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Autore: ladymisteria    27/03/2012    3 recensioni
Tutto si può dire su Sherlock, tranne che sia una persona prevedibile. E John Watson e Mycroft stanno per scoprire fino a che punto.
Versione riveduta e corretta
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Mycroft Holmes, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'After Sherlock's Fall'
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«Mi chiedo per quanto ancora la signora Hudson mi terrà il broncio» disse il detective sinceramente perplesso, senza distogliere gli occhi chiari dal cellulare con cui armeggiava da ormai venti minuti.

«Conoscendo la sua proverbiale pazienza e l'innato affetto che prova nei tuoi confronti... Direi una settimana al massimo».

Sherlock posò con malagrazia il cellulare sul tavolino.

«Perché? Insomma, non capisco che mai potrei aver fatto per meritare un simile comportamento nei miei confronti».

«Certo, in fondo che mai avrai fatto di male? Ti sei semplicemente buttato da un tetto, fingendoti morto per i successivi tre anni, senza curarti minimamente di avvisare le persone che ti vogliono bene del tuo piano. Sul serio, niente di male» ribatté John ironico.

Sherlock alzò gli occhi al cielo.

«Era una domanda retorica, John. Ma grazie infinite per la tua... brillante risposta» disse il detective sullo stesso tono.

Gettò un'occhiata indagatrice all'amico.

«Esci?» 

«E' evidente anche alle persone dotate di un quoziente intellettivo normale. Deve essere stata una fatica enorme, per te, dedurlo».

Sherlock congiunse le dita, studiandolo.

John sospirò rassegnato.

«Avanti, fallo. Sputa il rospo. So che muori dalla voglia di farlo. Non ti fermo».

Il detective scosse le spalle, fingendosi sorpreso.

«Non so di che parli».

«Oh, avanti! Sono tre settimane che sei tornato a Londra e sono tre settimane che non perdi occasione per metterti in mostra. Con ogni piccola cosa, anche la più assurda o banale»

«Fai sembrare la cosa peggiore di quanto non sia in realtà».

«No, Sherlock. La realtà supera enormemente quanto sto dicendo. E non in meglio».

Sherlock rise divertito.

«Dimostralo» lo punzecchiò.

John Watson sospirò rassegnato.

«Ascolta, so che per tre anni non hai potuto dilettarti nel tuo passatempo preferito, ma...»

«Passatempo preferito, John?»

«Sì. Tormentare le persone e sfidarle a sostenere una conversazione con te senza romperti il setto nasale».

Il detective sorrise sornione.

«Stai cercando di evitare il confronto?»

«No. Cerco di non fare il tuo gioco. Vuoi le prove che quanto dico è vero? Benissimo!».

Indicò un hamburger ancora intero, abbandonato nel cestino dell'immondizia.

«Stamane ti sei rifiutato di mangiare perché, dopo venticinque minuti di deduzioni logiche, sei arrivato alla conclusione che probabilmente quel povero bovino con cui il tuo hamburger è stato fatto doveva aver ingerito i dannosissimi pesticidi sparsi sull'erba dall'allevatore».

Sherlock riprese il cellulare, senza rispondere.

Per qualche istante John credette di aver vinto.

«Era foraggio».

«Come?»

«Stamane. Io ho parlato di foraggio, non di erba».

Il medico aprì la bocca per ribattere, ma ci rinunciò.

Era una causa persa in partenza.

Si avviò verso la porta.

«Io esco. Vado da tuo fratello»

«Lo so».

«Per l'amor di Dio, Sherlock! So che lo sai!» esclamò esasperato John.

«Hai bisogno di un caso. Ne va dei miei nervi»

«Non chiedo altro».

Sherlock mise il cellulare in tasca.

«Ho inviato un SMS a Mycroft. Dovrebbe risparmiarti un po’ della noiosissima burocrazia del Diogene's Club»

«Credevo che tuo fratello non amasse l'utilizzo degli SMS».

«E' così infatti. Che gusto ci sarebbe altrimenti nel continuare a inviarglieli?».

 

*

 

«John. Mio fratello mi aveva avvertito che saresti venuto. Ovviamente usando i suoi diabolici SMS. Maledico ancora il giorno in cui mise le mani sul suo primo cellulare. Da allora trova che sia indispensabile, per il corretto andamento dell'universo, servirsi dei messaggi per comunicare. Ma certamente non sei venuto qui per sentire le mie opinioni sul comportamento infantile di mio fratello».

John prese posto davanti a Mycroft Holmes.

«No, infatti. Ero venuto a porgerle le mie scuse per... Sì, insomma… Negli ultimi tempi, quando credevo che Sherlock fosse morto...».

Mycroft mosse una mano in un gesto cordiale.

«Via, via. Avevi tutte le ragioni. Il mio comportamento in quella circostanza fu deplorevole. Fortunatamente mi è stato concesso di rimediare ai miei sbagli. Comunque ti ringrazio per questo gesto. Per non parlare poi della tua invidiabile pazienza nel sopportarlo quotidianamente».

John Watson sorrise.

«Devo solo "riprenderci la mano". Ma devo ammettere che queste tre settimane sono state... lunghe. Molto lunghe, se vogliamo metterla su questo piano».

«Si sta divertendo con i giochetti che lui definisce casi?»

«Affatto. Temo sia questo a renderlo così insopportabile. Questo, unito al suo continuo giocherellare con il cellulare...».

Mycroft Holmes si fece attento.

«Scrive molto?»

«Continuamente. Mi chiedo come lei faccia a sopportarlo».

Mycroft si mise più comodo.

«Non scrive a me».

John lo fissò confuso.

«Ma allora a chi mai...».

L'altro scosse il capo, pensieroso.

«Non ne ho idea. Avviene spesso quando si tratta di mio fratello Sherlock. Pare che nessuno riesca mai a capire quello che realmente pensa».

John si alzò.

«Beh, io vado. Ho degli appuntamenti che non posso rimandare ulteriormente. Arrivederci, Mycroft».

Gli strinse la mano e si apprestò ad uscire.

«John»

«Sì?»

«Cerca di scoprire di più sull'identità della persona a cui Sherlock si diverte tanto a scrivere. Potrebbe non essere nulla di importante, ma non si può mai sapere, con lui».

 

 

 

Ed eccomi qui. Stavolta con l'intento di cimentarmi in una long - fic, sperando di ottenere il medesimo successo delle precedenti, in questo fandom =)

 

   
 
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