Purtroppo
l’arcobaleno non dura per sempre e ben
presto finì quel meraviglioso giorno di svago e
tranquillità. Il giorno della
marcia sui cancelli di Mordor arrivò fin troppo in fretta,
ma sapevo che presto
avrei potuto dare una fine a questa lunga storia. Presto avrei potuto
abbandonare tutta quell’ombra e tornare a brillare alla luce
del sole. Se in
questa terra o in un’altra questo ancora non lo sapevo.
Partivo per assicurare
la vita ai miei compagni, ma sapevo che non sarei stata in grado di
fare
altrettanto con la mia. Probabilmente non sarei sopravvissuta. Ma
questo non mi
abbatteva, sarei morta con il sorriso sul volto e la pace nel cuore.
Il viaggio durò molto più del previsto, con
qualche difficoltà, ma non mi dilungherò molto su
questo. Era solo una via di
passaggio, la mia mente probabilmente scollegata non realizzava cosa mi
stesse
passando accanto. Mi stavo dirigendo passivamente verso il nostro punto
di
arrivo.
I cancelli di Mordor.
Non avevo mai visto niente di più terrificante,
nemmeno le parole di Tolkien o le immagini di Jackson erano riuscite a
rendere
appieno l’immensa tenebra che li avvolgeva. Un muro
così alto e imponente da
far tremare l’anima, intimorita, sentendosi arrivata alla
fine di tutto.
L’anima guardava l’imponenza di quella struttura
come i vecchi antichi
guardavano le colonne d’Ercole, ai tempi in cui il mondo
aveva una fine. E per
Arda era quella la fine. Oltre quelle mura non vi era altro se non
l’inferno
governato da un oscuro Lucignolo. Quella non era solo la fine di un
viaggio,
era la fine del mondo.
Rimanemmo fermi in posizione davanti a quel dito
inquisitore, poi Aragorn, decisosi a fare un passo per rompere quel
ghiaccio
che si stava formando tra noi, chiamò con sé dei
rappresentanti delle varie
razze. Voleva prima scambiare due parole con coloro che abitavano le
fiamme.
Improvvisamente una piccola lucciola si accese nella mia buia memoria,
ricordandomi di cosa avrebbe trattato il loro colloquio. Sapevo che
Aragorn non
si sarebbe fatto convincere, ma temevo sempre che le modifiche portate
alla
storia avessero preso sotto la propria ala molti più aspetti
di quelli che
invece immaginavo.
Il così detto effetto farfalla.
Mi avvicinai velocemente a lui, lasciando la mia
posizione vicino a Boromir. Aragorn mi lasciò fare e mi
aspettò, probabilmente
sapeva che ciò che avevo da dirgli lo avrebbe aiutato. Lui
credeva ancora nel
mio potere.
Mi accostai al suo cavallo sperando che a sentire
fosse solo lui. Lo sguardo di Aragorn era severo e pieno di
preoccupazione, lui
più di tutti aveva paura. Tutti i soldati erano
lì nelle vesti di loro stessi,
combattevano per le proprie famiglie, nient’altro
c’era nelle loro menti cupe.
Aragorn invece combatteva per il suo popolo, per la sua dinastia, per
la sua
terra, per i suoi amici. Aveva una grossa responsabilità
sulle spalle che lo
schiacciava come un macigno. Ma lui era forte e non si lasciava
atterrare, non
ancora.
<< Aragorn. >> cominciai una volta
arrivata vicino a lui << Ricorda che la menzogna
è acqua dissetante per
la bocca degli scellerati. >> Aragorn non colse subito il
significato
delle mie parole, ma sapevo che le avrebbe tenute ben a mente e ne
avrebbe
fatto tesoro. Annuì quasi impercettibilmente e facendo una
manovra con il suo
cavallo corse verso i cancelli insieme ai suoi rappresentanti, mentre
io
tornavo nella mia posizione, accanto all’uomo che
più di tutti poteva donarmi
sicurezza. Nella mia mente però sentivo che il pericolo non
era ancora
scampato, temevo che l’effetto farfalla fosse arrivato
più lontano del
previsto, portando Frodo e Sam nelle braccia di Sauron.
“Devo
avere fiducia” pensai mentre allungavo la mia mano per
afferrare quella
dell’uomo accanto a me. Avevo bisogno di sentire il suo
calore, avevo bisogno
di riscaldare quel pezzo di ghiaccio che stava ferendo la mia anima in
più
punti.
Boromir mi rivolse uno sguardo, sapevo bene quale
domanda si stava ponendo e io, fiera di riuscire a ricordare quel
particolare e
felice di poterne finalmente parlare con qualcuno, lo accontentai.
<< L’orco in rappresentanza di Mordor
mostrerà ad Aragorn alcuni effetti di Frodo. Lo avevano
catturato, ma lui è
riuscito a scappare grazie all’aiuto di Sam, per questo hanno
quegli oggetti.
Ma l’orco non dirà niente di tutto ciò.
Mostrerà loro le cose di Frodo e dirà
che l’hanno in pugno: lo lasceranno solo in cambio della
Terra di Mezzo.
>> Boromir volse il suo sguardo preoccupato verso il
colloquio che si
stava svolgendo più avanti << Aragorn non
accetterà, tranquillo. Non
l’avrebbe mai fatto, ma penso che dopo le mie parole a
maggior ragione
rifiuterà l’accordo. >>
<< Frodo sta bene? >> mi chiese lui
preoccupato. Io
volsi i miei occhi alla
montagna di fuoco che incessantemente riversava i suoi sospiri nebulosi
fuori dalla
propria bocca.
Aragorn colse questo terrore nei loro occhi e
intervenne facendo un discorso che mai mi ero dimenticata, nonostante
l’annebbiamento di quei giorni, e che sempre era stato per me
fonte di profonda
emozione.
<< Restate fermi! Restate fermi! Figli di
Gondor, di Rohan, fratelli miei, vedo nei vostri occhi la stessa paura
che
potrebbe afferrare il mio cuore. Ci sarà un giorno in cui il
coraggio degli
Uomini cederà, in cui abbandoneremo gli amici e spezzeremo
ogni legame di
fratellanza. Ma non é questo il giorno! Ci sarà
l'ora dei lupi e degli scudi
frantumati quando l'Era degli Uomini arriverà al crollo. Ma
non é questo il
giorno! Quest'oggi combattiamo! Per tutto ciò che ritenete
caro su questa bella
terra vi invito a resistere, Uomini dell'Ovest! >> E
così come riempì il
mio cuore anche quello di tutte le ombre terrorizzate intorno a me
cominciò a
brillare improvvisamente. L’oscurità non ci
avrebbe annullati, lo sapevamo.
Eravamo pronti.
Per Frodo!
Due linee parallele.
Due linee parallele che, guidate
dall'irrazionalità dell'amore, ingannando le leggi di
qualsiasi disciplina
scientifica, erano riuscite a ritrovarsi nel lontano infinito.
Mi ritrovai a pensare a cosa mi avesse portato
lì, se l’amore o l’orgoglio. Forse tutti
e due. Ma sapevo che quello non era il
momento giusto per abbandonarsi a lunghi flashback.
Un orco mi venne incontro a gran velocità,
sguainata la sua spada, pronto a misurare la sua resistenza con la mia.
Mi
avevano sempre fatto alquanto schifo quelle bestiacce e il ricordo
della mano
attaccata alla mia daga, sempre nelle miniere di Moria, torturava
ancora i miei
sogni. Non avevo mai preso parte a niente di più disgustoso,
e la cosa di certo
non era migliorata. Forse ero maturata un po’, forse, e dico
FORSE, non mi
abbandonavo più a stupidi giochetti
infantili e mi facevo trascinare lungo il sentiero della vita da altri
tipi di
pensieri, ma ciò non toglieva che il mio odio e il mio
disgusto verso quelle
immonde creature non era per niente cambiato.
Un brivido mi percorse tutta la schiena quando fu
abbastanza vicino e lo vidi sollevare la sua spada (era una spada,
quella?!)
pronto a tagliarmi il cranio in due.
<< Non ti azzardare! >> gridai
disgustata con la spada dritta davanti a me, pronta a contrastarlo. Ma
ce
l’avrei fatta? Sicuramente la sua forza era decisamente
maggiore della mia,
sarei riuscita a non farmi schiacciare dalla sua potenza? Ma
soprattutto sarei
riuscita a guardarlo da così vicino senza vomitare?
No.
<< Stammi lontano, hai capito? >>
gridai disgustata cominciando a correre dalla parte opposta, ma lo
spazio non
era molto largo come nelle miniere di Moria, lì muoversi
risultava difficile:
eravamo decisamente troppi. Mi ritrovai la strada bloccata da un paio
di Orchi
che erano appena saltati addosso a un poveraccio. Mi voltai verso il
mio
inseguitore giusto in tempo per vederlo calare la spada verso di me e
d’istinto
alzai la mia riuscendo a bloccare la sua discesa. Più o meno.
Come avevo immaginato la sua forza era nettamente
maggiore alla mia, non riuscii a contrastarlo a pieno, ma
l’istinto di
sopravvivenza fece sì che il mio braccio non cedesse. Ma a
farlo furono le
ginocchia. Caddi per terra sbattendo violentemente le ginocchia al
suolo che,
secco com’era, non mi assicurò per niente un
piacevole morbido
atterraggio. Mugolai di dolore ma rimasi
ferma nella mia
posizione. Incredibile cosa possa fare un uomo quando si trova di
fronte alla
morte: sfodera una forza e un’energia mai vista prima.
L’orco alzò nuovamente
la sua spada per potermi colpire in pieno e ancora l’istinto
di sopravvivenza
guidò le mie braccia. Non avrei resistito a un altro attacco
del genere, dovevo
agire prima che lo facesse lui. Perciò feci roteare la spada
di fronte a me e
con un colpo secco lo presi all’altezza delle ginocchia. La
forza da me usata
però non era sufficiente per tagliargliele e assicurarmi la
sopravvivenza,
riuscii solo a fargli un taglio profondo si e no 3 cm nella prima gamba
incontrata. E ciò non bastò certo a fermarlo. Ma
incredibilmente non scese
ancora. Lo vidi contorcersi e improvvisamente accasciarsi a terra.
Dietro di
lui vidi materializzarsi la figura di Boromir, sudaticcia, sporca di
polvere e
sangue e già affaticata. Ciò nonostante non
riuscì a non rivolgermi un sorriso
compassionevole.
<< Mi ricorda qualcosa questo. >>
Moria. Anche a lui era venuto in mente quel
giorno in cui mi seguiva come un cagnolino per farmi da guardia del
corpo e
proteggermi dagli orchi che mi inseguivano e tentavano di uccidermi.
<< Dici? >> dissi quasi irritata e
alzandomi in piedi posai un piede disgustata sul corpo senza vita
dell’orco di
fronte a me e tentai di strappare dalla sua gamba la mia spada. Feci
molta
fatica ma riuscii a riaverla indietro, insieme a schizzi di sangue di
orco.
<< Che schifo!! >> brontolai facendo
un’espressione colma di disgusto. Sentii qualcosa gemere alle
mie spalle e vidi
un altro orco accasciarsi a terra sempre per mano di Boromir, che
subito si
voltò verso un altro di loro per intraprendere
un’altra lotta.
<< Sophie, non ti distrarre! >> mi
brontolò. << Non posso sempre guardarti le
spalle! >>
Capii la gravità della situazione, non ci
trovavamo a Moria. Quel posto era decisamente peggio: non avevo neanche
il
tempo di fare un sospiro per riprendere fiato, i nemici arrivavano da
tutte le
parti, dovevo sempre essere pronta a proteggermi.
Altri due orchi si fecero avanti verso di me,
seguiti da un terzo proveniente da un’altra direzione.
<< Sono cambiata!! >> urlai più
per
convincere me stessa che gli altri e risvegliando la forza che avevo in
me gli
andai incontro. Sapevo che l’unico modo che avevo per
assicurarmi la vittoria
era puntare alla testa. La loro carne era dura, le ossa di ferro, non
era
facile scalfirle, soprattutto con la poca forza che avevo io. Il collo
invece
sarebbe stato un po’ più accessibile per i miei
standard, o altrimenti puntando
di punta dritto al cuore. Una cosa era certa: dovevo trovare il modo di
stenderli al primo colpo, se gli avessi dato modo di difendersi non
sarei riuscita
a contrastarli. Dovevo fare io il primo e decisivo passo! E
così feci. Usando
tutta la forza che avevo nelle braccia tagliai l’aria in
orizzontale e riuscii
a staccare la testa a uno, girai su me stessa, per darmi ancora
più spinta, e
mi voltai verso il compagno che mi stava raggiungendo da destra e
colpii anche
lui alla base della testa. Non riuscii però a tagliargliela
tutta
completamente, la lama rimase a metà, garantendogli la morte
ma rimanendo
ancora una volta incastrata lì. Sapevo che non avevo tempo
di pensarci, un
altro di loro mi stava raggiungendo dalla stessa direzione. Lasciai
cadere il
corpo morto del primo a terra, mi sarei aiutata con i piedi ad estrarre
la
lama, nel frattempo estrassi una delle mie daghe, decisamente
più leggera della
spada in sé, e sporgendomi in avanti al momento giusto la
conficcai nel cuore
dell’orco. Fu più semplice estrarre la daga, forse
perché le sue dimensioni
erano decisamente più ridotte della spada. Nel frattempo
posai un piede sul
petto all’orco morto ai miei piedi e usando tutta la forza
che avevo estrassi
la spada dal suo collo, sbilanciandomi indietro e andando a sbattere
contro uno
dei soldati che accidentalmente stava combattendo proprio dietro di me.
L’averlo urtato lo fece scivolare in avanti quel tanto che
bastava per far sì
che la spada di un orco si conficcasse nel suo petto uccidendolo. La
lama,
passata da parte a parte, aveva inoltre trovato il mio corpo
affondandosi anche
in questo, in un fianco, appena sotto le costole. Il dolore quasi non
lo sentii.
La spada fu estratta dai due corpi con violenza, ma ancora non
percepivo niente
se non confusione. Caddi carponi per terra.
Avevo ucciso un uomo.
<< Oh mio Dio! >> mormorai gattoni
com’ero, alzando lo sguardo intorno a me. Non riuscivo
più a capire dov’ero,
cosa stavo facendo. Ero inerme. Un altro corpo, dalla provenienza
ignota, cadde
al mio fianco e ancora una volta spaventata mi slanciai lontano da lui,
cadendo
su un fianco sulla fredda roccia sotto di me. Cercai di alzarmi ma non
ne ero
in grado, il suolo si stava riempiendo di corpi di orchi, di uomini e
di altri
il cui volto sfigurato mi impediva di riconoscere. Sangue scorreva come
fiumi
sotto le mie mani, poggiate a terra. La polvere si mischiava alla
cenere, arti
recisi sparsi come piante. Mi sentii sperduta. Mi sforzai di alzarmi in
piedi,
ma le gambe non riuscivano a reggere il peso del mio corpo, feci un
passo
indietro barcollante e trovai un ostacolo, forse uno dei tanti corpi, e
caddi
nuovamente per terra sbattendo violentemente la schiena al suolo. Il
respiro mi
mancò. Sentivo dolore ovunque ma non riuscivo a capire se
ero ferita o meno.
Ero come estraniata dal mio corpo. Mi voltai e posando le mani al suolo
tentai
nuovamente di alzarmi in piedi, mi girava la testa e braccia e gambe
tremavano
come mai prima d’ora. L’odore della morte era
così acre da penetrarmi nelle
narici come tanti piccoli aghi, ferendomi. Una lacrima cadde dal mio
viso,
quando avevo cominciato a piangere? Tentai
nuovamente di alzarmi in piedi, dovevo
riprendermi o sarei morta. Ma il destino volle colpirmi ancora: un
cavallo mi
saltò, passando sopra di me, riuscendo a evitarmi ma un suo
zoccolo
inevitabilmente si scontrò contro un mio fianco. Sentii le
costole dentro di me
cigolare rumorosamente e caddi nuovamente supina, rotolando su me
stessa un
paio di volte. Ero completamente ricoperta di sangue e polvere. Sentii
un urlo
agghiacciante arrivarmi alle orecchie: ero stata io a urlare?
Probabile, ne
sentivo il bisogno, ma il fiato mi mancava. La vista appannata non mi
mostrava
il mondo circostante, sentivo bruciore ovunque. Pochi secondi dopo
un’ombra
oscurò per un attimo il cielo, e scomparve. Una voce lontana
sentenziò <<
I Nazgul! >> allora forse l’urlo agghiacciante
proveniva da loro. Non
avrei saputo dirlo. Ma improvvisamente sentì come una
completa alienazione, non
percepivo niente intorno a me se non echi lontani e una leggera foschia
davanti
ai miei occhi. Una voce cupa e profonda arrivò alle mie
orecchie forte e
chiara, come proveniente da chissà quale abisso, destinata a
farsi udire solo
da me.
<< L’orgoglio ti ha portato sull’orlo
del
precipizio. Avresti dovuto obbedire. >> Non avevo la
più pallida idea di
cosa stesse dicendo, a cosa si riferiva? Cosa voleva da me? Gli occhi
girarono
vorticosamente intorno a me rendendo tutto ancora più
confuso. Sentivo i
polmoni bruciare e il cuore esplodere dentro me, come stretto da una
morsa
implacabile. Una sola cosa si mostrò chiara a
me: un occhio di fuoco mi guardava. Leggevo nel suo
sguardo la
soddisfazione. Poi un’altra luce accecò i miei
occhi. Un’immagine mi giunse
alla mente veloce come una freccia lanciata da un arco elfico. Comparve
per
pochi istanti e poi scomparve nel buio.
Nel buio avevo distinto il corpo esile di Pipino
che crollava a terra colpito in testa dalla pesate mazza di un troll. E
stranamente la mia mente fu abbastanza lucida da realizzare che
ciò che avevo
visto era uno dei tanti ricordi che temevo di avere perso.
L’ansia provata fino
a quel giorno ebbe finalmente un significato: dentro me sapevo che
Pipino
sarebbe morto. Avevo preso una scelta saggia, partire per salvarlo era
stata
una grande idea, peccato che in quel momento fossi morente al suolo.
Come
l’avrei aiutato?
<< Pipino! >> urlai disperata. Era
diventato uno dei miei migliori amici all’interno della
compagnia, lui e Merry
erano stati miei compagni di viaggio più di chiunque altro,
a loro avevo
rivelato per primi il mio amore per Boromir, loro avevano letto dentro
di me
più volte di chiunque altro. Non potevo abbandonarlo! Ancora
una volta mi
stupii della forza che stavo dimostrando di avere. Quando ripresi
praticamente
coscienza mi ritrovai in piedi, in mezzo a una battaglia che non vedevo
più. La
mia strada pareva spianata verso il mio amico che ancora non sapeva
della sua
fine. In mano stringevo una spada, probabilmente non la mia,
chissà da dove
l’avevo presa. Barcollando mi feci strada velocemente in
mezzo a quei tumulti,
schivando lance e spade, pregando che una qualche freccia non mi
colpisse. Non
vedevo niente intorno a me se non il mio obbiettivo, che ancora non si
mostrava
a pieno. Non avevo idea di dove fosse Pipino, dovevo trovarlo il
più
velocemente possibile. Provai a correre ma l’unica cosa che
riuscivo a fare era
camminare un po’ più velocemente zoppicando. Avevo
dolore alle costole, avevo
il fiato corto, avevo dolore alle gambe e alla testa. Ma concentrandomi
a pieno
sul mio obbiettivo riuscivo a trovare la forza necessaria per non
crollare a
terra. Mi guardai attorno correndo da una zona all’altra del
campo di
battaglia: dove diavolo si era cacciato?! Cominciai a innervosirmi. Per
un
attimo pensai di aver sbagliato battaglia: non trovavo nessuno dei miei
amici.
Ero sola in mezzo a una folla dai volti anonimi. Ad un tratto il
ginocchio
crollò e caddi, ritrovandomi di nuovo a gattoni. Tossii.
Uscì sangue dalla mia
bocca. Il fuoco bruciava dentro me. Alzai la testa. Vidi un orco
davanti a me
con la sua spada alta, pronto a lasciarla cadere su di me.
Lanciò un urlo
raccoglitore. Abbassò la sua spada. Ma non arrivò
all’obbiettivo. Un troll era
appena caduto, ferito, appena vicino a noi, schiacciando
l’orco appena in
tempo. Guardai la testa gigantesca del mostro proprio davanti a me. I
suoi
occhi rotearono appena e incrociarono i miei. Un brivido di terrore mi
colse.
Mi aveva visto! Lui con solo un dito poteva schiacciarmi, ero un
moscerino ai
suoi occhi. Lo vidi piegarsi di lato con la mano tesa, pronto a
colpirmi.
Ancora una volta chiamai in soccorso la mia forza della disperazione e
riuscii
a darmi una spinta tale da riuscire ad alzarmi e allontanarmi in tempo.
Il
troll non tornò più su di me, una folla di uomini
gli era saltata addosso per
riuscire ad ucciderlo colpendolo nei punti più deboli. Io
barcollai ancora, la
caviglia mi faceva malissimo, non riuscivo a tenermi in piedi, le forze
mi
stavano abbandonando. Caddi ancora e tentai di alzare le braccia in
cerca di un
appiglio che mi tenesse in piedi. Inutilmente.
Quella situazione mi fece tornare alla mente un
elemento ricorrente dei miei incubi. Ricordo che mi capitava spesso di
sognare
di non riuscire a stare in piedi, come stavo facendo in quel momento.
Sognavo
spesso di non sentire la terra sotto i piedi, di non sentirmi stabile e
di
continuare a cadere in continuazione, come se le mie gambe fossero
fatte di
gelatina. Era uno dei peggiori incubi che facevo, odiavo quella
situazione di
precarietà, odiavo non riuscire a trovare un equilibrio e
trovarmi costretta a
stare stesa a terra. Inoltre anche la terra non mi dava la
stabilità che
cercavo, anche quando mi ritrovavo stesa al suolo non mi sentivo ferma:
tutto
tremava, la testa girava, avevo sempre l’impressione di
cadere nonostante fossi
bloccata lì. E questo era la migliori delle parti: alcune
volte mi capitava di
sognare che dovevo scappare da qualcosa, sognavo che un pericolo mi
inseguiva e
io non riuscivo a fuggire perché non riuscivo a stare in
piedi. Erano gli
incubi peggiori quelli.
E quella situazione li rappresentava appieno. Non
riuscivo a tenermi in piedi, dovevo correre verso una meta ma non
riuscivo ad
arrivarci. Una profonda angoscia si impadronì di me, cercavo
un punto fisso su
cui concentrarmi per trovare la stabilità e
l’equilibrio necessario per tirarmi
in piedi e far smettere al mondo di girare. Ma era tutto inutile, non
riuscivo
a trovare niente di fermo: tutto si muoveva, tutto si agitava, tutto
cadeva e
si rialzava. Tutto tranne me.
<< Forza, Sophie! >> tentai di dire
per farmi coraggio, dov’era la forza della disperazione che
fino a quel momento
mi aveva salvato? Perché aveva smesso di aiutarmi? Tentai di
alzarmi, ma come
succedeva nei miei incubi, perdevo l’equilibrio e cadevo di
lato, aggiungendo
al dolore altro dolore. Sentivo che non sarei uscita viva da quella
situazione,
aveva ragione Boromir, aveva ragione Aragorn, avevano ragione i
piccoletti che
avevano tentato di fermarmi. Non ero in grado di sostenere una lotta
del
genere, ero troppo debole. Ma in quel momento sentivo che non
m’importava
niente di come ne sarei uscita io: avevo avuto
un’illuminazione, un ricordo
improvviso mi era tornato alla mente, potevo ancora fare qualcosa per
renderli
tutti felici. Non dovevo mollare. Mi voltai verso il terreno scuro su
cui ero
stesa, l’odore acre del sangue e del sudore mi bruciava le
narici, la polvere
negli occhi li stava quasi facendo sanguinare, la bocca arida implorava
per un
po’ d’acqua o si sarebbe spaccata completamente,
mentre dentro me bruciava un
fuoco ardente che mi logorava e mi uccideva pian piano. Posai le mani
al suolo.
<< Forza!! >> Urlai ancora, o forse
credetti di farlo, la mia voce non riusciva ad arrivare alle mie
orecchie. Mi
diedi un’altra spinta e miracolosamente riuscii a mettermi in
piedi. Avevo
sempre in mano la spada di prima, non l’avevo mollata un
attimo, non me n’ero
nemmeno resa conto. Mi guardai di nuovo attorno cercando di non voltare
la
testa troppo velocemente o avrei perso di nuovo l’equilibrio.
Un altro urlo
agghiacciante raggiunse le mie orecchie, ma questa volta più
forte di prima.
Una folata di vento mi suggerì che il Nazgul che aveva
appena lanciato il suo
grido mi era appena volato sopra la testa. Il suono era stato
così forte che mi
avevano fatto male: avevo chiuso gli occhi e mi ero portata le mani
alle
orecchie urlando di dolore. Quando l’ombra fu passata oltre e
il fischio alle
orecchie diminuì un po’ (senza però
annullarsi completamente) ritornai a
guardarmi attorno.
<< Pipino! >> tentai di urlare,
chissà chi aveva colto il suono della mia voce in mezzo a
quel chiasso di spade
incrociate, scudi infranti e urla di dolore e terrore. Ripresi a
camminare
zoppicando cercando disperatamente il mio amico. Il mio fiato pesante
rimbombava dentro me sovrastando il rumore di tutto quello che mi stava
succedendo attorno.
Un orco mi crollò davanti e l’uomo che
l’aveva
ucciso subito si voltò dall’altra parte pronto a
contrastare l’attacco di un
altro orco. Dentro me continuavo a ringraziare che i nemici mi avessero
dimenticato lì e non si facessero avanti contro di me. Non
sarei certo riuscita
a sostenere una battaglia in quelle condizioni.
Delle solide mani mi afferrarono per il collo
della maglia e mi trascinarono giù, al suolo, insieme a lui.
Non capii subito
di che si trattava, temetti di essere stata afferrata da un orco. Ma
appena i
miei occhi furono puntati sull’entità che mi aveva
trascinato giù con lui vidi
solo un paio di occhi uguali ai miei, immersi nel terrore. Le lacrime
ammorbidivano il rosso del sangue, le pupille dilatate dimostravano
solo un
incontro con la mano scheletrica della morte. Le sue labbra secche
mormorarono
qualcosa che non raggiunse le mie orecchie, ma che potei intuire dal
labiale
essere un << Aiutami. >>
Non riuscii più a trovare la forza di alzarmi, mi
sentii abbandonare completamente anche dall’ultimo briciolo
di energia che mi
trascinava sul campo di battaglia. Ripresi a tremare ma non
più di dolore e fatica,
ma di paura. Le pupille dell’uomo sotto di me divennero
improvvisamente velate
e si persero nel vuoto. Io rimasi immobile lì, colma di
terrore, tremando,
probabilmente piangendo anche se non udivo né percepivo le
mie lacrime sul mio
viso. La gola bruciava più del solito.
E in un attimo compresi la follia della guerra.
Perché mi ero voluta mischiare in quelle
faccende? Perché avevo fatto una cosa tanto sconsiderata
quanto folle? Quegli
uomini avrebbero voluto tanto avere un posto come il mio, una casa
nella pace
più completa della monotonia, lontana dalla paura della
fine. E io invece mi
ero voluta tuffare a capofitto in quel misero e squallido universo,
convinta di
trovare fiori sopra le tombe degli eroi. Ma non ci sarebbero stati
fiori né
tombe. Solo cenere e polvere. Non vi erano eroi. Solo vittime. Mi
lasciai
cadere su un fianco ormai esausta, priva di energia, terrorizzata a
morte, in
attesa che il buio che aveva colto l’uomo al mio fianco
giungesse anche a me.
Il cielo sopra la mia testa, ricoperto di nubi
nere, incombeva su tutti noi come una mano avida di sorrisi, pronta a
strapparli da chiunque. Eppure sembrava la cosa più dolce
che avessi mai visto.
La testa mi cadde di lato, troppo stanca per
continuare a guardare il cielo e fu lì che i miei occhi
intravidero nella
nebbia una sagoma che ben conoscevo. Pipino che piangeva sul corpo di
un uomo,
Beregond ricordo si chiamava. Sì, il libro diceva proprio
Beregond. Era un suo
nuovo amico e già l’aveva perso, e presto avrebbe
perso altro quale la sua
vita. Un troll comparve alle sue spalle e si preparò a
sfoderare con la clava
puntata che aveva in mano un colpo sull’hobbit ai suoi piedi.
<< Pipino! >> riuscii a dire in un
lieve sussurro disperato. Il mondo intorno a me si mosse velocemente,
barcollante e tremante davanti ai miei occhi, come scosso da un
terremoto. Ma
si muoveva in avanti! E in pochi istanti mi ritrovai vicino a Pipino.
Un paio
di mani che tanto somigliavano alle mie lo spinsero via. Vidi Pipino
cadere
poco lontano da me e una clava venire dalla mia parte a gran
velocità,
tagliando l’aria con un rumore sordo e
improvvisamente….il buio.