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Autore: SAranel    28/03/2012    4 recensioni
Una serie di one-shot di diversi generi, ognuna incentrata su uno dei cinque sensi, con protagonisti i nostri Sherlock e John, of course!
~ Cap.1 Tatto
~ Cap.2 Vista
~ Cap.3 Gusto
~ Cap.4 Olfatto
~ Cap.5 Udito
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Eccomi qui! Questa volta, a ben nonsoquantigiorni dalla mia ultima fanfiction (ma ormai vi sarete abituati, ci vivo quasi, qui dentro!) inauguro una serie di cinque one shot, ognuna incentrata su uno dei cinque sensi. La coppia protagonista (indovinerete mai?) è ovviamente Sherlock/John!
Sperando di non aver fatto (cinque volte) troppo male, vi auguro buona lettura!

S.

 

 

Tatto

tàtto    ['tatto]
s.m.
Senso che, mediante il contatto con la pelle, permette di riconoscere la forma, la consistenza e le caratteristiche esterne di oggetti e persone.

*

 

 

 

Sotto la luce artificiale della lampadina, la pelle di Sherlock sembrava quasi risplendere, come se godesse di un proprio bagliore. Aveva tolto il cappotto e sfilato la sciarpa lanciandoli distrattamente sul divano, ma per John era stato decisamente meglio così. Meno capi d’abbigliamento aveva indosso, più Sherlock Holmes appariva terribilmente attraente all’ormai rassegnato, innamorato dottor John Watson.
Adesso il medico era in piedi, appoggiato allo stipite della porta ad osservare Sherlock chino sul suo microscopio, con le dita lunghe e affusolate che regolavano, ingrandivano e mettevano a fuoco con meticolosa dovizia. Avrebbe voluto sfiorare il volto di Sherlock, in quel momento.
Lo desiderava spesso, questo era vero, ma il solo pensiero di poterlo accarezzare durante quei lunghi pomeriggi, sere e notti passate a vagliare prove e analizzare indizi, dandogli un piacevole sollievo da quel lavoro lungo e stancante, lo faceva sentire…bene.

Sfiorò con la mente i riccioli scuri, immaginando la consistenza che avrebbero potuto avere tra le sue dita; toccò con la mente la linea della sua mascella, gli zigomi spigolosi eppure così perfetti, accarezzò con dolcezza, anche se solo con lo sguardo, la linea affusolata del collo e del mento. Il suo cuore prese a battere veloce come un treno quando immaginò di accarezzare l’arco perfetto e buffo delle labbra del detective con le proprie, dolcemente e con lentezza così da assaporare ogni piccola sensazione, ogni suo respiro, pelle contro pelle. John chiuse gli occhi, distogliendo l’attenzione dal suo coinquilino più che poté, anche se con scarsi risultati.

Ripensò poi, mentalmente, a quante volte Sherlock lo avesse sfiorato, da quando vivevano nello stesso appartamento e rimase sconvolto e deluso da quanti pochi dati la sua mente riuscì a racimolare. C’era stato qualche contatto fugace, una pacca sulla spalla, uno sfiorarsi accidentale, sovrappensiero. Ma mai nulla che fosse seriamente voluto, premeditato. E fu costretto ad ammettere che forse, ancor più che accarezzarlo lui stesso,  desiderava con tutto il cuore che Sherlock prendesse l’iniziativa. John sospirò. Si ritrovò a pensare, neppure fosse un sedicenne alla sua prima cotta, che ricevere anche solo una fugace carezza da Sherlock sarebbe riuscito a renderlo felice e euforico come mai nella vita. Peccato che con lui, che rifuggiva i contatti umani ed emotivi come fossero solo fonti di contagio, era più facile vincere alla Lotteria.
Perso in quella lunga e deprimente riflessione però, quasi non si accorse che Sherlock aveva abbandonato il microscopio per spostarsi verso il salotto, armeggiando nello scaffale dei libri, probabilmente alla ricerca di uno dei suoi testi da consultare per il caso.

John lo guardò, mettendolo a fuoco pian piano, come se fosse una malridotta macchina fotografica anteguerra. Seguì ogni suo movimento, rapito dal modo dolce e decisamente comico con cui si mordeva le labbra alla ricerca del libro.
“John, hai visto ‘Chimica Applicata’ da qualche parte?” domandò poi senza guardarlo, ancora assorto nella ricerca. John sussultò, come risvegliatosi da una sorta di trance.
Si guardò intorno e individuò il tomo di cui parlava Sherlock, che lui aveva provvisoriamente sistemato come fermaporta all’ingresso, date le dimensioni.

Quando lo porse al detective, questi sbuffò, osservando il viso del medico e il libro.
“Tanto lavoro, tanta ricerca, tanta dedizione da parte di qualcuno, per poi finire come fermaporta. Pazzesco” affermò, ma John vide una nota di divertimento sul suo volto. Prese il libro dalle mani di John e fece per tornare al suo lavoro. Poi però si bloccò, come colpito da qualcosa che lo aveva costretto a fermarsi. E quel qualcosa, John lo notò con un certo spavento, riguardava sé stesso.

Era come quando si cammina per la strada, guardando distrattamente le vetrine e all’improvviso si scorge qualcosa d’interessante. John si sentiva esattamente come un manichino in una vetrina, contemplato da un molto interessato passante.

Sherlock lo stava scrutando in viso, come se stesse cercando di leggervi qualcosa, qualcosa che John non riusciva a comprendere. Sherlock piegò la testa come per osservarlo da diverse angolazioni e poi annuì, con una certa soddisfazione.
Allungò una mano verso John e lentamente, con una grazia che il medico non si sarebbe mai aspettato, passò le dita tra i suoi capelli, accarezzandoli e scompigliandoli a piena mano, con attenzione, e scendendo poi piano verso la guancia, che accarezzò con dolcezza, una dolcezza che mandò letteralmente su di giri il già decisamente provato John.

Sherlock era come rapito, dal suo stesso gesto. John si sorresse allo stipite, senza parole.

“Hai tagliato un po’ i capelli, vedo. Stai…molto bene” disse il detective, zittendosi subito dopo, come se si fosse reso conto all’improvviso di ciò che aveva detto. Per una frazione di secondo al medico sembrò arrossire addirittura, ma John non era sicuro di poter far affidamento sui propri sensi, in quel momento. Sherlock gli aveva fatto un complimento. Sherlock Holmes l’aveva toccato, sfiorato, accarezzato, quasi. E non era drogato, ubriaco o quant’altro. Sherlock lo aveva toccato nel pieno possesso delle sue capacità fisiche e mentali.

“G-Grazie” John boccheggiò, rosso in viso come una specie di semaforo impazzito perennemente fermo sullo stop. Sherlock distolse lo sguardo e tornò velocemente al suo microscopio, affondando lo sguardo nel suo libro, come se puntare nuovamente gli occhi su John gli avesse fatto rischiare l’autocombustione.
Vivere con Sherlock era una continuo turbinio di sorprese, pericolose la maggior parte delle volte ma anche estremamente piacevoli e singolari come quella di poco prima.
John rise, incredulo, sollevato, eccitato.

 
E soprattutto, al diavolo tutto, veramente felice come un ragazzino.

 

 

*

  
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