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Autore: JhonSavor    31/03/2012    5 recensioni
Salve cari lettori e lettrici. Immagino che tutti conosciate Gilbert Beilschmidt, ovvero Prussia, fratello maggiore di Ludwing alias Germania, ma tutti lo conoscono come il "magnifico lui".
Ma chi è Gilbert in realtà? Conosciamo davvero poco di questo personaggio che al di là della sua "modestia" è davvero spettacolare. Volete sapere più di lui?
Mettetevi comodi allora e leggetevi questa storia che vi mostrerà aspetti inediti di Gilbert, lati della sua persona che non credavate avesse.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Austria/Roderich Edelstein, Prussia/Gilbert Beilschmidt, Ungheria/Elizabeta Héderváry
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Hetalia: Storie di Nazioni'
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No davvero sono molto soddisfatto di come stanno andando le cose XD
 
Tanti recensori soddisfatti e lettori che mettono tra le salvate questa fic… molto soddisfacente!
Spero che vi piaccia anche questo capitolo, buona lettura!
 
(Ah! Stavo dimenticando: ho postato una fanfic su Feliciano “Passando per Venezia” ambientata nel 1796… vi andrebbe di leggerla? XD)
 
 
 
CAPITOLO III: Un cavaliere germanico in viaggio in terra straniera
 


Era una bella giornata nella terra dei Franchi.
Una giornata come tante oramai per Gilbert: erano passati circa due mesi da quando aveva lasciato la dimora di famiglia.
Aveva preso le sue vesti, una spada, arco e faretra.
Aveva montato Hector, il suo cavallo frisone ed era partito.
In cerca di se stesso.
 
“Fratello!”
Gilbert si vide venire incontro suo fratello minore Ludwing, bardato da un mantello di pelliccia sopra una lunga tunica verde con ricami argentei. Era talmente ingombrante su di lui, che d’aspetto pareva ancora un ragazzino di quindici anni, che Gilbert non potè che sorridergli in modo un po’ triste.
“Devo partire Lud, non posso farne a meno per trovare la mia strada”
“Ma tu… tu sai già chi sei! Tu sei mio fratello!”
“Ora non fare l’immaturo- gli disse mentre gli metteva le mani sulle spalle - Non posso fare il mantenuto sulle spalle della mia famiglia… devo anch’io fare la mia parte… giusto Roderich?”
Ludwing si voltò e vide che loro fratello maggiore li stava osservando a braccia conserte.
“Stai prendendo una decisione giusta Gilbert. Dovrai compiere grandi gesta affinchè tu possa rendere onore a te stesso e a noi. Ma penso che tu possa farcela, in fondo sei sangue del nostro sangue”
Gilbert guardò suo fratello negli occhi: bene o male riusciva sempre a mettere in mezzo se stesso anche nelle faccende che non lo riguardavano.
Ma doveva rendergliene merito: Roderich non era un sprovveduto ne tanto meno un debole.
Anche se non ricopriva più il ruolo di egemonia che aveva fino a qualche anno prima*, l’Impero era ancora l’altra grande colonna del mondo*.
Roderich non possedeva un titolo effimero: anche se condiviso con suo fratello minore, era ancora lui il Rappresentante dell’Impero Romano*.
“Non temere, farò il mio dovere”
 
Dovete sapere, o voi che state leggendo queste parole, che il caso del giovane Gilbert non era isolato o particolarmente curioso.
Era cosa comune: i giovani rampolli di famiglie nobili o di medio retaggio, non avevano la possibilità di ereditare le terre del proprio casato in quanto i beni, secondo la tradizione, sarebbero stati amministrati dal primogenito una volta venuto meno il capo famiglia.
Per i secondogeniti e i bastardi c’erano appena due vie: quella del chiostro o della spada.
La vita sacerdotale o il convento erano scelti per una sincera chiamata oppure come una conseguenza di un interesse relativo alla cultura, ma non erano le sole componenti, né tanto meno le uniche motivazioni.
L’altra strada era più difficile.
Il monastero, lo status di servi del Signore concedeva una protezione ricercata in un mondo che non era per tutti. Avrebbero pregato per gli altri, mentre quest’ultimi avrebbero combattuto e compiuto i lavori manuali. Come la società predisponeva per l’ordine del mondo cristiano e per il suo equilibro*.
Ma la spada era un’altra cosa.
I figli cadetti e i quelli illegittimi, partivano per trovare realizzazione presso nobili signori che li assoldavano come vassalli o gendarmi, dando loro una nuova vita e occasione di potersi imporre, di poter compiere il debutto nel ceto dei cavalieri.
I nuovi padroni si accollavano il loro vitto e alloggio e in caso di guerra dovevano vestirli di tutto punto.
Era uno scambio equo in fondo: l’avere un gran numero di uomini al proprio seguito pronti ad imbracciare le armi per un nobile era fonte di prestigio e potere.
Ma nessuna delle due era fattibile per Gilbert.
Non era detto che fosse sempre così facile o immediato il processo di assunzione presso gli ambiziosi signorotti di campagna, oppure presso i grandi nobili.
I raminghi non erano pochi, e le campagne dei regni cristiani pullulavano di tali personaggi senza metà e senza destino.
Gilbert si trovava a percorrere la loro medesima strada.
Benchè non si fosse ancora manifestato con chiarezza, il suo retaggio era inequivocabilmente quello di un proto-regnum*, e un giorno, chissà quando, avrebbe dovuto compiere il suo dovere.
Un proto-regnum per tal motivo non poteva prendere voti, per il legame che essi comportano*.
Inoltre essendo membro di una delle famiglie più nobili d’Europa non avrebbe potuto diventare vassallo di un uomo di ceto inferiore. Non glielo avrebbero permesso.
Gilbert non era certo neanche lui di cosa gli avrebbe potuto trasmettere quel viaggio. Era un uomo devoto ma il chiostro non lo aveva mai attratto. Amava tirar di spada ma non era per nulla intenzionato ad andare a combattere solo perchè qualcuno, e per motivi tal volta meschini, glielo avesse imposto.
Sentiva che avrebbe dovuto forgiarsela da solo la propria strada; quel viaggio per il momento gli aveva aperto gli occhi su molte cose.
La vita del popolo, le difficoltà del viver quotidiano, privato di tutti quei conforti che la sua precedente condotta gli assicurava. Il dormire all’addiaccio era stata una delle più significative.
Ogni tanto aveva trovato ospitalità presso qualche chiesa e per il cibo… era pur sempre il miglior arciere delle terre di Germania: presentarsi sull’uscio di un’abitazione con dell’ottima selvaggina in mano apriva anche le porte più ostiche.
 
Era comunque una bella giornata e Gilbert cavalcava tranquillo con aria quasi svogliata per le stradine che attraversavano le smisurate campagne coltivate franche.
Hector procedeva lento, con un andazzo quasi ciondolante, risentendo evidentemente anche lui di quell’aria apatica.
In quel momento un vento leggero gli accarezzò le membra e rinvigorito alzò lo sguardo ad osservare il cielo. Era ricolmo di bianche nuvole e quasi gli venne voglia di sdraiarsi da qualche parte e mettersi a guardarle.
In mezzo a quel gregge bianco vide che una più grigia si ergeva in verticale e si domandò che fosse.
Abbassò allora gli occhi e scoprì che proveniva dal basso, da dietro una collinetta per essere precisi.
Un colpo di tallone spronò il cavallo al trotto e in pochi istanti fu sopra la collina.
La lunga colonna di fumo proveniva dal fumaiolo di un locanda.
Una locanda! Lì, proprio lì, in mezzo a quel nulla di frumento!
Dalla sua posizione Gilbert potè vedere che interi filari di viti si estendevano a perdita d’occhio.
“Sono pronto a scommettere cinque denari che mi trovo nella terra della Champagne”
Era fortemente possibile dato che proveniva da Est e aveva di per certo attraversato il territorio della Lorena.
A quel pensiero l’albino sentì la gola farsi secca all’istante e un desiderio impellente di un ricco boccale di fresco vino rosso* gli iniziò a martellare il cervello.
Diede un’altra tallonata ai fianchi di Hector, stavolta più forte tanto che il cavallo nitrì e dondolò la testa: aveva capito che il padrone aveva fretta e che doveva correre il più in veloce possibile.
A pochi passi dalla meta si cacciò sopra la testa il cappuccio del mantello per coprirsi bene il volto: non tutti apprezzavano il colore dei suoi capelli e il suo sguardo carismatico… e non aveva voglia di mettersi a ciarlare con il bifolco di turno per tranquillizzarlo.
Raggiunta la locanda, non ebbe modo di smontare che subito un uomo vestito da stalliere gli venne incontro e gli si rivolse con fare gentile e mostrando un sorriso allegro.
Ecco una cosa che non aveva previsto, si disse il giovane peregrino: lui non sapeva la lingua del posto.
Vedendo che non gli rispondeva l’uomo si tolse il cappellaccio e passandosi una mano sulla nuca continuò a parlare sempre con aria ossequiosa. E lui ovviamente non capì un accidente.
-Quid vis?- gli domandò a quel punto
L’uomo lo guardò con cipiglio sorpreso e Gilbert si diede dello stupido “Ma figuriamoci se questo qua sa il latino…”
Lo vide afferrargli le briglie del cavallo per poi indicargli con ripetuti gesti della mano una casupola vicino alla locanda.
Gilbert scostò lo sguardo e vide che al suo interno c’erano un paio di altri cavalli e una grande quantità di fieno: era una stalla.
A quel punto riportò gli occhi sull’uomo. Si rese contò che evidentemente il fatto che fosse vestito come uno stalliere forse faceva di lui davvero uno stalliere, per di più era molto probabile che fosse lo stalliere della suddetta locanda che si stava offrendo di portare Hector nella stalla per farlo riposare meglio e prendersi cura di lui*.
Alla fine smontò da cavallo e gli lanciò una moneta presa dal sacchetto che teneva legato alla cinta.
Lo stalliere guardò prima la moneta come sconvolto, poi rialzò la testa con un sorriso talmente largo che pareva strabordare dal viso ma gli morì subito non appena vide gli occhi di ghiaccio di Gilbert e il rosso vermiglio che gli colorava le iridi.
Il cavaliere gli fece un inequivocabile gesto con la mano per fargli intendere di fare estrema attenzione con il suo cavallo o sarebbero stati guai.
Non seppe se era riuscito a farsi capire ma la faccia tesa e gli occhi spalancati dell’uomo lo rincuorarono un po’.
Se ne pentì subito però, pensando di essere stato troppo duro con quell’uomo, ma d’altro canto, trovarsi appiedato in mezzo ad un territorio sconosciuto era una cosa che era più che intenzionato ad evitare.
Entrò così nella locanda e vide che non c’era quasi nessuno, solo qualche avventore che chiacchierava ad un tavolo.
Le finestre erano aperte e la luce del sole illuminava l’unico largo stanzone, lasciando entrare una dolce e fresca brezza estiva.
Si mise a sedere presso uno dei tavoli liberi, stiracchiandosi in maniera composta per non dare nell’occhio: era da un bel pezzo che continuava a cavalcare e si sentiva tutte le membra intorpidite.
Dopo alcuni minuti un ragazzo sui diciotto anni si appressò al suo tavolo e incominciò a dirgli qualcosa in franco
Gilbert, capita l’antifona lo bloccò sul nascere: mimò il gesto del bere e poi gli disse con tono secco -Vinum-
Lo sguattero rimase un po’ incerto a quella reazione ma evidentemente capì al volo e fece per andarsene quando venne bloccato dalla voce aspra del nuovo venuto: Gilbert, sempre a gesti, gli spiegò che voleva anche qualcosa da mangiare.
Infine gli fece intendere di levarsi di torno.
Gilbert si appoggio al muro posto alle sue spalle e sospirò “Non vedo il momento di arrivare in una città in cui almeno qualcuno sappia capire ciò che dico”
Di sottecchi vide che il ragazzo stava parlottando in modo concitato con l’oste, un uomo ben piazzato, con un grosso naso arrossato e una barbetta incolta, che a sua volta fissava il punto in cui Gilbert era seduto. Cercava di intuire molto probabilmente se lo straniero di poche parole fosse uno che potesse creare problemi. Tra i due c’era anche una ragazza poco più grande del garzone che, al pari dell’uomo, era particolarmente impegnata a lanciargli occhiate dure e severe.
Il germanico non voleva avere problemi, ed era intenzionato a farlo capire una volta per tutte. Cacciò una mano dentro al suo borsello e ne trasse alcune monete che sbattè platealmente sul tavolo. Si mise a braccia conserte e osservò la reazione a quella sua azione: come volevasi dimostrare l’oste si mise a dare ordini secchi ai due giovani e con un tono tale da far piuttosto pensare che li stesse rimproverando per qualcosa.
Un sorrisino compiaciuto si dipinse sul volto di Gilbert, ora contento di potersi rilassare un po’.
 
Un odore di stufato di carne gli riaccese i sensi.
Gli venne portata una porzione abbondante e un’intera caraffa di vino, con tanto di ossequio dall’oste stesso, che sembrava non saper più che santo ringraziare per aver avuto un cliente che non gli avrebbe dato problemi.
Gilbert senza troppi complimenti si mise a mangiare innaffiando il tutto con qualche sorso di vino.
Non era neppure a metà del pasto che la porta della locanda si aprì con forza.
Il germanico pensò di essersi spaccato un dente, dato che quel fracasso lo aveva preso di sorpresa e si era ritrovato a dare un morso anche il cucchiaio di legno oltre che allo stufato.
Massaggiandosi la guancia dolorante si guardò intorno e vide che un gruppo di cinque uomini aveva fatto il suo ingresso, ridacchiando e berciando con forza.
Erano tutti armati e uno di loro aveva addirittura una cicatrice che gli solcava il viso dall’alto verso il basso, ma anche gli altri non apparivano meno minacciosi… insomma dei brutti ceffi, abituati ad attaccare briga.
Gilbert li conosceva bene i tipi come loro: nei reparti dell’esercito si incontra sempre qualcuno del genere, con la terribile abitudine di piantar grane, prendendosala con i popolani più per un esigenza personale che per obblighi di natura pratica.
Gentaglia da cui guardarsi le spalle.
Li vide andare verso la cucina e non appena si ritrovarono di fronte l’oste lo accolsero sghignazzando e dandogli alcune pacche sulle spalle.
Gli dissero qualcosa al quale l’omone non potè che replicare con un sorrisino tirato e nervoso. Al contempo uno dei ceffi si rivolse torvo agli altri tre soli clienti della locanda, che senza alcun indugio si alzarono e se la diedero a gambe levate.
E questo era un brutto segno.
Significa che non erano nuovi, che venivano li spesso.
Gilbert li osservò ma non vide nessun simbolo particolare o altro: non erano nobili, o signorotti spacconi, o se lo erano, non appartenevano di sicuro a casate madri, più probabilmente a rami collaterali…
Dei cadetti insomma, uomini come lui.
Dovevano essere di qualche clientela di una famiglia media, ma sicuramente abbastanza benestante da permettersi di mantenerli.
Terminato di parlare con il padrone si sedettero scomposti sulle panche ora vuote e si fecero portare anche loro da bere.
Gilbert non aveva potuto non notare le occhiate che quegli uomini lanciavano alla ragazza della cucina, che si era sporta giusto un paio di volte per passare le vivande al garzone, ma che evidentemente conoscevano bene.
Non accadde nient’altro. Una volta ricevuto il cibo si erano messi rumorosamente a mangiare e a bere, senza procurare altri disturbi.
Ma una presentimento gli diceva che qualcosa sarebbe successo. E lui ne sarebbe stato coinvolto. Lo sapeva, lo sentiva.
Si guardò intorno e vide che non c’era nessuno a parte loro… o meglio vedeva che in un angolo d’ombra un uomo incappucciato stava sonnecchiando appoggiato alla parete.
E intanto il vino scorreva a fiumi.
Gilbert approfittando della calma apparente, riprese a mangiare l’ormai freddo stufato. Forse si era preoccupato troppo. Forse si sarebbero semplicemente ubriacati e se ne sarebbero andati ciondolanti sulle loro gambe storte.
Quando un gridò di donna  e un rumore di qualcosa che va in frantumi si levò dalla cucina.
Il germanico alzò lo sguardo e si voltò verso il tavolo dei balordi. Ne contò quattro.
Rivolse allora lo sguardo all’apertura e con uno scatto si lanciò verso di essa ma il filo di una spada si frappose lungo la sua strada.
Uno degl’uomini la teneva in mano, quello con la cicatrice, facendo un cenno di diniego con il dito.
Un altro urlo ma stavolta era un vocione baritonale, di uomo.
-Adepto de mea via, immundum… statim!*-
Il tono con cui Gilbert aveva pronunciato quella minaccia, venne senz’altro inteso: i rimanenti tre si alzarono e misero mano all’elsa delle lame che portavano alla cinta.
Gilbert agì velocemente: estrasse la spada e colpì la lama tesa verso di lui, distanziandola. Vedendoseli arrivare addossò, arretrò, afferrò lo sgabello che stava di fianco al suo tavolo e lo scagliò contro il gruppetto che si schermì come potè, sulla difensiva.
In uno spazio così ristretto era molto preferibile una rissa che un duello con la spada.
L’uomo con la cicatrice gli si lanciò contro e Gilbert gli lanciò negli occhi il vino rimasto nella brocca, facendolo arretrare accecato.
Neanche stavolta riuscì a sfondare perchè i tre compari lo attaccarono tutti insieme con un taglio dall’alto che il cavaliere parò con un posa orizzontale della lama.
Ma era una finta: la spada non ricevette l’impatto ma semplicemente si lasciò cadere, mentre Gilbert si scostò con un passo veloce di lato.
Le spade avversarie proseguirono la loro corsa verso il suolo, facendo perdere l’equilibrio ai loro proprietari che si aspettavano invece una resistenza contro cui contrattaccare, scoprendo il fianco al nemico.
Gilbert si era portato sul lato sinistro dei suoi avversari e con tutta la forza che aveva diede una spallata micidiale al più vicino dei tre, che sbalzato andò a colpire gli altri due, finendo poi tutti e tre ad impattare contro il muro.
Finalmente liberò si diresse verso la cucina ma ancora una volta lo sfregiato si frappose, guardandolo con occhi irati. Stava per colpirlo, quando un suono spezzato riecheggiò.
Il balordo con la cicatrice crollò al suolo privo di sensi.
Dietro all’uomo comparve un ragazzo sui vent’anni, biondo e con una mantella leggera da viaggio sulle spalle… e ciò che restava di una caraffa nella mano sinistra.
-Quis estis?*- gli domandò Gilbert
Il giovane non gli rispose; lo sorpassò, andando a puntare la spada contro i tre che nel frattempo tentavano di rialzarsi.
Gilbert si diresse verso la cucina e trovò il corpo del quinto uomo disteso per terra, svenuto e con una leggere ferita alla testa, in mezzo alla porta.
Guardò dentro e vide il garzone, con un livido al volto, e la ragazza, visibilmente scossa e con il vestito in parte strappato, stavano controllando una ferita al braccio dell’oste, che era seduto per terra con il labbro spaccato.
Gilbert capì che anche se normalmente avrebbero saputo cosa fare, in quel momento erano troppo scossi per pensare lucidamente. Gilbert mosse qualche passo e non appena lo fece i tre sobbalzarono come gatti.
Con cautela si avvicinò ancora ma la donna si frappose arrivando addirittura ad afferrargli il braccio e stringerglielo.
Alzò lo sguardo su di lei e la sentì dire qualcosa in franco, che ovviamente non intese, ma dal tono secco capì che lo stava minacciando.
Gilbert avrebbe potuto svincolarsi facilmente da quella presa, la presa di una donna spaventata e sull’orlo del pianto, che non sapeva se considerare il nuovo venuto un nemico o meno.
-Visitare infirmos*- pronunciò il ragazzo
A quelle parole la ragazza sembrò come destarsi e, dopo aver guardato gli altri due, lasciò la presa.
Gilbert si inginocchiò verso l’uomo e gli esaminò la ferita, scostando la manica strappata e zuppa di sangue. Non era profonda, doveva averlo preso di striscio e poi colpito al viso con un pugno o con la guardia della spada.
Sul tavolo vide una altra caraffa, la prese e verso un poco del vino al suo interno sulla ferita, causando un leggero mugolio all’uomo. Si strappò poi un pezzo del mantello e gli fasciò stretto il braccio. Come primo intervento non poteva fare di più… non voleva peggiorare le cose con la cauterizzazione, che non aveva mai praticato prima.
Aiutò l’oste a tirarsi su per poi adagiarlo su uno sgabello, ricevendo in cambio una occhiata riconoscente.
A quel punto guardò gli altri due che non gli avevano levato gli occhi di dosso per un secondo, parlottando a bassa voce tra loro.
-In… infirmi?- domandò loro indicandoli
Risposero negando con il capo.
Vedendo però che la ragazza tremava e che la sua veste si stava sfilacciando dalle spalle, si slacciò il mantello e glielo mise addosso.
Per la prima volta poterono vederlo in faccia e Gilbert vide lo stupore crescere nei loro occhi.
Quando era più piccolo quegli sguardi lo mettevano a disagio come se i suoi capelli argentei e il colore dei suoi occhi potessero essere chissà quale cosa di eccezionale. Ormai ci aveva fatto l’abitudine ma non potè evitare di guardarli male per questo.
E i due abbassarono subito gli occhi.
-Frater! Venitis hic!*-
Sentendosi chiamare Gilbert si diresse nello stanzone spada in mano.
Vi trovò il guerriero misterioso di prima, seduto su un tavolo, lama sulla spalla, mentre teneva d’occhio i cinque balordi seduti per terra a gambe incrociate e con gli occhi bassi.
Le spade erano accatastate nell’angolo opposto, lontane, per non indurre tentativi di rivolta.
Appena entrò lo sfregiato lo guardò con odio ma il germanico non si impressionò per niente. Sentì però qualcuno afferrargli il braccio farsigli vicino: la ragazza lo aveva seguito e alla vista dei suoi aggressori si nascose dietro di lui.
-Frater, possetis mittere his viri in vinculis?*- disse con un ghigno ironico il biondo
Gilbert in risposta lo fissò e non mosse un muscolo.
L’uomo allora inarcò un sopracciglio come a chiedergli che aspettasse.
Solo allora parlò –E con cosa? Non ho nemmeno una corda con me-
A quella uscita il giovane ride sonoramente, per poi parlare in franco alla ragazza dietro di lui, che subito si mise all’ascolto.
Non appena il giovane smise di parlare, si staccò subito dall’albino e si diresse nuovamente in cucina
-Certo che avete avuto un bel coraggio messere- gli disse in latino il cavaliere franco
-Ho solo fatto la cosa giusta…- gli rispose Gilbert rinfoderando la spada alla cinta
-Certamente- continuò -fare la cosa giusta, affrontando quattro uomini allo stesso tempo, non è qualcosa da poco-
-Piuttosto perchè non siete intervenuto prima ad aiutarmi?-
-Non potevo agire immediatamente, altrimenti saremmo stati in due a doverci occupare di questi gaglioffi… e quella ragazza e i suoi famigliari avrebbero perso qualcosa di particolarmente prezioso-
Gilbert non potè dargli torto.
-Domando il vostro nome messere, che non parlate il franco ma che vi battete con il coraggio di un franco-
-Mi chiamo Gilbertus del casato degli Edelstein-Beilschmidt… ma la buona creanza prevede che ci si debba presentare prima di rivolgere domande personali a qualcuno-
-Noto però che non ci avete messo molto a rispondermi – gli disse con la solita risata – comunque avete ragione e me ne dolgo. Mi chiamo Ugo e provengo dalla vicina città di Payns e come voi, immagino, passavo per puro caso da queste parti-
La figlia dell’oste arrivò con delle fibbie di cuoi e delle corde da tiro e le porse a Gilbert.
-Gratias- le disse lui
La ragazza abbassò gli occhi e dopo un istante di esitazione scappò, letteralmente, in cucina.
Gilbert decise di non farci caso e si diresse verso i cinque che non si erano mossi dalle loro posizioni
-Ora ascoltatemi bene… mi capite innanzitutto?-
Nessuno disse niente.
-ALLORA?!-
I cinque sobbalzarono e uno di loro balbettò qualcosa che gli parve tanto un “si”.
-Tirate avanti le mani, e se provate a fare anche solo una mossa, ve ne farò pentire…-
Sembrò che l’intimidazione fosse servita a qualcosa, quando l’uomo che aveva cercato di violentare la ragazza scattò verso la porta, tentando una fuga verso l’esterno.
Ugo lo anticipò e con un pugno lo abbatté al suolo.
Come se non fosse successo niente si rimise al suo posto, seduto sul tavolo –Continuate pure messer Gilbertus… non credo che ci riproveranno. Anche perchè il prossimo colpo sarà di lama…-
 
Legati stretti ai polsi con le fibbie di cuoio, che a loro volta vennero legate con delle corde alle selle dei cavalli, i cinque uomini se ne stavano a capo chino fuori dalla locanda guardato a vista da Gilbert mentre Ugo finiva di parlare con l’oste e i suoi.
Quella giornata non l’avrebbe scordata molto facilmente.
Era d’altro canto questa una delle componenti del mondo al di fuori delle città, dei palazzi, della vita dei benestanti. Nelle campagne cose come quella accadevano spesso e in molti casi non c’era rimedio. Aveva sentito in passato che addirittura dei villaggi erano stati saccheggiati da dei briganti, da bande armate, composte da malvagi, da senzadio e da feccia di ogni sorta… ma vivere tutto ciò in prima persona era tutt’altra cosa.
C’erano troppo punti vuoti. Doveva saperne di più, non poteva tollerare che ciò avvenisse, che accadessero e rimanessero impuniti simili crimini.
C’era un sistema, no? C’erano delle regole, regole sacre, erano state imposte le paci di Dio*, no? La Chiesa condannava tali comportamenti, i nobili si arrogavano il diritto di difendere le proprie terre, il Re sopra tutti si poneva il compito di mantenere l’ordine e l’armonia.
E allora perchè?
Perchè succedeva? Cosa c’era che non andava?
-La città è a mezza giornata di cammino, se partiamo subito potremmo farcela prima di sera… almeno non ci chiuderanno le porte in faccia*!-
Gilbert tornò in sé –Uh?-
-Ho detto che dobbiamo avviarci, che vi prende messer Gilbertus?-
-Pensavo a cose mie…- disse prendendo qualcosa dalla cinta -sentite… potete dare questo all’oste? Sono per tutto il disturbo e i danni-
Ugo lo guardò stupito –Siete davvero onesto Gilbertus, e questo vi fa onore, ma non pensate che potreste averne bisogno in futuro? Da quel che ho capito siete molto lontano da casa…-
-Mi farò ospitare presso qualche monastero e manderò una lettera per farmi mandare qualcosa da casa… non sono un diseredato che credete?-
Il franco tirò un sospiro –D’accordo come volete ci penso io, ma voi mettete via quel sacchetto-
-Come?- stavolta era lui ad essere stupito
-Pagherò io-
-Non posso permetterlo, sono più che disposto a…-
-Queste sono le terre in cui sono nato, messer Gilbertus… ho l’obbligo io per primo di occuparmene, è un mio compito. Sarebbe un disonore se lo facessi fare ad uno straniero, anche se tanto onorevole come voi-
Gilbert non ebbe modo di rispondere, non poteva continuare altrimenti sarebbe stato un bel problema d’attrito.
Mise il piede sulla staffa e si rizzò su Hector che nitrì forte, segno che era pronto a ripartire.
Dopo un po’ anche Ugo salì sul suo destriero, e con uno strattone impose ai tre che erano dietro di lui di incamminarsi.
Anche Gilbert era pronto a fare lo stesso quando vide che di fianco a sé, si erano schierati tutti dall’oste allo stalliere e sotto il suo sguardo stupito, gli fecero un piccolo e goffo inchino in segno di ringraziamento.
Il cavaliere non potè evitare di mostrarsi sorpreso, anche se cercò di mascherarlo con un atteggiamento serio: non seppe dire perchè ma si sentiva parecchio a disagio.
Cercò di dare un colpo ai fianchi di Hector per allontanarsi il più velocemente possibile, ma gli occhi della ragazza lo inchiodarono sul posto.
Erano occhi scuri, molto profondi e carichi di riconoscenza. Fece un passò avanti fino ad arrivare proprio all’altezza della sella, senza staccargli gli occhi di dosso.
Afferrò un lembo del mantello e lo baciò con garbo, in segno di reverenza.
Gilbert rimase impietrito, e potè solo alzare il braccio per un saluto veloce e quasi formale tanto era rigido.
Il cavallo parti di lena andando all’inseguimento di quello di Ugo che si era fermato poco più avanti, trascinandosi dietro i restanti due prigionieri.
Era stato davvero strano, si ritrovò a pensare Gilbert, strano e inaspettato.
Davvero, non era per niente adatto a cose del genere!
 
 
 
 
 
* Nel 1075 Papa Gregorio VII emanò il Dictatus Papae e nel 1077 Enrico IV subì l’umiliazione di Canossa

* Il Papato e l’Impero erano i due poteri universali nel Medio Evo e colonne portanti della società occidentale

* No, non mi sono fatto di funghetti allucinogeni: citando solennemente wikipedia (ma potremmo benissimo prendere qualsiasi libro di storia e, fidatevi, ne ho) “La dizione Impero Romano fu usata nel 1034 per indicare le terre sotto Corrado II, e Sacro Impero nel 1157. L’uso del termine Imperatore Romano con riferimento ai monarchi del Nord Europa cominciò presto con Ottone II" e inoltre "il termine esatto Sacro Romano Impero della Nazione Germanica fu introdotto nel 1254".

* Intorno all’anno 1000 e per molto tempo la società era concepita e vissuta in tre semplici ordini: Oratores, bellatores e laboratoresovvero chi pregava per il mondo, chi combatteva per il mondo e, ovviamente, chi lavorava per sfamare e occuparsi del sostentamento del resto del mondo.

* Proto-regnum è un mio termine tecnico per identificare quelle Nazioni che non hanno ancora raggiunto il proprio ruolo di rappresentanza: alcuni popoli hanno raggiunto una propria identità o un proprio costrutto nazionale solo in alcuni tempi storici molto più recenti rispetto ad altri, o addirittura l’hanno persa o mai raggiunta. In teoria nel corso della storia potrebbero esserci stati anche molti più Rappresentanti di quelli che io vi presento in queste mie fic, ma è una cosa accessoria. Ehi non prendetemi troppo sul serio! Questa è una fiction storica basata su Hetalia, io adotto solo un metodo storico perchè lo preferisco e allora appaio un po’ serio, non vi preoccupate XD

* L’unica eccezione è Benedetto Gregorio – Stato Pontificio – Vaticano.

* Lo spumante famoso in tutto il mondo comparve solo nel XVII secolo, prima era solo prodotto dell’eccellente vino rosso di pari apprezzamento

* Signore e signori avete appena assistito ad una dimostrazione pratica delle grandi doti intuitive di Gilbert Beilschmidt… è una brutta cosa andare in un paese straniero e non sapere la lingua del posto vero? XD

* Togliti dalla mia strada, schifoso… ora!

* Chi siete?

* Visitare gli infermi (una delle opere di misericordia; Gilbert lo pronuncia ritenendo che di questo non possano ignorarne il significato)

* Fratello! Vieni qui!

* Fratello, potresti mettere questi uomini in ceppi?

* Le Paci di Dio erano delle imposizioni, dei richiami ecclesiastici per frenare la violenza dei conflitti regionali e delle lotte tra bande e azioni violente in genere che soprattutto nell’alto medioevo sembravano non guardare in faccia a nessuno. Più tardi vennero formalizzate con le Tregue di Dio che invece prevedevano dei veri e propri periodi cronologici in cui era severamente vietato, l’uso di armi, violenza e far la guerra, posti durante l’anno e coincidevano soprattutto con eventi del calendario liturgico, festività e giorni di mercato

* Nel Medioevo, le città erano organismi molto autonomi e quando calava la notte si istallavano i corpi di guardia e i portoni venivano chiusi e contro-serrati: in parole povere, chi fuori è fuori, chi dentro è dentro, e non si sgarrava. Tutto ciò per impedire che malintenzionati potessero entrare con il favore delle tenebre.

Ed eccoci alla fine del terzo capitolo della saga.
C’è stato un balzò temporale rispetto al capitolo precedente, solo di qualche annetto niente di particolare  (un seco- coff,coff -lo… XD), ma penso che ci abbiate fatto il callo oramai, ma non vi preoccupate eventi particolari verranno narrati attraverso relativi flash-back, anche perchè dobbiamo proseguire  lungo la storia principale, siamo appena al 1091 e dobbiamo ricongiungerci al prologo che è ambientato nel 1529, quindi fate un po’ voi XD
Bon in questo capitolo abbiamo visto Gilbert partire per il suo viaggio e la sua tappa è stato il nord della Francia e la prossima è Parigi!
Nel prossimo cap. incontreremo qualcuno molto caro al pubblico e vedremo cosa avrà da dire.
Spero comunque che vi sia piaciuto! E ora sotto con le recensioni:
 
Malice: thanks, è un piacere che ti sia piaciuta questa mia versione XD
 
Nihila Lilium: ugh, mi aspetto che mi bacchetti ancora nel caso succedesse di nuovo… però è colpa del computer! Mi scrive “o” quando volevo scrivere “ò”! XD Comunque sono contento che ti piaccia l’intreccio in se e i protagonisti, spero che mi seguirai ancora.
 
Cosmopolita: Eh si, cosma, Gilbert è il secondo figlio e questo fatto, come tanti altri che andrò a descrivere, hanno influito molto sulla sua vita.  Infatti gli intrecci famigliari e i legami tra le varie nazioni sono fondamentali ai fini della storia… e dato che tutte le mie fan di Hetalia sono collegate tra loro, è assai probabile che eventi dell’una coinvolgeranno anche altre… ma al massimo vi avvertirò! XD Ah se ti sono piaciute le varie dinastie reali, stai attenta perchè non è ancora finita!
Grazie per i complimenti e a risentirci! XD
 
NaruHina91: my friend! Visto che ho postato subito dopo che me l’hai chiesto? XD  Diciamo che con questo cap si da inizio alla saga che porterà Gilbert a essere quello che sarà cioè un cavaliere ma c’è molto di più di quello che il blasone dei Teutonici possa mostrare al momento… Gilbert anche in versione storica possiede senza dubbio un carattere sicuro e deciso, ha carattere il ragazzo si farà valere… certo sicuramente non lo sentirete vantarsi dei suoi cinque metri o quelle altre cazzate che di solito dice! XD Comunque ti fiaccio ancora i miei complimenti per la tua serie su Russia… ma guarda che adesso ti raggiungo Muwahahah! Grazie ancora, per i complimenti! XD
 
Historygirl93: eheheheh, non pensare mia cara history che sia finita qui vero? Ne accadranno di cose ai tre fratelli che non te le puoi immaginare soprattutto a Gilbert! (ma và? È il protagonista dopo tutto…) comunque sono contento che mi segui e che apprezzi la mia genial… ehm la mia bravu… oh insomma la mia capacità di scrivere ‘ste cose! XD E si Rappresentanti è un termine che mi è sembrato stra azzeccato! XD
 
 
 

  
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