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Autore: Una Certa Ragazza    30/03/2012    3 recensioni
Come se mancasse la prova del fatto che le lezioni di filosofia fanno male, ecco qui il parto della mia mente dopo aver trascorso un'ora in compagnia di Kant e delle sue antinomie. Il prof ha fatto il madornale errore di parlarci del paradosso del coccodrillo... potrebbe essere una specie di favola, ma non ne sono del tutto sicura così l'ho pubblicato nella categoria "Generale".
Genere: Demenziale, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao! Bene, anche se non è la prima cosa che scrivo nella categoria "Storie originali" è la prima volta che mi presento, giusto per dire due paroline in merito al racconto.
Primo: per capire a fondo sarebbe meglio conoscere qualcosina ina ina di filosofia. Forse chi ha avuto un professore di filosofia fumato come il mio potrà trovarlo addirittura divertente, ma non garantisco nulla XD. Dovrebbe comunque potersi leggere anche senza queste nozioni, se avete bisogno di delucidazioni fatemi sapere!
Secondo: il paradosso del coccodrillo, da cui parte questo racconto, è uno dei paradossi più famosi della filosofia classica. Se non lo conoscete basta dirlo e ve lo racconto, in ogni caso si trova comodamente su internet.

Spero che non sia troppo pesante, se lo fosse ditemi anche questo. Le critiche sono più che ben accette!


Ibis

"La logica è una forma di pigrizia mentale"
                                                     Marcello Marchesi


 Ibis riposava sulle sponde del Nilo, rannicchiata in una luce metafisica. Era una giornata da sole, come del resto lo erano tutte, filosoficamente parlando, dal momento che non è che il sole se ne vada mai. Comunque quella era davvero una giornata luminosa, vista l’assenza di nuvole.
I suoi capelli neri scottavano, ma lei non se ne curava: sopportava bene il caldo e del resto come diceva sempre Protagora caldo e freddo sono solo sensazioni soggettive, perciò andava bene così.
Pochi metri più in là suo figlio Api – un anno e mezzo – giocava col senet, a quanto pareva fregandosene del lato profondamente pitagorico e teologico del gioco in sé ma anzi trovando le pedine piuttosto gustose e soprattutto interessanti da testare con i dentini.
Ibis lo teneva d’occhio distrattamente, perché dopotutto è un fatto epistemologico che i bambini vanno lasciati crescere senza stargli troppo addosso.
Ed ecco che improvvisamente un coccodrillo molto poco trascendentale e molto molto fisico sbucò improvvisamente dalle canne di papiro, con uno di quegli scatti che solo i coccodrilli sanno fare agguantò il bambino e zac! Prima che Ibis potesse fare qualunque cosa il coccodrillo si era già tuffato nel fiume e aveva portato il bambino con sé.
Ibis scattò in piedi e corse alla riva urlando disperata: «Ridammi mio figlio, ridammelo!»
Non era un esempio di stoicismo, il suo comportamento, ma era comprensibile dato che un animale feroce aveva appena rapito il suo bambino.
«Smetti di strepitare, donna del fiume.» disse il coccodrillo. Aveva una voce profonda, ma per il resto era il tipo di voce che ci si aspetterebbe da un serpente: sinuosa, maliziosa, che si addiceva, insomma, ad una creatura ontologicamente furba «La caccia non cambia mai e mi annoia, perciò ti propongo un patto per rendere questa giornata più interessante: se indovini quello che farò ti restituirò tuo figlio.»
«Tu...» cominciò Ibis, incredula, poi capì.
Se avesse detto al coccodrillo che avrebbe mangiato suo figlio non ci sarebbe stato modo di uscire da quella situazione: se il coccodrillo le avesse restituito Api, automaticamente avrebbe reso falsa la sua affermazione e, stando al patto stipulato, avrebbe dovuto mangiare il bambino, mentre naturalmente tutto questo non era possibile perché se l’avesse mangiato avrebbe anche dovuto restituirglielo. Impossibile! Paradossale!
neanche poteva affermare, del resto, che il coccodrillo non avrebbe mangiato suo figlio: non appena l’avesse fatto il pargolo sarebbe stato divorato, non ci sarebbe stato niente di più facile che contraddirla.
Cosa poteva fare? Gettarsi nel fiume sarebbe stato inutile, il coccodrillo avrebbe mangiato anche lei e avrebbe ingoiato il bambino in un boccone, stessa cosa sarebbe successa se lei fosse andata a chiamare qualcuno...
Non era una cosa riguardo alla quale si potesse raggiungere l’atarassia, perciò grosse lacrime di paura e di rabbia cominciarono a rigare le guancie di Ibis.
E poi capì. Capì che era esattamente dove il mondo voleva che fosse e che non c’erano soluzioni di comodo.
Capì che anche se avesse aspettato nessuno sarebbe mai arrivato a salvare lei e il suo bambino, perché era bloccata nel punto in cui il tempo si fermava e verità e menzogna si sovrapponevano. Era di fronte al nodo che non si poteva dipanare se non tagliandolo, fingendo che non esistesse. Quello era il tarlo che rodeva il mondo, che rendeva vano ogni tentativo dell’uomo di dare un senso alla propria ombra sulla terra, e adesso su di lei gravava il peso di una risposta, poche parole che il mondo, dalla res estensa all’iperuranio, attendeva con il fiato sospeso.
Si vide lì, donnetta piagnucolosa sull’orlo del tempo, impigliata nella mente di migliaia di uomini per l’eternità, il suo nome addirittura dimenticato e seppellito in favore del coccodrillo che comunque nonostante gli anni si sarebbe ugualmente chiamato coccodrillo e almeno lui avrebbe conservato la sua dignità, la bestiaccia, e si disse: “eccheccavolo, nonposso mica fare il loro gioco così, farci morire tutti e tre d’inedia e consegnare l’umanità ad un paradosso da migliaia di anni!”
Così Ibis si asciugò gli occhi col dorso della mano e incrociò le braccia, e non c’era nulla di speculativo in tutto questo.
«Immagino che tu galleggerai.» disse con fare risoluto al coccodrillo «dovrai galleggiare per forza, altrimenti annegherai. Ho risposto, ho indovinato quello che hai intenzione di fare?»
Il coccodrillo la guardò per un attimo, interdetto, poi disse: «È una risposta altamente stupida, donna del fiume. Molto terra terra e niente affatto all’altezza della situazione, se vuoi sapere come la penso, ma sta bene, perché non hai detto quello che mi aspettavo e hai capito quello che stava succedendo.»
Ibis lo guardò senza comprendere. Era ben strano, questo coccodrillo.
«Mi è passato l’appetito, ti restituisco il bambino.»
Il coccodrillo riportò Api a riva. Il piccolo, tutto tremante e troppo spaventato per piangere, gattonò fino ad aggrapparsi alla caviglia della madre.
«Vedi» proseguì l’animale «la tua soluzione in realtà non ha risolto un bel niente e, dal punto di vista logico, non ha alcun senso: avresti semplicemente dovuto dirmi che cosa avevo deciso di fare col bambino, e ce l’hai fatta per puro vizio linguistico.
«Tuttavia hai capito qual era il problema e hai cercato di aggirarlo. La logica è uno strumento inventato dagli umani per poter interagire tra di loro e col mondo che li circonda. Una terra franca dalla quale si possono giudicare le cose, e se non esistesse sarebbe tutto un guazzabuglio in cui nessuno capisce l’altro, non ci sarebbero punti fermi e non si potrebbe vivere. La logica, se vogliamo, è una convenzione. Ma come tutte le cose create dagli umani è imperfetta e non abbraccia il mondo, perciò a volte bisogna arrangiarsi in altro modo. Addio, donna del fiume.» detto questo si allontanò scivolando sull’acqua e scomparve alla vista.
Ibis rimase ancora qualche secondo a guardare il corso del Nilo che fluiva, fluiva placido, e il sole che si rifletteva sull’orlo dell’acqua, come un merletto, e disse ad alta voce, senza rivolgersi a nessuno in particolare: «L’immaginazione vi seppellirà tutti, prima o poi. E al diavolo il principio del terzo escluso.»
Poi prese Api in braccio e tornarono a casa.
   
 
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