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Autore: Meme__    29/03/2012    1 recensioni
"E allora capii, che non era la razza a fare la differenza, un cuore che non batteva poteva essere riscaldato da un manto di peli color sabbia."
3° Classificata al contest "Beginning of the end" indetto dal gruppo facebook 'La foresta della fantasia'.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Breaking Dawn
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Salve!
Questa è la seconda storia che pubblico; spero vi piaccia quanto è piaciuta alle giudici del contest 'Beginning of the end' che l'hanno classificata al 3° posto. (WOW! Terzo posto, al primo colpo! Vi rendete conto?xD)
Comunque questo splendido banner che vedete sotto è opera di una di loro (non so preciso quale, se mi dite correggo xD).
Be', Enjoy it :)

Capitolo I

Bella Swan.

 
Mentre il mio pensiero si perdeva nel futuro prossimo, perlustrai in automatico il fianco della montagna in cerca di prede e di pericoli. Non era una decisione cosciente, quanto un riflesso innato.
O forse avevo una ragione per scandagliare i dintorni, un minuscolo qualcosa che i miei sensi affilati come lame avevano registrato prima ancora che il cervello elaborasse il pensiero.
Mentre i miei occhi saettavano lungo il crinale di uno strapiombo lontano, che si stagliava netto, con il suo grigio azzurrino, sul verde scuro della foresta, una scintilla argentata - o dorata? - attirò la mia attenzione.
Misi a fuoco quel colore fuori posto, così remoto nella foschia che nemmeno un'aquila l'avrebbe notato. Aguzzai lo sguardo.
Lei mi fissò di rimando.
Che fosse una vampira era fuor di dubbio. Aveva la pelle color bianco marmo, la sua consistenza un milione di volte più liscia e compatta di quella umana, e splendeva nonostante il cielo coperto. Se non fosse stato per la pelle, sarebbe stata l'immobilità a tradirla. Soltanto una statua o un vampiro potevano restare così perfettamente immobili.
Aveva i capelli biondi, chiarissimi, quasi platino. Ecco cos'era il riverbero che mi aveva catturato l'occhio. Le scendevano dritti come un regolo, divisi da una riga in mezzo, fino all'altezza del mento.
Per me era una perfetta sconosciuta. Ero più che sicura di non averla mai vista prima, nemmeno quand'ero umana. Nessuna delle facce che fluttua-vano nella mia memoria melmosa corrispondeva alla sua. Eppure la riconobbi immediatamente dagli occhi color oro cupo.
Alla fine Irina si era decisa a venire.
Rimasi a fissarla per un momento e lei ricambiò il mio sguardo. Chissà se anche lei aveva capito subito chi ero. Alzai un braccio a metà, per accennare un saluto, ma le sue labbra si contrassero impercettibilmente e le diedero un'espressione di colpo ostile.
Dalla foresta giunsero il grido di vittoria di Renesmee e l'ululato rimbombante di Jacob, e vidi Irina corrugare il viso pensosa quando, qualche istante dopo, il suono echeggiò fino a lei. Il suo sguardo virò leggermente a destra e sapevo cosa avrebbe visto: un enorme licantropo fulvo, forse proprio quello che aveva ucciso il suo Laurent. Da quanto ci stava osservando? Abbastanza a lungo da aver assistito al nostro scambio di effusioni, ne ero certa.
La sua espressione si piegò in una smorfia di dolore.
D'istinto allargai le braccia in un gesto di scuse. Lei tornò a fissarmi e arricciò il labbro superiore scoprendo i denti. Un ringhio le fece scattare la mascella.
Quando la sua debole eco giunse fino a me, Irina era già scomparsa nella foresta.
«Merda!», mugolai.
Mi lanciai fra gli alberi nella direzione presa da Renesmee e Jacob, perché non mi andava di non averli sott'occhio.
 
Arrivai giusto in tempo, prima che una folata di vento portasse l’odore di una straniera. Questa si fece avanti, pronta a sferrare l’attacco su quell’essere, che per lei doveva essere un ripugnante ricordo della morte materna. Poi si bloccò e rabbrividì. La pelle adamantina si coprì di brividi, e mentre il viso si faceva sconvolto sussurrava ininterrottamente: “Non può essere.” Era una cantilena, come se stesse per impazzire.
Io nel frattempo mi ero accucciata in posizione di difesa davanti a mia figlia e Jake mi imitava ringhiando pochi metri dopo. 
Appena terminò di ripetersi quella frase, ringhiò “Tu chi sei?”
“Isabella Marie Swan-Cullen, ma credo che se fossi un po’ più lontana e meno volenterosa ad attaccare mia figlia questo sarebbe tutto più semplice.”
“Tua figlia?” chiese sbalordita.
“Ripeto: se tu ti allontani e mi permetti di parlare, ti spiego.” Ringhiai.
“Oh, Carlisle non avrebbe mai dovuto trasformare un bambino conosce la regola, sa che noi soffriamo ancora per nostra madre, e sa che noi non esiteremo a consegnarvi ai Volturi.” Mormorò malinconica.
“Ma ti senti? Secondo te Carlisle, l’uomo più buono al mondo, potrebbe mai far soffrire qualcuno? Specialmente voi che siete la sua famiglia allargata?”
“Allora come mi spieghi quella… quella cosa?” ringhiò ancora.
Un altro ringhio si sovrappose al suo, mentre scorgevo altre figure entrare nella radura.
“Ascolta. Quanti cuori senti battere?” chiesi ostentando una calma non appartenente a me.
“Quattro.” 
“Guardati attorno. A quante persone secondo te batte un cuore qui?”
Si guardò attornò, scorgendo le figure di Leah ed Embry in forma di lupo, poi si accigliò e sussurrò: “Tre. Perché ne vedo solo tre? Chi si sta nascondendo? Non vorrete mica attaccarmi?” 
“No no, non faremmo mai una cosa simile. Non sarei capace di avere la vita di qualche persona sulla coscienza” Sorrisi.
“Tu no, ma loro sì.” Sputò irata.
“Irina, semplicemente lei non è una bambina immortale.”
“Tu sai chi sono? Non mi hai mai visto. Io non ti ho mai visto.” Sussurrò.
“Sai, Alice.” Mi giustificai.
“Giusto.” Un breve sorriso illuminò le sue labbra, ma poi corrucciata chiese ancora: “Allora cos’è?”
“Renesmée, vieni da mamma. Ti faccio conoscere una zia.” Lei mi guardò. Poi stirò il pelo della coda di Jacob, sicuramente ponendo una domanda silenziosa. Jake guardò torvo prima me poi la bambina, e sbuffò. La piccola batté le mani ed esclamò: “Certo, mamma.” Sorrise
abbagliando Irina.
“Ciao, io sono Renesmee, e tu chi sei?” chiese la mia bimba.
“Io sono Irina.” borbottò la donna. Anche lei era rimasta abbagliata dalla bambina, ma non voleva ancora cedere.
“Renesmée, amore, mostri a Irina cosa sai fare?” la bimba mi osservò, e poi mise la sua mano paffuta sul mio viso, chiedendomi cosa dovesse mostrarle.
“Mostrale un po’ di te, ciò che il nonno ti ha fatto da quando sei nata.” Sorrisi per infonderle coraggio. Lei riempì i suoi polmoncini di aria, per poi espirare rumorosamente, avvicinando la sua paffuta manina al braccio di Irina.
Irina tenne gli occhi sgranati fin quando la bambina non tolse la mano avvicinandola al mio collo, timorosa di quella reazione.
“Ma allora è…”
“Mia figlia, nostra figlia.” Sorrisi, inconsciamente.
Lei finalmente proruppe in un luminoso sorriso. Poi si rivolse alle mie spalle: “Quindi lui è il suo Jacob?” sospettò indicando Jake.
Jacob annuì con il grande testone lupesco, anche se Irina aveva chiesto la cosa a me, troppo adirata con quegli ‘assassini’ per indirizzarsi a loro apertamente.
“Jake non credi sarebbe più educato mostrarti come un ragazzo, invece che sotto la forma di un lupo-cavallo?” mi divertivo a chiamarlo così, soprattutto perché poi mi guardava storto e se ne andava. E quella volta non fu un’eccezione: sbuffò e andò a ripararsi sotto gli alberi per vestirsi. 
Quando ne uscì, si scrollò e mi riservò un’occhiata truce.
“Ma perché gironzolano ancora di qui? Non potevate farli fuori a tempo debito. Sapete quanto Marcus li odi.” Sussurrò indignata.
“Irina, io non mi sono mai opposta a parlare con te, ma sappi che non prenderemo mai questi drastici provvedimenti; lui, loro- mi corressi usando il plurale del branco- sono molto importanti per noi, e gradirei non ne parlassi in questo modo. E per quanto riguarda Marcus, io non so che dirti, ma sicuramente Edward e Carlisle sapranno darti spiegazioni, perciò, se non ti spiace, possiamo tornare a casa Cullen. Carlisle sarà felice di vederti.” consigliai infine.
“Certo, andiamo.” Esclamò. Mi incamminai davanti accanto a Jake, contento per l’arringa che avevo esposto nei suoi confronti, con le braccia ancora strette attorno alla bambina. 
Quando oltrepassammo il fiume, Edward si lanciò fuori dalla portafinestra. 
“Ed, calma, è Irina.”
“Si, lo so. Ero solo preoccupato per Jacob” ammise.
“Oh, che dolce suocero che mi ritrovo.” Ghignò sarcastico il ragazzo.
Cavallo, non ti permetto di prendere in giro mio marito.” Esclamai fingendomi arrabbiata.
Durante il nostro scambio di battute Irina era rimasta in silenzio a guardare la casa.
“Puoi entrare, se vuoi. Carlisle ed Esme saranno felici di vederti.” Sussurrò Edward alla bionda.
“No,- rispose con sguardo colpevole- io devo prima scusarmi con voi, per non aver permesso alla mia famiglia di aiutarvi, quando dovuto. Per aver causato astio tra noi: Carlisle è sempre stato pronto ad aiutarci, in tutte le occasioni… voi Cullen, siete come una famiglia per noi, non avrei dovuto essere egoista, non avrei dovuto negarvi un aiuto.”
“Cara, non devi pensare ciò. Ormai è passato, ma capisco cosa hai provato in quei momenti, e ti assicuro che se avessi pensato di perdere Edward, io… posso capirti; tu non conoscevi bene Laurent, e quindi non puoi sapere quello che…” mi bloccai. I ricordi erano troppo orribili per essere discussi davanti alla mia bambina: lei non doveva conoscere la proverbiale sfortuna della sua mamma da umana.
“Quello che Bella voleva dirti è che ti ringraziamo lo stesso per aver capito la situazione e che ti perdoniamo per ciò che è successo; in fondo, da lontano avresti potuto scambiarla per un… e non voler ascoltare la storia, e non pensare alla nostra amicizia. Quindi le scuse sono del tutto inutili. Noi ti vogliamo bene.” Sorrise Edward, mentre una nube di tranquillità mi circondava.
“Grazie Jazz.” Esclamai.
“Di niente, Bella!” rispose il ragazzo.
“G-Grazie della fiducia… per tutto. Non avrei mai potuto fare nulla senza chiedervi spiegazioni, anche io vi voglio bene, tanto Edward.”
“Ehi, non provarci con mio marito in mia presenza!” esclamai tentando di alleggerire l’atmosfera, e ci riuscii, dato che iniziarono a ridacchiare.
“Ok, ora in casa ci stanno aspettando. Vieni Irina!” la invitò Edward, mentre prendeva fra le braccia la piccola. La ragazza annuì e seguì mio marito all’interno. 
Edward guardò nella mia direzione prima di attraversare la portafinestra, ma lo assicurai con un eloquente sguardo. 
“Su, Jake, sputa il rospo.” Esclamai rivolta al mio migliore amico.
Sbuffò, si girò verso la foresta prima di sussurrare: “Non ho avuto l’impulso di ucciderla.”
Forse notò la perplessità sul mio volto perché aggiunse: “Come con voi, io non devo stare neanche attento. Non la sento come se fosse un’immortale come voi. È strano. Con voi lo legavo al fatto che sia tu che Edward avete un tratto di DNA, cromosomi o qualsiasi cosa abbiate, in comune con Nessie, ma lei…” Sussurrò in modo che lo sentissi solo io.
“Interessante, se lo sapesse Carlisle, in un momento diverso, sarebbe affascinato.” sussurrai in risposta. “Credi abbia qualcosa di diverso dal resto dei vampiri?”
“Non lo so. Sono confuso, insomma, è una vampira sicuramente. Ha più di tre secoli, a detta di Carlisle, ma io non provo l’impulso di ucciderla. Forse sto perdendo le capacità di licantropo?” dubitò di sé. E sembrò così triste che non potetti fare a meno di consolarlo.
“Ma che stupidaggini stai dicendo? Un’alpha non smette di esserlo da un giorno all’altro. Vuoi provare a chiedere a Seth cosa ne pensa?” aggiunsi in tono dolce.
Annuì sconsolato e con un “Certo, certo” si dileguò nel bosco.
Attraversai la vetrata e mi fiondai dalla mia piccolina, prima che rompesse il vaso di Esme. “No, Renesmée, la nonna si arrabbierebbe.” Esclamai, con tono di rimprovero. Abbassò la testa, colpevole prima di sussurrare: “Ma io volevo solo metterci quei fiori dentro…” indicando un mazzolino di fresie che doveva aver preso dal giardino.
“Potevi chiamare papà, o la zia, e farti aiutare.”
“Ma io sono grande, posso farcela da sola.” Controbatté stizzita, gonfiando adorabilmente le sue guanciotte paffute.
“Certo, amore mio, sei grande, ma la nonna ci tiene al suo vaso, e tu non vuoi vedere la nonna triste, vero?”
“No, la nonna non è triste, vero nonna?” chiese a Esme, appena entrata nella stanza.
“No, non sono triste.” Le sorrise maternamente la donna.
Mi voltai verso il resto della famiglia appena in tempo per vedere Alice immobilizzarsi e i suoi occhi diventare vitrei. Edward le si avvicinò e le strinse la mano preoccupato.
“Alice, Ali, riesci a sentirmi?” chiese dopo un po’.
Nel frattempo Esme e Rosalie avevano portato la bambina al piano di sopra. Avevamo scoperto che si preoccupava molto quando la zia aveva delle visioni, arrivava anche a piangere dalla paura, e per farla uscire dalle crisi di pianto ci volevano ore…
“Non sono riuscito a vedere. Co-cos’era?” Edward non aveva mai balbettato. Non aveva neanche mai parlato in modo indeciso. Cos’aveva visto Alice da turbarlo a tal punto? 
Inconsapevolmente mi avvicinai a lui e gli toccai la spalla, ma lui non si mosse. Continuava a guardare la sorella.
Lo sguardo di Alice tornò di quell’oro liquido che lo caratterizzava, e si fermò su Irina.
“Lei, resterà qui, ma non riesco a vederne i motivi. È stato tutto molto confuso e breve.” Esclamò frustrata, poi.
Sospirai inconsapevolmente. Credevo qualcosa di molto peggio.
“Come resterò qui?” chiese scioccata Irina.
Chiesi con tono bassissimo a Edward se poteva essere per ciò che aveva provato Jacob. Lui rimase interdetto, ma poi assunse la solita faccia pensierosa: sicuramente credeva che c’entrasse qualcosa, stava solo formulando qualche buona ipotesi.
“Può essere Bella, potresti avere ragione.” Annuì.
Alice mi rivolse un’occhiata sconvolta per poi sussurrare : “I lupi…”
“Sì, Alice, lo crediamo anche noi.” Acconsentì, per entrambi, mio marito.
“Cosa c’entro io con quegli assassini?” strepitò Irina. Poteva scusarsi con noi ma, certamente, non perdonare i lupi. Non li conosceva.
“Be’, nulla. Ora passiamo a cose serie.” sorrise Alice all’indirizzo della ragazza. Oh, no. Non avrei mai voluto essere nei suoi panni. Conoscevo quel sorriso. Diceva ‘andiamo-a-fare-shopping-compulsivo’. La ragazza, che conosceva Alice quasi quanto noi, le rispose: “No, Alice, non voglio fare shopping ora. Forse più tardi. Ora vorrei conoscere quella bella bimba che mi ha accolta.” Anche lei era rimasta affascinata da Renesmée e ovviamente noi la capivamo. Aveva catturato tutti, perché non lei?
“Certo, vieni con me.” La invitai al piano di sopra.
Camminammo attraverso il corridoio fino a fermarci davanti alla stanza di Emm e Rose. Da dentro si sentivano solo dei rochi sussurri. 
“No, Nessie, non me ne andrò. Giocheremo fin quando non ti addormenterai. Promesso.” disse Jacob. Quel ragazzo venerava la bambina quasi quanto il padre.
Bussai piano ed entrai appena avuto il consenso.
“Renesmée, qui c’è qualcuno che vuole conoscerti meglio.” sorrisi alla bambina.
“Zia?” chiese.
“Zia.” acconsentii.
“Ciao Renesmée.” salutò la ragazza.
“Puoi chiamarla Nessie, quando non c’è Bella.” Sussurrò al suo indirizzo Jacob.
“Non azzardarti a ripeterlo, lupo! Lei si chiama Renesmée, e non è un mostro!” replicai stizzita. “Scusalo, è stupido!” borbottai a Irina.
“Lo immagino.” rispose lei.
Jacob sbuffò e con un “visto che non sono accetto” si liquidò, affibbiando la piccola alla nuova arrivata, ma poi si bloccò allo sguardo triste della bambina con uno “scusami, non andrò mai via senza te!”
“Irritabile, eh?” annuii alla costatazione ignorando bellamente Jake che si era fermato accanto allo stipite.
“Allora piccolina, mi fai vedere cosa sai fare?” chiese la bionda a Renesmée.
Lei la fissò e poi allungò le manine paffute sulle nostre guance. Capii non mi volesse escludere dalla sua ‘mostra’.
La bocca di Irina si aprì in una muta O, quando le immagini mostrarono i lupi, e alla sua reazione ammonii Renesmée con lo sguardo, invitandola a mostrarle altro. La bambina capì il mio tentativo, e mostrò la sua stanza nella casetta.
“Ma che bella stanza che hai, piccolina.” Sembrava fissata con quel soprannome che purtroppo a Renesmée non piaceva e, perciò, con uno sguardo truce borbottò: “Io sono grande.”
“Ma certo, piccolina.” sorrise dolce Irina. Sembrava quasi una presa in giro, ma a quel sorriso la mia bimba non riuscì a mantenere lo sguardo truce.
“Be’, potremmo anche scendere, se vi va.” proposi.
“Certo, vero piccina?” chiese Irina.
“Certo, certo.” sbuffò la bambina. Aveva preso anche lei l’assurdo vizio di Jacob di acconsentire in automatico. Lo aveva donato anche a me, in quello strano periodo. Non mi riusciva più di definirlo doloroso. Non quando aveva regalato alla mia bambina qualcosa di così importante.
“Vieni da mamma, amore” affermai rubandola dalle braccia di Irina e trascinandola giù, in un’altalena che la divertiva un mondo. La sua risata musicale si diffuse per tutta la casa, facendo, d’istinto, sorridere tutti coloro che erano nelle vicinanze.
Jake ci seguì uscendo dalla vetrata appena raggiunse il piano di sotto. Era ancora scosso dalla scoperta di Irina.
“Amore del papà!” esclamò Edward.
“Ehi!” misi il broncio fingendomi offesa.
“Io sono l’amore di papà.” cantilenò la bambina facendo il verso all’uomo, riservandomi una linguaccia.
“Ah sì? E io vado da Jake!” esclamai avviandomi lentamente fuori dalla stanza, ma tanto mancavano solo tre… due... uno…
“No. Papà è tuo, io corro da Jake!” urlò precipitandosi fuori dalla porta.
“Aspetta vengo con te.” la seguì Embry.
Rientrai nella stanza, appena in tempo per scorgere il barlume d’ilarità negli occhi di mio marito e per sussurrargli: “Cos’è che ti fa ridere tanto, caro?”
“Tu e tua figlia non cambierete mai!”
“Lo spero per te! Potremmo peggiorare e non so se ti conviene.” Alzai di un tono la mia voce, per non far notare molto che quasi tutti gli altri stessero origliando la nostra conversazione, perché sicuramente Emmett avrebbe fatto una battutaccia delle sue.
“Dai, Ed, mica vuoi cambiare la tua Bellina così? Senza aver rotto almeno una casa o due?” Ecco, appunto. In tutta la stanza si diffuse l’ilarità, e le risa credo si sentirono fino al centro di Forks, se non fino a La Push. Tuttavia, furono bruscamente interrotte da Alice; o meglio, da una visione di Alice.
Dopo un tempo, che mi parve infinito, i suoi occhi tornarono normali, e si portò le mani alla bocca. Non era spaventata, solo sorpresa. 
“Edward, potrebbe essere?” chiese al fratello.
“Be’, non lo so. Potrebbe.” Titubò mio marito.
“Chiamiamo Seth!” esultò felice.
“C-cosa? Volete che Irina commetta un omicidio a poche ore dal suo arrivo? Che si scannino qui, in diretta?” chiesi retorica.
“No, Bella, vogliamo che si incontrino. Sai, il branco scompare quando vuole uccidere un vampiro, non mi regala una visione.” Alice prese sul serio la domanda.
“No, Alice!” la bloccò Rosalie “Non possiamo. Al momento Irina è ancora arrabbiata un po’ troppo con i lupi per  presentarle una cosa simile, e se con Jake si è trattenuta, forse notando quanto teneva a Nessie, con Seth potrebbe non farlo.”
“Scusate, posso sapere che c’entrano, ancora una volta, i lupi? E poi, chi diamine è Seth?” si stizzì la ragazza sentendosi chiamata in causa.
“Bella, Jasper, andate a chiamare Seth, Jacob e Renesmée. Ora!” ordinò Alice.
“Se sei convinta…” borbottai.
“Sì, sono convinta! Ora andate, immediatamente!” ordinò ancora una volta stizzita.
“Sì signor capitano!” la deridemmo io e Jazz, dandoci successivamente il cinque e uscimmo.
Seguendo l’odore riuscimmo a trovare Jake, che giocava a fare il cavallo di Renesmée, mentre la bambina urlava: “Corri, corri cavallino! Corri!” A quella scena scoppiammo a ridere, piegandoci in due dalle risate e svelando la nostra presenza a Jake, che prima fece scendere delicatamente la piccola, poi si trasformò mentre inveiva contro di noi in una lingua che credetti Quileute.
“Ehi, calma cuccioletto!” esclamò Jasper, facendolo visibilmente tranquillizzare.
“Ok, ok. Basta che la smetti. Mi sento come se mi avessi dato due dosi di sedativo per cavalli in un colpo solo. Cosa volete?” chiese. Sapeva che non disturbavamo i suoi momenti-tata, come li aveva soprannominati Emmett, se non per urgenze.
“La nana vuole te e Seth in casa, subito!” riferii l’ordine datomi. Jacob tremò, prima di sussurrare uno sconfitto “Sì”, trasformarsi e ritrasformari in pochi attimi. Sicuramente aveva richiamato Seth per farlo unire a noi. Allora ci avviammo a casa durante il tragitto, come c’era da aspettarselo, incontrammo Seth, che era strano. Non era il ragazzo giocherellone e scherzoso che era stato fino al mattino, ma era serio; come se si aspettasse qualcosa. 
Capii cosa avesse appena entrammo in casa.
Jacob rivolse appena un’occhiata di sufficienza all’ultima arrivata, che sicuramente non lo notò. Appena girò lo sguardo verso di loro Seth alzò gli occhi. 
Stavano leggendo l’anima dell’altro, non solo guardando gli occhi di uno sconosciuto, e all’improvviso mi sentii talmente imbarazzata per essere presente in quel momento così intimo e speciale, che voltai lo sguardo, fino a incontrare quello innamorato e speciale di mio marito. Lo abbracciai e lo strinsi a me, fino a immobilizzarmi quando sentii le voci degli ultimi ad aver subìto un imprinting mormorare: “solo mio.” E allora capii, che non era la razza a fare la differenza, un cuore che non batteva poteva essere riscaldato da un manto di peli color sabbia. In quell’attimo infinito, l’amore in quella stanza era altrettanto infinito. Impossibile da quantificare, fin quando Jake, credo, si schiarì la voce mormorando: “Non è possibile. Lei è una succ… una vampira! Noi li uccidiamo!” riflettè dando voce ai suoi pensieri.
“Forse non è come pensa Billy. Forse ha ragione Sam: l’imprinting serve solo a darvi amore, non a procreare forti lupi.” Mormorai in risposta.
“Tuttavia loro potrebbero non aver realmente un imprinting.” Sussurrò Carlisle.
“C-Cosa? Questo è un imprinting? No-non può essere.” Rispose Seth, sentendo le nostre conclusioni.
“E come lo chiameresti, allora?” gli chiese Jake.
“Ma lei è una vampira!” strepitò “Non può essere!”
“Forse le vostre leggende non conoscevano i vampiri vegetariani.” Pensai ad alta voce, vedendo, con la coda dell’occhio, Edward annuire.
“Bella potrebbe avere ragione, e questo giustificherebbe il fatto che non avete provato l’impulso di ucciderla.” Sentenziò poi.
“E ora? Cosa dobbiamo fare?” esclamò Irina prendendo la mano di Seth fra le sue. Rabbrividirono entrambi, ma poi sorrisero e se ne andarono, lasciandoci lì, inermi e stupiti da quell'istantanea, nuova intesa.
   
 
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