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Autore: May90    29/03/2012    1 recensioni
(Seconda storia della serie "Come...")
Due pirati bloccati a Ward-Golfe.
Se uno é Regy "Spada d'Argento", la Marina alzerà al massimo il margine d'allerta. Ma se l'altro é Ace "Pugno di fuoco", le cose si faranno davvero scoppiettanti!
Al loro fianco, due indigeni davvero imbarazzanti.
I fratelli McFerson: Principessa, più accattivante (e prepotente) che mai, e Clayton, un cucciolo con qualche asso nella manica.
Dubbi esistenziali, mercanti prepotenti, nuove entrate e vecchie conoscenze, marinai indisponenti, risoluzioni estreme... Mai visti quattro giorni così...
Genere: Avventura, Demenziale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Portuguese D. Ace
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '"Come..."'
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Giorno II – Mattina

 
- Un bicchiere sporco. Di latte. Chi è stato? -

Alla domanda di Principessa, un già parecchio impettito Clayton si rizzò come una canna di bambù. Se possibile, divenne ancora più inquieto un istante dopo, quando fu l’apatico spadaccino ad alzare la mano, senza sforzarsi di aprire bocca. In un baleno realizzò la minaccia: lui se ne era accorto di certo, l’aveva scoperto, quella notte come tutte le altre precedenti, nel ripostiglio. Lo sguardo acuto e severo del pirata si puntò su di lui, confermando i suoi dubbi. Colto in flagrante, distolse subito gli occhi nocciola da quella figura inquietante, ma non smise di sentirsi fastidiosamente squadrato. Non era il momento di affrontarlo.  Tra sé ammise pure che quel tempo di chiarimento sarebbe arrivato quando i ghiacciai si fossero sciolti, se fosse dipeso alla sua intraprendenza…

- Be’, potevi almeno degnarti di sciacquarlo. – fu il solo argomento della ragazza, che lo passò sotto l’acqua e poi lo posò sul tavolo, davanti al piatto del suo proprietario.

- Quindi voi dovete… - iniziò Ace, scettico.

- … andare alla posta, si. A cercarmi un lavoro. –

- Non ti ci vedo. – affermò, placido, il pirata, addentando una fetta di pane imburrata.

- Ma pensa un po’. – rispose lei, stizzosa – E questo cosa dovrebbe significare? Se io non ti dessi più da mangiare, il fatto che tu sia naturalmente portato a farlo non cambierebbe il fatto che tu non possa. E viceversa. Questo esempio non è casuale, se ci pensi. –

Ace passò uno sguardo per nulla convinto, ma anche piuttosto pensieroso, dalla ragazza al fratello. Quest’ultimo, al cenno della maggiore, si alzò silenziosamente da tavola e si tolse il grembiule, per poi passarsi le mani sui seri pantaloni scuri e sulla camicia bianca a lisciarli e spolverarli.

- Equivale a dire che sei obbligata a farlo? - concluse i suoi ragionamenti.

L’occhiata degli occhi neri di Principessa avrebbe incenerito il ragazzo, se questo non fosse stato assolutamente convinto dell’innocenza di quella domanda. Del resto alle orecchie di tutti era suonata parecchio ostica, tanto da pietrificare sul posto Clayton e stimolare le sopraciglia di Regynald fino ad assumere una piega ben più che scettica.

- Equivale a dire che voi due fate i bravi bambini e disfate la tavola, mentre noi cerchiamo di che mantenervi. -

E questo sembrò chiudere abbastanza bene il discorso da permettere ai due di uscire di casa senza ulteriori polemiche.

 

La città era piena di ufficiali.

Principessa avanzava a testa bassa, evitando di incrociare un qualsiasi sguardo e cercando di passare inosservata. Non voleva essere riconosciuta da nessuno o permettere ad un qualsiasi ometto in divisa di ricordare il bizzarro nome della figlia dell’ammiraglio. Percorsero fianco a fianco le vie principali del reticolo urbano: consentivano di imboccare la strada più veloce verso la sede della posta, quasi al lato opposto dell’isola, mentre la grande quantità di gente poteva promettere una certa invisibilità.

Per questo, dato che fissava ostinatamente in terreno davanti a sé, non si accorse subito che al centro della piazza principale, poco lontano dal passaggio perimetrale che si stavano ritagliando, un folto pubblico si era concentrato intorno a qualcosa. Il brusio che circondava i due celava il silenzio tombale in cui era immerso questo muro umano, attonito e spaventato.

La ragazza alzò lo sguardo solo quando il fratello le prese il braccio per fermarla e, senza aspettare una reazione, si limitò ad avvertirla: - E’ strano. Vado a vedere. – La risposta di lei si fece ancora attendere. Lo guardò immergersi nella folla che solo allora aveva notato.

Un alito di vento denso di salsedine spirò con maggiore intensità lungo quelle vie, fino al grande spiazzo e provocò un fruscio quasi cartaceo, tipico di un tessuto plastificato che quasi schiocca al primo sbuffo d’aria. Fu un tutt’uno intercettare l’origine di quel suono sgradevole: alte sopra le loro teste svettavano le bandiere della Marina.

- Clayton! – lo chiamò immediatamente, senza curarsi del silenzio che era stato evocato sull’intera piazza.

Si buttò prontamente tra quelle persone, spingendo senza alcuna cura tutti coloro che si frapponevano. Una voce gracchiante e fastidiosa aveva preso a sciorinare una sorta di discorso di rito e lei non la ascoltava. Una mano le afferrò e cercò di spingerla indietro. Riconobbe vagamente la voce tremante di Basil il falegname che le sussurrava, vicino al viso: - Non dovete… Non sono cose che voi dovreste vedere, Signorina… - Principessa lo ignorò. Sapeva bene cosa stava per succedere e, per quanto non ne avesse mai avuta una vera esperienza, poteva combattere il profondo disgusto e orrore che ne derivava. Non era sicura valesse lo stesso per suo fratello minore, troppo generoso e fatalista da non esserne scosso nel profondo.

Era ormai prossima alle prime file quando intravide il codino color platino di Clayton e si affrettò ad affiancarsi alla sua figura inebetita. Gli appoggiò una mano sulla spalla, decisa:

- Vieni via… - gli disse all’orecchio, ma quello non si mosse.

Kesp Yona stazionava con compattezza e autocompiacimento i suoi uomini schierati, continuando imperterrito un discorso pieno di retorica e formalità che nessuno dei presenti ascoltava. Gli sguardi inquieti balzavano, sconcerti, tra i due veri protagonisti della scena. Da un lato, gli otto pirati, malconci e sanguinanti, incatenati mani e piedi ad uno spesso supporto in legno, bucherellato in più punti ed evidentemente montato per l’occasione. Dall’altro, i fucili che tutti gli uomini di legge lì schierati tenevano al fianco, con una sicurezza e un’ostentazione che preannunciavano il disastro.

- Clayton… - tentò ancora la rossa, arrivando anche a strattonarlo per condurlo via. Non poteva certo fare scenate, non voleva attirare l’attenzione, ma temeva per il più giovane, il cui volto sembrava già pietrificato dallo sgomento.

- … Così, in nome dei più alti valori che animano la nostra bandiera, che anche ora svetta alta e vittoriosa sopra di noi, vegliando su di voi, suoi umili e fiduciosi protetti, siamo pronti a compiere il nostro pur necessario dovere. La Giustizia arriderà vittoriosa al nostro operato, mentre ci apprestiamo a cancellare da questa terra coloro che profanano la vostra serenità. Si tratta di vili pirati, predoni delle vostre case, infiltratisi su quest’isola a vostro danno. Non hanno avuto timore per la nostra venuta, anche se siamo la loro nemesi e i custodi dell’ordine che loro tanto disprezzano, e la loro superbia sarà punita. –

Kesp si fermò per un istante, orgoglioso del silenzio che aveva fatto seguito alle sue parole. Non avrebbe gradito un applauso, anche se altri tendevano a ritenerlo doveroso: non c’era nulla di meglio di quell’atmosfera piena di terrore rattenuto. Il suono dei tempi più gloriosi della Marina, quando incuteva il giusto timore reverenziale.

- L’esecuzione capitale è il solo modo per sradicare il loro seme nefasto: è un esempio per quanti della loro risma credono ancora sicuro nascondersi tra queste case. Almeno altrettanto, vuole essere un monito per quanti sono obbligati a nasconderli nelle loro case: chiedete il nostro aiuto e sarete liberati, dando ai criminali la loro giusta punizione. Non voglio credere che nessuna persona onesta di questa magnifica isola ospiti volontariamente gente di tale risma, – lanciò uno studiato sguardo di avvertimento all’intero pubblico presente e continuò – quindi mi aspetto di ricevere presto le vostre fiduciose denunce per debellare tale minaccia. -

Principessa lasciò andare la spalla del fratello, controllando accuratamente i propri gesti. Quelle parole dimostravano che la sua premura era più che motivata ed ogni motivo di scompiglio avrebbe dato da pensare sulla loro buona fede. Sapeva di essere sbiancata, ma non poteva essere più pallida degli astanti e nemmeno poteva permettersi il lusso di allontanarsi, come per un’ammissione di colpa.

Con entusiasmo, un braccio tozzo del Viceammiraglio si indirizzò ai prigionieri, simulando magnanimità: - Ma come di dovere in queste occasioni: un ultimo desiderio, pirati? –

Alcuni degli incatenati erano semi-incoscienti, feriti gravemente durante lo scontro che doveva aver preceduto la cattura, e tenevano la testa appoggiata alla parete alle loro spalle o reclinata sul petto. I pochi ancora presenti a se stessi, mostravano un sintomatico odio e disprezzo nell’espressione, ma agonizzavano sopra le pozze di sangue che si formavano ai loro piedi.

Eppure, uno alzò la testa, spavaldo, riuscendo anche a stirare le labbra in un ghigno beffardo, macchiato di liquido scarlatto che gli scivolava ai lati della bocca. Prese un respiro rauco, stringendosi il fianco ferito, e gridò, con tutto il fiato che sembrava possedere: - Nessun desiderio, bastardo! …Avanti… Ammazza uomini inerti davanti a tutte queste persone… Mostra l’onore della tua Marina, Kesp… Codardi! –

L’ufficiale prese posto a lato della sua schiera, per nulla colpito da quelle parole, ma orgoglioso per il senso di onnipotenza con il quale lo ammantavano. Ad un cenno della sua mano, le due file di uomini puntarono i fucili.

- Addio, capitano. – rispose solo, beffardo, poi, con foga: - Caricare… Fuoco! –

Il rumore delle detonazioni così vicine fu assordante e spaventosa. Principessa stessa, d’istinto, chiuse gli occhi, e si evitò la vista di quel pessimo spettacolo. Vide solo la conclusione, il momento in cui i corpi inerti si afflosciarono a terra, quando ormai tutti i colpi si erano scaricati su di loro o sui supporti posteriori, sui quali i fori erano aumentati in numero, in alcuni punti uniti a schizzi di liquido rosso. Le catene lasciavano alcuni in posizioni contorte e semi sospese, pose di morte infamanti fino a scatenare la più dolorosa pietà. Su alcuni non si poteva posare lo sguardo tanto apparivano sfigurati da quello scempio.

Clayton era una statua di sale, esattamente come prima: ma ora aveva visto e ancora vedeva. Sentiva salire la nausea e sapeva che rivivendo quella scena avrebbe vomitato l’anima, ma in quell’attimo era più forte la negazione. Incatenati come animali nella piazza principale, malconci in un modo vergognoso, tale che nessuno poteva davvero credere avessero solo partecipato ad uno scontro armato. Nessun giudizio, solo volontà cieca di versare sangue davanti a persone terrorizzate, come atto di forza. La Marina, cos’era esattamente? Era questo?

Loro credevano in questo? E a quest’ultima domanda si rispose subito, in un lampo di consapevolezza: né lui né sua sorella l’avevano mai fatto.

Quello che probabilmente per Kesp voleva essere un messaggio privato con il suo secondo, nell’atmosfera congelata, spezzata solo da qualche singhiozzo o qualche sussurro smorzato, fu perfettamente udibile: - Lasciateli qui per un po’. Chissà che il messaggio arrivi più in fretta e la “brava gente” che li nasconde si faccia viva prima di stasera. –

Principessa si impose di lasciar scivolare nella sua mente quelle parole senza comprenderle, pensando piuttosto a scuotere il fratello da quella strana catalessi per riportarlo a casa. Ancora una volta non fece in tempo.

Clayton fece un paio di passi avanti, sfuggendole. Sembrava un cadavere, mentre qualcosa che si stava agitando riottoso nella sua mente doveva avergli procurato quel rossore indignato sulle gote. Quando tirò fuori una voce rauca e dura, priva di timore e forte, mai sentita da alcuno in quel ragazzo magrolino e riservato, gli astanti faticarono a riconoscere il più giovane e controllato dei McFerson.

- Criminali! Voi siete i criminali! Questa non è Giustizia! Noi non subiremo tutto questo in silenzio, vili! -

Per un istante tutti trattennero il respiro. Tutti lo stavano pensando e non l’avrebbero mai detto, tanto meno in quel modo. Sentirlo buttato in faccia ai responsabili con tutta quella furia inaspettata li spaventò. Principessa, invece, passò quell’eterno momento in un moto di istintiva ammirazione per lui. In fondo questa era la vera natura di Clayton. Non poteva che essere così. La somiglianza era tanto intensa da stringerle il cuore e quasi farle sovrapporre le loro due immagini…

Poi iniziarono i brusii, sottilissimi ma in inesorabile aumento, come l’adesione che scatenava nei presenti e che lentamente prendeva il sopravvento sulla paura. Per questo, vedendosi vicino a perdere la sua aura di controllo supremo, Kesp fu obbligato a dare un seguito a quelle parole, benché si fosse ripromesso di non agire in alcun modo contro i civili: - E voi chi sareste…? – disse solo, con una vena sarcastica che rendeva ancora più odioso il suo tono stridulo.

La prontezza di Principessa fu encomiabile, questa volta.

- Mio fratello! – esclamò affiancandolo immediatamente. L’altro sembrava sul punto di riprendere la parola, ormai incontrollabile nel suo impeto appena scoperto, ma lei lo anticipò ancora: - Io sono McFerson… Sakazuki… Principessa! -

Fece molta fatica a dirlo, anzi, rischiò quasi di non farcela per quanto la cosa le facesse ribrezzo, ma ottenne l’effetto sperato. Kesp Yona, piccolissimo uomo che voleva farsi grande su un’isola sperduta, mentre fino al giorno prima sedeva dietro una scrivania con un grado onorifico per i servizi resi nella vuota burocrazia dell’esercito, all’udire il cognome del più intransigente e virulento degli ammiragli divenne paonazzo e fu svuotato della sua parlantina.

La soddisfazione si sostituì allora al rigetto, manifestandosi in un ghigno diabolico delle sue labbra scarlatte: - Ritenete che mio padre sarebbe lieto del vostro operato? –

- Seguiamo… degli… ordini… - iniziò, per nulla convincente, il vice-ammiraglio.

Tra i marinai - esclusi i fucilieri, ora molto preoccupati per la nota di condotta che rischiava di cadere sulle loro teste -, si levò uno stupito parlottare.

- Non credo comprendessero la “caccia al pirata”.  Non siete qui per fare riunioni e discussioni? Il gioco della guerra non vi compete. Siete o non siete scribacchini!? -

Qualche soldato non riuscì a nascondere un sorrisetto.

- Signorina, state esagerando… - la avvertì Kesp, temendo di perdere del tutto la faccia davanti ai suoi.

- Oh, quindi rischio di essere incatenata e fucilata? – infierì lei, ancora più ruvida – Del resto, bisogna essere decisi contro i reati di insubordinazione. E’ questo il messaggio che volete trasmetterci, giusto? Avanti, sono colpevole! La prima ad essere portata davanti alla “giustizia”. Tanto ora intendete fare il processo anche ai civili, no? -

Il vice-ammiraglio era sempre più rosso su quel grosso viso sgraziato.

- Vi dirò cosa farete, invece: toglierete questi cadaveri dalla nostra piazza principale. Non mi importa cosa farete di quei resti, non sono un prete, ma di certo nessuno in questa città meritava di vedere questo orrendo spettacolo. Tanto meno ora deve essere limitato nelle sue libertà per evitare di avere a che fare con un crimine di guerra. Perché é questo il suo nome, vice-ammiraglio: non ho visto processi né sentenze, qui. – soggiunse, con l’aria di non ammettere repliche – Siamo brava gente e le vostre minacce ci offendono: non violerete i nostri diritti entrando nelle nostre case per verificare chissà quale complicità con i pirati. -

Alcuni dei presenti alla spalle dei fratelli McFerson cominciarono ad annuire, chi più convinto e soddisfatto, chi con uno sguardo ancora riluttante sui morti che giacevano ai loro piedi.

- Se farete questo, allora probabilmente non parlerò a mio padre di come avete trasformato la mia onorata isola in una specie di massacro a cielo aperto. – concluse, le mani sui fianchi come un vero comandante. Erano minacce a vuoto, sia perché non parlava da anni con il bastardo, sia perché probabilmente avrebbe addirittura gradito una così subitanea ed esaustiva espressione di “Giustizia”. Per contro, comunque, sospettava gli fosse ben poco caro lo scavalcamento dei superiori e almeno su questo poteva fare affidamento. Sperava non fosse necessario…

- Riconosco in voi la tempra di vostro padre, Signorina Sakazuki… - affermò, con un salamelecco, l’ufficiale. Principessa dovette imporsi tutto il suo autocontrollo per tenere fissa la sua aria di comando, senza mostrare in volto il disgusto che le aveva causato quel semplice paragone.

- Buttateli in mare! – ordinò ad alta voce ai suoi, senza celare la stizza di dover eseguire quelle direttive.

La ragazza afferrò il braccio dei fratello al suo fianco. Livido di rabbia, le rivolse uno sguardo pieno di rancore, che lei da parte sua non capì. In quel momento non aveva intenzione di sentire una sola parola da quel folle che aveva rischiato di fare ammazzare entrambi e gli tappò la bocca malamente con una mano, quando tentò di parlare.

- Taci! – gli ordinò a mezza voce, arrabbiata – A casa! -

Ma mentre muovevano passi veloci in direzione della loro abitazione, li sentiva già, era inevitabile.

- Dimentico sempre che è anche figlia di quel bell’uomo… -

- Anche sua moglie lo dimenticava spesso… -

- E’ proprio una strega, non si spiega altrimenti come faccia a comportarsi così… -

- Avrà detto cose vere, ma faceva un sacco di paura anche a me… -

- Certo che fa paura come quell’ammiraglio, con quegli occhi neri… -

Strinse i denti con tutte le sue forze, quasi fino a sentirli stridere. Ottenne solo il risultato di sentir bruciare l’umiliazione dove più facilmente poteva farle salire le lacrime agli occhi.

 

- Principessa! Clayton! – ma in un istante l’entusiasmo di Ace si smorzò come l’interruttore di una lampadina. Guardò i due fermi all’entrata che si fissavano con un astio quasi spaventoso. La porta d’ingresso si sbatté alle loro spalle come la campana di inizio di un match.

- Tu sei matto. –

- No, adesso smetti di parlare, Principessa! Hai parlato a sufficienza! – le saltò su il fratello, con l’aria di chi trattiene qualcosa da troppo tempo per poter limitare i toni.

- Non dire cose di cui puoi pentirti… - lo avvertì lei, la fronte corrugata.

- Adesso mi lasci parlare! Dannazione, non sono un bambino! Non sei mia madre! Non devi zittirmi! Per quanto tu ti possa sforzare, non sei il capofamiglia di nulla qui! Dovresti obbedirmi tu, qualche volta! Non sono tua proprietà e una tua marionetta! –

- Tu non sei in grado… -

- No, tu non lo sei! Dici tanto di odiare nostro padre, poi ti fai scudo con lui, come una bambina! Non bastavano le tue, le nostre forze!? Sei debole come tutti, niente di più! –

- Clayton! –

- Credi che io non possa sopportare la cruda verità!? Ti dico io qual è la vera amara verità! Tu usi chi ti si affeziona per difenderti! Sei talmente severa e intransigente da non riuscire ad amare nessuno! Ecco perché conti su di me, altrimenti saresti sola! –

Il colpo arrivò sordo e violento. Neanche l’interessato se lo aspettava e quasi cadde a terra, destabilizzato da uno schiaffo decisamente troppo forte da apparire un semplice avvertimento.

Gli spettatori rimasero tali, non osarono intervenire. Del resto, e Clay se ne accorse appena riuscì a riequilibrarsi e rivolgere ancora lo sguardo su di lei, la ragazza aveva gli occhi lucidi: una reazione imprevista e preoccupante.

- E’ vero… Tutto vero… Quindi chissà perché mi permetto di picchiarti. Non hai bisogno di me, sono io ad avere bisogno di te e a tenerti prigioniero. Nessuno mi vuole, cosa ci puoi fare? Puoi decidere se tenermi compagnia almeno tu o cacciarmi via. Sei libero, fratello mio, se lo desideri tanto. – esitò – No. Clayton. Solo “Clayton” se non voglio condizionarti, così sia. -

Lui rimase fermo, senza alcuna variazione di espressione a quelle confessioni. La guancia pulsava dolorosamente e quel calore alimentava una ribellione che tardava a spegnersi.

- Vado a prendere un po’ d’aria. Posso tornare? – chiese, seria.

Il fratello si limitò ad annuire.

 

Non che potesse davvero decidere dove andare a rifugiarsi e sfogare un po’ della sua amarezza. L’unico posto in cui, suo malgrado, riuscisse a sentirsi accettata…

- Be’? – fu l’unica cosa che Johnny seppe dire vedendola imboccare senza esitazione la scalinata che conduceva al suo locale, in realtà ancora chiuso.

Principessa lo guardò e simulò un sorriso: - Che vuoi farci? E’ un periodaccio. –

- Oddio. – commentò solamente, per poi poggiarle una mano sulla spalla e dirigerla lui stesso nel seminterrato. Non c’era alcuna ribellione nel volto della donna più indomabile che conoscesse. Un pessimo segno.

 

Il locandiere non esitò a riempirle il bicchiere e le lasciò a portata la bottiglia, questa volta. D’altra parte, stranamente, non sembrava affatto interessata a quella strana gentilezza.

- Sai già tutto? -

Il ragazzo fece una smorfia e prese a massaggiarsi nervosamente con il pollice il labbro superiore, coperto da una barbetta bionda. In realtà sapeva solo quello che aveva commentato malamente suo padre, poco prima di salire nella sua camera al piano superiore: era andato a vedere l’esecuzione sulla pubblica piazza e si era trovato davanti ad una sceneggiata interpretata dalla Strega e da suo fratello. Avrebbe preferito non dover ascoltare il resto, commenti per nulla benevoli, rivolti a quelli che considerava poco più che scarti di cucina. Per fortuna l’anziano aveva finito di arrancare con l’aiuto del bastone sulla scalinata nei pochi minuti precedenti alla comparsa dell’abito brillante di Principessa all’inizio della strada.

- Quello che ha riferito mio padre, se può bastare. – rispose, sincero – Ma mi sono fatto un’idea. – soggiunse immediatamente, immaginando che la ragazza avesse ben poca voglia di parlarne nei dettagli.

Il risultato fu solo un cenno affermativo del capo, rivolto verso il basso.

Il locandiere aspettò per un po’ che si sforzasse almeno di spiegargli ciò che mancava, cioè il motivo per il quale si trovava in quello stato. Il silenzio aveva presto cominciato a metterlo in difficoltà, quindi decise di romperlo in qualche modo:

- Li hanno catturati l’altra notte, a casa dei Fyst. Avevano chiesto ospitalità, senza domandare nulla in cambio. Cosa rara di questi tempi, concorderai con me, soprattutto nel caso di fuorilegge. Anche se non tanto quanto la gente crede, giusto? -

La ragazza appoggiò la testa sul bancone, inerte.

- Pare che siano stati i vicini di casa a fare la spia, ci crederesti? Non che questo porti danno ai Fyst: la Marina non può facilmente imporsi a punire cittadini comuni. Comunque non si poteva essere certi dell’impunità dei civili, visto lo stato in cui hanno raccolto quei pirati disgraziati al solo fine di finirli in piazza. E’ ciò che mi ha riferito l’erborista ieri sera, molto tardi. “Vittime di un pestaggio in piena regola”. Non so se abbia assistito al fattaccio o ne abbia solo constatato gli esiti, in realtà. -

Il ragazzo insisteva, sempre più impacciato.

- Non ci si può più neanche fidare della Marina, mi chiedo? Non credo meritiamo un regime di polizia: Ward-Golfe è sempre stato un porto franco, anche per i pirati. Siamo sempre sopravvissuti in questo modo, facendo a patti con tutte le forze attive sul mare. Queste nuove leve del Governo non sanno proprio nulla e cercano di fare carriera alle spalle di un equilibrio che proteggeva tutti, loro compresi! -

Ancora nessun cenno di vita.

- Mi stai ascoltando, Principessa? – chiese, esasperato.

Lei sbatté un paio di volte le palpebre su uno sguardo vacuo e di nuovo annuì, senza forze.

- Mi stai facendo paura. – ammise, prendendole la mano che ancora pesava passivamente sul ripiano ligneo.

Gli rivolse gli occhi neri, brillanti di lacrime trattenute.

- Ti ha fatto impressione? Se fosse così, sarebbe comprensibilissimo. Io non ti avrei permesso di andare a vedere un’esecuzione capitale. Sei pur sempre una ragazza dal cuore tenero. – affermò, con un sorriso tra una scherzosa ironia e una gentile rassicurazione.

Lei rispose solo raccogliendo il bicchierino e versandosi un grosso sorso di whisky in gola.

- E’ qualcos’altro, vero? – domandò ancora, stringendole la mano con un po’ più decisione per richiamare la sua attenzione – Tuo fratello sta bene? -

Annuì ancora, ma spostò lo sguardo.

- Non fare così, per favore. -

La vaga supplica nel suo tono le provocò il primo sintomo di ribellione. Fece un cenno con il mento alle loro mani giunte, come un rimprovero.

Johnny si strinse nelle spalle, con un’occhiata di sfida: - E’ il mio sostegno. Non vuoi più neanche questo, ora? –

- Lasciami. – rispose solo, con rabbia.

- Ho promesso a tua madre… - iniziò lui, ferito.

- Non a me, infatti. Sappiamo entrambi cosa hai fatto a me. Lasciami. – insistette lei, cercando di sfilare la mano da una stretta a quel punto fin troppo ferrea.

- Non voglio. – affermò, con un bagliore nello sguardo che lei conosceva molto bene. Quell’idiota di un locandiere opportunista…

 

La sfortuna furono i passi che provenivano da sopra e scendevano le scale. Una voce insicura e flebile iniziava già a chiamarlo da lontano e questa fu la sola fortuna.

Il locandiere si pietrificò sul posto e finalmente fu facile liberare l’arto da quella morsa, prima che fosse tardi.

Uno scricciolo biondo con la frangia lunga fino agli occhi e una busta della spesa in mano comparve sulla soglia. Intercettò subito Johnny sfoderando un sorriso adorabile, che d’altra parte si spense di fronte a Principessa.

Quest’ultima pensò, con un po’ di amarezza, che si trattava solo di un’altra persona che aveva deciso di odiarla tanti anni fa: ed in realtà era stato quasi un dovere viste le circostanze del loro primo incontro. Da parte sua non riusciva ad essere da meno: non avrebbe mai accettato che la giovane Lucas F. avesse ricevuto un trattamento di tanto favore a sue esclusive spese. In fondo, erano pari.

Nonostante non avesse la forza di mostrarsi conciliante, volle essere almeno cortese e salutò con molta enfasi e un rispettoso cenno del capo:

- Buongiorno, Ofay. –

La nuova arrivata sembrò interrogare con uno sguardo furtivo il ragazzo, che le apparve soprattutto frastornato. Tuttavia, si sforzò, forse proprio per lui, di rispondere a tono:

- Buongiorno. -

Bene, era sufficiente.

Principessa si alzò, senza alcuna gioia in viso: - Vi lascio alle vostre faccende. E al pranzo, aggiungerei. Vi auguro buona giornata. –

Ofay la studiava con qualcosa tra l’imbarazzo e il fastidio, ma non si azzardò a dire nulla, dove al posto suo l’altra avrebbe scatenato almeno una litigata. Scoperta con il fidanzato, in negozio, a quell’ora tanto insolita: c’era di che far venire giù la casa, ma la brava sposina non era così, affatto. Forse non ne avrebbe neanche parlato con il promesso, tanto era ubbidiente e gentile. O forse stupida, pensò un recesso crudele nella mente della rossa.

- Prin! –

Allora forse sperava che Johnny fosse meno stupido…

- Ricordati che io ci sono. Mi trovi qui. Per qualsiasi cosa. -

No, proprio un idiota patentato. Però un programmino in accordo con quell’offerta le stava venendo in mente: l’idea di ficcargli un palo di frassino nel cuore, forse, l’avrebbe spinta a cercarlo.

- Oh, credo farò senza, grazie. – affermò, prima di incamminarsi verso l’esterno, verso qualsiasi altro posto su quell’odiosa isola.

 

 

 

§ § § § § § § § § § § § § § § §

Si può dire che é stato un parto? ..................... E' STATO UN PARTO! XD
Tra questo capitolo e il precedente: ho dato almeno quattro esami, ho letto "Marina" di Zafòn e ho dovuto scriverne una one-shot, sono stata reclutata per un contest di S.Valentino e mi é stato prescritto di mettere giù quattro brevi (magari le posterò anche qui, ora che ci penso), ho letto tutti i capitoli di "Pandora Hearts" e ho definitivamente perso la testa per un bel po'... 
Sono giustificabile? A voi può importare qualcosa? No. Quindi andiamo avanti...
In questo capitolo manca irreparabilmente Ace. E' stata una folgorazione mentre rileggevo. Però hanno trovato i loro spazi sia l'azione sia una certa presenza di sangue (e tra l'altro ritenete dovrei alzare il rating?). 
Clayton e uno strano furore. Principessa e i brutti ricordi in una simpatica compilation.

Grazie a chi recensisce! Grazie a chi legge! Grazie a chi segue! Grazie a chi preferisce! ^^

P.S. In seguito a segnalazione di Vodia, sto cercando di rimediare al mio uso spropositato del termine "marinaio". Solo che non ho ancora trovato una parola adatta a significare ciò che io intendo per "marinaio". Se lo trovate ancora qualche volta, é solo perché ho esaurito gli equivalenti, ma sto cercando di guarire, giuro! XD

  
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