Fanfic su attori > Alex Pettyfer
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Autore: Misses me    29/03/2012    1 recensioni
Una ragazza londinese investita proprio mentre stava andando all'università per volere dei genitori, ma questo incidente cambierà la sua vita e la costringerà ad affidarsi anche agli altri e a vivere per se stessa... Commentate please per farmi sapere che ne pensate e se la storia riscuoterà successo pubblicherò altri capitoli, baci baci.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Pronto» «Ciao tesoro che cosa fai?» «Guardo la tv» «Sei sola?» «No» «Oh, giusto Sarah vero? Me l’avevi detto... che testa» eh già penso e poi rispondo: «Già». Alex intanto sta avvicinando l’orecchio al telefono per origliare la conversazione, senza neanche pensarci prendo il cuscino che tengo stretto sulla pancia e gli tiro una cuscinata così forte da farlo cadere sulla schiena. «Cazzo, che male Helen...» «SSSHHHHH» ... ”Tesoro ma quella è la voce di un ragazzo... un futuro marito magari...” Alex si riavvicina al telefono. «Non è nessuno, è solo il ragazzo di Sarah...» «Sai che non tollero ragazzi in casa soprattutto se non possono diventare qualcuno nella tua vita. Comunque fingerò di crederti... Non ci sei andata a letto vero tesoro?». Urlo: «No mamma. Mi ricordo di quel cazzo di contratto, non ti preoccupare non mi devi rinfrescare la memoria su che cattivo genitore tu sia sempre stata, me lo ricordo benissimo.» Riattacco. «Alex, puoi togliere i fili del telefono?» mentre prima si stava letteralmente sbellicando dalle risate, ora riprende un contegno che non gli avevo mai visto prima e segue alla lettera i miei ordini. Non mi sento abbastanza forte e sicura da mettermi a piangere davanti a lui, ma le lacrime che sgorgano a mo di fontana non sono esattamente d’accordo con me. «Dai, non piangere adesso non ti potrà più richiamare e fare soffrire ancora. Hai il cellulare spento?» annuisco tremando impercettibilmente. «Lo vedi allora? Perché piangere, non si merita le tue lacrime... e poi come si permette di chiederti se siamo stati a letto insieme? Mi viene voglia di farle un video in HD con tanto di angolazione degna di Spielberg quando succederà, io l’avrei mandata a fan culo!» Lo dice con una tale sicurezza nella voce che non mi sento di dissentire o smentire quella che sembra una predizione più che una frase vera e propria. Voglio solo morire, morire e sentirmi viva. «Scusa, puoi andare a prendermi il pacchetto extra di fazzoletti sotto il lavandino? «Certo e tu tirati su intanto, non voglio più vederti ridotta così per colpa di tua madre intesi?» «Mm» «Vado e torno». Aggrappo le stampelle e sempre singhiozzando vado dritta in cucina; obbiettivo cassetto delle posate. Obbiettivo raggiunto: prendo il coltello da cucina più grosso e affilato che trovo e con forza, ma soprattutto determinazione giro il braccio e, all’altezza del polso, taglio più in profondità che posso. Sento il sangue che comincia a scorrere per tutto il braccio, caldo, mi fa sentire più viva di quanto non lo fossi prima, sul divano. Ora sento che i problemi, come il sangue e le forze stanno sparendo dal mio corpo. «Non li trovo; sicura di averli messi proprio li?». Con un filo di voce rispondo: «Cerca meglio...» poi tutto diventa tutto nero e non mi sento più. Riapro gli occhi... Dov’è Alex? Mi giro di colpo e nell’oscurità lo vedo con la faccia appoggiata ai piedi del mio letto seduto su una sedia. Mi gira la testa, la prendo tra le mani e mi riappoggio piano al cuscino: non ne sono molto sicura, ma credo di essere in ospedale, mi ci deve aver portato Alex dopo che ho perso i sensi. Lo guardo ancora dormire: sembra che dorma tranquillo, ma si gira a scatti come per scacciare un incubo o un attimo di paura... sembra un angelo. Vorrei tanto alzarmi, andare da lui e stringerlo forte al petto, dirgli che non deve avere più paura, che ci sono io a proteggerlo. Non è giusto che anche lui viva il mio inferno, un conto è che lo viva io, ormai ci sono abituata, e un altro è che costringa a viverlo anche lui. Quando si sveglia dovremo parlare, e sul serio stavolta. Controllo l’ora sull’orologio appeso al muro di fronte: sono le quattro e mezza di mattina. Alex ha passato davvero tutta la notte qui con me, un’estranea scortese e maleducata conosciuta in un incidente? Ho bisogno di fare una passeggiata per schiarirmi le idee, cerco le stampelle accanto al letto ma non ci sono. Dove cazzo le avrà messe sto stronzo? Non può togliermi l’unico mio mezzo di locomozione... e che cazzo. Ormai ho diciotto anni posso benissimo badare a me stessa. Subito la mia mente mi smentisce facendomi rivivere la scena del coltello. Ok, forse non sempre ma la maggior parte delle volte riesco a badare a me stessa alla grande. Sollevo il braccio e lo giro: mi hanno messo i punti e sono collegata a una flebo che stilla un liquido biancastro e denso. Uffa, mi resterà la cicatrice che palle. Alex si rigira e lentamente si alza dalla sedia e si stiracchia poi, si gira verso di me. Fingo di dormire. «Che stupida che sei ho rischiato un infarto...» mi bacia la fronte «povera la mia piccola chissà quanto hai sofferto prima ad arrivare a questo punto...» Sospira. Mi ha detto povera la mia piccola, la mia piccola rendiamoci conto.... Quanto è dolce... Apro piano gli occhi e sbadiglio rumorosamente per fargli capire che sono sveglia. «Ciao» dico con voce appositamente tremante e impastata tipica da post dormita. «Ciao, hai visto sei ancora viva e non di certo per merito tuo.» Sospira prendendosi il naso tra le dita, guardando per terra e facendo su e giù per la stanza: «Non hai la minima idea di cosa ci hai fatto passare, di cosa mi hai fatto passare.» «Vi ho fatto passare?» «Ti hanno dovuto fare un sacco di trasfusioni durante la notte, avevi perso molto sangue, i medici erano preoccupati: secondo loro eri troppo debole. Hai rischiato di morire o, alla meglio, di entrare in coma non lo capisci?» «Scusa: Comunque tu non avresti dovuto salvarmi.» rispondo torturandomi le mani e guardando il lenzuolo. All’improvviso Alex mi prende il mento tra due dita costringendomi a incontrare il suo sguardo severo: «Ho dovuto guidare come un pazzo per arrivare all’ospedale il prima possibile e nel frattempo ho di nuovo dato fondo alle mie conoscenze mediche. Lo capisci che ho dovuto toccare i trecento chilometri orari? Sai che strage avrei potuto fare?» «Te l’ho detto mi dispiace ma tu non avresti dovuto salvarmi: sarebbe stato meglio per tutti, credimi.» «Queste cazzate non dirle neanche per scherzo ok? Nel corso della nottata mi sono anche divertito... quando ero certo che stessi bene, ovvio...» «Chi hai cuccato? Una bella infermiera tipo ER?» spero nel mio tono non si noti un tocco di gelosia.. «No, anzi, di meglio. Ti ricordi il dottore del pronto soccorso?» «Sì, certo» lo guardo con un espressione ben oltre il confuso. «Ok, è il medico che ti ha prescritto una notte in osservazione. Io ero seduto e lui mi si avvicina chiedendomi con un sacco di impaccio di approcciarmi a un sadomaso meno aggressivo. È stato uno spasso, ho riso per mezz’ ora credevo di averti svegliata...» «Ho dormito benissimo fidati, ah grazie, grazie di tutto.» «Tranquilla, ora che ci daremo a un sadomaso più casto e meno aggressivo vedrai che saremo molto meno in ospedale.» «Ma gliel’ hai detta la versione originale?» «No, gli ho detto che è un peccato perché avevo appena comprato i collari borchiati, le catene e la sega circolare... che peccato» «E lui che ha detto?» «Mi ha guardato negli occhi, io ho fatto i miei famosi occhi da pervertito e lui se l’è data a gambe praticamente correndo per il corridoio, ha anche sbattuto contro un carrello delle pulizie. L’ha ribaltato: è stata la nottata, beh la fine nottata, più divertente della mia vita. Con te mi stanno capitando le avventure più incredibili della storia. Non ci hai pensato alle persone a cui vuoi bene e che ti vogliono bene quando hai cercato di ucciderti?» mi scocca un sorriso a trentadue denti: «E non hai pensato a me? Cosa farei io senza di te? Senza la mia brontolona preferita?» Penso: e non hai pensato come farò io quando te ne andrai per sempre dalla mia vita? Faccio di no con la testa. «Adesso torna a dormire, devi essere esausta...» «Frena, frena, frena. Perché di grazia mi ha confiscato il mio unico mezzo di locomozione?» «Ti tengo d’occhio mascherina. Non permetterò mai più a nessuno di farti male tanto meno a te; sia chiaro.» «Ok, grazie credo» «Prego, credo.» Mi sorride accarezzandomi delicatamente una guancia: «Mi sono innamorato di te, Helena Stinson». Ora la sua voce mi accompagna anche nei sogni. Mi sveglio accompagnata dalla voce di Alex che parla sottovoce fuori dalla porta con il medico del pronto soccorso che gli dice che posso tornare a casa e che, quando ho uno dei miei soliti attacchi di depressione auto lesionista, devo prendere una medicina che gli porge distintamente. Alla fine sembra che Alex glielo abbia detto. Al solito pensiero della conversazione di stamattina non riesco a frenare il flusso di risate nell’immaginare la faccia di quel dottore mentre parlava con Alex di pratiche sessuali sconvenienti e di quanto Alex debba avere riso, doveva essere bellissimo. Subito il mi rabbuio: che stupida ad aver dormito quasi tutta la notte mentre avrei potuto stare a guardare Alex ridere e dormire...
  
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