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Autore: Jane41258    30/03/2012    3 recensioni
Fic partecipante all'iniziativa Black Week del forum Shikatema Blackparade, giorno tre
Estratto:
E ora, ora che l’aveva persa davvero, portata via da una maledetta mina anticarro, ora non riusciva a piangere. Soffriva sì, soffriva ininterrottamente da tre mesi, ma non aveva versato una lacrima.
I mass media avevano definito Temari un’eroina morta per difendere il Paese, ne avevano elogiato i meriti e le medaglie, i commilitoni salvati, i nemici uccisi, ne avevano fatto una bandiera in cui identificarsi.
Peccato che a nessuno importasse veramente di lei, né ai giornalisti affranti, né ai superiori addolorati, né al Paese “partecipe al dolore della famiglia”.
“Partecipe a cosa?” pensò Shikamaru disgustato.

Pairing: Shikamaru/Temari
Genere: Guerra, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Shikamaru Nara, Temari | Coppie: Shikamaru/Temari
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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                                                                                                                                                   Photobucket


Shikamaru Nara si accovacciò, poggiò il ginocchio sulla terra umida, ripulì la foto circolare sulla lapide nera e poggiò una rosa rossa, una sola nel vaso.
“Ciao Temari” borbottò con la bocca storta.
Sua moglie Temari, quando era in vita, aveva militato con successo nei marines, era sempre stata più veloce, più brava a sparare, più efficiente dei suoi colleghi maschi, si muoveva nei deserti mediorientali talmente bene che era stata soprannominata Temari del Deserto.
Quando era a casa, in congedo era solita rinfacciare scherzosamente al marito che lei, una donna, era al fronte a combattere i talebani per il proprio Paese, mentre lui se ne stava a casa con le chiappe al caldo e la testa piena di slogan maschilisti.
L’aveva persino soprannominato CryBaby, perché una volta, quando lei era stata gravemente ferita per un colpo di mortaio, lui non era riuscito a trattenersi dal piangere davanti a lei per il terrore di perderla.
E ora, ora che l’aveva persa davvero, portata via da una maledetta mina anticarro, ora non riusciva a piangere. Soffriva sì, soffriva ininterrottamente da tre mesi, ma non aveva versato una lacrima.
I mass media avevano definito Temari un’eroina morta per difendere il Paese, ne avevano elogiato i meriti e le medaglie, i commilitoni salvati, i nemici uccisi, ne avevano fatto una bandiera in cui identificarsi.
Peccato che a nessuno importasse veramente di lei, né ai giornalisti affranti, né ai superiori addolorati, né al Paese “partecipe al dolore della famiglia”.
“Partecipe a cosa?” pensò Shikamaru disgustato.
Nessuno del cosiddetto Paese si svegliava con lui in piena notte, credeva durante qualche attimo di follia che la moglie fosse ancora viva, tastava il materasso accanto a lui e solo dopo si rendeva conto che era morta.
Nessuno stava con lui quando mangiava da solo, guardando il posto della moglie, immaginandosela bella e ancora viva accanto a lui che raccontava con orgoglio le proprie imprese.
Nessuno era al suo fianco quando la mattina non aveva nessuna ragione per alzarsi, saltava il lavoro, approfittando della pietà del suo capo e restava a letto fino alle tre del pomeriggio, aspirando a dormire sempre, tutte le ore, perché nei suoi sogni la moglie era ancora viva e solo lì poteva stringerla e baciarla.
L’ultima medaglia al valore militare, quello gli restava da baciare.
Così quando il bisogno di baciare sua moglie si faceva troppo forte, si riduceva a premere le labbra su quell’inutile pezzo di ferro, prima di scagliarlo con rabbia contro il pavimento.
Il Paese, che nemmeno era il loro perché entrambi avevano origini nipponiche, si diceva costernato e la piangeva, identificandosi in lei, sfruttandola come ulteriore motivo per odiare le regioni islamiche.
“Costernato”, si era detto il generale delle forze armate, “Costernati” si erano detti i suoi superiori, “Costernato” si era detto la governatrice della South Carolina.
“Non me ne faccio un cazzo della vostra costernazione” le aveva risposto Shikamaru davanti a tutti, al funerale di stato.
“Non dovresti parlare così, tua moglie, a differenza tua era un’eroina” l’aveva rimproverato Saxon Snakes, un commilitone di Temari.
“Io non la considero un’eroina” aveva ribattuto il marito turbando tutti, prima di abbandonare il funerale a metà cerimonia.
E davvero non la riteneva un’eroina, anche se era l’unico a soffrire per la sua morte.
Non era un’eroina: un eroe muore per difendere un ideale o un suo compagno, lei era morta per difendere gli interessi di multinazionali e lobby petrolifere, non era morta come un’eroina, ma come cieco strumento di oppressione.
Forse era questo a fargli tanto male, così male da non riuscire più a guardare in faccia un politico o un militare senza provare l’istinto di seppellirlo vivo nella tomba della moglie.
Shikamaru si accese una sigaretta e sorrise amaro.
Lei odiava che lui fumasse, gli diceva sempre “Crybaby prima o poi questo vizio ti porterà alla tomba”.
“Ci sei finita prima tu alla tomba” sbottò arrabbiato, si alzò e si voltò per andarsene, guardando ancora una volta la foto dove lei appariva viva, bella, fiera.
“Ti amo Temari” farfugliò.
Era questo che restava di Temari del Deserto, un amore inutile per una lapide e un pezzo d’argento di
9,25 g.
   
 
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