Comatose.
Piombato in
un coma profondo, Dean lottava nel reparto di rianimazione del Charity Hospital
di Boston. Giorni durante i quali le sue cellule cerebrali avevano ingaggiato
una battaglia senza esclusione di colpi per non sprofondare in coma
irreversibile. Due mesi affondato nelle tenebre del proprio cervello. Perché,
se il corpo di Dean aveva smesso di svolgere le sue funzioni e se il cervello
aveva tagliato tutte le connessioni che lo collegavano a quel fascio di muscoli
inermi, la sua coscienza era rimasta misteriosamente intatta, come un fusibile
che continua a funzionare dopo un cortocircuito. Così Dean percepiva da molto
lontano i rumori attutiti che lo circondavano, le correnti d'aria che gli
sfioravano il viso, i rumori della città che entravano dalla finestra socchiusa
e i movimenti delle infermiere al suo capezzale.
L'avevano messo sotto assistenza respiratoria: un getto d'aria gelida a ogni espirazione meccanica della macchina, la pressione del pistone che gli dilata i polmoni e poi li lascia svuotare prima di soffiare la dose successiva; il sibilo del mantice che sale e scende nella sua sede di vetro, lo stridore dell'elettrocardiografo collegato alla macchina. Un universo sintetico i cui rumori giungevano fino a lui come attraverso uno strato di cemento. O una lastra di marmo. Come se Dean, prigioniero di se stesso, fosse stato deposto nel raso di una bara che era stata richiusa, prima di scendere nell'oscurità glaciale di una tomba. Come se, avendo diagnosticato il decesso del suo corpo senza preoccuparsi di quello del suo cervello, un medico esausto avesse firmato l'autorizzazione per l'inumazione. Dean, morto vivente, condannato per sempre a errare in se stesso senza che nessuno potesse sentire le grida che lanciava nel buio.
Talvolta, quando la notte avvolgeva l'ospedale e lui riusciva a addormentarsi nel suo coma, gli succedeva di sentire la pioggia battere sul marmo della sua pietra tombale e gli uccelli che venivano a beccarvi semi abbandonati dal vento. Riusciva perfino a captare lo scricchiolio della ghiaia sotto le scarpe delle famiglie in lutto.
Talvolta, quando il suo cuore spossato smetteva all'improvviso di battere e il poco di coscienza che gli restava vacillava come una candela, Dean moriva in sogno. Si abbandonava al freddo immenso che lo invadeva. Allora la sua mente si irrigidiva come un bambino preso dal panico nel cuore della notte e, mentre gli strumenti si mettevano a suonare, lasciava sfuggire un grido di terrore che non oltrepassava mai il confine delle sue labbra.
Quando gli allarmi si azionavano, captava l'eco di voci lontane come quelle che si sentono quando si nuota sott'acqua. Voci allarmate che non venivano da nessuna parte, voci che lo avvolgevano e lo sommergevano. Ogni volta, aveva sentito mani strappargli la camicia e fargli un massaggio cardiaco, premendo sullo sterno per costringere quel muscolo zuppo di sangue a battere, mentre aghi gli trafiggevano le vene. Un pizzicore all'inizio, poi l'insopportabile bruciore dell'adrenalina di sintesi che si diffondeva nell'organismo. Due placche metalliche si posavano poi sopra il suo petto e un fischio acuto riempiva l'aria. Quindi, mentre una voce lontana gridava qualcosa che Dean non capiva, il suo corpo si impennava violentemente sotto il flash bianco della scarica. Lo stridore dell'elettrocardiografo che si imballa, il sibilo del defibrillatore che riempie gli accumulatori per la successiva scarica. Le placche metalliche sfrigolano sulla pelle di Dean... Una nuova esplosione di luce bianca gli raggiunge il cervello. Il cuore si contrae, si ferma, e di nuovo si contrae e si ferma. Poi fibrilla e si rilassa, si contrae e si distende. Ogni volta che il suo cuore era ripartito, Dean aveva sentito il soffio gelido dell'ossigeno penetrargli di nuovo nella gola e dilatargli i polmoni. Aveva sentito le arterie gonfiarsi e le tempie pulsare sotto la pressione del sangue che ritornava a circolare. Il polso aveva ricominciato a battere come un martello nel silenzio. Infine, le voci intorno a lui si erano acquietate e una mano fredda aveva asciugato i suoi capelli fradici. Dean, prigioniero di se stesso, ricominciava allora a fluttuare tra le acque. Dean, atterrito, non riusciva a morire.
Spero la lettura sia stata di vostro gradimento; vi prego, non linciatemi perchè riporto in fiction sempre e solo i brutti episodi di Jensen. çwç