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Autore: Sparrowhawk    26/02/2012    1 recensioni
«Sai bene cosa sto cercando di fare.»
«Per saperlo lo so, ma purtroppo non lo stai facendo come si deve ed io non ti capisco.»
Bisognava sempre spingerlo contro il muro, a quello, altrimenti col cavolo che diceva addio alla sua corazza di robot senza cuore cercando di venire incontro a quelle che erano le tue di esigenze.
Emise un altro piccolo sbuffo e poi, appoggiandosi allo stipite della porta, mise le mani in tasca prima di ricominciare a parlare. Iridi grigie incontrarono iridi marroni e allora, solo allora, percepii con distinzione il peso dei miei sentimenti verso di lui.
Pur non meritandoselo affatto, avrei continuato a perdonargli ogni torto, sempre, rimanendogli accanto come l’amica che mi vantavo di essere ma che, nella realtà dei fatti, risultava essere la peggiore delle mie mascherate. Questo non perché non fossi brava a mentire a me stessa e agli altri, fingendomi totalmente disinteressata nei suoi confronti, piuttosto perché vivere vicino a quel ragazzo come semplice amica mi metteva sempre nella condizione di doverlo vedere mentre se ne andava con un’altra.
Una persona che non ero io.
Una persona che non sarei mai stata io.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Due: Perché proprio io?


Anche la musica era sempre stata per me una grande passione.

Sin da piccola, assieme a mio fratello, mi ero iscritta a tanti di quei corsi per imparare a suonare un qualsivoglia strumento che, alla fine delle mie giornate, mi ritrovavo praticamente prosciugata di ogni energia. Da bambina era semplice seguire tante cose, interessarmi ad attività sempre diverse. Il tempo pareva costantemente dalla mia parte, ed ogni giornata era lunga quanto bastava per permettermi di darmi da fare e di godermi ogni singolo istante.

La scuola, gli amici, il ballo e, appunto, la musica.

Purtroppo non ho mai posseduto la giusta serietà per impegnarmi seriamente in ognuna delle cose in cui mi imbarcavo, però mi piaceva comunque provare cose sempre diverse, e sperimentare era per me una gioia continua. Negli anni della mia infanzia provai a suonare il flauto – come tutti, credo –, la chitarra ed, infine, il pianoforte. Ma mentre mio fratello diventava il migliore sia con uno che con l’altro, io mi riscoprivo ad amare una cosa in particolare della musica.

Certo, il suono di un piano era così dolce e suadente da farmi tremare le ginocchia alle volte, tuttavia c’era qualcosa di ancora più bello, per me. Qualcosa che mi mandava in estasi, che mi struggeva e affascinava di continuo.

Il canto era la massima espressione dei sentimenti umani, ai miei occhi.

Quando avevo modo di ascoltare qualcuno che si cimentava in un’esibizione, rimanevo totalmente rapita dalla sua voce, bella o brutta che la trovassi, e questo perché mi pareva talmente coraggiosa l’idea di imprimere ogni nostra emozione nella voce che alla fine mi ritrovavo incapace perfino di applaudire.

Volevo essere così anche io. Desideravo ardentemente di avere la possibilità di dire le cose che provavo al mondo, senza il terrore di essere derisa o schernita.

Parlare era sempre stato un arduo compito, per una come me, tanto introversa e con la testa fra le nuvole, eppure sentivo che perfino io avrei potuto far capire a tutti chi ero, cantando. In cuor mio sognavo che sarebbe bastata una canzone, una sola, e allora la mia psiche turbolenta e piena di incertezza sarebbe stata compresa da chiunque.

Serviva però la canzone per eccellenza, quella giusta.

Una melodia lenta, pacata, che sarebbe partita piano solo per finire in un maestoso crescendo. Le note di un pianoforte avrebbero accompagnato la mia voce con maestria, senza fallo e senza errori, ed una calda atmosfera avrebbe avvolto me e gli spettatori, unendo i nostri cuori e le nostre menti. Improvvisamente io non mi sarei più sentita diversa e gli altri, che fino ad allora avevano vissuto con una miriade di interrogativi a mio riguardo, finalmente avrebbero trovato le loro risposte.

Avremmo vinto tutti, insomma.

Era questo il mio piccolo, ingenuo desiderio.

A quel tempo mi sembrava la cosa più semplice dell’universo, ma crescendo capii che era decisamente più difficile trovare la canzone del cuore.

Che fosse stata creata da me o da un altro, non avrebbe dovuto avere importanza poiché ciò che contava realmente sarebbe stato il sentimento che avrebbe espresso. Doveva parlare di me, del mio animo, della vita che conducevo e, magari, di ciò che provavo verso gli altri.

Ma più andavo avanti nella mia esistenza e più mi convincevo che mai sarei riuscita in quella ricerca: diventavo grande ed il mio cuore si inaridiva, perdendo la capacità di affascinarsi per ogni cosa e anche quella di provare qualcosa di più dello sdegno e del risentimento.

Alla fine, compiuti diciotto anni, mi convinsi di non avere più speranze.



***



«Mi chiedo che canzoni faranno suonare alla banda quest’anno al concerto di Natale.»

Emanuele aveva fissato il proprio sguardo sul paesaggio oltre la finestra della nostra classe, quella che stava vicino al mio banco. Sia lui che Sebastiano si erano seduti vicino a me per l’intervallo, cosa che facevano senza il mio permesso e senza notare che io, magari, avevo la necessità di stare da sola.

Davvero, quei due mi davano un sacco di problemi, ormai la mia vita sociale era andata allo scatafascio per via del semplice fatto che avevo la fortuna – chiamala fortuna, per un caso in particolare – di essere loro amica: il più delle volte le altre ragazze o non mi parlavano o mi lanciavano frecciatine, insinuando cose che, lo avrei potuto giurare e spergiurare, non avevo neanche mai pensato di fare proprio con loro.

Sospirai, passando con noncuranza gli occhi sulla pagina del mio libro. Ero talmente abituata alle sue interruzioni che ormai sapevo leggere anche senza smettere di prestargli attenzione.

«Io mi chiedo come mai finiscono sempre col chiederti di suonare, al concerto, quando tutti sanno che non lo farai mai.»

L’altro sorrise appena, senza però smettere di guardare fuori.

«Perché sono il migliore, e lo sanno tutti.»

«Ah beh, mi pare evidente. Come ho potuto non pensarci da sola…?»

Sebastiano scoppiò a ridere di fronte alla mia totale insofferenza. Quando il nostro caro Emmy cominciava a lodarsi da solo, io scuotevo il capo e alzavo gli occhi al cielo, ricordandogli il famoso detto che recita ‘chi si loda si imbroda’. Questa volta avevo optato per dell’altro, ma di certo la mia nota di pungente sarcasmo non era mancata nel tono che avevo usato.

«Avrei giurato che ti chiamassero ogni anno solo perché tu li supplicavi in ginocchio di farlo, preso dalla smania di fare colpo su di noi!» disse, dandomi di gomito e facendo sorridere anche me «Sappiamo tutti che in realtà è questo il vero motivo.»

«Ma che spiritoso, il nostro Sebbolo! Davvero, sono basito! Hahaha.»

«A me è piaciuta, come battuta.»

«E certo, tu stai sempre dalla sua parte, figurati…»

Io non dissi niente, ignorando con estrema disinvoltura quella nuova, stupida frecciatina. Ancora non si era dato pace, quello, all’idea che i suoi due amici potessero avere una tresca. Avevamo tentato in ogni modo di fargli presente che non c’era assolutamente nessuna possibilità, per noi due, di metterci insieme, però lui non ne aveva voluto sapere. Era totalmente ignaro del fatto che ci vedessimo come un fratello ed una sorella, più che come un ragazzo ed una ragazza, e gli piaceva rimanere tale.

A volte è meglio far finta di non vedere le cose che ci stanno davanti al naso, e io ero di certo l’ultima a poterlo rimproverare per questa decisione.

Fra i presenti ero la prima a tenere nascoste, perfino a me stessa, tante piccole verità, sostituendole con bugie che mi rendevano la vita decisamente più semplice.

«Ok, ci hai scoperti.»

Mi voltai verso Sebastiano con sguardo interrogativo, senza capire cosa significasse quella risposta alla palese provocazione d’Emanuele.

«…siamo follemente innamorati. Angela ed io ci vediamo di nascosto da mesi, ormai, e durante le lezioni ci rivolgiamo sguardi carichi di parole non dette, attendendo con estrema difficoltà la ricreazione.» mi prese una mano, qui, sbattendo più volte i suoi occhioni «Non è vero, pucci pucci

Se non avessi compreso cosa stava cercando di fare e, soprattutto, se non fosse stato lui ma un altro esponente della categoria maschile, probabilmente avrei staccato la mano dalla sua e gli avrei mollato un ceffone sulla faccia, ma dato che ero sveglia e non mi perdevo mai l’occasione di prendere in giro Emanuele non feci nulla di tutto ciò e bensì giocai al suo stesso gioco. Mi avvicinai a lui e feci naso contro naso, ridacchiando mellifluamente.

«Oh, ma certo, ciccino!» risposi, senza fare una piega «Le ore che ci separano sono per me causa di pena infinita, lo sai.»

«Che dolce, la mia caramellina

«No, tu sei dolce, zuccherino

«No tu lo sei di più.»

«No, tu.»

«Tu.»

«Tu.»

Continuammo così per circa due minuti, trattenendoci a stento dal ridere, perfettamente consci che saremmo potuti andare avanti anche delle ore se l’altro non ci avesse staccati a forza, sbuffando e lanciando improperi ad entrambi.

Non sapevo se gli desse fastidio il nostro essere così affiatati – sempre come amici, eh –, ma di certo non disdegnavo quel genere di reazioni da parte sua: gli unici attimi in cui sembravo esistere, per lui, nonostante passassimo insieme gran parte delle nostre giornate, era quando un altro ragazzo mi si avvicinava. Allora, bofonchiando, arrivava e liquidava chi mi gironzolava attorno con un paio di paroline affilate come rasoi, finendo poi col tenermi il muso per un tempo indefinito, come a volermi fare una colpa di aver anche solo osato dialogare con qualcuno che non fossero lui o Sebastiano. In pratica, dovevo avere solo due amici maschi e, se possibile, dovevo dimostrarmi più affezionata ad uno in particolare dei due, mentre all’altro dovevo limitarmi a rispondere cortesemente.

Queste cose le sapevo, conoscevo bene la sua gelosia senza fine, ed un poco me ne compiacevo.

«Mi fate proprio ribrezzo, quando vi comportate così.» esclamò, causando l’ennesimo attacco d’ilarità da parte nostra.

«Se non vuoi che ci comportiamo così prova a piantarla di dire stupidaggini, Emmy.»

«Io non dico stupidaggini…e non chiamarmi Emmy.»

«Le dici eccome…Emmy

Infuriandosi, cominciò a litigare con l’amico di sempre per quanto, nelle loro discussioni, non vi fosse mai niente per cui valesse la pena di preoccuparsi: erano così uniti, Sebastiano ed Emanuele, che sapevo per certo che non si sarebbero mai persi di vista neanche per un secondo. La loro era una di quelle amicizie che andava avanti per sempre, stretta, importante, unendoli perfino nelle vite a venire. Era un rapporto di cui mi piaceva parlare nei miei racconti, che trascendeva il tempo e lo spazio, impedendo ad ogni fattore esterno di interporsi fra chi aveva la fortuna di possederlo con un'altra persona.

Per un breve lasso di tempo mi persi a contemplarli, rapita da un simile comportamento – ed anche dal modo in cui Sebbolo riusciva a dire Emmy, dando sempre più fastidio al compagno –, quando, improvvisamente, nella classe arrivò tutto trafelato un componente della banda della scuola.

Sgranai gli occhi, incredula di fronte a quella coincidenza. Stavamo parlando di loro solo poco prima!

«Ci serve una cantante!» strillò il ragazzo, il quale non era neanche della nostra sezione «Quella che doveva fare da solista ha la voce fuori uso per troppo affaticamento, lo spettacolo è fra tre settimane ed il dottore le ha impedito di tornare per almeno quattro. Ci serve una cantante!»



Alla fine, il gruppo d’infelici musicisti dovette rifare i provini da capo, riducendo il tempo utile a trovarla al minimo storico. Erano già tutti convinti del fiasco dell’intero concerto e, perfino io, che mai mi ero curata della sua riuscita, cominciai a preoccuparmi seriamente per lo spettacolo. Perché ero sempre impegnata a pensare per me, però la musica la amavo e mi sarebbe dispiaciuto non potermi godere l’annuale rappresentazione.

Sapevo che la bacheca nella hall, su cui le candidate scrivevano i propri nomi, nella speranza di essere prese, si riempiva giorno dopo giorno di nuovi iscritti però, il che un poco mi rincuorava. Almeno c’era dell’interessamento, cosa non sempre presente nelle scuole.

«Come mai tu non ti iscrivi, Angy?» mi chiese ad un certo punto Sebastiano, mentre camminavamo tranquilli per i corridoi dell’istituto «Sei brava a cantare.»

«E tu che ne sai?»

Nel domandarlo non potei fare a meno di diventare rossa, abbassando lo sguardo a terra. Non sapevo come lui sapesse una cosa del genere, né sapevo quando mi avesse sentita cantare, ma di certo avevo già la risposta pronta per la sua domanda. Mi strinsi nelle spalle e lo dissi, senza tanti giri di parole.

«…e comunque non se ne parla. Io non canto con altri che possono sentirmi.»

«Ma…beh, una volta sono stato colpito da un momento mistico e sono andato in chiesa. Ti ho vista, là, sul palco, a cantare.»

E ti pareva, l’unica volta che davo ascolto alle mie cugine mi ritrovavo con un compagno a vedermi. È ovvio. Queste cose succedevano solo a me, dannazione.

Alzai le spalle, noncurante.

«Mi avevano costretta a farlo.»

«Ho capito, ma sei brava.» continuò lui, facendosi più vicino ed abbassando pure la voce. Forse aveva intuito il mio imbarazzo. «Dovresti provare. Almeno fai il provino, se poi non ti prendono…meglio.»

«No no.» mormorai, scuotendo forte il capo. «Non posso. Mi vergogno. Non ci riesco proprio, giuro.»

Sebastiano sospirò e, mettendomi una mano sulla nuca, mi scompigliò affettuosamente i capelli prima di annuire e posare il braccio sulle mie spalle.

«Va bene, allora. Non insisto.»

Gli fui grata di tanta discrezione e, in particolar modo, gli fui grata per la sua gentilezza.

Non mi obbligava mai a fare niente, se non volevo, e anzi tendeva a darmele sempre vinte. Un poco come Simon, mio fratello.

Ecco un altro dei motivi per cui, mi dissi, gli avrei voluto bene per sempre.

Vicino a lui mi sentivo contenta, ben voluta, totalmente libera da quel genere di fraintendimenti in cui è facile incorrere quando si possiede un’amicizia con una persona del sesso opposto: a guardarlo, sentivo nel profondo che mai nulla avrebbe potuto incrinare quel piccolo, importante rapporto che mi ero guadagnata a fatica dopo tutto quel tempo.

Riuscire ad avere una persona accanto che non mi suscitasse certe emozioni era stato un traguardo per me, una sorta di avvenimento straordinario. Mai nella vita mi ero ritrovata ad avere qualcuno a cui mi ero talmente affezionata, da considerarlo importante quanto lo sarebbe stato un parente vero e proprio.

Speravo davvero che nessuno mi portasse via questa piccola gioia.

Almeno quella, chi di dovere, avrebbe potuto lasciarmela.



«Chi…chi può aver fatto una cosa del genere?»

Rannicchiata a terra, con la testa fra le mani, me ne stavo sul terrazzo della scuola, continuando a ripetere quella domanda come un disco rotto, nella speranza che tutto d’un colpo la risposta mi comparisse cristallina nella testa.

Qualcuno, in un attacco d’infinita crudeltà – e di demenza –, mi aveva iscritta ai provini della banda senza dirmi nulla, impedendomi non solo di picchiarlo a sangue ma anche mettendomi nella posizione di doverlo scoprire così, per puro caso, la mattina appena entrata dal grande portone dell’edificio.

Alzandomi dal letto avevo già intuito che sarebbe stata una difficile giornata, ma non avrei mai potuto credere che sarebbe stato per colpa di un simile catastrofico avvenimento.

Scossi il capo, sconcertata.

«È finita.» dissi ancora «Questa è la fine. La mia

«Suvvia, non è una cosa tanto grave.»

Emanuele se ne stava in disparte, le mani in tasca, come suo solito, e pareva quasi non dare peso a tutta questa faccenda. Ma, ancora una volta, non me ne stupii molto. Anzi, forse non me ne accorsi neanche, tanto ero presa da ciò che mi stava accadendo. Avevo sempre saputo che le cose diventavano importanti, ai suoi occhi grigi, solo se lo riguardavano in primis. Se si parlava d’altri perdeva subito d’interesse.

«Mi pare che tu stia esagerando. Devi solo cantare, capirai che difficoltà.»

Non ebbi la forza di controbattere poiché, in fondo, sapevo benissimo che aveva ragione: nessuno mi aveva chiesto di sacrificarmi andando in pasto ad un grosso drago, non stavo rischiando la vita e non mi sarei fatta del male se mai – mettiamo il caso – mi avessero scelta. Ciononostante avevo come l’impressione di avere una sorta di cappio al collo e, quella corda invisibile comparsa dal nulla, stava minacciando di farmi mancare il respiro da un momento all’altro.

«Vorrei solo sapere chi…» chiesi ancora, sull’orlo di una crisi isterica «…o perché.»

«Su, Angy. Adesso respira e…e vedrai che una soluzione la troveremo.»

Sebastiano mi prese per mano e mi fece alzare in piedi, dandomi un buffetto con tutta la carineria che possedeva. Leggevo nel suo sguardo una sorta di inquietudine, un pensiero che non poteva rivelarmi e che, lo vedevo, lo stava lentamente divorando.

Avrei potuto metterlo sotto torchio all’istante, se solo lo avessi voluto, eppure non lo feci. Ora non ne avevo la forza o, se vogliamo, non avevo proprio la testa per farlo.

«Non posso sistemare!» urlai «L’iscrizione non si può ritirare, lo capisci?! Sono incastrata! Se anche non mi prendessero comunque dovrei cantare di fronte alla commissione…e io non ce la faccio!»

Il pensiero di lasciarmi andare e scoppiare in pianti era così pressante da farmi venire il mal di testa, però trattenni un simile impulso, cercando tutta la forza che, da qualche parte, tenevo nascosta per gli attimi più critici.

«Non voglio cantare. Non voglio stare davanti a tutte quelle persone a…a farmi vedere dentro.»

Lo avevo detto, no?

Arrivata a quell’età ogni mio desiderio di farmi capire era svanito, sormontato piuttosto dal terrore di essere fraintesa. Trovavo più facile parlare dietro ad uno pseudonimo piuttosto – come di fatti facevo per il mio libro – che affrontare un intero pubblico, in attesa o di essere mangiata viva o di essere insultata. La certezza che le cose sarebbero andate male non me la dava nessuno, ma per quanto mi ci stessi impegnando non vedevo proprio come la cosa potesse volgere al meglio per me.

Ero in trappola.

Dovevo proseguire per forza, ringraziando il genio che mi aveva cacciata in quel guaio.

Sospirando, passai una mano fra i capelli e mi diressi verso la porta, pronta a prendere le redini del mio destino per quello che mi rimaneva di decidere: una volta salutati con un cenno del capo Emanuele e Sebastiano, mi dileguai dietro alla porta, scendendo le scale e dominando con decisione la mia paura.

Certo, arrivata di fronte alla porta dell’atrio mi bloccai, però durò poco.

Presi un respiro profondo, entrai, e dopo il mio bell’inchino cominciai a cantare la prima canzone che mi venne in mente.

Se non sbaglio fu Heaven.









La voce dell'Autrice: Chi può essere stato? Chi? Cielo, a mio avviso è una cosa piuttosto ovvia, e siccome confido molto nella vostra dote di investigatori (?) credo che anche voi sappiate bene chi abbia osate compiere un simile atto sconsiderato.
Non ho molto da dire, qui. Al momento ho la testa piena di insulti e, rivelandoli, potrei fare spoiler per i prossimi capitoli. Hehe! XD Quindi sto zitta.

Al solito ringrazio la mia cuginetta - la madre di Emmy e Sebbolo - per avermi permesso di inserirli in questa storia ù.ù Love you, my dear
  
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