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“Adesso
devi spiegarmelo, Angela”.
Brennan
esordì sulla soglia della porta
d’improvviso, quasi spaventando l’amica impegnata
nel ritrattato di un uomo. Il
modo in cui adagiava la matita alla carta era così semplice
e naturale che
veniva da chiedersi come riuscisse a ritrarre così bene, con
poca tecnica.
Alzò
lo sguardo e incrociò gli occhi
dell’antropologa alquanto adirata. Che cosa era successo? Si
interrogava su
qualche possibile risposta: forse qualcuno aveva toccato i suoi resti
umani? Le
spaventose e raccapriccianti ossa che amava tanto?
No,
la risposta di Tempe fu non poco
sorprendente: Booth.
Posando
la matita, si alzò in piedi e
raggiunse l’altra ancora poggiata all’entrata.
Seguirono
sguardi d’intesa e qualche
parola rassicurante.
Ma
in realtà quello che Brennan voleva
spiegarsi non aveva risposta.
“Tu
vuoi davvero che ti dica perché sei
depressa quando Booth sta male?”.
Angela
sgranò gli occhi in un’espressione
alienata. Pensò che le cose potessero essere solo due: o
Bren era sotto effetto
di stupefacenti o davvero era diventata così fredda da non
riuscire a reagire
alle emozioni umane.
“Tesoro
non puoi chiedermi una cosa del
genere! E’ assurdo”.
Sembrava
che l’antropologa ancora non
capisse, così cercò di spiegarle meglio il
concetto.
“Quando
una persona che amiamo soffre, è
normale dispiacersi, giusto? E questo lo sai bene, non hai bisogno che
ti
faccia da maestrina dei sentimenti. Quello che non capisci è
ben altro: lo stai
chiedendo a me solo perché hai paura di chiederlo a te
stessa”.
Un
brivido raggiunse la schiena della
donna, che silenziosamente ascoltava tutto. Era vero, ma ancora non
riusciva ad
ammetterlo. Ovvio che no! I cadaveri non possono parlare, e starci in
contatto
tutti i giorni non migliora certo le tue relazioni sociali.
Lavoro,
lavoro, lavoro! Basta Temperance,
basta!
“Ascolta
Bren, voglio farti vedere una
cosa”.
Raggiunse
nuovamente la poltrona dove era
seduta, e prese l’album che stava usando per disegnare.
Scorrendo tra le pagine,
poté vedere tante facce di persone diverse, a volte
sorridenti, altre meno. Ma
quella che la colpì di più fu proprio la
più bella.
“Guarda:
è Booth”.
Rimase
così sorpresa e quasi infastidita:
perché diavolo aveva disegnando Booth?
“Vedi
quelle piccole goccioline sul suo
volto? Sono lacrime, tesoro. Tutto il suo coinvolgimento nella storia
del
soldato ritrovato ha scosso tanto anche me. E quando è un
uomo a stare male si
è ancora più presi! Guardalo, è lui
che vuoi cercare, non me”.
Un
fastidioso rumore provenne dalla
finestra: la pioggia tendeva a diventare sempre più
violenta. Le nuvole si
infittivano. E Booth era da solo a casa.
Brennan
ricordò che quando venne il
compleanno di sua madre scomparsa, l’uomo restò
tutta la notte con lei solo per
starle vicino.
“C’è
sempre
stato” quasi
sussurrò, allontanandosi per un attimo dalle parole di
Angela.
Chiuse
la cinta del giaccone e rivolse un
sorriso all’amica. Adesso sapeva come trascorrere il resto
della serata.