QUATTORDICI FEBBRAIO.
La sveglia suonò, sempre alle sei e trenta, sempre
puntuale nel suo essere così rompiscatole.
Kristah fu costretta ad alzarsi per
scendere a fare colazione, ma questa volta non poté guardare la puntata di
Buffy, perché Alina era in piedi, davanti al televisore, mentre cercava un
canale decente.
“Giorno, Ali”, le disse la sorella, mentre si faceva versare il caffè dalla
madre.
“Giorno mamma”, concluse, prima di andare a sedersi sul divano.
“Ali,
che stai facendo?” le chiese Kristah, mentre si svegliava lentamente.
“Cerco un
canale decente, che mostri qualcosa che mi è mancata tantissimo dell’Italia. Il
cibo!”, esclamò sua sorella, mentre si sedeva sul divano accanto a lei.
Passa qui il
telecomando.
Devo finire di vedere Buffy”, le disse Kristah, tendendo la mano
verso sua sorella, che le passò il telecomando, controvoglia.
“Tesoro, oggi è sabato”, le ricordò la madre.
Kristah impiegò qualche secondo a
collegare la frase che le aveva detto la madre con il suo telefilm.
Buffy non
veniva trasmesso il sabato mattina, e lei era l’unica in piedi e che sarebbe
andata a scuola, quel giorno.
Mise la tazza nel lavandino e salì di sopra.
14/2/2012. –San Valentino.-
pensò Kristah, mentre sceglieva cosa indossare.
Si
mise ad intonare la canzone dei Simple Plan.
“I remembered every word you said
… We were never gonna say goodbye,
singing la da da da”.
Optò per una maglia a maniche lunghe, con una delle sue frasi preferite:
“Sorry, I can’t be perfect”, la indossò con un paio di Levi’s neri, e scese di
sotto, con le scarpe in mano, per non svegliare i fratelli.
Alina le chiese se
volesse uno strappo fino a scuola, ma Kristah rifiutò, ricordando la
conversazione avuta il pomeriggio precedente con Katia.
Arrivò alla fermata del pullman in largo anticipo, e fu
costretta ad aspettare mentre gli altri arrivavano.
Si mise le cuffie e
incominciò ad ascoltare la musica, per isolarsi dal mondo, come le piaceva
fare.
Improvvisamente un paio di braccia
le circondarono la vita.
Si sfilò le cuffie e si girò.
Marco, ovviamente.
“Buongiorno”, le sussurrò all’orecchio, prima di darle un bacio.
Lei lo
abbracciò, e prima che arrivassero Luca e Matteo si scusò con lui, per quello
che aveva fatto la mattina precedente:
“Mi dispiace così tanto, non so nemmeno
cosa mi sia preso”, cominciò, le parola uscivano da sole, mentre lei pensava a
tutt’altro
Mi piace Daniel, e volevo dargli un bacio prima che partisse, ma non volevo rovinare tutto con il mio migliore amico.
E lasciarti dopo nemmeno ventiquattro ore, farebbe di me una stronza di prima categoria.
Per questo motivo sto sparando un sacco di balle, e .. la vuoi sapere una cosa divertente?
Sono le stesse frasi che propinano nei film!
Non ho nemmeno bisogno di pensare a quello che dico, perché … beh, perché ormai ci sono abituata! –
“io … a me non piace Daniel, è solo che è così dura vederlo
trasferirsi dall’altra parte del mondo!”, e qui le lacrime iniziarono a cadere
“E’ dura dovergli dire addio, in questo modo, e
… non ho nemmeno avuto il tempo di farlo come si deve, perché … parte domenica
e …
O mio Dio, sono così fortunata ad averti trovato, Marco!”
Questa è da Oscar, ragazzi!
Sono o non sono un’attrice nata?-.
Marco non le lasciò terminare il suo discorso, perché le prese il viso tra le
mani e la baciò, segno che le aveva creduto.
Ora, Kristah non era cattiva o cinica, o incazzata con il
mondo.
Aveva solo imparato come vivere.
Se vuoi avere qualcosa, che fa male ad
altre persone, puoi anche mentire, perché tanto tutti mentono, e quindi nessuno
può essere completamente sincero.
Aveva mentito a Marco perché non voleva
essere sola, e lei lo sapeva questo. Il vuoto che avrebbe lasciato Daniel, non
solo come ragazzo a cui andava dietro, ma anche come amico, sarebbe stato
enorme.
Non sarebbe potuto essere rimpiazzato con uno schiocco di dita.
Aveva
bisogno di un’ancora di salvezza, e in quel momento, quell’ancora era Marco.
Gli altri due arrivarono, un paio di secondi prima del
pullman, e Kristah si sedette accanto al suo “ragazzo”.
Arrivarono a scuola, in
quello che verrebbe definito “in men che non si dica”, perché Kristah era
immersa nei suoi pensieri.
Il giorno prima era stato l’ultimo giorno di Daniel
a scuola, e lei non lo aveva nemmeno salutato.
Era stata stupida, eppure il
bacio non le era sembrato una cattiva idea.
Entrò nell’atrio e trovò la bidella
con un casco da moto stretto in mano.
“Ambrosini?”, disse mentre Kristah le
passava accanto abbracciata a Marco.
“Sì?”
“Mi hanno detto di darle questo”, le disse mentre le porgeva il casco “e
questo”, concluse mentre le porgeva un biglietto.
Kristah prese il casco e se
lo mise al braccio, per aprire il biglietto.
C’è una sorpresa”.
Kristah si diresse verso i ragazzi e gli disse che si sarebbe allontanata
un momento.
Non aveva voluto rispondere a nessuna domanda riguardante il casco
o il biglietto.
Uscì dalla porta sul retro, dove trovò alcuni ragazzi del
quinto anno a fumare, si diresse nel parcheggio dove l’aria pungente di
febbraio le pizzicava le gote, facendole diventare rosse.
La prima cosa che vide fu la Ducati di Daniel, e poi, alzando gli occhi dalla
moto, lo vide appoggiato alla rete del parcheggio.
–Continua a camminare, Kiki,
non hai il cuore in gola, Kiki.
Questa non è l’ultima volta che lo vedrai-,
tentò di convincersi, ma proprio sull’ultima affermazione, gli occhi le si
velarono di lacrime, e una di quelle tante lacrime le sfuggì dall’occhio
destro.
“Forza, Principessa, metti il casco”.
Kristah strabuzzò gli
occhi.
“C-cosa?”, chiese con voce tremante a Daniel, mentre lo fissava.
“Metti
il casco”, le ripeté lui in modo più chiaro.
“Okay, ho capito, ma, perché?”
“Andiamo a fare un giro.
Ti devo portare in un posto”
–Mi deve portare in un
posto.
Eh, certo.
Il tuo migliore amico che sta per trasferirsi in America ti
dice che ti deve portare in un posto misterioso, e tu … e tu sali sulla sua
Ducati, solo perché è lui- pensò Kristah mentre si allacciava il casco e si
aggrappava a Daniel.
“Chiudi gli occhi”, le disse lui, con voce calma, mentre
metteva in moto.
“Fatto”, le disse lei.
–Ottimo, anche questo, ora.
Chiudi gli
occhi Kiki, te lo dice Daniel, allora lo possiamo fare!-.
Sentì le gomme stridere sull’asfalto ancora umido, e si lasciò completamente
andare.
Si stava allontanando dalla scuola, questo era sicuro, ma non sapeva
dove Daniel volesse portarla.
Il traffico che si formava perché le persone andavano a fare la spesa nei centri commerciali, perché uscivano a fare shopping.
Delle persone che si incontravano alla stazione, dopo una settimana lontane.
Il sabato mattina, per Kristah era la mattinata delle coppie che uscivano per andare a fare una passeggiata al parco, senza preoccuparsi del mondo che c’è fuori.
“Siamo arrivati”, le disse Daniel, smontando dalla moto.
Kristah si sfilò il casco dalla testa, prima di aprire gli occhi.
La bocca le
si spalancò per lo stupore.
“Perché siamo davanti a casa tua?” gli chiese lei,
con il casco ben stretto in mano, mentre cercava di sistemarsi i capelli.
“Perché voglio farti una promessa, Kristah”, le disse Daniel solennemente.
La
ragazza strabuzzò gli occhi:
“U…Una promessa”, ripeté confusa.
Si chiese che
genere di promessa avrebbe potuto farle, e per la prima volta in tre settimane
di cotta per Daniel non pensò a lui come il ragazzo che le piaceva ma che non
ricambiava il suo sentimento.
Aveva messo la sua cotta in una scatola, senza
sapere quando e perché, ma ora riusciva a pensare a Daniel soltanto come suo
migliore amico.
Il ragazzo, intanto, si era allontanato dalla moto, e si era messo davanti a
Kristah, per poi girarsi e guardare la casa nella quale aveva vissuto tutta la
sua vita.
Suo padre si era trasferito spesso, ma la madre aveva insistito per
restare ferma in un posto, almeno fino a quando Daniel non avesse avuto l’età
per scegliere cosa fare.
Il patto non era stato rispettato, ma il padre di
Daniel non aveva voluto sentire ragioni:
“Fino a che non avrà diciotto anni,
resterà sotto il nostro stesso tetto, Alice! Sono stato chiaro?”.
Kristah vide l’amico scuotere la testa, e voltarsi di
nuovo verso di lei.
Non interrompermi, come fai sempre”, le disse, facendo spuntare il sorriso sulle labbra di entrambi.
“Una promessa che ho intenzione di mantenere. Kristah”, continuò con un tono galante e ufficiale:
“Ti prometto che non appena avrò
compiuto diciotto anni, quindi tra cinque mesi e qualcosa, mi spiace ma non ho
fatto in tempo a contare i giorni, io sarò qui.
Tornerò qui, perché questa è la
mia casa.
Mi sentirai ogni giorno, e sembrerà che io sia andato a fare un
viaggio”
“Possiamo solo dire che se la nostra amicizia sopravvive a questi cinque mesi
di distanza, può sopravvivere a tutto”.
Kristah, per spezzare la tensione che
sentiva nell’aria, e che sentiva dentro, come la corda di una chitarra appena
pizzicata disse:
“Come gli scarafaggi, principessa”, gli disse lui, annuendo e abbracciandola.
Lei ricambiò l’abbraccio, senza nemmeno più pensare alla cotta che le era
venuta.
Probabilmente era una cosa passeggera, passata nel giro di tre
settimane e con l’aiuto di un trasferimento dall’altra parte del mondo.
Rimasero lì, abbracciati, mentre il mondo continuava a girare.
NOTE DELL’AUTRICE:
Ho voluto lasciarli abbracciati, perché è così che mi immagino i due amici.
L’addio perfetto, che sembra un arrivederci.
Se avete letto tutta la storia, vi meritate un premio.
So che non posso materialmente presentarmi a casa vostra e consegnarvi una
statuetta tipo quella dell’Oscar.
Quindi dovrete accontentarvi dei miei
ringraziamenti più sinceri.
GRAZIE, GRAZIE E ANCORA GRAZIE, per aver letto
qualcosa come 20 mila parole, che raccontano la settimana di un’adolescente
speciale.
Poi, ci sono un paio di cose che voglio chiarire, anche se nessuno me le ha
chieste, ma mi sento in dovere di farlo.
Kristah Isabella Denise Ambrosini, vi
avevo messo il link dell’immagine nel primo capitolo, e ora ve la descriverò io
per come me la immagino: poco meno di un metro e sessanta, capelli marroni e
occhi nocciola, nessun segno particolare.
Daniel Casella, okay, Daniel è Daniel.
Il tipico ragazzo figo ma stronzo.
Non
ho mai descritto il colore dei suoi occhi perchè, non riesco a trovare un
colore per i suoi occhi.
So soltanto che è alto, ha una Ducati rossa ed è
castano.
Marco Matelda.
Sì, lui invece è il tipico compagno di classe carino, ma non
troppo figo per attirare l’attenzione su di sé.
È alto, pure lui, tanto quanto
Daniel, quindi, diciamo entrambi sul metro e settantacinque, moro con gli occhi
marroni.
Mh… Penso di avere finito.
Di nuovo un ENOOOOOOOOOORME Grazie a tutti, con la compagnia di un Bacino.