’aria di chi ha compreso perfettamente chi ha davanti, spesso attraverso la lente rotonda del suo monocolo.

Aveva delle mani enormi, Andrej Petrov, e spesso Grindelwald si chiedeva come diavolo riuscisse a dosare con tanta precisione gli ingredienti delle sue pozioni, dato che il suo pollice era largo almeno il doppio di una normale fialetta. In tali occasioni fissava le proprie mani: bianche e perfette, lunghe e affusolate, le dita tanto lisce da parere prive di giunture.

Queste, pensava, sono mani divine. Mani che meritano di stringere fra le dita l’arma più potente di tutte.

Gellert si era fatto un’opinione abbastanza chiara a proposito dell’insegnante: Petrov lo odiava, poiché per quanto si sforzasse – Grindelwald ne era convinto – non gli riusciva proprio di capire cosa passasse per la testa di quell’allievo tanto brillante. Gli pareva che l’avesse sempre guardato con sospetto per questo.

Mago capace, ma terribilmente gretto e insulso.

Gellert lo detestava.

Mi teme. E fa bene a temermi.

Petrov lo aveva trattenuto alla fine delle lezioni, un giorno.

“Grindelwald,” così aveva detto, nel suo tedesco pesantemente accentato. “Devo parlare con lei.”

Lui aveva sbuffato apertamente, senza curarsi che il russo non se ne avvedesse. Gli era parso di udire un suo compagno di dormitorio trattenere rumorosamente il fiato, di fronte a tanta audacia.

“Herr Professor,” si era rivolto all’insegnante in tono rispettoso, senza tuttavia cessare di tenere gli occhi puntati nei suoi – sulle labbra gli aleggiava un sorriso vagamente canzonatorio.

Petrov non era uno sciocco: se ne era reso conto perfettamente, ma aveva scelto di far finta di niente, sebbene Gellert con la coda dell’occhio l’avesse visto contrarre la mano destra, proprio come se fosse stato tentato di stringerla in un pugno.

Quella mattina, Andrej Petrov si era voltato a risistemare alcuni ingredienti al loro posto nell’armadio delle scorte, mentre attendeva che gli ultimi studenti uscissero. Gellert aveva pensato che si trattasse un gesto incauto: avrebbe potuto colpirlo con una maledizione ancor prima che se ne avvedesse.

“Von Plankestern,” l’insegnante si era rivolto all’unico allievo ancora presente nell’aula. “Vada a cercare il professor Braum, ho bisogno di altra erba fondente.”

Von Plankestern aveva annuito con fare stolido, prima di fare come gli era stato detto.

“Bene, Grindelwald,” il professore si era poi rivolto a Gellert, non appena la porta si era richiusa alle spalle dell’altro. “Lei sa perché le ho chiesto di attendere?”

Il ragazzo aveva ricambiato il suo sguardo senza batter ciglio. “Sì,” aveva risposto francamente. “Credo di saperlo, Herr Professor.”

“Bene,” aveva ripetuto Petrov. “Bene. Lei ha... ha qualcosa da dire? Qualcosa che sarebbe... opportuno, uhm, confessare?”

“Lei cosa ne pensa?”

L’altro si era un poco ingobbito, incassando il collo taurino fra le spalle. Anche così non difettava di imponenza, ma il suo aspetto era in qualche modo disarmonico, sgraziato. Aveva estratto dal taschino il monocolo e l’aveva incastrato sotto il folto sopracciglio.

“Io,” aveva detto, “penso di sì.”

“Bene,” gli aveva fatto il verso Gellert. “Ne deduco che questo discorso sia dunque perfettamente inutile, e che un mago capace come lei avrebbe dovuto accorgersene da solo.”

Lo sguardo di Petrov aveva scintillato di indignazione. “Lei è un impudente,” era stato il suo commento. “E la terrò d’occhio, ne stia certo.”

“Farebbe meglio a guardarsi le spalle, piuttosto,” aveva ribattuto lui con tranquillità. “A domani, Her Professor.”

Qualche settimana più tardi, Andrej Petrov dovette essere condotto d’urgenza dal Guaritore scolastico. Non si scoprì mai chi fosse stato a gettare una fattura sulla pozione su cui stava lavorando, ma le ustioni subite dall’insegnante a seguito dell’esplosione erano state davvero molto gravi. Si sussurrava che l’incidente sarebbe potuto essere letale.

Gellert aveva riso.

Petrov ne aveva parlato con i colleghi, e alcuni di loro avevano cominciato a osservare il giovane Grindelwald con occhio diverso. Se in precedenza avevano sempre pensato a lui come a un ragazzo incredibilmente brillante e dotato, sveglio e decisamente superiore ai coetanei, da quel momento in poi avevano cominciato a considerarlo con circospezione.

Non aveva che quindici anni, e, se le voci erano vere, era già giunto pericolosamente vicino a compiere un omicidio.

Nessuno aveva chiesto nulla a Gellert... ma se l’avessero fatto, lui avrebbe saputo perfettamente cosa rispondere.

“Mi odiava,” avrebbe risposto. “Mi odiava e mi temeva. Non capiva che ci sono cose che bisogna essere disposti a fare, mali da compiere per raggiungere il bene.”

Non aveva che quindici anni, Grindelwald, ma già aveva le idee chiare.

Nella sua mente brillante, ardeva un piano divino, un progetto geniale. Era un’idea ballerina, cangiante: bruciava e bruciava e saltava come un fuoco d’artificio. Esplodeva, poi, come il calderone di Petrov. Esplodeva e poi si riformava, come la fenice.

Eterno, mein Gott, eterno e indissolubile, assoluto e perfetto.

 

Il primo a parlare a Gellert dell’impossibilità di convivenza fra Babbani e maghi era stato Thomas Albrecht. Thomas aveva diciassette anni, quattro più di quanti ne avesse Gellert allora, ed era morto prima di poterne compiere venti. Aveva i capelli biondi e ricci come quelli di Grindelwald, ma i suoi occhi erano neri e densi come pozzi senza fondo. Era rimasto ucciso in un giocoso duello fra amici: il suo avversario l’aveva schiantato, e lui era precipitato da una rupe.

Morte da Babbano, aveva pensato Gellert, con uno strano vuoto dentro che non sapeva identificare. Morte che non meritava.

Si erano conosciuti quando Grindelwald aveva tredici anni, e già dopo neanche due anni di scuola si era fatto una certa fama a Durmstrang. I professori avevano avuto di che dire su di lui, asserendo che era destinato a grandi cose – avevano ragione – e anche nelle ultime classi anche si era parlato di quel ragazzino che lanciava incantesimi con la stessa naturalezza con la quale respirava. Thomas Albrecht, incuriosito, si era avvicinato a lui, ed era rimasto colpito da quel bambino così brillante, dallo sguardo così adulto.

“Gellert,” aveva detto da quel momento in poi. “Gellert, ragazzino, tu sei geniale.”

Gli aveva parlato del Grande Mondo. Dell’Idea Sublime. Del Bene Superiore.

“Gellert, ragazzino, tu puoi capire.”

Thomas credeva che la convivenza pacifica fra Babbani e maghi fosse un’irrealizzabile utopia. Gellert, sebbene allora lo avesse ascoltato affascinato, successivamente non fu più d’accordo con lui... sarebbe stata indispensabile la violenza, forse, per realizzare quel sogno, ma se necessaria sarebbe stato giusto farne uso. Doveva essere realizzabile.

Mali compiuti per raggiungere il Bene.

Qualunque sacrificio sarebbe stato niente, di fronte alla grandezza del risultato finale. Proprio su questo, così pensava Gellert, Thomas aveva sbagliato: la convivenza pacifica fra Babbani e maghi era a conti fatti possibile.

Serve una guerra? La combatterò. Serve la violenza? Potrò farne uso.

Niente, nessuno avrebbe costituito un prezzo troppo alto.

Per il Bene Superiore.

 

 

****

 

Per ironia della sorte, a parlargli dei Doni della Morte era stato Andrej Petrov, una volta che Gellert si era ammalato di difterite, dilagata all’interno dell’Istituto. Il giovane Grindelwald a causa del morbo non riusciva mai a prendere sonno, così lo si vedeva sempre rigirarsi, preda della febbre. Quella volta, aveva davvero creduto che sarebbe morto.

Petrov era il responsabile delle pozioni, perciò in quel periodo si era spesso recato Infermieria per dare una mano al Guaritore. In tale occasione, l’aveva guardato con una strana pietà, e Gellert per questo l’aveva odiato. Poi si era avvicinato al suo letto.

“Grindelwald,” il tono dell’insegnante era stato triste.

Morirò, aveva pensato Gellert, morirò.

“Grindelwald, come si sente?”

Morirò.

“Grindelwald, le racconto una storia.”

A Gellert quella novella era suonata familiare, sebbene non ne avesse in principio rammentato il contenuto. La sua mente, sconvolta dai deliri della febbre, era stata invasa da una sfilacciata immagine della sua antica bambinaia, che gli poggiava una pezzuola umida sulla fronte e leggeva delle fiabe inglesi.

“C’erano una volta tre fratelli,” aveva cominciato Petrov. “Che viaggiavano lungo una strada tortuosa e solitaria al calar del sole...”

Morirò.

“... Così il fratello maggiore, che era un uomo bellicoso, chiese una bacchetta più potente di qualunque altra cosa al mondo: una bacchetta che facesse vincere al suo possessore ogni duello, una bacchetta degna di un mago che aveva battuto la Morte!”

Avanti. Vai avanti.

“... Il secondo fratello chiese il potere di richiamare altri dalla Morte. Così la Morte raccolse un sasso dalla riva del giume e lo diede al secondo fratello, dicendogli che quel sasso aveva il potere di riportare in vita i morti.”

E poi? Cosa succede poi?

“... Il fratello minore non si fidava della Morte, perciò chiese qualcosa che gli permettesse di andarsene senza essere seguito da lei. E la morte, con estrema riluttanza, gli consegnò il proprio Mantello dell’Invisibilità.”

Bacchetta. Pietra. Mantello.

“... e ognuno se ne andò per la sua strada.”

E se fossero rimasti assieme? Cosa sarebbe successo, se avessero riunito i doni della Morte?

 

 

****

 

La goccia che aveva fatto traboccare il vaso era stata una goccia calcolata.

Gellert aveva pensato davvero di aver raggiunto il limite quando aveva attaccato Hilde Shreiber, professoressa di Storia della Magia e unica donna nel gruppo degli insegnanti.

 

“Herr Grindelwald,” gli aveva detto. “Si sieda composto. Un po’ di rispetto, suvvia!”

“Perché dovrei rispettarla?” aveva risposto lui. “Lei non può intimarmi nulla.”

Nell’aula era sceso un silenzio sospeso, come se tutti fossero rimasti con il fiato in gola. Erano spaventati: Gellert lo sapeva bene.

“Ha sedici anni, Grindelwald. Crede di essere un dio, ma è solo un ragazzino.”

Aveva avuto coraggio, Hilde, a parlargli così.

“Alle otto nel mio ufficio.”

Castigo. Umiliante castigo.

Gellert le aveva scagliato contro un Confundus, alle otto nel suo ufficio. Poi le aveva modificato la memoria, l’aveva Schiantata e lasciata lì.

Non lo avevano punito, per questo.

Sono terrorizzati.

 

La goccia era stata a conti fatti una cosa un po’ sciocca, se rapportata al resto. Una cosa sciocca ma grandiosa, una cosa sciocca che nessuno studente di Durmstrang, da quel momento in poi, avrebbe mai potuto ignorare.

 

PER IL BENE SUPERIORE.

La scritta aveva capeggiato sulla parete del corridoio che portava al refettorio. Era immensa, scritta in caratteri rosso fiammante. Sopra di essa, un triangolo con inscritto un cerchio, bisecato da una sottile linea verticale... il tutto somigliava a una specie di occhio singolare, ma in realtà era il simbolo dei Doni della Morte. Gellert aveva gettato un incantesimo per scrivere sul muro, nel cuore della notte, e ne aveva gettato un altro per fare in modo che fosse impossibile cancellarla.

Impossibile per sempre.

Il direttore dell’Istituto si era avvicinato a Gellert, quella mattina, circondato da un manipolo di insegnanti.

Hanno paura di me.

“Herr Grindelwald,” gli si era rivolto. “Lei è espulso.”

“Herr Direktor,” aveva risposto Gellert. “Non attendevo altro.”

Neanche si era sprecato a fingersi dispiaciuto. Non avrebbe avuto senso, no, non sarebbe servito a nulla.

 

 

****

 

 

Godric’s Hollow, 16 maggio 1899

Caro nipote,

 

sarò lieta di ospitarti. In quella gelida scuola ti hanno maltrattato. Hanno puntato il dito, ti hanno messo addosso false accuse. Vuoi sapere perché l’hanno fatto? Perché sono invidiosi, invidiosi del tuo talento. Perché non sono alla tua altezza, e perciò non possono comprenderti.

Ripeto, sarò lieta di ospitarti. La mia unica preoccupazione è che tu possa annoiarti, qui a Godric’s Hollow. C’è davvero molto poco da fare. Nessuna biblioteca o simili, per intenderci, e neanche un emporio magico ben fornito, se si esclude la farmacia. Quella è molto buona, ma mi sembra che Pozioni non sia mai stata la tua materia preferita, o sbaglio?

C’è una persona che dovresti conoscere, però, un ragazzo che ha più o meno la tua età. Un anno di più, mi pare. Ti piacerebbe, è un ragazzo davvero intelligente e dotato.

Ora ti lascio, l’ultimo lavoro al quale mi sto dedicando mi sta impegnando moltissimo tempo. Si tratta di un libro di Storia della Magia. Ho l’impressione che sarà un successo.

Con amore,

zia Bathilda.

 

 


 

 

Note dell'Autrice

Come promesso, eccomi qui.

Anche questo capitolo svolge un ruolo "introduttivo", indispensabile per raggiungere ciò che seguirà.

Noto che lo scorso capitolo ha ricevuto uno scarso feedback, ma sono consapevole di essere solo agli inizi di questa long... anche se ricevere un parere fa sempre piacere! 

Grazie di aver letto! 

A martedì prossimo.

Joie,

Daphne

PS: Come mi ha gentilmente fatto notare Sbarauau, non ho specificato che in questa long-fic do un'interpretazione degli eventi per certi versi leggermente diversa da quella canonica, secondo la quale Gellert e Albus coniarono assieme il motto "Per il Bene Superiore". Questa (assieme alle diverse circostanze in cui Albus viene a conoscenza della morte di Kendra) dovrebbe essere l'unica discordanza. Grazie, Sbarauau! =)

   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Whatadaph