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Autore: _Rowen_    28/03/2012    2 recensioni
Onde.
Voleva portarla al mare, sulle scogliere greche, nel sole mediterraneo con l'odore dei pini che si scioglieva nell'aria come miele, ricorpirla di regali, fotografie e ricordi che avrebbe collezionato in eterno. Le avrebbe mostrato il mondo con gli occhi di chi l'ha visto crollare e poi rialzarsi migliaia di volte. Digrignò i denti, non si sarebbe mai aspettato uno schiaffo in pieno viso da un angelo.
Genere: Dark, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Caroline Forbes, Elena Gilbert, Elijah, Klaus
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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The lights go out and I can’t be saved, tides that I tried to swim against, have brought me down upon my knees, oh I beg, I beg and plead.

 
Damon sbattè il bicchiere sul bancone – Un altro, e che questo secolo sia migliore dello scorso! -. Stefan si passò una mano tra i capelli – Ora basta, fratello. Stai dando spettacolo...-
Damon rise e ruotò sullo sgabello – Oh oh, ora ti preoccupi della tua reputazione! - rise e alzando in alto la bottiglia di Jack Daniel's gridò – Attenzione gente, qui c'è un Salvatore pronto a redimersi...e non sono certo io! -.
Stefan gli afferrò un braccio – Piantala Damon, non al Mystic Grill! - ringhiò ma il fratello strattonò il braccio fino a sottrarsi alla sua presa, bevve un ultimo sorso e gli spinse la bottiglia contro il petto – Non importa dove, a me basta dimenticare – disse, dirigendosi barcollando verso l'uscita.
Stefan lo raggiunse correndo – Cosa diavolo hai? E' finita Damon, è finita!-.
Il fratello gettò la testa all'indietro guardando il cielo, le stelle occhieggiavano debolmente dietro un velo di nuvole e la luce dei lampioni brillava sulla strada bagnata. Aveva smesso di piovere.
-No, non è mai finita – rispose. Vittoria, Stefan ne parlava come se fosse una partita di poker, ma quella era la roulette russa. Vittoria, solo umidità e un intenso odore di fine autunno. Inspirò profondamente, sciogliendo i muscoli delle spalle e continuò – Non importa quanto impegno ci mettiamo. Sarà sempre peggio, Stefan, e durerà in eterno. Una lenta agonia, fino a quando la Terra non imploderà -.
Stefan gli si avvicinò afferrandogli le spalle – Klaus ha perso. I Mikealson vogliono andarsene. Elena è libera! -.
Damon roteò gli occhi – Sei un ingenuo, ed è proprio questo il punto. Ora puoi tornare ad essere il bravo ragazzo di sempre, che salva le vite delle damigelle indifese, scrive ininterrottamente sul suo diario e non tocca una goccia di sangue umano nemmeno sotto tortura. Bene, ma non puoi semplicemente disfarti del passato e sgomitare per riprenderti il tuo posto -.
-Damon, tutto quello che sono stato, tutto quello che ho fatto, tutti quei corpi...erano per lei, capisci? Tu avresti fatto le stesse scelte per lei!-
-No Stefan, io sono rimasto – sospirò, infilò le mani in tasca e si allontanò sotto la luce bianca dei lampioni.
 

Come out of things unsaid, shoot an apple off my head.

 
 
Caroline rabbrividì e si svegliò stropicciandosi gli occhi, gettò di lato il lenzuolo e scattò in piedi. Ammiccò passando davanti allo specchio – Perfetto – pensò – è tutto finito. Bienvenue vita normale! -.
Si diresse in bagno canticchiando e accennando qualche passo di danza e, dando una rapida occhiata all'orologio appeso in corridoio si accorse che erano le dieci passate. Strano che Elena non l'avesse svegliata.
Scrollò le spalle e si lavò i denti; arricciando il naso, si accorse che l'aria odorava di gas. Strinse lo spazzolino tra le labbra e corse in cucina. I fornelli erano andati in sicurezza bloccando automaticamente la fuoriuscita di gas, eppure l'odore era talmente forte che dovette aprire la finestra per respirare aria pulita. Sul tavolo c'era una tazza di caffè. Fredda.
-Elena! Hai lasciato il gas aperto!- chiamò – Il caffè ormai è freddo, vuoi fare colazione o no?- e aprì la credenza afferrando una merendina. Nella vita che aveva prima avrebbe urlato con repulsione “carboidrati!”, ma ormai non le importava più, avrebbe conservato quel corpo per l'eternità, quell'aspetto adolescenziale, non potendo vedersi invecchiare o combattere con i chili di troppo.
Cacciò quel pensiero notando con quale fastidiosa facilità i ricordi della sua umanità riaffioravano nei momenti più inaspettati.
-Elena! - chiamò di nuovo, attendendo di vederla spuntare dietro la porta socchiusa della camera di Jeremy – Vuoi muoverti o no? -.
Aveva una gran voglia di fare shopping, proprio come ai vecchi tempi. Innanzitutto doveva vedere sua madre e poi, come al solito, l'avrebbe raggirata con qualche moina  fino a farsi prestare la carta di credito: la sua era vuota da mesi.
Era felice che fosse finita, che ogni tessera del puzzle confuso di Mystic Falls fosse tornata al suo posto: non ci sarebbero stati più cadaveri sospetti nel bosco, nessuna morte improvvisa, nessun vampiro psicotico che andava in giro ad uccidere le porsone per divertimento, nessun...Klaus.
Pensando il suo nome le sfuggì un sospiro e una leggera fitta tra le costole l'avvertì: sì, era colpa sua.
Diede un morso alla brioche: ma quali colpe?! Era stato grazie a lei se ora la città era sana e salva, al riparo da qualsiasi pericolo. Sì, era stata semplicemente favolosa, pensò compiacendosi, sarebbe stata una degna sostituta di Cat Woman. inghiottì l'ultimo boccone e accartocciò la confezione della brioche: Elena non arrivava, eppure se aveva preparato il caffè doveva sicuramente essere sveglia.
Zampettò verso camera di Jeremy e aprì la porta – Elena vuoi sbrigarti o preferisci...dove diavolo sei finita? -.
Un pessimo presentimento le riempì il petto d'ansia. E se non fosse morto, e se avesse scoperto che era stata lei la causa di tutto, e se avesse rapito Elena per vendicarsi e scappare con la Doppleganger?
Si impose di restare calma e tornò in corridoio, dove un luccichio sulla moquette attirò la sua attenzione: una lama di venticinque centimetri brillava alla luce del sole.
 
Afferrò il cellulare con mano tremante e compose il numero di Stefan, rincuorata almeno un po' dal non aver trovato nessuna traccia di sangue, nemmeno sul coltello.
-Pronto? -
-Stefan – si schiarì la voce cercando di assumere un tono più rilassato, non voleva allarmarlo – Stef, Elena è lì con te? -.
-No – rispose gelido.
Caroline portò una mano alla fronte – Bene, in tal caso – continuò mettendo da parte ogni tentativo di sembrare tranquilla – abbiamo un problema...-.
 

And a trouble that can’t be named
A tiger’s waiting to be tamed.

 
-Sì Signora Lockwood, vogliamo andarcene al più presto -.
-Come preferite, ma in quanto sindaco delle città gradirei sapere il motivo di questa vostra partenza. Ci sono stati problemi con i Salvatore? -.
-No Signora, anzi, nell'ultimo periodo i Salvatore si sono rivelati più disponibili di quanto pensassimo. Non deve preoccuparsi, Mystic Falls sarà al sicuro. Ora che la famiglia è riunita vogliamo recuperare il tempo perso, sa come vanno queste cose...- rise.
-Ma certo signor Mikaelson. Non vogliamo problemi in questa città quindi, se non vi trovate a vostro agio come potreste fare altrove...- la signora Lockwood sorrise piegando le labbra in una smorfia di falsità e timore.
-Arrivenderci – disse Elijah inchinandosi leggermente.
-Arrivederci – rispose il sindaco accompagnandolo alla porta.
L'uomo raggiunse la sorella che attendeva in piedi, di fianco all'auto – Allora, com'è andata?-
-Inutili formalismi...- rispose Elijah salendo in auto e sbattendo la portiera. Mise in moto a appoggiò le mani sul volante. Rebekah si accomodò sul sedile di fianco e lo squadrò – Le hai detto di Niklaus? -.
Elijah spinse sull'acceleratore – Sorellina, certo che no-.
-Cosa facciamo con lui? -.
-Aspettiamo, Rebekah. Parlerà, basta avere pazienza -.

 
Confusion never stops, closing walls and ticking clocks,
Gonna come back and take you home
I could not stop that you now know.

 
Il silenzio profumava di pioggia e del gocciolio incessante che scandiva il tempo nella grotta. Sulle pareti brillava una luce pallida, un riflesso proveniente dall'uscita.
Rise debolmente fissando le proprie mani, strette intorno alle ginocchia, le nocche sanguinanti. Aveva preso a pugni le pareti fino a quando i graffiti non avevano iniziato a confondersi con il suo sangue. Era la fine.
Era stato un grande re, anche se per poco tempo. I suoi sogni, le attese, era bastata una notte per far crollare il suo castello di carte e lasciarlo precipitare nel baratro.
Delusione. Voleva riunirli per stendere il mondo ai loro piedi e, anche se non l'avrebbe mai confessato, nemmeno a se stesso, sarebbe morto per ognuno di loro, che lo avevano ripagato della fatica, della cura e della premura con cui aveva conservato i loro corpi per mille anni, confinandolo sotto terra come un verme. Elijah, il suo sguardo lo tormentava, il suono aspro delle parole che gli aveva sputato addosso la notte precendente, la vergogna che sfilava dai suoi occhi a quelli di Rebekah “Non ti ho mai tradito, Nik, credimi”, dopodichè ogni parola era stata una stilettata “l'ultima bara è stata aperta, dicci cosa contiene”. Come diavolo avevano fatto? Ma certo, doveva essere stata la strega! Non avevano capito niente, quella bara doveva restare chiusa, maledizione! Ma aveva ancora una carta da giocare: loro lo avrebbero aiutato ad uccidere Stefan e lui avrebbe rimesso le cose a posto.
“No, Niklaus. Dicci cosa c'è in quella stramaledetta bara”.
Niente, non c'era niente. Stavano perdendo il loro tempo dietro le parole di una strega. Era di lui che dovevano fidarsi, lui, che aveva previsto il loro arrivo, che li conosceva talmente bene da sapere con ore di anticipo che Elijah lo avrebbe tradito come Giuda sul monte degli Ulivi. “No, Nik. Non sono stato io.”
E chi era stato? Rebekah, forse? Kol, Finn?
“No, Caroline Forbes”.
Se gli fosse rimasta un'anima quelle parole l'avrebbero straziata. Ascoltò le gocce cadere dal soffitto della grotta e atterrare in una pozza scura, disegnando piccole onde  concentriche. Onde.
Voleva portarla al mare, sulle scogliere greche, nel sole mediterraneo e l'odore dei pini che si scioglieva nell'aria come miele, ricorpirla di regali, fotografie e ricordi che avrebbe collezionato in eterno. Le avrebbe mostrato il mondo con gli occhi di chi l'ha visto crollare e poi rialzarsi migliaia di volte. Digrignò i denti, non si sarebbe mai aspettato, uno schiaffo in pieno viso da un angelo.
Si abbandonò contro la parete fredda, pensare a lei attendendo la fine non gli sarebbe stato d'aiuto, anzi, gli avrebbe fatto bruciare il sangue di rabbia, odio e amarezza, pensieri che non poteva – non doveva – permettersi in quel momento. Aveva un gran mal di testa e, nonostante questo, doveva trovare un modo per uscire da lì. La strega non avrebbe più aiutato i Salvatore: dopo aver rischiato la propria vita e quella di sua madre, quella sarebbe stata l'ultima volta che avrebbe compiuto un incantesimo intromettendosi in “faccende da vampiri”. Si alzò zoppicando leggermente e si avvicinò all'uscita, appoggiando i palmi sulla barriera magica che lo costringeva all'interno della grotta: non riusciva a pensare. Aveva gli occhi colmi dei ricordi della notte precedente. In poco meno di un'ora il mondo gli era crollato addosso mandando a monte piani messi a punto per mille anni e perfezionati in continuazione. I suoi stessi fratelli l'avevano trascinato in quella prigione, abbandonandolo in balia del dolore e della fame. Perchè diavolo non aveva bruciato quella bara? Perchè continuava a trascinarla con sé attraverso i secoli come una reliquia? Si massaggiò le tempie e si accasciò nel fango, dolore e lordura, una perfetta metafora del suo cuore. Chiuse gli occhi, sopraffatto dall'odore di tiepida e serena umanità che riusciva a confortarlo nelle situazioni più spiacevoli: arance e cannella, campanelle tintinanti e   incenso, un nome che non pronunciava dal giorno in cui aveva aperto nuovi occhi sul mondo. Si addormentò come un gatto, raggomitolato con la testa sulle ginocchia, mentre le gocce gelate cadevano dalla parete sul collo bianchissimo, tra i capelli sporchi di sangue, fango e vergogna.

 
Come out upon my seas,
cursed missed opportunities
Am I a part of the cure?
Or am I part of the disease?

 
-Aspettami in auto...- disse Elijah con una rapida occhiata alla sorella, questa lo squadrò e inarcò in sopracciglio - Ti prego, dimmi che non è vero...-.
Elijah sorrise, sbattè la portiera e si avvicinò a grandi passi alla porta di casa Gilbert. Si fermò un istante sulla soglia, lasciando che il vento afoso si calmasse un poco, poi estrasse dal doppio petto della giacca una rosa e una busta da lettere chiusa con una goccia di ceralacca. Nonostante il loro carattere fosse decisamente diverso, nei piccoli dettagli Elijah rimaneva realmente simile all'odiato fratello.
Suonò il campanello guardandosi alle spalle, Rebekah lo stava aspettando e, per rompere la noia, aveva iniziato a giocare con il cellulare. Avvertendo lo sguardo dell'uomo sollevò rapidamente gli occhi e scosse la testa - Dove andremo a finire? - pensò, riprendendo a giocare. Aveva messo da parte ogi tipo di rancore, ogni problema. Finalmente stavano lasciando quella maledetta cittadina e, chissà, forse a Chicago o New York avrebbero avuto l'occasione di crearsi la reputazione che meritavano e ricominciare da capo, quella volta per davvero. Quelli di Mystic Falls non erano più i suoi problemi, se Elijah voleva divertirsi un po' con Elena "sono il centro dell'universo" che male c'era? Tanto di lì a poco avrebbero messo chilometri tra la loro auto e quella città di persone fastidiose e insulse.
Elijah intuì l'impazienza della sorella e suonò nuovamente il campanello, schiarendosi la voce e indossando il suo sorriso più struggente. La porta si spalancò e, sulla soglia, a metà tra lo sconvolto e l'impaurito, c'era Caroline. Il cellulare le cadde dalle mani che corsero ad afferrare la maniglia della porta e a richiuderla in faccia al vampiro che intromise una scarpa lucidissima tra quella e lo stipite - Mi spiace, mi hanno già invitato ad entrare - sussurrò e la spalancò definitivamente. Caroline arretrò raccogliendo il telefono - Cosa diavolo vuoi? -.
Elijah le sorrise - Suvvia, è così che ringrazi il tuo salvatore? -.
Caroline digrignò i denti, quindi era stato davvero lui a liberarla dalle segrete di Klaus.
-Cosa cerchi Elijah? -.
-Chi, piuttosto. Ho bisogno di parlare con Elena, stiamo lasciando Mystic Falls, volevo salutarla...-.
Caroline strinse il telefono, non le piaceva affatto che Elijah stesse cercando Elena, cosa diavolo voleva da lei? - E così te ne vai senza alcun rimorso, insomma, uccidi tuo fratello e levi le tende lo stesso giorno...- disse, quasi sputandogli addosso quelle parole, come dimenticando che non doveva suonare tutto come una brutta notizia, nè la morte di Klaus, nè la loro partenza.
Elijah si passò una mano tra i capelli e sorrise - in quanto alla partenza penso di avere le mie buone ragioni per portare il più lontano possibile la mia famiglia...per quanto riguarda Klaus, potrai perdonarmi un omicidio che non ho commesso? - disse, puntando gli occhi in quelli della ragazza per studiarene la reazione.
A dispetto di quanto si aspettava però, la sorpresa non fu seguita da eccitazione o guance infiammate ma da un pugno violento sbattuto sul tavolo. - Lo sapevo! - urlò - Se non è morto, è stato sicuramente lui! -.
- A fare cosa, se mi è dato sapere? - chiese Elijah con sguardo interrogativo.
-A rapire Elena! - sbottò Caroline.
L'uomo s'irrigidì un istante, pensando a quel che era capace di fare suo fratello, specialmente con tutta la rabbia che voleva scaricargli addosso dopo la notte precedente, ma Klaus era al sicuro, in una grotta a prova di vampiro, solo con sè stesso, denutrito, in balia degli incubi. Non poteva essere stato lui.
-Credimi quando ti dico che non può essere stato Klaus...-
Caroline gli si avvicinò - E allora chi diavolo può essere stato? - ringhiò. Il cellulare squillò, era Stefan. Riagganciò.
Dalla porta aperta giunse il rumore prepotente di un clacson. Elijah vide Rebekah agitare la mano e invitarlo non troppo gentilmente a darsi una mossa. Elijah tornò sulla soglia per chiudere la porta e calpestò qualcosa che emise un suono argentino. Sollevando la scarpa si chinò sul pavimento per raccogliere un pezzo di bronzo tondeggiante, delle dimensioni di una pallina da ping-pong e sollevandolo in aria lo agitò lievemente. La campanella tintinnò limpida nel silenzio che era piombato nella stanza come un panno di velluto. Elijah chiuse gli occhi e strinse la campanella in pugno fino ad accartocciarla come carta.
-E quello cosa diavolo è?- chiese Caroline.
-Qualcosa che non dovrebbe essere qui e che avresti ragione di temere...-.
La ragazza sollevò un sopracciglio, non ne poteva davvero più di enigmi e domande retoriche. Con Elena chissà dove, l'unica cosa di cui necessitava erano chiare risposte.
Elijah uscì in fretta di casa, seguito da Caroline, e corse in auto, bisbigliò qualcosa di incomprensibile alla sorella che trasalì e partì in tutta fretta.
Caroline pestò un piede, perché nessuno si degnava di considerarla? Compose il numero di Stefan e sperò che arrivasse il prima possibile, voleva, doveva capire cosa stava succedendo.
Un istante prima che Stefan rispondesse, fastidiosa, dentro di lei esultò con una vocina acuta: No, non è morto.

And nothing else compares
And nothing else compares…

  
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