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Autore: Sparrowhawk    29/03/2012    1 recensioni
«Sai bene cosa sto cercando di fare.»
«Per saperlo lo so, ma purtroppo non lo stai facendo come si deve ed io non ti capisco.»
Bisognava sempre spingerlo contro il muro, a quello, altrimenti col cavolo che diceva addio alla sua corazza di robot senza cuore cercando di venire incontro a quelle che erano le tue di esigenze.
Emise un altro piccolo sbuffo e poi, appoggiandosi allo stipite della porta, mise le mani in tasca prima di ricominciare a parlare. Iridi grigie incontrarono iridi marroni e allora, solo allora, percepii con distinzione il peso dei miei sentimenti verso di lui.
Pur non meritandoselo affatto, avrei continuato a perdonargli ogni torto, sempre, rimanendogli accanto come l’amica che mi vantavo di essere ma che, nella realtà dei fatti, risultava essere la peggiore delle mie mascherate. Questo non perché non fossi brava a mentire a me stessa e agli altri, fingendomi totalmente disinteressata nei suoi confronti, piuttosto perché vivere vicino a quel ragazzo come semplice amica mi metteva sempre nella condizione di doverlo vedere mentre se ne andava con un’altra.
Una persona che non ero io.
Una persona che non sarei mai stata io.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Tre: Questo bivio mi impone di fare una scelta.


Purtroppo, io e il coraggio, abbiamo avuto sempre un rapporto alquanto contorto. Ne possedevo da vendere quando si trattava di lottare per gli altri, ma quando si arrivava a parlare di me stessa la cosa cambiava ed io diventavo una pappa molle.

Il fatto che avessi un carattere debole era sempre stato alquanto ovvio, a dire il vero, eppure tutti sembravano stupirsi della facilità con cui mi arrendevo quando qualcosa o qualcuno mi remava contro, ponendomi di fronte a problemi che altri, probabilmente, avrebbero affrontato ad occhi chiusi. La cosa divertente, poi, se così possiamo definirla, era che tendevo e tendo ancora oggi a crearmi muri insormontabili anche da sola: non c’è mai stata una volta, sin da che ne ho memoria, in cui io non abbia avuto paura del futuro, paura di fare una qualsiasi mossa, fosse stata essa per andare avanti o, magari, per tornare indietro.

Il mondo è sempre stato troppo turbolento, per me, troppo pieno di cose che non comprendevo e che mi terrorizzavano.

Quando calava la notte e mi ritrovavo nel mio letto, sotto le coperte, a volte venivo colta da tanta di quell’ansia che dormire diventava praticamente impossibile. Ero assalita da mille dubbi, da cento domande, da idee che poi mi rimanevano anche durante il giorno impedendomi di godermi l’esistenza normale a cui tanto aspiravo.

Una delle mie domande preferite era “Perché vivere, se so che sono destinata a soffrire, in un modo o nell’altro?”.

Mi ponevo questo quesito in continuazione, senza sosta, quasi fosse un mantra.

Inutile dire che la risposta non riuscivo mai a trovarla e che, il mattino dopo, mi ritrovavo con due occhiaie spaventose e la prospettiva di una lunghissima giornataccia a scuola con gente che sorrideva allegramente mentre io, nella mia infinita stupidità, parevo essermi caricata di tutte le disgrazie della Terra.

Non capivo perché per tutti i miei coetanei, vivere, fosse semplice, quando per me era una simile condanna.

Non capivo perché dovessi pensare così tanto alle cose, piuttosto che passarci sopra con la solita noncuranza tipica degli adolescenti.

Non capivo perché, anche quando tutto e tutti mi venivano incontro e mi sostenevano, io mi sentissi in costante apprensione, come in attesa che qualcosa andasse male per forza di cose.

Così, anche l’unica volta in cui la mia intera classe mi dava coraggio per sostenere una difficile prova, me ne stavo là, in un angolo, a cercare di elencare nella mia testa le cose che mi avrebbero distrutta di lì a poco tempo.

Sapevo che ce ne stavano tante, me lo sentivo, e chiunque avesse provato a convincermi del contrario avrebbe ottenuto solo uno sguardo di totale dissenso da parte mia.



***



«Hai qualche suggerimento, per la canzone che dovrai cantare?»

L’insegnante che guidava la banda, un giovane ragazzo di massimo ventisette anni e dai capelli marroni, uscito con onore dall’Accademia di Musica della città, si avvicinò a me con il suo solito rassicurante sorriso, posando una mano sulla mia spalla e spingendomi un poco distante dagli altri, vicino ad una delle grandi vetrate dell’Aula che avevamo scelto per provare. Alzai gli occhi verso i suoi, scuotendo forte il capo sentendomi porre una simile domanda.

A dire la verità ancora non sapevo come ci ero arrivata, fra quelle persone, quindi l’idea che io mi fossi preparata pure delle scelte appariva alquanto assurda.

«Capisco.» disse allora lui, appoggiandosi al vetro freddo della finestra, alcuni spartiti stretti fra le mani «Non è una cosa semplice, eh?»

«…sinceramente...sono ancora scombussolata da tutto questo.»

Lui scoppiò a ridere, di cuore, donando anche a me un piccolo, innocuo sorriso.

«Ti abbiamo messa nei guai, mi dispiace.»

«Ma no, no…che va a pensare…» risposi «Piuttosto, spero di essere all’altezza delle vostre aspettative. Io non ho mai…trovato rassicurante l’idea di esibirmi di fronte a qualcuno.»

Cominciai a tormentarmi una ciocca di capelli, fissando il vuoto: al solo pensiero di ciò che sarebbe accaduto di lì a qualche giorno, una strana nausea mi saliva dallo stomaco, e la voglia di chiudermi in bagno a vomitare l’anima diventava così invitante che quasi speravo accadesse. Pur di non dover affrontare una simile impresa, perfino quella appariva come la migliore delle scelte.

«Se ti abbiamo scelta, un motivo c’è di sicuro, credi a me.»

Annuii, cercando in quegli occhi verdi un minimo di sicurezza in più.

Quel ragazzo la sapeva lunga, era ovvio, e la sua dolce espressione rendeva più facile ogni cosa. Era piacevole stargli accanto, ascoltarlo mentre parlava e ci rassicurava tutti, donando ad ognuno di noi la forza di andare avanti ed il coraggio di tirare fuori sempre nuove idee: io stessa, che di solito tendevo a tenere le cose per me, partorii proposte interessanti che contribuirono a rendere il nostro lavoro più facile e veloce.

Di cose da fare ne avevamo un sacco, questo era vero, però ce la cavammo egregiamente, ridendo come se, infondo, ci conoscessimo tutti quanti da anni. Era un poco come se stessimo facendo un gioco, al posto di un compito serio. Ci divertivamo così tanto che alle volte dimenticavamo addirittura l’ora e rimanevamo fino a tardi, con il professore, a provare, chiacchierare e quant’altro.

Dopo una settima, però, dovemmo cominciare a darci dentro seriamente, io in primis.

Gli altri cominciavano a spingermi per la scelta del brano ma, purtroppo, ancora non sapevo decidermi.

Era un saggio di Natale, mi dicevo, il che avrebbe dovuto restringere il campo a qualcosa di natalizio, ma più andavo alla ricerca di canzoni di quel genere meno riuscivo nell’intento di trovare qualcosa di interessante.

Prima o poi qualcosa doveva venir fuori, o altrimenti avrei mandato a monte l’intero spettacolo per colpa dei miei gusti difficili!

«Sono un vero impiastro.» esclamai un giorno, appoggiandomi alla spalla di Sebastiano «Non dovrebbe essere così complicato. È uno stupidissimo concerto, mica…chissà che!»

Lui non disse niente per un poco, sostenendo ancora lo stesso sguardo che gli avevo letto qualche tempo prima, il giorno della mia forzata audizione.

Da settimane ormai era sempre serio, silenzioso, e quando stavo con lui tendeva a non guardarmi negli occhi, quasi avesse paura che potessi scoprire qualcosa di indesiderato da quelle iridi a me tanto familiari.

Alzai un poco la testa, per guardarlo, e quando notai di nuovo il suo distacco mi misi in piedi di fronte a lui e lo fissai seria in volto.

Le mani sui fianchi, mi preparai a quella che sarebbe stata una bella strigliata da parte mia. Mi pareva strano doverla fare a lui e non ad Emanuele, ma come si suol dire “c’è una prima volta per tutto”.

«Adesso mi devi proprio dire che cosa c’è che non va.» cominciai «Cosa sono questi silenzi? Perché sei così distante, da un paio di giorni a questa parte? Ho fatto forse qualcosa di male senza rendermene conto?»

Al solo pensiero di averlo fatto soffrire od arrabbiare mi rabbuiai. Non mi andava l’idea che potesse avercela con me per un qualsiasi motivo. Come ho già detto, sentivo di avere un disperato bisogno di una cosa assolutamente certa, nella mia vita, e la mia amicizia con Sebastiano era una di queste: almeno lui doveva rimanere invariato nel corso del tempo, sempre pronto a darmi una mano, a farmi ridere, a farmi riflettere sulle cose per bene prima di dare di matto e combinare qualche guaio.

Io avevo bisogno della sua amicizia perché, da sola, sapevo già dal principio come sarei finita.

«Se…» sospirando, abbassai lo sguardo al pavimento, contemplando le mattonelle del corridoio di fronte alla porta della nostra classe. Una miriade di ragazzi lo stavano riempiendo per via della ricreazione ma, anche con tutto quel caos, io riuscivo comunque a sentire con distinzione il tempo scandito dai battiti del mio cuore. Avevo paura, tanta paura. «Se ti ho fatto qualcosa ti prego dimmelo. Ti chiedo scusa, anzi, subito. Non era mia intenzione ferirti.»

Solo allora l’altro sembrò riscuotersi e, alzandosi di scatto, mi prese per mano trascinandomi sulla rampa di scale d’emergenza, dove raramente qualcuno passava. Lì, dopo essersi guardato un attimo attorno, mi poso le mani sulle spalle e, serissimo, parlò.

«So chi ti ha iscritta alle audizioni.»

Corrugai la fronte, perplessa.

«…chi?»

L’arrabbiatura mi era passata, e così anche gran parte dell’ansia che avevo provato in principio – enorme bugia –, ma ad essere sinceri mi incuriosiva ancora quel grande mistero.

Chi aveva fatto una cosa del genere?

«Lo vuoi sapere davvero?»

«Direi…di sì. Insomma, tu non vorresti saperlo al posto mio?»

«Certo…ma non so se è una buona idea che io te lo dica.» continuò Seb, staccandosi e dandomi le spalle, una mano a riavviarsi i capelli «Ho passato queste settimane a scervellarmi, nella speranza di trovare un modo di dirtelo o, quanto meno, di comportarmi come se non ne sapessi niente…»

«Cosa che non ti è venuta molto bene.»

«Ecco appunto. Comunque...insomma, so per certo che sarai furiosa una volta che ti avrò detto chi è stato. Per questo sono stato zitto.»

Arrivata a questo punto la curiosità si fece ancora più grande.

Dovevo sapere, punto. Non c’erano più scuse per lui da poter usare.

Mi limitai dunque a guardarlo, tranquilla eppure implacabile.

«…ok, va bene.» disse, tirando un sospiro enorme «…è stato Emanuele.»

A sentire queste parole non emisi neanche un fiato, assolutamente esterrefatta. Non potevo credere a quell’affermazione, non potevo farlo pur rendendomi conto della totale crudeltà che quel nostro amico, alle volte, sapeva dimostrare. Avevo sempre saputo che non era un santo, ma mai avrei creduto possibile che quella sua malcelata cattiveria potesse riversarsi un giorno proprio su di me.

In un secondo caddi seduta su uno degli scalini, la mano che per un pelo riuscì ad attaccarsi al corrimano delle scale impedendomi di ritrovarmi lungo distesa a terra. Le gambe mi avevano ceduto e, ancora tremanti, sembravano riflettere la confusione che stavo provando dentro. Mi chiesi cosa avevo fatto per meritarmi un simile trattamento. Cosa, nel mio comportamento, lo avesse spinto a farmi un simile tiro mancino. Fra noi c’erano spesso dissapori, non lo avrei mai negato, però avevo sempre creduto che, infondo, tutto andasse per il meglio. Eravamo amici, e gli amici non si fanno del male fra di loro.

Evidentemente mi ero sbagliata.

«Sapevo che non avrei dovuto dirtelo.» piagnucolò Sebastiano, inginocchiandosi di fronte a me, preoccupato «Mi dispiace.»

Scossi il capo, lo sguardo perso nel vuoto.

«No tu…tu non hai nessuna colpa.» gli risposi, senza però guardarlo «Hai fatto ciò che reputavi giusto. Ti sei comportato da amico.»

Poi presi un respiro profondo, chiudendo gli occhi e passandomi una mano sul viso. Stavo raccogliendo le idee, indecisa sul da farsi: avrei potuto correre da Emanuele e vomitargli addosso tutta la mia rabbia, litigare con lui e magari non parlargli mai più, oppure potevo fare finta di niente, tenermi tutto dentro come se nulla fosse successo e come, del resto, facevo sempre quando si trattava di lui.

Mi ritrovavo insomma di fronte al solito, familiarissimo bivio.



Il giorno prima del concerto mi ritrovavo ancora a scuola, nell’aula magna, in piedi sul palco di fronte a dei sedili vuoti. Stavo provando da ore, cercando di immaginare come sarebbe stato cantare con tutte quelle persone a riempirli. Più ci pensavo più la voce mi si strozzava in gola, veloce, crudele, impedendomi di dare il meglio e di dimostrare ciò di cui ero capace.

Non riuscivo a concentrarmi, e questo non solo per la paura che mi attanagliava lo stomaco ma anche per ciò che Seb mi aveva detto.

Alla fine mi ero tenuta a distanza da Emanuele, sia per evitarmi un’inutile discussione – che sapevo non avrebbe portato a niente – che per salvaguardare lui ed i miei poveri nervi. Di tempo già ne avevo poco, se lo avessi speso a pensare alla mia rabbia non l’avrei più finita e avrei sprecato le mie giornate a crogiolarmi nella più nera apatia.

Sovrappensiero, piena di congetture tutte rivolte alla medesima persona, intonai una strofa senza errori o voce calante e, solo allora, udii il suono continuo e sicuro di alcuni passi. Subito alzai lo sguardo, corrugando la fronte. Pensavo di essere rimasta sola nell’edificio, ad eccezion fatta per i bidelli, ma forse avevo fatto male i miei conti.

Quando ebbi modo di riconoscere la persona che mi si stava avvicinando sospirai, scuotendo forte il capo prima di tornare a concentrarmi sugli spartiti che stringevo in una mano.

«Bell’accoglienza.» commentò lui, salendo con un balzo sul palco e facendosi sempre più vicino. «Io vengo a farti compagnia e tu neanche mi saluti?»

Non risposi. Anzi, lo ignorai proprio.

«Ah, già.» disse, alzando le spalle e cominciando a girarmi attorno «Dimenticavo che tu non mi parli più, da un po’ di tempo a questa parte. Come al solito ci sarà un motivo di fondo che mi sfugge totalmente.»

Ero felice che almeno fino a lì ci arrivasse. Insomma, ormai cominciavo a dare per scontato che la mente altrui fosse per lui un mondo a parte e difficilmente interessante, ma almeno per una volta era riuscito a mettere da una parte i suoi pensieri per cercare di capire cosa non andasse.

«Vediamo, da dove posso cominciare per spiegarti cosa non va?»

Improvvisamente mi sentii come rianimata, il desiderio di sotterrare l’ascia di guerra dimenticato, eclissato solo dalla voglia di rinfacciargli tutto il mio rancore.

Mi girai di scatto e, guardandolo dritto negli occhi, congiunsi le mani di fronte alle labbra, come uno di quei cattivi nei vecchi film di una volta, i quali erano pronti a dirne una davvero bella grossa.

«Forse sono arrabbiata con te perché sei un povero demente senza cervello, perché mi menti spudoratamente da quando ti conosco, perché mi dai costantemente buca senza pensare minimamente ai miei sentimenti…» cominciai, puntandogli un dito contro, i denti che piano piano si digrignavano sempre di più «O forse perché mi hai iscritta a quei provini senza neanche interpellarmi!»

Per un poco rimanemmo immersi nel silenzio, lui a sfidarmi con lo sguardo ed io decisa a non cedere di un solo millimetro, almeno per questa volta: esigevo delle risposte, volevo liberarmi di ogni dubbio ora che, come poche altre volte prima di allora, mi ritrovavo di fronte alla fonte dei miei problemi ricca di tutto il coraggio che mi serviva.

Sospirai, esibendo un’espressione stanca e oramai rassegnata.

«…perché?» domandai «Dimmi solo questo. Perché lo hai fatto?»

Emanuele, alzando gli occhi al cielo, scosse debolmente il capo di fronte a questa mia richiesta. Magari per lui appariva come una cosa ovvia, ma io faticavo ancora a comprendere che cosa lo spingesse ad agire a quei modi tanto astrusi e complicati.

«Puoi chiamarla gelosia, se ti va.» mi rispose, sicuro «L’ho fatto perché mi andava, ma soprattutto perché ultimamente sei sempre attaccata a Sebastiano e quasi non mi noti neanche.»

Se, ad una simile risposta, la mia mascella non si slogò per la sorpresa, ebbene, non avrei avuto più occasioni per un simile avvenimento.

Non potevo credere che si trattasse ancora di questo, di una cosa che non c’era e che, santo cielo, non ci sarebbe mai stata.

Io non ero innamorata di Sebastiano, come cavolo dovevo dirglielo!?

«Emanuele, per dio, leggi le mie labbra ed apri bene le orecchie: io non amo Seb!» urlai, gesticolando per bene come se la mia faccia già non esprimesse tutto il mio disappunto «Se gli sto così vicino è perché lui è il mio migliore amico, proprio come lo è per te! Cosa dovrei fare, ignorarlo solo perché a te non va bene che gli doni più attenzioni di quanto non faccia nei tuoi confronti? Ti rendi conto che mi hai punita per una stupidaggine del genere?!»

«Non è una stupidaggine, la mia è una convinzione.»

«Tu sei…sei completamente cerebroleso!»

Gli diedi le spalle e strinsi le mani in due pugni di fronte al petto, reprimendo la tempesta che, altrimenti, gli avrei volentieri scatenato contro: qualsiasi cosa facessi lui non capiva, non voleva saperne di capire ciò che io, nel profondo, provavo. Aveva completamente sbagliato persona e, se solo avesse saputo di chi io ero veramente innamorata, allora forse non ci sarebbe stato tutto questo caos in quel momento.

Fu allora che mi venne il lampo di genio.

Per togliermi d’impaccio bastava dire la verità, una volta per tutte e senza tanti giri di parole. Non dovevo mentire o nascondere i miei sentimenti, solo renderlo partecipe. Poco importava se mi avrebbe respinta. Ora come ora volevo solo uscire da quella situazione, dimenticare il grande equivoco ed andare avanti con la mia vita.

«Io…» aprii la bocca, sì, assolutamente intenzionata a parlare, ma quando mi rigirai per guardarlo, la sicurezza morì così come era nata ed io mi ritrovai ad abbassare lo sguardo «Io non…capisco come tu possa essere così egoista.»

«Come, scusa?»

«Pretendi che tutto il mondo giri attorno a te, ti comporti come se avessi il diritto di manipolare gli altri a tuo piacimento, costringendoli a fare solo ed unicamente ciò che desideri tu.» dissi «Beh, sai la novità? Non tutti sono disposti a darti il contentino, a viziarti come un bamboccio e a fare finta che tutto vada bene. Io non ne posso più dei tuoi capricci.»

L’altro aprì la bocca per ribattere, ma non gliene diedi il tempo.

Finalmente avevo cominciato a dire quello che pensavo senza trattenermi, non potevo permettergli di esercitare nuovamente il suo potere su di me.

«Sono stufa, Emanuele. Stufa. Nella tua testolina esiste solo ‘io, io, io’ ma, guarda un po’, intorno a te ci sono alcune persone che vorrebbero almeno provare a vivere la loro vita senza che tu crei loro problemi inutili e senza senso.» qui presi fiato e, risoluta, tornai a guardarlo «Da qui in poi abbiamo chiuso.»

«…chiuso?» lo vidi ridere, però non cambiai la mia espressione «Spero che tu non sia seria. Il mio era uno scherzo innocente.»

«Se solo mi avessi ascoltata di più, come un normale amico farebbe, avresti saputo che io…non volevo in alcun modo avere a che fare con tutto questo. Quindi il tuo scherzo innocente è per me un peso enorme.»

Emanuele fece un passo avanti, dimostrandosi ora più nervoso e poco a proprio agio.

Forse ero riuscita a smuoverlo.

«E quindi che dovrei fare?» continuò lui «Ignorarti da qui in poi come se non ti conoscessi?»

«Non lo so e non mi importa.» proferii io, muovendomi appena per dargli nuovamente le spalle ma venendo subito bloccata da lui. Mi prese per un braccio e mi trattenne lì, avvicinandosi ancora. Io lo fissai, fredda come il ghiaccio.

«Questo non è ciò che volevo.»

«Fatti tuoi. Avresti potuto pensarci bene, prima di fare lo stupido.»

«No, no, no…tu non puoi essere seria.» si sporse in avanti, ora preoccupato «Non voglio che non siamo più amici. Farò il bravo. Devi solo avere un po’ di pazienza in più.»

Lo guardai, senza sapere che cosa rispondere: con lui in fondo si trattava sempre e solo di questo, di avere pazienza, ma stava di fatto che io di pazienza non ne possedevo più. Ero così stanca, così affranta. Ero arrivata al punto di non sapere più per cosa stessi lottando.

«Non puoi lasciami andare e basta?»

Lo chiesi con un filo di voce, quasi senza fiato.

Dentro di me sentivo crescere uno strano sentimento, un’emozione trattenuta a forza per anni quando, invece, non avrei voluto fare altro che lasciarla esplodere come una bomba.

Lui strinse di più la presa sul mio braccio, guardandomi con una serietà quasi sconvolgente.

«No, non posso.» rispose, semplice e schietto «Puoi pensare quello che vuoi, ma per me non sei un giocattolo. Non lo sei mai stata. E voglio che tu mi rimanga accanto.»

«...vuoi, vuoi, vuoi...pensi sempre a te stesso.» esclamai allora io, sull’orlo delle lacrime «Mi fa male starti accanto, non lo capisci?»

Forse notando ciò che mi stava accadendo per colpa sua, Emanuele mi lasciò andare e, facendosi di un passo indietro, sembrò donarmi un poco della sua pietà, almeno per una volta.

«Qual è la cosa che ti farebbe stare meglio? Vuoi che ti lasci stare? Per...per sempre...?»

Una piccola parte di me stava dicendo “Sì, voglio questo. Desidero che tu mi lasci in pace una volta per tutte.”, però quando aprii la bocca per ripetere queste medesime parole non mi uscì neanche un fiato e, piuttosto, le mie mani tremanti andarono a prendere le sue, stringendole quasi inconsciamente. Alzai di poco il viso verso il suo e lo osservai per un tempo che mi parve interminabile prima che qualcosa di sensato uscisse dalle mie labbra.

«...stare senza di te mi farebbe stare meglio...ma...io... Vedi, io...ti...»

Non riuscivo a finire, non possedevo abbastanza coraggio.

Il mio destino era quello di rimanere nell’ombra per sempre, a sperare che un giorno, la persona che amavo, si accorgesse di me ed abbandonasse una volta per tutte il suo hobby di correre dietro ad ogni sottana che vedeva. Avrei passato così le mie giornate, sino alla fine della scuola, portandomi dietro la tenue speranza che, almeno il nostro ultimo giorno insieme prima del diploma, lui si sarebbe guardato nel cuore ed avrebbe capito di amarmi.

E alla fine, decisa a non vivere così la mia giovinezza, mi alzai sulle punte e, dando voce ai miei più reconditi desideri, posai un piccolo bacio sulle sue labbra. Confusa. Disperata. Ma anche stranamente appagata.

Volevo farlo da così tanto.

« ...io ti amo. Ti amo da morire.»

Ecco, dopo averlo detto avrei preferito che lui se ne andasse piuttosto di sentire le sue braccia a stringersi attorno alla mia vita. Già da sola pensavo d’essere un’inetta, una persona quasi spregevole nel mettere qualcuno in una orribile situazione con quelle due semplici paroline, con un “ti amo”. Non meritavo di essere abbracciata. O, più probabilmente, era lui a non avere alcun diritto di farlo.

«Io... scusami. Non mi ero reso conto che per te ero così... importante.»

Chiusi gli occhi a sentirlo.

Chiedeva scusa ma, guarda il caso, questa volta non mi sentii rincuorata.

Anzi, era un poco come se mi avesse appena tirato un pugno dritto nello stomaco.

E il peggio, lo sapevo, doveva ancora venire.

«Scusa se ora non ti amo. Tu sei... sei speciale, per me. Non capisco ancora come, ma sei speciale, e non voglio cancellarti.»

«...speciale però non basta più. Io voglio essere l'unica. Muoio quando ti vedo con lei...o con le altre.» sussurrai io, facendo leva sulle braccia e staccandolo da me, portandolo lontano. Avevo cominciato a dirgli ciò che provavo, tanto valeva continuare su quella strada. Ormai non c’era più la retromarcia. «Ti prego, piuttosto dimmi che mi odi. Che ti faccio schifo. Ti scongiuro.»

Ero seria. Per quanto assurdo, in quel momento ero dannatamente seria.

«Questo io non so se... se riesco a dirlo. Non è qualcosa che penso veramente, perciò non... non posso dirla. Io non ti odio. Non posso farlo e né mai lo farò.»

«Qui non c'entra più cosa vuoi tu. Preferirei sapere di...di non avere alcuna speranza piuttosto che averti qui, vicino, sentendo che in fondo un poco ti interesso.»

Lo vidi sussultare e, allora, trovai nuovamente la forza di guardarlo in volto. Quel bacio, lo stesso che poco prima mi ero concessa di dargli, anche se in principio era stato innocente, non era stato del tutto ignorato. Le sue mani, quelle grandi mani perfette che tanto adoravo, avevano sfiorato una mia guancia prima di scendere lungo i fianchi, in una stretta debole e leggera.

Sì, avevo capito che non gli ero indifferente.

Purtroppo lo avevo capito.

«...dimmi una bugia. Dimmela, ti prego...»

Emanuele prese un profondo respiro e si grattò un secondo la testa prima di donarmi ancora la sua attenzione. Abbozzò un sorriso, per quanto maligno potesse essere.

«...ebbene mi hai scoperto. Sei la prima che ha finalmente capito quanto mi piaccia tenere due piedi in una scarpa. Il mio problema non è l'odio. Come potrei odiarti quando mi soddisfi più di chiunque altra...?» mi sollevò il mento, tentennando per un breve lasso di tempo «In realtà non ho fatto altro che usarti... solo per divertimento. Tu per me non sei altro che un giocattolo.»

Rimasi senza niente da dire. Ero sconvolta, ferita certo, però non potevo lamentarmi. Avevo avuto ciò che avevo chiesto e, per una volta, Emanuele era stato capace di soddisfare una mia richiesta senza fare di testa sua compiendo un gesto che, alla fine, mi avrebbe resa ancora più schiava dei miei sentimenti per lui. Così, anche se conscia di averlo praticamente supplicato di dirmi quelle cose, potevo staccarmi da lui e magari dimenticarlo.

Sorrisi, le lacrime che solcarono nuovamente le mie guance.

«Bene…» dissi «Ora che abbiamo chiarito io...io devo tornare a provare. Sai il...c-concerto.»

Gli diedi le spalle e mi incamminai verso il microfono. Ai suoi piedi avevo abbandonato i fogli con i testi delle canzoni e, piegandomi in ginocchio, li tirai su distrattamente mentre piangevo come una povera bambina.

Quando lo sentii avvicinarsi, ma soprattutto quando si piegò vicino a me asciugando le lacrime con un fazzoletto, seppi di non avere più la forza di fuggire da ciò che rappresentava. Non potevo. Non potevo.

«Siccome sono un vero stronzo, verrò a vederti il giorno del concerto. E siccome sono stronzo il doppio applaudirò più forte degli altri.»

Singhiozzando, appoggiai la fronte alle ginocchia, stringendole al petto.

«...vieni, non venire...tanto la cosa non cambierà. Io continuerò a soffrire come un cane mentre tu, dall'alto della tua felicità, continuerai a vederti con lei. E con tutte le altre.»

«E allora lascia che stia anche con te.» rispose lui, quasi sconcertato. «È semplicissimo! Basta rimanere amici e tutto si sistema!»

«No che non è semplicissimo! Non lo capisci?! Devi lasciarmi stare!»

«Pronto...? Non voglio lasciarti.» rise «Ma mi spieghi che cosa stiamo facendo? Tu sei in lacrime e sembri disperata, mentre io cerco in tutti i modi di convincerti che sei speciale per me.»

Sollevai il capo e lo fissai, sconvolta. O non voleva capire o mi stava prendendo in giro.

«Io…ti amo. Ti amo tantissimo.» ripetendolo forse mi avrebbe compresa «Non voglio essere tua amica. Voglio…te. Solo te.»

Rimasta ancora una volta senza niente di furbo da dire, gattonai fino a lui e lo baciai di nuovo, quasi senza rendermene conto. Questo però non fu un contatto casto, anzi, si tramutò in un qualcosa di passionale, di sentito. Non riuscivo più a trattenermi ed Emanuele, che credevo essere il più confuso fra i due, ricambiò.

«Non lo capisci che voglio solo te…?»

«…anche io ti voglio. Davvero.» sospirò «…ma voglio anche Alessia e-»

«Va bene. Non mi importa.»

«Non ti importa?»

«No.»

Eccolo di nuovo, il mio bivio.

Stavolta una scelta dovevo farla, non potevo più optare per la scappatoia.

Baciandolo per la terza volta mi strinsi a lui e lo abbracciai, stretto, il cuore che mi batteva all’impazzata.

«…mi va bene anche…passare qualche ora con te.» ammisi infine, chiudendo gli occhi «Come se fossi la tua…ragazza. Non ti chiedo di lasciare Alessia. La ami.»

Qui mi staccai e, guardandolo, mi misi davanti a lui.

«Però se provi qualcosa per me…allora ti chiedo solo di dimostrarmelo.»

E quindi, sporgendosi verso il mio volto, stavolta fu Emanuele a baciare me. Mi strinse forte, costringendomi a farmi ancora più vicina mentre lasciavamo che tutta la passione che ci abitava il corpo venisse fuori in un colpo solo.

Sapevo che il suo non era amore, bensì desiderio, ma decisi di ignorarlo.

Per una volta ero stata coraggiosa anche se, lo ammetto, tremendamente stupida.








La voce dell'Autrice: Improvvisamente c'è la svolta. Mi viene da ridere a pensare a cosa accadrà dopo, e questo non perché sia una cosa esilarante - almeno, dubito lo sarà per chi sta leggendo questa serie - ma più perché i guai non faranno altro che aumentare. Ho sempre pensato che l'amore fosse una cosa complicata...però così tanto complicata non lo avrei mai detto.
Comunque! Almeno la fine di questo capitolo è dolce. In un certo senso. Diciamo che Angela fa di tutto per ignorare i propri errori, almeno quest'unica volta. Ci sarà infatti tempo, più avanti, per rendersi conto di tutto e pentirsi...ma non voglio rovinarvi la sorpresa ù.ù

Alla prossima!
  
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