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Autore: Ray Wings    27/03/2012    1 recensioni
Sophie era una ragazza come molte ma con una particolarità: era appassionata dei libri di Tolkien... in particolare "il signore degli anelli". Oltretutto si era talmente immedesimata nel libro che aveva cominciato a provare un certo interesse sentimentale verso uno dei personaggi. Un giorno il caso (o forse no? ;) ) la trascinò sulla terra tanto amata e sognata. Sophie in un primo momento si sentì dispersa e impaurita ma poi comprese di avere un compito e di non essere stata mandata lì per caso. Inizia così un’avventura difficoltosa che le porterà tanti pericoli, ma la sua determinazione e il suo amore saranno tali da aiutarla a trovare sempre la forza di alzare la testa e andare avanti fino alla fine. (N.B. Questa ff è una "riscrittura". Ovvero avevo già scritto questa storia in precedenza ma dato che ero alle prime armi non ne era uscita una cosa molto carina dal punto di vista linguistico. Ora, con la maturazione di oggi, spero di averla resa più interessante)
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Boromir, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Purtroppo l’arcobaleno non dura per sempre e ben presto finì quel meraviglioso giorno di svago e tranquillità. Il giorno della marcia sui cancelli di Mordor arrivò fin troppo in fretta, ma sapevo che presto avrei potuto dare una fine a questa lunga storia. Presto avrei potuto abbandonare tutta quell’ombra e tornare a brillare alla luce del sole. Se in questa terra o in un’altra questo ancora non lo sapevo. Partivo per assicurare la vita ai miei compagni, ma sapevo che non sarei stata in grado di fare altrettanto con la mia. Probabilmente non sarei sopravvissuta. Ma questo non mi abbatteva, sarei morta con il sorriso sul volto e la pace nel cuore.
Il viaggio durò molto più del previsto, con qualche difficoltà, ma non mi dilungherò molto su questo. Era solo una via di passaggio, la mia mente probabilmente scollegata non realizzava cosa mi stesse passando accanto. Mi stavo dirigendo passivamente verso il nostro punto di arrivo.
I cancelli di Mordor.
Non avevo mai visto niente di più terrificante, nemmeno le parole di Tolkien o le immagini di Jackson erano riuscite a rendere appieno l’immensa tenebra che li avvolgeva. Un muro così alto e imponente da far tremare l’anima, intimorita, sentendosi arrivata alla fine di tutto. L’anima guardava l’imponenza di quella struttura come i vecchi antichi guardavano le colonne d’Ercole, ai tempi in cui il mondo aveva una fine. E per Arda era quella la fine. Oltre quelle mura non vi era altro se non l’inferno governato da un oscuro Lucignolo. Quella non era solo la fine di un viaggio, era la fine del mondo.
Rimanemmo fermi in posizione davanti a quel dito inquisitore, poi Aragorn, decisosi a fare un passo per rompere quel ghiaccio che si stava formando tra noi, chiamò con sé dei rappresentanti delle varie razze. Voleva prima scambiare due parole con coloro che abitavano le fiamme. Improvvisamente una piccola lucciola si accese nella mia buia memoria, ricordandomi di cosa avrebbe trattato il loro colloquio. Sapevo che Aragorn non si sarebbe fatto convincere, ma temevo sempre che le modifiche portate alla storia avessero preso sotto la propria ala molti più aspetti di quelli che invece immaginavo.
Il così detto effetto farfalla.
Mi avvicinai velocemente a lui, lasciando la mia posizione vicino a Boromir. Aragorn mi lasciò fare e mi aspettò, probabilmente sapeva che ciò che avevo da dirgli lo avrebbe aiutato. Lui credeva ancora nel mio potere.
Mi accostai al suo cavallo sperando che a sentire fosse solo lui. Lo sguardo di Aragorn era severo e pieno di preoccupazione, lui più di tutti aveva paura. Tutti i soldati erano lì nelle vesti di loro stessi, combattevano per le proprie famiglie, nient’altro c’era nelle loro menti cupe. Aragorn invece combatteva per il suo popolo, per la sua dinastia, per la sua terra, per i suoi amici. Aveva una grossa responsabilità sulle spalle che lo schiacciava come un macigno. Ma lui era forte e non si lasciava atterrare, non ancora.
<< Aragorn. >> cominciai una volta arrivata vicino a lui << Ricorda che la menzogna è acqua dissetante per la bocca degli scellerati. >> Aragorn non colse subito il significato delle mie parole, ma sapevo che le avrebbe tenute ben a mente e ne avrebbe fatto tesoro. Annuì quasi impercettibilmente e facendo una manovra con il suo cavallo corse verso i cancelli insieme ai suoi rappresentanti, mentre io tornavo nella mia posizione, accanto all’uomo che più di tutti poteva donarmi sicurezza. Nella mia mente però sentivo che il pericolo non era ancora scampato, temevo che l’effetto farfalla fosse arrivato più lontano del previsto, portando Frodo e Sam nelle braccia di Sauron.
 “Devo avere fiducia” pensai mentre allungavo la mia mano per afferrare quella dell’uomo accanto a me. Avevo bisogno di sentire il suo calore, avevo bisogno di riscaldare quel pezzo di ghiaccio che stava ferendo la mia anima in più punti.
Boromir mi rivolse uno sguardo, sapevo bene quale domanda si stava ponendo e io, fiera di riuscire a ricordare quel particolare e felice di poterne finalmente parlare con qualcuno, lo accontentai.
<< L’orco in rappresentanza di Mordor mostrerà ad Aragorn alcuni effetti di Frodo. Lo avevano catturato, ma lui è riuscito a scappare grazie all’aiuto di Sam, per questo hanno quegli oggetti. Ma l’orco non dirà niente di tutto ciò. Mostrerà loro le cose di Frodo e dirà che l’hanno in pugno: lo lasceranno solo in cambio della Terra di Mezzo. >> Boromir volse il suo sguardo preoccupato verso il colloquio che si stava svolgendo più avanti << Aragorn non accetterà, tranquillo. Non l’avrebbe mai fatto, ma penso che dopo le mie parole a maggior ragione rifiuterà l’accordo. >>
<< Frodo sta bene? >> mi chiese lui preoccupato.  Io volsi i miei occhi alla montagna di fuoco che incessantemente riversava i suoi sospiri nebulosi fuori dalla propria  bocca. << Sì, è quasi giunto a destinazione. Noi dobbiamo tenere impegnato il più possibile l’occhio di Sauron su di noi. >>  Boromir sospirò e annuì. Poco dopo Aragorn fece ritorno, proprio mentre i cancelli si spalancavano e riversavano sulla vallata un’orde di orchi, come fiume che si spande una volta crollata la diga che lo teneva prigioniero. Il nostro misero gruppo di soldati fu ben presto circondato, i Nazgul si posizionarono sopra le mura, pronti a intervenire, l’occhio di Sauron correva su di noi come il faro di una prigione che guarda i propri prigionieri nel cortile. Mi sentii improvvisamente piccola e stretta in una scatola da cui non potevo uscire, pronta a morire soffocata. E penso che questa più o meno fu la sensazione che provammo tutti. I soldati intorno a me arretrarono spaventati, guardandosi attorno colmi di terrore, con le ginocchia che tremavano.
Aragorn colse questo terrore nei loro occhi e intervenne facendo un discorso che mai mi ero dimenticata, nonostante l’annebbiamento di quei giorni, e che sempre era stato per me fonte di profonda emozione.
<< Restate fermi! Restate fermi! Figli di Gondor, di Rohan, fratelli miei, vedo nei vostri occhi la stessa paura che potrebbe afferrare il mio cuore. Ci sarà un giorno in cui il coraggio degli Uomini cederà, in cui abbandoneremo gli amici e spezzeremo ogni legame di fratellanza. Ma non é questo il giorno! Ci sarà l'ora dei lupi e degli scudi frantumati quando l'Era degli Uomini arriverà al crollo. Ma non é questo il giorno! Quest'oggi combattiamo! Per tutto ciò che ritenete caro su questa bella terra vi invito a resistere, Uomini dell'Ovest! >> E così come riempì il mio cuore anche quello di tutte le ombre terrorizzate intorno a me cominciò a brillare improvvisamente. L’oscurità non ci avrebbe annullati, lo sapevamo. Eravamo pronti.
Per Frodo!

La battaglia cominciò spalancando le sue porte alla morte che volava intorno a noi, pronta a cogliere le anime che gli spettavano di diritto man mano che valorosi cavalieri o viscide creature cadevano nella polvere. Ma non ebbi modo di guardarmi troppo attorno per cogliere il suo volo, non c’era tempo. Dovevo impiegare tutte le mie forze, come avevo fatto il giorno della morte di Boromir, per assicurarmi la vittoria. La vittoria di chi? Non quella della Terra di Mezzo, quella sarebbe arrivata anche senza di me, ne ero certa. La mia vittoria e quella dei miei compagni. Sfoderai la spada e mi guardai attorno un po’ confusa, non avevo idea di dove andare a mettere mani. Non avevo mai preso parte a una vera e propria battaglia, l’unica volta che mi ero ritrovata a combattere era stato nelle miniere di Moria, quando gli orchi cercavano in tutti i modi di prendersi gioco di me. In quell’occasione ero stata più volte salvata dall’uomo a cui puntavo maggiormente, in quell’occasione era nata l’affinità che ci aveva portato a percorrere gli stessi passi, fino a incontrarci. Due linee parallele che l’orizzonte unisce, ma che mai si toccheranno veramente. E così eravamo stati io e lui: un effetto ottico. L'occhio ci mostrava unione nel nostro futuro, ma una volta giunti lontano l'inevitabilità della nostra costante lontananza era stata più che palese. Benché ci eravamo uniti molto durante quel periodo subito dopo le nostre strade erano state divise, fisicamente e non. Era nato il disprezzo nei miei confronti da parte sua e il dolore da parte mia.
Due linee parallele.
Due linee parallele che, guidate dall'irrazionalità dell'amore, ingannando le leggi di qualsiasi disciplina scientifica, erano riuscite a ritrovarsi nel lontano infinito.
Mi ritrovai a pensare a cosa mi avesse portato lì, se l’amore o l’orgoglio. Forse tutti e due. Ma sapevo che quello non era il momento giusto per abbandonarsi a lunghi flashback.
Un orco mi venne incontro a gran velocità, sguainata la sua spada, pronto a misurare la sua resistenza con la mia. Mi avevano sempre fatto alquanto schifo quelle bestiacce e il ricordo della mano attaccata alla mia daga, sempre nelle miniere di Moria, torturava ancora i miei sogni. Non avevo mai preso parte a niente di più disgustoso, e la cosa di certo non era migliorata. Forse ero maturata un po’, forse, e dico FORSE,  non mi abbandonavo più a stupidi giochetti infantili e mi facevo trascinare lungo il sentiero della vita da altri tipi di pensieri, ma ciò non toglieva che il mio odio e il mio disgusto verso quelle immonde creature non era per niente cambiato.
Un brivido mi percorse tutta la schiena quando fu abbastanza vicino e lo vidi sollevare la sua spada (era una spada, quella?!) pronto a tagliarmi il cranio in due.
<< Non ti azzardare! >> gridai disgustata con la spada dritta davanti a me, pronta a contrastarlo. Ma ce l’avrei fatta? Sicuramente la sua forza era decisamente maggiore della mia, sarei riuscita a non farmi schiacciare dalla sua potenza? Ma soprattutto sarei riuscita a guardarlo da così vicino senza vomitare?
No.
<< Stammi lontano, hai capito? >> gridai disgustata cominciando a correre dalla parte opposta, ma lo spazio non era molto largo come nelle miniere di Moria, lì muoversi risultava difficile: eravamo decisamente troppi. Mi ritrovai la strada bloccata da un paio di Orchi che erano appena saltati addosso a un poveraccio. Mi voltai verso il mio inseguitore giusto in tempo per vederlo calare la spada verso di me e d’istinto alzai la mia riuscendo a bloccare la sua discesa. Più o meno.
Come avevo immaginato la sua forza era nettamente maggiore alla mia, non riuscii a contrastarlo a pieno, ma l’istinto di sopravvivenza fece sì che il mio braccio non cedesse. Ma a farlo furono le ginocchia. Caddi per terra sbattendo violentemente le ginocchia al suolo che, secco com’era, non mi assicurò per niente un piacevole morbido atterraggio.   Mugolai di dolore ma rimasi ferma nella mia posizione. Incredibile cosa possa fare un uomo quando si trova di fronte alla morte: sfodera una forza e un’energia mai vista prima. L’orco alzò nuovamente la sua spada per potermi colpire in pieno e ancora l’istinto di sopravvivenza guidò le mie braccia. Non avrei resistito a un altro attacco del genere, dovevo agire prima che lo facesse lui. Perciò feci roteare la spada di fronte a me e con un colpo secco lo presi all’altezza delle ginocchia. La forza da me usata però non era sufficiente per tagliargliele e assicurarmi la sopravvivenza, riuscii solo a fargli un taglio profondo si e no 3 cm nella prima gamba incontrata. E ciò non bastò certo a fermarlo. Ma incredibilmente non scese ancora. Lo vidi contorcersi e improvvisamente accasciarsi a terra. Dietro di lui vidi materializzarsi la figura di Boromir, sudaticcia, sporca di polvere e sangue e già affaticata. Ciò nonostante non riuscì a non rivolgermi un sorriso compassionevole.
<< Mi ricorda qualcosa questo. >>
Moria. Anche a lui era venuto in mente quel giorno in cui mi seguiva come un cagnolino per farmi da guardia del corpo e proteggermi dagli orchi che mi inseguivano e tentavano di uccidermi.
<< Dici? >> dissi quasi irritata e alzandomi in piedi posai un piede disgustata sul corpo senza vita dell’orco di fronte a me e tentai di strappare dalla sua gamba la mia spada. Feci molta fatica ma riuscii a riaverla indietro, insieme a schizzi di sangue di orco.
<< Che schifo!! >> brontolai facendo un’espressione colma di disgusto. Sentii qualcosa gemere alle mie spalle e vidi un altro orco accasciarsi a terra sempre per mano di Boromir, che subito si voltò verso un altro di loro per intraprendere un’altra lotta.
<< Sophie, non ti distrarre! >> mi brontolò. << Non posso sempre guardarti le spalle! >>
Capii la gravità della situazione, non ci trovavamo a Moria. Quel posto era decisamente peggio: non avevo neanche il tempo di fare un sospiro per riprendere fiato, i nemici arrivavano da tutte le parti, dovevo sempre essere pronta a proteggermi.
Altri due orchi si fecero avanti verso di me, seguiti da un terzo proveniente da un’altra direzione.
<< Sono cambiata!! >> urlai più per convincere me stessa che gli altri e risvegliando la forza che avevo in me gli andai incontro. Sapevo che l’unico modo che avevo per assicurarmi la vittoria era puntare alla testa. La loro carne era dura, le ossa di ferro, non era facile scalfirle, soprattutto con la poca forza che avevo io. Il collo invece sarebbe stato un po’ più accessibile per i miei standard, o altrimenti puntando di punta dritto al cuore. Una cosa era certa: dovevo trovare il modo di stenderli al primo colpo, se gli avessi dato modo di difendersi non sarei riuscita a contrastarli. Dovevo fare io il primo e decisivo passo! E così feci. Usando tutta la forza che avevo nelle braccia tagliai l’aria in orizzontale e riuscii a staccare la testa a uno, girai su me stessa, per darmi ancora più spinta, e mi voltai verso il compagno che mi stava raggiungendo da destra e colpii anche lui alla base della testa. Non riuscii però a tagliargliela tutta completamente, la lama rimase a metà, garantendogli la morte ma rimanendo ancora una volta incastrata lì. Sapevo che non avevo tempo di pensarci, un altro di loro mi stava raggiungendo dalla stessa direzione. Lasciai cadere il corpo morto del primo a terra, mi sarei aiutata con i piedi ad estrarre la lama, nel frattempo estrassi una delle mie daghe, decisamente più leggera della spada in sé, e sporgendomi in avanti al momento giusto la conficcai nel cuore dell’orco. Fu più semplice estrarre la daga, forse perché le sue dimensioni erano decisamente più ridotte della spada. Nel frattempo posai un piede sul petto all’orco morto ai miei piedi e usando tutta la forza che avevo estrassi la spada dal suo collo, sbilanciandomi indietro e andando a sbattere contro uno dei soldati che accidentalmente stava combattendo proprio dietro di me. L’averlo urtato lo fece scivolare in avanti quel tanto che bastava per far sì che la spada di un orco si conficcasse nel suo petto uccidendolo. La lama, passata da parte a parte, aveva inoltre trovato il mio corpo affondandosi anche in questo, in un fianco, appena sotto le costole. Il dolore quasi non lo sentii. La spada fu estratta dai due corpi con violenza, ma ancora non percepivo niente se non confusione. Caddi carponi per terra.
Avevo ucciso un uomo.
<< Oh mio Dio! >> mormorai gattoni com’ero, alzando lo sguardo intorno a me. Non riuscivo più a capire dov’ero, cosa stavo facendo. Ero inerme. Un altro corpo, dalla provenienza ignota, cadde al mio fianco e ancora una volta spaventata mi slanciai lontano da lui, cadendo su un fianco sulla fredda roccia sotto di me. Cercai di alzarmi ma non ne ero in grado, il suolo si stava riempiendo di corpi di orchi, di uomini e di altri il cui volto sfigurato mi impediva di riconoscere. Sangue scorreva come fiumi sotto le mie mani, poggiate a terra. La polvere si mischiava alla cenere, arti recisi sparsi come piante. Mi sentii sperduta. Mi sforzai di alzarmi in piedi, ma le gambe non riuscivano a reggere il peso del mio corpo, feci un passo indietro barcollante e trovai un ostacolo, forse uno dei tanti corpi, e caddi nuovamente per terra sbattendo violentemente la schiena al suolo. Il respiro mi mancò. Sentivo dolore ovunque ma non riuscivo a capire se ero ferita o meno. Ero come estraniata dal mio corpo. Mi voltai e posando le mani al suolo tentai nuovamente di alzarmi in piedi, mi girava la testa e braccia e gambe tremavano come mai prima d’ora. L’odore della morte era così acre da penetrarmi nelle narici come tanti piccoli aghi, ferendomi. Una lacrima cadde dal mio viso, quando avevo cominciato a piangere?  Tentai nuovamente di alzarmi in piedi, dovevo riprendermi o sarei morta. Ma il destino volle colpirmi ancora: un cavallo mi saltò, passando sopra di me, riuscendo a evitarmi ma un suo zoccolo inevitabilmente si scontrò contro un mio fianco. Sentii le costole dentro di me cigolare rumorosamente e caddi nuovamente supina, rotolando su me stessa un paio di volte. Ero completamente ricoperta di sangue e polvere. Sentii un urlo agghiacciante arrivarmi alle orecchie: ero stata io a urlare? Probabile, ne sentivo il bisogno, ma il fiato mi mancava. La vista appannata non mi mostrava il mondo circostante, sentivo bruciore ovunque. Pochi secondi dopo un’ombra oscurò per un attimo il cielo, e scomparve. Una voce lontana sentenziò << I Nazgul! >> allora forse l’urlo agghiacciante proveniva da loro. Non avrei saputo dirlo. Ma improvvisamente sentì come una completa alienazione, non percepivo niente intorno a me se non echi lontani e una leggera foschia davanti ai miei occhi. Una voce cupa e profonda arrivò alle mie orecchie forte e chiara, come proveniente da chissà quale abisso, destinata a farsi udire solo da me.
<< L’orgoglio ti ha portato sull’orlo del precipizio. Avresti dovuto obbedire. >> Non avevo la più pallida idea di cosa stesse dicendo, a cosa si riferiva? Cosa voleva da me? Gli occhi girarono vorticosamente intorno a me rendendo tutto ancora più confuso. Sentivo i polmoni bruciare e il cuore esplodere dentro me, come stretto da una morsa implacabile. Una sola cosa si mostrò chiara a  me: un occhio di fuoco mi guardava. Leggevo nel suo sguardo la soddisfazione. Poi un’altra luce accecò i miei occhi. Un’immagine mi giunse alla mente veloce come una freccia lanciata da un arco elfico. Comparve per pochi istanti e poi scomparve nel buio.
Nel buio avevo distinto il corpo esile di Pipino che crollava a terra colpito in testa dalla pesate mazza di un troll. E stranamente la mia mente fu abbastanza lucida da realizzare che ciò che avevo visto era uno dei tanti ricordi che temevo di avere perso. L’ansia provata fino a quel giorno ebbe finalmente un significato: dentro me sapevo che Pipino sarebbe morto. Avevo preso una scelta saggia, partire per salvarlo era stata una grande idea, peccato che in quel momento fossi morente al suolo. Come l’avrei aiutato?
<< Pipino! >> urlai disperata. Era diventato uno dei miei migliori amici all’interno della compagnia, lui e Merry erano stati miei compagni di viaggio più di chiunque altro, a loro avevo rivelato per primi il mio amore per Boromir, loro avevano letto dentro di me più volte di chiunque altro. Non potevo abbandonarlo! Ancora una volta mi stupii della forza che stavo dimostrando di avere. Quando ripresi praticamente coscienza mi ritrovai in piedi, in mezzo a una battaglia che non vedevo più. La mia strada pareva spianata verso il mio amico che ancora non sapeva della sua fine. In mano stringevo una spada, probabilmente non la mia, chissà da dove l’avevo presa. Barcollando mi feci strada velocemente in mezzo a quei tumulti, schivando lance e spade, pregando che una qualche freccia non mi colpisse. Non vedevo niente intorno a me se non il mio obbiettivo, che ancora non si mostrava a pieno. Non avevo idea di dove fosse Pipino, dovevo trovarlo il più velocemente possibile. Provai a correre ma l’unica cosa che riuscivo a fare era camminare un po’ più velocemente zoppicando. Avevo dolore alle costole, avevo il fiato corto, avevo dolore alle gambe e alla testa. Ma concentrandomi a pieno sul mio obbiettivo riuscivo a trovare la forza necessaria per non crollare a terra. Mi guardai attorno correndo da una zona all’altra del campo di battaglia: dove diavolo si era cacciato?! Cominciai a innervosirmi. Per un attimo pensai di aver sbagliato battaglia: non trovavo nessuno dei miei amici. Ero sola in mezzo a una folla dai volti anonimi. Ad un tratto il ginocchio crollò e caddi, ritrovandomi di nuovo a gattoni. Tossii. Uscì sangue dalla mia bocca. Il fuoco bruciava dentro me. Alzai la testa. Vidi un orco davanti a me con la sua spada alta, pronto a lasciarla cadere su di me. Lanciò un urlo raccoglitore. Abbassò la sua spada. Ma non arrivò all’obbiettivo. Un troll era appena caduto, ferito, appena vicino a noi, schiacciando l’orco appena in tempo. Guardai la testa gigantesca del mostro proprio davanti a me. I suoi occhi rotearono appena e incrociarono i miei. Un brivido di terrore mi colse. Mi aveva visto! Lui con solo un dito poteva schiacciarmi, ero un moscerino ai suoi occhi. Lo vidi piegarsi di lato con la mano tesa, pronto a colpirmi. Ancora una volta chiamai in soccorso la mia forza della disperazione e riuscii a darmi una spinta tale da riuscire ad alzarmi e allontanarmi in tempo. Il troll non tornò più su di me, una folla di uomini gli era saltata addosso per riuscire ad ucciderlo colpendolo nei punti più deboli. Io barcollai ancora, la caviglia mi faceva malissimo, non riuscivo a tenermi in piedi, le forze mi stavano abbandonando. Caddi ancora e tentai di alzare le braccia in cerca di un appiglio che mi tenesse in piedi. Inutilmente.
Quella situazione mi fece tornare alla mente un elemento ricorrente dei miei incubi. Ricordo che mi capitava spesso di sognare di non riuscire a stare in piedi, come stavo facendo in quel momento. Sognavo spesso di non sentire la terra sotto i piedi, di non sentirmi stabile e di continuare a cadere in continuazione, come se le mie gambe fossero fatte di gelatina. Era uno dei peggiori incubi che facevo, odiavo quella situazione di precarietà, odiavo non riuscire a trovare un equilibrio e trovarmi costretta a stare stesa a terra. Inoltre anche la terra non mi dava la stabilità che cercavo, anche quando mi ritrovavo stesa al suolo non mi sentivo ferma: tutto tremava, la testa girava, avevo sempre l’impressione di cadere nonostante fossi bloccata lì. E questo era la migliori delle parti: alcune volte mi capitava di sognare che dovevo scappare da qualcosa, sognavo che un pericolo mi inseguiva e io non riuscivo a fuggire perché non riuscivo a stare in piedi. Erano gli incubi peggiori quelli.
E quella situazione li rappresentava appieno. Non riuscivo a tenermi in piedi, dovevo correre verso una meta ma non riuscivo ad arrivarci. Una profonda angoscia si impadronì di me, cercavo un punto fisso su cui concentrarmi per trovare la stabilità e l’equilibrio necessario per tirarmi in piedi e far smettere al mondo di girare. Ma era tutto inutile, non riuscivo a trovare niente di fermo: tutto si muoveva, tutto si agitava, tutto cadeva e si rialzava. Tutto tranne me.
<< Forza, Sophie! >> tentai di dire per farmi coraggio, dov’era la forza della disperazione che fino a quel momento mi aveva salvato? Perché aveva smesso di aiutarmi? Tentai di alzarmi, ma come succedeva nei miei incubi, perdevo l’equilibrio e cadevo di lato, aggiungendo al dolore altro dolore. Sentivo che non sarei uscita viva da quella situazione, aveva ragione Boromir, aveva ragione Aragorn, avevano ragione i piccoletti che avevano tentato di fermarmi. Non ero in grado di sostenere una lotta del genere, ero troppo debole. Ma in quel momento sentivo che non m’importava niente di come ne sarei uscita io: avevo avuto un’illuminazione, un ricordo improvviso mi era tornato alla mente, potevo ancora fare qualcosa per renderli tutti felici. Non dovevo mollare. Mi voltai verso il terreno scuro su cui ero stesa, l’odore acre del sangue e del sudore mi bruciava le narici, la polvere negli occhi li stava quasi facendo sanguinare, la bocca arida implorava per un po’ d’acqua o si sarebbe spaccata completamente, mentre dentro me bruciava un fuoco ardente che mi logorava e mi uccideva pian piano. Posai le mani al suolo.
<< Forza!! >> Urlai ancora, o forse credetti di farlo, la mia voce non riusciva ad arrivare alle mie orecchie. Mi diedi un’altra spinta e miracolosamente riuscii a mettermi in piedi. Avevo sempre in mano la spada di prima, non l’avevo mollata un attimo, non me n’ero nemmeno resa conto. Mi guardai di nuovo attorno cercando di non voltare la testa troppo velocemente o avrei perso di nuovo l’equilibrio. Un altro urlo agghiacciante raggiunse le mie orecchie, ma questa volta più forte di prima. Una folata di vento mi suggerì che il Nazgul che aveva appena lanciato il suo grido mi era appena volato sopra la testa. Il suono era stato così forte che mi avevano fatto male: avevo chiuso gli occhi e mi ero portata le mani alle orecchie urlando di dolore. Quando l’ombra fu passata oltre e il fischio alle orecchie diminuì un po’ (senza però annullarsi completamente) ritornai a guardarmi attorno.
<< Pipino! >> tentai di urlare, chissà chi aveva colto il suono della mia voce in mezzo a quel chiasso di spade incrociate, scudi infranti e urla di dolore e terrore. Ripresi a camminare zoppicando cercando disperatamente il mio amico. Il mio fiato pesante rimbombava dentro me sovrastando il rumore di tutto quello che mi stava succedendo attorno.
Un orco mi crollò davanti e l’uomo che l’aveva ucciso subito si voltò dall’altra parte pronto a contrastare l’attacco di un altro orco. Dentro me continuavo a ringraziare che i nemici mi avessero dimenticato lì e non si facessero avanti contro di me. Non sarei certo riuscita a sostenere una battaglia in quelle condizioni.
Delle solide mani mi afferrarono per il collo della maglia e mi trascinarono giù, al suolo, insieme a lui. Non capii subito di che si trattava, temetti di essere stata afferrata da un orco. Ma appena i miei occhi furono puntati sull’entità che mi aveva trascinato giù con lui vidi solo un paio di occhi uguali ai miei, immersi nel terrore. Le lacrime ammorbidivano il rosso del sangue, le pupille dilatate dimostravano solo un incontro con la mano scheletrica della morte. Le sue labbra secche mormorarono qualcosa che non raggiunse le mie orecchie, ma che potei intuire dal labiale essere un << Aiutami. >>
Non riuscii più a trovare la forza di alzarmi, mi sentii abbandonare completamente anche dall’ultimo briciolo di energia che mi trascinava sul campo di battaglia. Ripresi a tremare ma non più di dolore e fatica, ma di paura. Le pupille dell’uomo sotto di me divennero improvvisamente velate e si persero nel vuoto. Io rimasi immobile lì, colma di terrore, tremando, probabilmente piangendo anche se non udivo né percepivo le mie lacrime sul mio viso. La gola bruciava più del solito.
E in un attimo compresi la follia della guerra.
Perché mi ero voluta mischiare in quelle faccende? Perché avevo fatto una cosa tanto sconsiderata quanto folle? Quegli uomini avrebbero voluto tanto avere un posto come il mio, una casa nella pace più completa della monotonia, lontana dalla paura della fine. E io invece mi ero voluta tuffare a capofitto in quel misero e squallido universo, convinta di trovare fiori sopra le tombe degli eroi. Ma non ci sarebbero stati fiori né tombe. Solo cenere e polvere. Non vi erano eroi. Solo vittime. Mi lasciai cadere su un fianco ormai esausta, priva di energia, terrorizzata a morte, in attesa che il buio che aveva colto l’uomo al mio fianco giungesse anche a me.
Il cielo sopra la mia testa, ricoperto di nubi nere, incombeva su tutti noi come una mano avida di sorrisi, pronta a strapparli da chiunque. Eppure sembrava la cosa più dolce che avessi mai visto.
La testa mi cadde di lato, troppo stanca per continuare a guardare il cielo e fu lì che i miei occhi intravidero nella nebbia una sagoma che ben conoscevo. Pipino che piangeva sul corpo di un uomo, Beregond ricordo si chiamava. Sì, il libro diceva proprio Beregond. Era un suo nuovo amico e già l’aveva perso, e presto avrebbe perso altro quale la sua vita. Un troll comparve alle sue spalle e si preparò a sfoderare con la clava puntata che aveva in mano un colpo sull’hobbit ai suoi piedi.
<< Pipino! >> riuscii a dire in un lieve sussurro disperato. Il mondo intorno a me si mosse velocemente, barcollante e tremante davanti ai miei occhi, come scosso da un terremoto. Ma si muoveva in avanti! E in pochi istanti mi ritrovai vicino a Pipino. Un paio di mani che tanto somigliavano alle mie lo spinsero via. Vidi Pipino cadere poco lontano da me e una clava venire dalla mia parte a gran velocità, tagliando l’aria con un rumore sordo e improvvisamente….il buio.

   
 
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