Giorno
II – Mattina
- Un bicchiere
sporco. Di latte. Chi è stato? -
Alla
domanda di Principessa,
un già parecchio impettito Clayton si rizzò come
una canna di bambù. Se
possibile, divenne ancora più inquieto un istante dopo,
quando fu l’apatico
spadaccino ad alzare la mano, senza sforzarsi di aprire bocca. In un
baleno
realizzò la minaccia: lui se ne era accorto di certo,
l’aveva scoperto, quella
notte come tutte le altre precedenti, nel ripostiglio. Lo sguardo acuto
e severo
del pirata si puntò su di lui, confermando i suoi dubbi.
Colto in flagrante,
distolse subito gli occhi nocciola da quella figura inquietante, ma non
smise
di sentirsi fastidiosamente squadrato. Non era il momento di
affrontarlo. Tra
sé ammise pure che quel tempo di
chiarimento sarebbe arrivato quando i ghiacciai si fossero sciolti, se
fosse
dipeso alla sua intraprendenza…
-
Be’, potevi
almeno degnarti di sciacquarlo. – fu il solo argomento della
ragazza, che lo
passò sotto l’acqua e poi lo posò sul
tavolo, davanti al piatto del suo proprietario.
-
Quindi voi
dovete… - iniziò Ace, scettico.
-
… andare alla
posta, si. A cercarmi un lavoro. –
-
Non ti ci vedo. –
affermò, placido, il pirata, addentando una fetta di pane
imburrata.
-
Ma pensa un po’. –
rispose lei, stizzosa – E questo cosa dovrebbe significare?
Se io non ti dessi
più da mangiare, il fatto che tu sia naturalmente portato a
farlo non cambierebbe
il fatto che tu non possa. E viceversa. Questo esempio non è
casuale, se ci
pensi. –
Ace
passò uno
sguardo per nulla convinto, ma anche piuttosto pensieroso, dalla
ragazza al
fratello. Quest’ultimo, al cenno della maggiore, si
alzò silenziosamente da
tavola e si tolse il grembiule, per poi passarsi le mani sui seri
pantaloni
scuri e sulla camicia bianca a lisciarli e spolverarli.
-
Equivale a dire
che sei obbligata a farlo? - concluse i suoi ragionamenti.
L’occhiata
degli
occhi neri di Principessa avrebbe incenerito il ragazzo, se questo non
fosse
stato assolutamente convinto dell’innocenza di quella
domanda. Del resto alle
orecchie di tutti era suonata parecchio ostica, tanto da pietrificare
sul posto
Clayton e stimolare le sopraciglia di Regynald fino ad assumere una
piega ben
più che scettica.
-
Equivale a dire
che voi due fate i bravi bambini e disfate la tavola, mentre noi
cerchiamo di
che mantenervi. -
E
questo sembrò
chiudere abbastanza bene il discorso da permettere ai due di uscire di
casa
senza ulteriori polemiche.
La
città era piena
di ufficiali.
Principessa
avanzava a testa bassa, evitando di incrociare un qualsiasi sguardo e
cercando di
passare inosservata. Non voleva essere riconosciuta da nessuno o
permettere ad
un qualsiasi ometto in divisa di ricordare il bizzarro nome della
figlia dell’ammiraglio.
Percorsero fianco a fianco le vie principali del reticolo urbano:
consentivano di
imboccare la strada più veloce verso la sede della posta,
quasi al lato opposto
dell’isola, mentre la grande quantità di gente
poteva promettere una certa
invisibilità.
Per
questo, dato
che fissava ostinatamente in terreno davanti a sé, non si
accorse subito che al
centro della piazza principale, poco lontano dal passaggio perimetrale
che si
stavano ritagliando, un folto pubblico si era concentrato intorno a
qualcosa.
Il brusio che circondava i due celava il silenzio tombale in cui era
immerso
questo muro umano, attonito e spaventato.
La
ragazza alzò lo
sguardo solo quando il fratello le prese il braccio per fermarla e,
senza
aspettare una reazione, si limitò ad avvertirla: -
E’ strano. Vado a vedere. – La
risposta di lei si fece ancora attendere. Lo guardò
immergersi nella folla che
solo allora aveva notato.
Un
alito di vento
denso di salsedine spirò con maggiore intensità
lungo quelle vie, fino al
grande spiazzo e provocò un fruscio quasi cartaceo, tipico
di un tessuto
plastificato che quasi schiocca al primo sbuffo d’aria. Fu un
tutt’uno
intercettare l’origine di quel suono sgradevole: alte sopra
le loro teste
svettavano le bandiere della Marina.
-
Clayton! – lo
chiamò immediatamente, senza curarsi del silenzio che era
stato evocato
sull’intera piazza.
Si
buttò
prontamente tra quelle persone, spingendo senza alcuna cura tutti
coloro che si
frapponevano. Una voce gracchiante e fastidiosa aveva preso a
sciorinare una
sorta di discorso di rito e lei non la ascoltava. Una mano le
afferrò e cercò
di spingerla indietro. Riconobbe vagamente la voce tremante di Basil il
falegname che le sussurrava, vicino al viso: - Non dovete…
Non sono cose che
voi dovreste vedere, Signorina… - Principessa lo
ignorò. Sapeva bene cosa stava
per succedere e, per quanto non ne avesse mai avuta una vera
esperienza, poteva
combattere il profondo disgusto e orrore che ne derivava. Non era
sicura valesse
lo stesso per suo fratello minore, troppo generoso e fatalista da non
esserne
scosso nel profondo.
Era
ormai prossima
alle prime file quando intravide il codino color platino di Clayton e
si
affrettò ad affiancarsi alla sua figura inebetita. Gli
appoggiò una mano sulla
spalla, decisa:
-
Vieni via… - gli
disse all’orecchio, ma quello non si mosse.
Kesp
Yona
stazionava con compattezza e autocompiacimento i suoi uomini schierati,
continuando imperterrito un discorso pieno di retorica e
formalità che nessuno
dei presenti ascoltava. Gli sguardi inquieti balzavano, sconcerti, tra
i due
veri protagonisti della scena. Da un lato, gli otto pirati, malconci e
sanguinanti, incatenati mani e piedi ad uno spesso supporto in legno,
bucherellato in più punti ed evidentemente montato per
l’occasione. Dall’altro,
i fucili che tutti gli uomini di legge lì schierati tenevano
al fianco, con una
sicurezza e un’ostentazione che preannunciavano il disastro.
-
Clayton… - tentò
ancora la rossa, arrivando anche a strattonarlo per condurlo via. Non
poteva
certo fare scenate, non voleva attirare l’attenzione, ma
temeva per il più
giovane, il cui volto sembrava già pietrificato dallo
sgomento.
-
… Così, in nome
dei più alti valori che animano la nostra bandiera, che
anche ora svetta alta e
vittoriosa sopra di noi, vegliando su di voi, suoi umili e fiduciosi
protetti,
siamo pronti a compiere il nostro pur necessario dovere. La Giustizia
arriderà
vittoriosa al nostro operato, mentre ci apprestiamo a cancellare da
questa
terra coloro che profanano la vostra serenità. Si tratta di
vili pirati,
predoni delle vostre case, infiltratisi su quest’isola a
vostro danno. Non
hanno avuto timore per la nostra venuta, anche se siamo la loro nemesi
e i
custodi dell’ordine che loro tanto disprezzano, e la loro
superbia sarà punita.
–
Kesp
si fermò per
un istante, orgoglioso del silenzio che aveva fatto seguito alle sue
parole.
Non avrebbe gradito un applauso, anche se altri tendevano a ritenerlo
doveroso:
non c’era nulla di meglio di quell’atmosfera piena
di terrore rattenuto. Il
suono dei tempi più gloriosi della Marina, quando incuteva
il giusto timore reverenziale.
-
L’esecuzione
capitale è il solo modo per sradicare il loro seme nefasto:
è un esempio per
quanti della loro risma credono ancora sicuro nascondersi tra queste
case.
Almeno altrettanto, vuole essere un monito per quanti sono obbligati a
nasconderli nelle loro case: chiedete il nostro aiuto e sarete
liberati, dando
ai criminali la loro giusta punizione. Non voglio credere che nessuna
persona
onesta di questa magnifica isola ospiti volontariamente gente di tale
risma, –
lanciò uno studiato sguardo di avvertimento
all’intero pubblico presente e
continuò – quindi mi aspetto di ricevere presto le
vostre fiduciose denunce per
debellare tale minaccia. -
Principessa
lasciò
andare la spalla del fratello, controllando accuratamente i propri
gesti. Quelle
parole dimostravano che la sua premura era più che motivata
ed ogni motivo di
scompiglio avrebbe dato da pensare sulla loro buona fede. Sapeva di
essere
sbiancata, ma non poteva essere più pallida degli astanti e
nemmeno poteva
permettersi il lusso di allontanarsi, come per un’ammissione
di colpa.
Con
entusiasmo, un
braccio tozzo del Viceammiraglio si indirizzò ai
prigionieri, simulando
magnanimità: - Ma come di dovere in queste occasioni: un
ultimo desiderio,
pirati? –
Alcuni
degli
incatenati erano semi-incoscienti, feriti gravemente durante lo scontro
che
doveva aver preceduto la cattura, e tenevano la testa appoggiata alla
parete
alle loro spalle o reclinata sul petto. I pochi ancora presenti a se
stessi,
mostravano un sintomatico odio e disprezzo nell’espressione,
ma agonizzavano sopra
le pozze di sangue che si formavano ai loro piedi.
Eppure,
uno alzò la
testa, spavaldo, riuscendo anche a stirare le labbra in un ghigno
beffardo,
macchiato di liquido scarlatto che gli scivolava ai lati della bocca.
Prese un
respiro rauco, stringendosi il fianco ferito, e gridò, con
tutto il fiato che
sembrava possedere: - Nessun desiderio, bastardo!
…Avanti… Ammazza uomini
inerti davanti a tutte queste persone… Mostra
l’onore della tua Marina, Kesp…
Codardi! –
L’ufficiale
prese posto
a lato della sua schiera, per nulla colpito da quelle parole, ma
orgoglioso per
il senso di onnipotenza con il quale lo ammantavano. Ad un cenno della
sua
mano, le due file di uomini puntarono i fucili.
-
Addio, capitano.
– rispose solo, beffardo, poi, con foga: -
Caricare… Fuoco! –
Il
rumore delle
detonazioni così vicine fu assordante e spaventosa.
Principessa stessa,
d’istinto, chiuse gli occhi, e si evitò la vista
di quel pessimo spettacolo.
Vide solo la conclusione, il momento in cui i corpi inerti si
afflosciarono a
terra, quando ormai tutti i colpi si erano scaricati su di loro o sui
supporti
posteriori, sui quali i fori erano aumentati in numero, in alcuni punti
uniti a
schizzi di liquido rosso. Le catene lasciavano alcuni in posizioni
contorte e
semi sospese, pose di morte infamanti fino a scatenare la
più dolorosa pietà. Su
alcuni non si poteva posare lo sguardo tanto apparivano sfigurati da
quello
scempio.
Clayton
era una
statua di sale, esattamente come prima: ma ora aveva visto e ancora
vedeva.
Sentiva salire la nausea e sapeva che rivivendo quella scena avrebbe
vomitato
l’anima, ma in quell’attimo era più
forte la negazione. Incatenati come animali
nella piazza principale, malconci in un modo vergognoso, tale che
nessuno
poteva davvero credere avessero solo partecipato ad uno scontro armato.
Nessun
giudizio, solo volontà cieca di versare sangue davanti a
persone terrorizzate,
come atto di forza. La Marina, cos’era esattamente? Era
questo?
Loro
credevano in
questo? E a quest’ultima domanda si rispose subito, in un
lampo di
consapevolezza: né lui né sua sorella
l’avevano mai fatto.
Quello
che
probabilmente per Kesp voleva essere un messaggio privato con il suo
secondo,
nell’atmosfera congelata, spezzata solo da qualche singhiozzo
o qualche
sussurro smorzato, fu perfettamente udibile: - Lasciateli qui per un
po’.
Chissà che il messaggio arrivi più in fretta e la
“brava gente” che li nasconde
si faccia viva prima di stasera. –
Principessa
si
impose di lasciar scivolare nella sua mente quelle parole senza
comprenderle,
pensando piuttosto a scuotere il fratello da quella strana catalessi
per
riportarlo a casa. Ancora una volta non fece in tempo.
Clayton
fece un
paio di passi avanti, sfuggendole. Sembrava un cadavere, mentre
qualcosa che si
stava agitando riottoso nella sua mente doveva avergli procurato quel
rossore
indignato sulle gote. Quando tirò fuori una voce rauca e
dura, priva di timore
e forte, mai sentita da alcuno in quel ragazzo magrolino e riservato,
gli
astanti faticarono a riconoscere il più giovane e
controllato dei McFerson.
-
Criminali! Voi
siete i criminali! Questa non è Giustizia! Noi non subiremo
tutto questo in
silenzio, vili! -
Per
un istante
tutti trattennero il respiro. Tutti lo stavano pensando e non
l’avrebbero mai detto,
tanto meno in quel modo. Sentirlo buttato in faccia ai responsabili con
tutta
quella furia inaspettata li spaventò. Principessa, invece,
passò quell’eterno
momento in un moto di istintiva ammirazione per lui. In fondo questa
era la
vera natura di Clayton. Non poteva che essere così. La
somiglianza era tanto
intensa da stringerle il cuore e quasi farle sovrapporre le loro due
immagini…
Poi
iniziarono i
brusii, sottilissimi ma in inesorabile aumento, come
l’adesione che scatenava
nei presenti e che lentamente prendeva il sopravvento sulla paura. Per
questo,
vedendosi vicino a perdere la sua aura di controllo supremo, Kesp fu
obbligato
a dare un seguito a quelle parole, benché si fosse
ripromesso di non agire in
alcun modo contro i civili: - E voi chi sareste…?
– disse solo, con una vena sarcastica
che rendeva ancora più odioso il suo tono stridulo.
La
prontezza di
Principessa fu encomiabile, questa volta.
-
Mio fratello! –
esclamò affiancandolo immediatamente. L’altro
sembrava sul punto di riprendere
la parola, ormai incontrollabile nel suo impeto appena scoperto, ma lei
lo
anticipò ancora: - Io sono McFerson…
Sakazuki… Principessa! -
Fece
molta fatica a
dirlo, anzi, rischiò quasi di non farcela per quanto la cosa
le facesse
ribrezzo, ma ottenne l’effetto sperato. Kesp Yona,
piccolissimo uomo che voleva
farsi grande su un’isola sperduta, mentre fino al giorno
prima sedeva dietro
una scrivania con un grado onorifico per i servizi resi nella vuota
burocrazia
dell’esercito, all’udire il cognome del
più intransigente e virulento degli
ammiragli divenne paonazzo e fu svuotato della sua parlantina.
La
soddisfazione si
sostituì allora al rigetto, manifestandosi in un ghigno
diabolico delle sue
labbra scarlatte: - Ritenete che mio padre sarebbe lieto del vostro
operato? –
-
Seguiamo… degli…
ordini… - iniziò, per nulla convincente, il
vice-ammiraglio.
Tra
i marinai -
esclusi i fucilieri, ora molto preoccupati per la nota di condotta che
rischiava di cadere sulle loro teste -, si levò uno stupito
parlottare.
-
Non credo
comprendessero la “caccia al pirata”. Non
siete qui per fare riunioni e discussioni? Il gioco della guerra non vi
compete. Siete o non siete scribacchini!? -
Qualche
soldato non
riuscì a nascondere un sorrisetto.
-
Signorina, state
esagerando… - la avvertì Kesp, temendo di perdere
del tutto la faccia davanti
ai suoi.
-
Oh, quindi
rischio di essere incatenata e fucilata? – infierì
lei, ancora più ruvida – Del
resto, bisogna essere decisi contro i reati di insubordinazione.
E’ questo il
messaggio che volete trasmetterci, giusto? Avanti, sono colpevole! La
prima ad
essere portata davanti alla “giustizia”. Tanto ora
intendete fare il processo
anche ai civili, no? -
Il
vice-ammiraglio
era sempre più rosso su quel grosso viso sgraziato.
-
Vi dirò cosa
farete, invece: toglierete questi cadaveri dalla nostra piazza
principale. Non
mi importa cosa farete di quei resti, non sono un prete, ma di certo
nessuno in
questa città meritava di vedere questo orrendo spettacolo.
Tanto meno ora deve
essere limitato nelle sue libertà per evitare di avere a che
fare con un
crimine di guerra. Perché é questo il suo nome,
vice-ammiraglio: non ho visto
processi né sentenze, qui. – soggiunse, con
l’aria di non ammettere repliche –
Siamo brava gente e le vostre minacce ci offendono: non violerete i
nostri
diritti entrando nelle nostre case per verificare chissà
quale complicità con i
pirati. -
Alcuni
dei presenti
alla spalle dei fratelli McFerson cominciarono ad annuire, chi
più convinto e
soddisfatto, chi con uno sguardo ancora riluttante sui morti che
giacevano ai
loro piedi.
-
Se farete questo,
allora probabilmente non parlerò a mio padre di come avete
trasformato la mia
onorata isola in una specie di massacro a cielo aperto. –
concluse, le mani sui
fianchi come un vero comandante. Erano minacce a vuoto, sia
perché non parlava
da anni con il bastardo, sia perché probabilmente avrebbe
addirittura gradito
una così subitanea ed esaustiva espressione di
“Giustizia”. Per contro,
comunque, sospettava gli fosse ben poco caro lo scavalcamento dei
superiori e
almeno su questo poteva fare affidamento. Sperava non fosse
necessario…
-
Riconosco in voi
la tempra di vostro padre, Signorina Sakazuki… -
affermò, con un salamelecco,
l’ufficiale. Principessa dovette imporsi tutto il suo
autocontrollo per tenere
fissa la sua aria di comando, senza mostrare in volto il disgusto che
le aveva
causato quel semplice paragone.
-
Buttateli in
mare! – ordinò ad alta voce ai suoi, senza celare
la stizza di dover eseguire
quelle direttive.
La
ragazza afferrò
il braccio dei fratello al suo fianco. Livido di rabbia, le rivolse uno
sguardo
pieno di rancore, che lei da parte sua non capì. In quel
momento non aveva
intenzione di sentire una sola parola da quel folle che aveva rischiato
di fare
ammazzare entrambi e gli tappò la bocca malamente con una
mano, quando tentò di
parlare.
-
Taci! – gli
ordinò a mezza voce, arrabbiata – A casa! -
Ma
mentre muovevano
passi veloci in direzione della loro abitazione, li sentiva
già, era
inevitabile.
-
Dimentico sempre
che è anche figlia di quel bell’uomo… -
-
Anche sua moglie
lo dimenticava spesso… -
-
E’ proprio una
strega, non si spiega altrimenti come faccia a comportarsi
così… -
-
Avrà detto cose
vere, ma faceva un sacco di paura anche a me… -
-
Certo che fa
paura come quell’ammiraglio, con quegli occhi
neri… -
Strinse
i denti con
tutte le sue forze, quasi fino a sentirli stridere. Ottenne solo il
risultato
di sentir bruciare l’umiliazione dove più
facilmente poteva farle salire le
lacrime agli occhi.
-
Principessa!
Clayton! – ma in un istante l’entusiasmo di Ace si
smorzò come l’interruttore
di una lampadina. Guardò i due fermi all’entrata
che si fissavano con un astio
quasi spaventoso. La porta d’ingresso si sbatté
alle loro spalle come la
campana di inizio di un match.
-
Tu sei matto. –
-
No, adesso smetti
di parlare, Principessa! Hai parlato a sufficienza! – le
saltò su il fratello,
con l’aria di chi trattiene qualcosa da troppo tempo per
poter limitare i toni.
-
Non dire cose di
cui puoi pentirti… - lo avvertì lei, la fronte
corrugata.
-
Adesso mi lasci
parlare! Dannazione, non sono un bambino! Non sei mia madre! Non devi
zittirmi!
Per quanto tu ti possa sforzare, non sei il capofamiglia di nulla qui!
Dovresti
obbedirmi tu, qualche volta! Non sono tua proprietà e una
tua marionetta! –
-
Tu non sei in grado…
-
-
No, tu non lo
sei! Dici tanto di odiare nostro padre, poi ti fai scudo con lui, come
una
bambina! Non bastavano le tue, le nostre forze!? Sei debole come tutti,
niente
di più! –
-
Clayton! –
-
Credi che io non possa
sopportare la cruda verità!? Ti dico io qual è la
vera amara verità! Tu usi chi
ti si affeziona per difenderti! Sei talmente severa e intransigente da
non
riuscire ad amare nessuno! Ecco perché conti su di me,
altrimenti saresti sola!
–
Il
colpo arrivò
sordo e violento. Neanche l’interessato se lo aspettava e
quasi cadde a terra,
destabilizzato da uno schiaffo decisamente troppo forte da apparire un
semplice
avvertimento.
Gli
spettatori
rimasero tali, non osarono intervenire. Del resto, e Clay se ne accorse
appena
riuscì a riequilibrarsi e rivolgere ancora lo sguardo su di
lei, la ragazza
aveva gli occhi lucidi: una reazione imprevista e preoccupante.
-
E’ vero… Tutto
vero… Quindi chissà perché mi permetto
di picchiarti. Non hai bisogno di me,
sono io ad avere bisogno di te e a tenerti prigioniero. Nessuno mi
vuole, cosa
ci puoi fare? Puoi decidere se tenermi compagnia almeno tu o cacciarmi
via. Sei
libero, fratello mio, se lo desideri tanto. –
esitò – No. Clayton. Solo
“Clayton” se non voglio condizionarti,
così sia. -
Lui
rimase fermo,
senza alcuna variazione di espressione a quelle confessioni. La guancia
pulsava
dolorosamente e quel calore alimentava una ribellione che tardava a
spegnersi.
-
Vado a prendere
un po’ d’aria. Posso tornare? – chiese,
seria.
Il
fratello si
limitò ad annuire.
Non
che potesse
davvero decidere dove andare a rifugiarsi e sfogare un po’
della sua amarezza.
L’unico posto in cui, suo malgrado, riuscisse a sentirsi
accettata…
-
Be’? – fu l’unica
cosa che Johnny seppe dire vedendola imboccare senza esitazione la
scalinata
che conduceva al suo locale, in realtà ancora chiuso.
Principessa
lo
guardò e simulò un sorriso: - Che vuoi farci?
E’ un periodaccio. –
-
Oddio. – commentò
solamente, per poi poggiarle una mano sulla spalla e dirigerla lui
stesso nel
seminterrato. Non c’era alcuna ribellione nel volto della
donna più indomabile
che conoscesse. Un pessimo segno.
Il
locandiere non
esitò a riempirle il bicchiere e le lasciò a
portata la bottiglia, questa
volta. D’altra parte, stranamente, non sembrava affatto
interessata a quella
strana gentilezza.
-
Sai già tutto? -
Il
ragazzo fece una
smorfia e prese a massaggiarsi nervosamente con il pollice il labbro
superiore,
coperto da una barbetta bionda. In realtà sapeva solo quello
che aveva
commentato malamente suo padre, poco prima di salire nella sua camera
al piano
superiore: era andato a vedere l’esecuzione sulla pubblica
piazza e si era
trovato davanti ad una sceneggiata interpretata dalla Strega e da suo
fratello.
Avrebbe preferito non dover ascoltare il resto, commenti per nulla
benevoli, rivolti
a quelli che considerava poco più che scarti di cucina. Per
fortuna l’anziano
aveva finito di arrancare con l’aiuto del bastone sulla
scalinata nei pochi
minuti precedenti alla comparsa dell’abito brillante di
Principessa all’inizio
della strada.
-
Quello che ha
riferito mio padre, se può bastare. – rispose,
sincero – Ma mi sono fatto
un’idea. – soggiunse immediatamente, immaginando
che la ragazza avesse ben poca
voglia di parlarne nei dettagli.
Il
risultato fu
solo un cenno affermativo del capo, rivolto verso il basso.
Il
locandiere
aspettò per un po’ che si sforzasse almeno di
spiegargli ciò che mancava, cioè
il motivo per il quale si trovava in quello stato. Il silenzio aveva
presto
cominciato a metterlo in difficoltà, quindi decise di
romperlo in qualche modo:
-
Li hanno
catturati l’altra notte, a casa dei Fyst. Avevano chiesto
ospitalità, senza
domandare nulla in cambio. Cosa rara di questi tempi, concorderai con
me,
soprattutto nel caso di fuorilegge. Anche se non tanto quanto la gente
crede,
giusto? -
La
ragazza appoggiò
la testa sul bancone, inerte.
-
Pare che siano
stati i vicini di casa a fare la spia, ci crederesti? Non che questo
porti
danno ai Fyst: la Marina non può facilmente imporsi a punire
cittadini comuni. Comunque
non si poteva essere certi dell’impunità dei
civili, visto lo stato in cui
hanno raccolto quei pirati disgraziati al solo fine di finirli in
piazza. E’
ciò che mi ha riferito l’erborista ieri sera,
molto tardi. “Vittime di un
pestaggio in piena regola”. Non so se abbia assistito al
fattaccio o ne abbia
solo constatato gli esiti, in realtà. -
Il
ragazzo
insisteva, sempre più impacciato.
-
Non ci si può più
neanche fidare della Marina, mi chiedo? Non credo meritiamo un regime
di
polizia: Ward-Golfe è sempre stato un porto franco, anche
per i pirati. Siamo
sempre sopravvissuti in questo modo, facendo a patti con tutte le forze
attive
sul mare. Queste nuove leve del Governo non sanno proprio nulla e
cercano di
fare carriera alle spalle di un equilibrio che proteggeva tutti, loro
compresi!
-
Ancora
nessun cenno
di vita.
-
Mi stai
ascoltando, Principessa? – chiese, esasperato.
Lei
sbatté un paio
di volte le palpebre su uno sguardo vacuo e di nuovo annuì,
senza forze.
-
Mi stai facendo
paura. – ammise, prendendole la mano che ancora pesava
passivamente sul ripiano
ligneo.
Gli
rivolse gli
occhi neri, brillanti di lacrime trattenute.
-
Ti ha fatto
impressione? Se fosse così, sarebbe comprensibilissimo. Io
non ti avrei
permesso di andare a vedere un’esecuzione capitale. Sei pur
sempre una ragazza
dal cuore tenero. – affermò, con un sorriso tra
una scherzosa ironia e una gentile
rassicurazione.
Lei
rispose solo
raccogliendo il bicchierino e versandosi un grosso sorso di whisky in
gola.
-
E’ qualcos’altro,
vero? – domandò ancora, stringendole la mano con
un po’ più decisione per
richiamare la sua attenzione – Tuo fratello sta bene? -
Annuì
ancora, ma
spostò lo sguardo.
-
Non fare così,
per favore. -
La
vaga supplica
nel suo tono le provocò il primo sintomo di ribellione. Fece
un cenno con il
mento alle loro mani giunte, come un rimprovero.
Johnny
si strinse
nelle spalle, con un’occhiata di sfida: - E’ il mio
sostegno. Non vuoi più
neanche questo, ora? –
-
Lasciami. –
rispose solo, con rabbia.
-
Ho promesso a tua
madre… - iniziò lui, ferito.
-
Non a me, infatti.
Sappiamo entrambi cosa hai fatto a me. Lasciami. – insistette
lei, cercando di
sfilare la mano da una stretta a quel punto fin troppo ferrea.
-
Non voglio. –
affermò, con un bagliore nello sguardo che lei conosceva
molto bene.
Quell’idiota di un locandiere opportunista…
La
sfortuna furono
i passi che provenivano da sopra e scendevano le scale. Una voce
insicura e
flebile iniziava già a chiamarlo da lontano e questa fu la
sola fortuna.
Il
locandiere si
pietrificò sul posto e finalmente fu facile liberare
l’arto da quella morsa,
prima che fosse tardi.
Uno
scricciolo
biondo con la frangia lunga fino agli occhi e una busta della spesa in
mano
comparve sulla soglia. Intercettò subito Johnny sfoderando
un sorriso
adorabile, che d’altra parte si spense di fronte a
Principessa.
Quest’ultima
pensò,
con un po’ di amarezza, che si trattava solo di
un’altra persona che aveva deciso
di odiarla tanti anni fa: ed in realtà era stato quasi un
dovere viste le
circostanze del loro primo incontro. Da parte sua non riusciva ad
essere da
meno: non avrebbe mai accettato che la giovane Lucas F. avesse ricevuto
un
trattamento di tanto favore a sue esclusive spese. In fondo, erano
pari.
Nonostante
non
avesse la forza di mostrarsi conciliante, volle essere almeno cortese e
salutò
con molta enfasi e un rispettoso cenno del capo:
-
Buongiorno, Ofay.
–
La
nuova arrivata
sembrò interrogare con uno sguardo furtivo il ragazzo, che
le apparve
soprattutto frastornato. Tuttavia, si sforzò, forse proprio
per lui, di
rispondere a tono:
-
Buongiorno. -
Bene,
era
sufficiente.
Principessa
si
alzò, senza alcuna gioia in viso: - Vi lascio alle vostre
faccende. E al
pranzo, aggiungerei. Vi auguro buona giornata. –
Ofay
la studiava
con qualcosa tra l’imbarazzo e il fastidio, ma non si
azzardò a dire nulla,
dove al posto suo l’altra avrebbe scatenato almeno una
litigata. Scoperta con
il fidanzato, in negozio, a quell’ora tanto insolita:
c’era di che far venire
giù la casa, ma la brava sposina non era così,
affatto. Forse non ne avrebbe
neanche parlato con il promesso, tanto era ubbidiente e gentile. O
forse
stupida, pensò un recesso crudele nella mente della rossa.
-
Prin! –
Allora
forse
sperava che Johnny fosse meno stupido…
-
Ricordati che io
ci sono. Mi trovi qui. Per qualsiasi cosa. -
No,
proprio un
idiota patentato. Però un programmino in accordo con
quell’offerta le stava
venendo in mente: l’idea di ficcargli un palo di frassino nel
cuore, forse,
l’avrebbe spinta a cercarlo.
-
Oh, credo farò
senza, grazie. – affermò, prima di incamminarsi
verso l’esterno, verso
qualsiasi altro posto su quell’odiosa isola.
Tra questo capitolo e il precedente: ho dato almeno quattro esami, ho
letto "Marina" di Zafòn e ho dovuto scriverne una one-shot,
sono stata reclutata per un contest di S.Valentino e mi é
stato prescritto di mettere giù quattro brevi (magari le
posterò anche qui, ora che ci penso), ho letto tutti i
capitoli di "Pandora Hearts" e ho definitivamente perso la testa per un
bel po'...
Sono giustificabile? A voi può importare qualcosa? No.
Quindi andiamo avanti...
In questo capitolo manca irreparabilmente Ace. E' stata una
folgorazione mentre rileggevo. Però hanno trovato i loro
spazi sia l'azione sia una certa presenza di sangue (e tra l'altro
ritenete dovrei alzare il rating?).
Clayton e uno strano furore. Principessa e i brutti ricordi in una
simpatica compilation.
Grazie a chi
recensisce! Grazie a chi legge! Grazie a chi segue! Grazie a chi
preferisce! ^^