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Autore: Ely79    30/03/2012    3 recensioni
Esiste un posto, da qualche parte, dove ci sono persone che vi attendono per fare la vostra conoscenza, ma soprattutto, perché voi facciate la loro. È un luogo accogliente, fuori dal tempo e dal mondo, eppure immerso in esso. Potrete raggiungerlo, andarvene o rimanere; dormire, mangiare, parlare, fare l’amore. A voi la scelta di cosa fare al Covo degli Annegati.
Storia prima classificata al contest "Se una notte d'inverno un viaggiatore - Calvino docet" indetto da Marge86.
Genere: Commedia, Fantasy, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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10. Commiato
marge86


10.    Commiato
E così, ora possiamo tornare da dove siamo partiti. Le due domande.
La prima riguarda il nome della locanda.

Perché dare un nome tanto tetro ad un locale sito all’interno di un palazzo dall’aspetto grazioso e per bene, in cui nulla dà da pensare a fosche immagini di disgrazie?

Il motivo è prettamente filosofico: diversamente dalla maggior parte dei locali conosciuti – i cui nomi derivano dalla storia passata nelle loro stanze o nei dintorni -, questa taverna è nata in mezzo al nulla, lontana dalle cittadine o dal clamore della capitale. Qui si annidano problemi quotidiani, malumori, piccoli e grandi drammi che non vedrete mai stampati su un pamphlet. Ansie e timori in cui macerano le vite delle persone. Sono uomini e donne comuni, i loro volti non compariranno nelle gallerie di ritratti. Gente che ha bisogno di chiudere la porta sul proprio mondo, per dimenticare di appartenergli.
Durante questo giro, avete forse pensato ai vostri problemi, alle incombenze che vi gravano addosso quotidianamente? Avete pensato alla parte di viaggio che vi attende o a quella sin qui compiuta? I volti e le voci di chi avete lasciato, incontrato o di chi vi apprestate a visitare hanno fatto forse capolino davanti ai vostri occhi?
La risposta è no. I vostri pensieri sono andati concentrandosi su cose via via più liete, poco impegnative. Il lato cupo della vostra esistenza è rimasto a galla, a fissare la realtà mentre voi, in apnea, siete scesi in un altro regno. Vi siete lasciati sprofondare in un oblio dolce, in una tana di cospiratori che fanno di tutto per lasciarsi alle spalle l’ombra cattiva che li tampina ogni giorno. È stato bello diventare una persona senza problemi, priva di peso, protetta dalle incursioni di una vita spesso ingrata, no?
Ecco perché questa locanda è stata chiamata il Covo degli Annegati.
È un segreto che, in genere, si apprende semplicemente frequentando le queste stanze, ma voi meritavate di conoscerlo anzitempo.
Passiamo alla seconda domanda. In realtà è quella che si pone chiunque qui dentro, non solo il viandante di passaggio, quando getta distrattamente l’occhio sulla pendola e vede avvicinarsi l’ora di rincasare.

Perché mai dovrei andarmene?

Ovviamente, si trova sempre un buon motivo per rimanere un altro po’. Qualcuno è persino riuscito a trovare una ragione per rifarsi una vita nei paraggi, se non qui dentro addirittura. E se non si riesce a trovare una ragione valida, si inventa la più bislacca possibile. E se non sovviene, c’è sempre qualcuno pronto a dare un mano per scovarlo tra la fantasia e la quotidianità. Come faccio a saperlo? Vi basta guardare laggiù, accanto alla scala. Seduto sulla panca, intento ad oliare la propria gamba meccanica, c’è un uomo sulla cinquantina, i capelli radi e grigi, folti baffi dello stesso colore. Rappresenta la salvezza da un’imbarazzante scenata. É il creatore di bugie, l’artefice di giochi di parole, di modi di dire che camuffano la realtà quando l’ebbrezza la distorce.
Colui che fa annegare menti e sensi in lunghe sorsate di felicità.
Là c’è l’oste.
Colui che, oltre agli ingranaggi del proprio arto, unge quelli del Covo, permettendo loro di funzionare con precisione ed efficienza.
E l’oste sono io.
Mi alzerò, dopo aver terminato di lubrificare a dovere le giunture, e verrò cigolando da voi. Vi stringerò la mano e mi presenterò: Aristide Grimaldi, per servirvi. Siederò al tavolo sorridendo della vostra espressione incredula, sorpresa. Esternerete esclamazioni a mezza voce, interrompendovi spesso a metà per lo stupore ripensando a ciò che vi ho raccontato di questo piccolo scrigno e dei suoi molti gioielli. Annuirò affabile, finché non verrà il momento di un’ultima domanda.
Sì, ce n’è ancora una di cui non vi avevo avvertiti:
«Avete visitato gli angoli di questo edificio, vi siete soffermati a curiosare tra scaffali e mensole. Avete ascoltato le nostre storie, i nostri pensieri, le nostre intime canzoni. Avete respirato profumi di cucina e aromi di arcane promesse. Avete gustato un assaggio delle nostre vite. Avete toccato le nostre vite. Ora che ci conoscete… volete ordinare?»



Il giudizio sarà riportato nelle recensioni, non appena la giudice leggerà la conferma della chiusura della storia.
   
 
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