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Autore: Doralice    29/03/2012    9 recensioni
L'amore, nell'accezione più completa e populistica del termine. Tachicardia ed eccesso di sudorazione alla presenza della persona verso cui si nutre il sentimento. Desiderio di possesso carnale. Futili fantasie a lieto fine. E vissero per sempre felici e contenti, risolvendo casi, bloggandoci su e dimenticando i pantaloni.
Non andrà così, e lo sai. Il che va a cozzare pesantemente col perché tu stia guidando all'una di notte verso Londra. Ma sono trascorsi mesi da quando la tua farsa ha perso la sua originaria utilità, facendosi superflua. Mesi in cui sei passato dal nasconderti dai cecchini di Moriarty al nasconderti da te stesso. È qualcosa che ha a che fare con gli sguardi pietosi di tuo fratello e con i frammenti che non riesci a mettere insieme. E sei stufo – degli uni e degli altri, ma sopratutto di stesso.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Quattro paginette per l'ennesima versione del Grande Ritorno. Breve ma intensa: angstangstangst e poi tanto ammmore, come piace a noi masochiste Sherlockian.






The Longest Night of Our Life


Sferoidi luminosi di plasma che generano energia nel proprio nucleo attraverso processi di fusione nucleare. Quante volte hai osservato questi inutili fenomeni astrofisici senza che essi suscitassero in te la minima reazione apprezzabile? Tutta la vita. Perfino adesso.

Perché non sono le stelle. Affermare che delle mastodontiche masse di gas che bruciano la loro energia a milioni di anni luce dalla Terra possano in qualche modo influenzare le tue emozioni, sarebbe illogico. È evidente che si tratta dell'associazione mentale che dalle stelle ti porta a pensare a qualcosa che ti suscita emozione.

È accaduto – e accade tuttora – ogni volta che in questi tre, lunghi anni la nebbia ha dato una tregua alla brughiera dove sei relegato e il cielo notturno si è ritrovato inaspettatamente scoperto. È accaduto – e accadrà sempre – solo a partire dal momento in cui, ormai solo della tua solitudine, hai preso la tua anima in disparte e ci hai fatto due chiacchiere.

Le hai spiegato con franchezza come il sistema binario del quale facevi parte si sia spezzato. Un'operazione che avrebbe dovuto essere relativamente indolore, non è andata esattamente come doveva. E il buio siderale ha inghiottito il tuo cuore di recente scoperta. Non sei più stato in grado di ritrovare la tua stella gemella. Colpa tua: sei così maldestro in certe cose.

Tutto quanto era stato preventivato si è puntualmente verificato, con il trascurabile effetto collaterale di spazzare via in una deflagrazione interiore quel poco di bello che c'era nella tua vita. Conti i frammenti, luminosi e brucianti. C'è una buona metà di te che è andata dispersa nel disastro delle tue azioni. Provi a rimettere insieme quel che ti resta, come un puzzle dai tasselli mancanti, uno specchio non ricostruibile. La tua immagine si rifrange mille volte, mille differenti te, accomunati dalla stessa menomazione, mutilati di qualcosa di vitale.

Non ci hai mai provato a colmare quel vuoto: avresti ridicolmente fallito. Perché si tratta di una mancanza unica e insostituibile, un bisogno di possessione che non è possibile tamponare con surrogati. Soluzione al 7% – come ai bei vecchi tempi – o intricati casi di spionaggio internazionale serviti su un piatto d'argento da Mycroft: del tutto inutili. Si riducono a labili distrazioni cui impegnare un cervello che non ha ragione di rifiutare un lavoro. Il lavoro nobilita l'uomo. Ma non riempie i vuoti dell'anima.

Sherlock Holmes è un uomo a metà. Il consulente detective dimezzato. Perso senza il suo blogger. Sarebbe ironico se non facesse male come una ferita aperta. Lasciarsi andare alla cancrena è giunta spesso nella tua vita come un'idea consolante, ma paradossalmente men che meno adesso. Sopravvivere a Moriarty fingendo la propria morte, infrangendo un numero rilevante di leggi, coinvolgendo i servizi segreti e mentendo alle persone che ami, non è qualcosa che possa trovare un finale degno nella disfatta del suicidio premeditato.

Devi qualcosa a te stesso e a loro. Devi qualcosa ad una vita negata, ad un sistema binario interrotto.

Così riapri sistematicamente quella ferita. Per ricordare, per sopravvivere. Il dolore per continuare a mantenersi in bilico sull'orlo dell'esistenza. La lama è sottile, ma tu sei agile, allenato a tenerti in equilibrio tra le tue idiosincrasie e un mondo in cui non hai mai trovato posto. Certo, all'inizio è stato difficile. Un anno e mezzo al fianco di una persona che riesce a trovare affascinante la tua natura disumana fino a far riemergere quel cuore che credevi morto alla nascita. Eri un po' fuori allenamento.

Lo sei tuttora. E continuerai ad esserlo. Lo dimostra quella ferita che continui a voler riaprire. Ha fatto più John in quell'anno e mezzo di inestimabile lealtà, che tu nei tuoi trenta e passa anni di misantropia.

Mycroft ti guarda con gli occhi pieni di pena, ma non ti secca. In fondo, riesci a scorgere in lui un'invidia per quell'umana condizione che hai vissuto e stai vivendo tuttora e che a lui è ancora sconosciuta.

L'amore, nell'accezione più completa e populistica del termine. Tachicardia ed eccesso di sudorazione alla presenza della persona verso cui si nutre il sentimento. Desiderio di possesso carnale. Futili fantasie a lieto fine. E vissero per sempre felici e contenti, risolvendo casi, bloggandoci su e dimenticando i pantaloni.

Non andrà così, e lo sai. Il che va a cozzare pesantemente col perché tu stia guidando all'una di notte verso Londra. Ma sono trascorsi mesi da quando la tua farsa ha perso la sua originaria utilità, facendosi superflua. Mesi in cui sei passato dal nasconderti dai cecchini di Moriarty al nasconderti da te stesso. È qualcosa che ha a che fare con gli sguardi pietosi di tuo fratello e con i frammenti che non riesci a mettere insieme. E sei stufo – degli uni e degli altri, ma sopratutto di stesso.

Così sei in auto e mentre ti sforzi di non applicare metodologie scacchistiche nel tentativo di prevedere le future mosse di John davanti al tuo miracoloso ritorno, ti ritrovi sotto il 221B di Baker Street. È notte lì come lo era nel Hertfordshire. Le stelle devono essere da qualche parte, là sopra, oltre le nubi e la copertura di luce della metropoli. Non le vedi, ma ci sono. Àncorati a questo pensiero mentre cerchi un'altra luce.

Miliardi di volte più piccola e miliardi di volte più vicina di una stella, unico rettangolo accesso di elettricità nei muri della strada silenziosa. Ti chiudi la portiera alle spalle e la osservi fino ad imprimertela nella retina. La sua macchia ti danza davanti agli occhi mentre copri quei tre metri di marciapiede che ti separano dal portone d'ingresso. La chiave è già nella tua mano. Ha atteso tre anni di essere presa dalla tasca ed è fredda contro le tue dita, come freddo è il sudore che ti sta colando tra le scapole.

Non ti premuri di fare piano. Se la signora Hudson continua ad avere il sonno pesante come una volta, sarà solo John, insonne per gli incubi, ad accorgersi della tua intrusione.

Ma adesso non rientrare nel loop delle manovre mentali e concentrati su quello che senti. Fallo, una buona volta. È più crudo di quel che immaginavi, come hai modo di rilevare, ma ormai non ti sembra più così difficile. Dopo tutto, hai avuto tre anni per prepararti a questo.

Per accettare l'odore familiare di the e la stampa della tappezzeria che ti accolgono all'ingresso. Il solito suono ovattato sotto le scarpe che pulisci sullo zerbino. Il movimento dell'aria provocato dalla porta che si richiude alle spalle, incastrandoti in quella gabbia di ricordi. Gli scalini di legno che scricchiolano uno dopo l'altro e la parete aspra che scivola sotto i tuoi polpastrelli.

Ti fermi così.

Ti fermi e si ferma anche lui.

Lui è immobile sulla soglia dell'appartamento. Una mano ancora stretta sulla maniglia della porta, l'altra che tiene la tazza di the che si è preparato nella speranza di riuscire ad ammazzare il tempo di quella lunga notte uguale a tante altre. Indossa uno dei suoi orribili maglioni, uno di quelli a cui hai ripensato centinaia di volte in questi anni. Non si è fatto la barba. I suoi occhi sono una barriera d'inconcepibile rifiuto.

Tu sei in piedi sul penultimo scalino. Le dita di una mano ancora ferme sulla parete, quelle dell'altra che tengono le chiavi. Indossi il tuo cappotto e la tua sciarpa blu, gli stessi con cui ti ha visto morire. I tuoi capelli sono un po' più lunghi. I tuoi occhi non sanno come aiutarlo.

E siete cristallizzati nel vostro osservarvi, nel vostro ritrovarvi, dopo anni luce di quel viaggio solitario al quale tu hai condannato entrambi.

Qui il tuo cervello ha un lasco infinitesimale di tempo che riesci a colmare con tutte le variabili possibili. Ci sono diverse conseguenze che con varie percentuali di probabilità possono verificarsi nel caso in cui due stelle incrocino le loro orbite:

  1. che si ignorino reciprocamente proseguendo nelle loro orbite separate

  2. che si respingano ai lati opposti dell'universo

  3. che una venga catturata dalla gravità dell'altra diventandone un satellite

  4. che formino un sistema binario

  5. che s'inglobino a vicenda creando un'unica entità

Vista la rotta intenzionale che hai impresso alla tua orbita, puoi escludere la prima ipotesi, ma niente ti dice che non sia John a volerti ignorare. Teoria non del tutto campata in aria, dato che il primo movimento che scongela la situazione è quello del suo braccio che richiude la porta.

Dietro il vetro smerigliato, la sagoma curva delle spalle, il profilo del volto fatto di tasselli di mosaico, dal punto di vista ottico appena intuibile, per te perfettamente deducibile in tutti gli angoli e le increspature.

Poi la porta si riapre. Quell'inconcepibile rifiuto si è trasformato in shock da accettazione e puoi vederne i segnali accrescersi assieme al suo respiro spezzato e al tremore diffuso. La tazza s'infrange sul pavimento di legno senza che nessuno dei due trovi utile prestarle attenzione.

John è in iperventilazione e fare un passo avanti non è una buona mossa. Si ritrae, infatti, la testa appena chinata in uno sguardo nuovo con cui ti fissa sottecchi. Chiude le dita a pugno e le riapre con un movimento nervoso, un avvertimento che tu ignori deliberatamente. Avvicinarsi lo alleggerirà del senso di colpa, facilitandogli il compito.

Incassi il pugno senza fare un fiato. È sempre stato bravo a menare le mani e non si è smentito neanche stavolta, come puoi constatare tastandoti il setto nasale incrinato. Adesso ti tocca respirare con la bocca, ma è poca cosa. Non importa, davvero. Cominci a sentire un bruciore che ha poco di fisico. Ed è un sollievo.

John pensa bene che quello sia il momento adatto per occuparsi della tazza. Ti chini anche tu e lo aiuti a raccogliere i frammenti bagnati di the. Curvi tutti e due sul pavimento, a constatare il danno, raccattando i cocci di qualcosa che si è infranto così tante volte da essere diventato schegge. Le vostre amabili schegge.

Quando le sue dita smettono di muoversi, lasciando cadere i frammenti, ti accorgi del suo pianto. È silenzioso – i soldati non frignano. John non frigna: non l'ha fatto al tuo funerale, non lo sta facendo nemmeno adesso. Non lo farà mai. Ma è umano e gli esseri umani, di solito, quando non sopportano qualcosa, quando non riescono a contenerla, la fanno sfogare sotto forma di lacrime.

Si passa il dorso della mano sulla fronte, John. Ed esala un sospiro che ti spezza in due, alimenta il bruciore e ti scava dentro fino a raggiungere quella ferita aperta, cauterizzandola.

E dopo ti ha catturato. È un'orbita instabile quella in cui ti fa crollare. Un'orbita fatta ti braccia forti ma impacciate e rumore di stoffa e i vostri piedi che slittano sul pavimento. Un'orbita che sa di paura e dolore e odori ritrovati. Un'orbita umida di the e lacrime e sangue. E quando i vostri respiri s'incontrano, anche di altro.

È con una certa fatica che riuscite sincronizzare l'inclinazione delle vostre teste – destra, sinistra, insomma da che parte? – e con non poche difficoltà respiratorie che riuscite a baciarvi.

Sono due frammenti che non hanno mai avuto modo d'incastrarsi. E non è il momento giusto, ma c'è qualcosa che v'impedisce di pensare. C'è qualcosa che non riuscirete a fermare. A volte capita. Una manovra sbagliata, un calcolo errato, un'interferenza imprevista.

Questa cosa giusta nel momento più sbagliato vi sta facendo annaspare sul pavimento in un intrico di arti e vestiti e parole spezzate. Tra la tua esperienza paragonabile a quella di un seminarista e la ritrosia così borghese di John, riuscite a ristabilire una specie di equilibrio tra le parti e a risollevarvi – letteralmente e metaforicamente – da quella situazione.

Poi in qualche modo arrivate alla stanza di John ed ecco che ha modo di riemergere una vaga eco della vostra coscienza. Potete riprendere fiato e fermarvi un momento a contemplare cosa sta succedendo. Asciugarvi a vicenda gli umori che vi imbrattano il volto, chiedendovi vagamente se e quanto trattenervi. John sfiora con delicatezza disumana il naso che ti ha rotto con quella stessa mano. E tu chiudi gli occhi, deglutendo l'emozione di quell'assoluzione totale, di quell'atto di fiducia incondizionata.

Potreste frenarvi adesso e sapreste entrambi che sarebbe la fine – completa e definitiva – di un embrione mai nato e la rinascita – incerta e pericolosa – di qualcosa che è morto da tre anni. La prospettiva di quella soluzione ti sta uccidendo e francamente preferiresti morire in un altro modo.

Dopo tutto, c'è ancora un'ultima ipotesi sulle conseguenze che può portare l'incontro tra le vostre orbite.

Quanto sei disposto ad annullarti, è tutto da vedere. Ma d'altra parte la natura delle stelle è ancora largamente sconosciuta e il loro comportamento difficilmente prevedibile. Un dato di fatto che non toglie niente a quello che sta succedendo tra di voi.

Nuovi frammenti si disperdono ad ogni vostro movimento. Cerchi un nesso tra di loro e ti accorgi che questi stanno lentamente scivolando senza soluzione di continuità tra te e John. Vi danzano sulla pelle e tra le vostre lingue e nell'aria ferma rotta dai vostri respiri soffocati. E lo senti già. Devi imparare a pensare in maniera diversa, ma lo senti già. Sarà così difficile e incomprensibilmente bello.

Sherlock Holmes non è più mutilo del cuore. Non lo sarà mai più.


   
 
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