La
piacevole e imponente
presenza di Sebastian Smythe presenta:
l'agenda
più geniale e
crudelmente ingegnosa che una mente umana potesse creare
…
Harwood si è davvero confessato?
Mi è
già successo prima d’ora che
qualcuno mi dicesse che era interessato a me, ma un “mi
piaci” così diretto è
una cosa nuova. Come al solito Thadduccio non ha un minimo di controllo
di se
stesso, ma si può essere più idioti?
E nuova
è anche la curiosità: chissà
cosa farà ora che gli ho detto di non ricambiare?
Ovviamente che io abbia una
relazione
seria non se ne parla.
Era
risaputo che di mattina presto gli Usignoli non erano da provocare o
stimolare:
il sonno misto al dover andare a studiare per una mattinata intera era
una combinazione
troppo potente.
Per
questo quando Thad se ne uscì, anche piuttosto indifferente,
con la frase ‘ieri
mi sono dichiarato a Sebastian Smythe e mi ha anche
rifiutato’, con tanto di
sorriso, mancò poco che tutti i presenti al tavolo si
strozzassero con i
cereali che stavano mangiando.
“CHE
COSA?” saltò su Jeff, non appena finì
di tossicchiare la colazione. “COSA HA
FATTO QUEL BASTARDO?”
Thad
strinse gli occhi.
“Abbassa
la voce, coglione!” disse, portando una mano sulla sua spalla
per farlo
risedere.
Improvvisamente
sentiva gli occhi di Sebastian su di sé e preferì
sorvolare sulla stupidità di
Jeff; decise di ignorare il suo sguardo.
“Che
ti ha detto?” gli chiese Nick, più calmo
– come al solito – ma anche lui
piuttosto concitatamente.
“Niente,”
rispose Thad, alzando di poco le spalle. “Soltanto che si
stava divertendo a
fare questa specie di ‘gioco al fai
cambiare sponda a un etero’ con me e che era sicuro
che anche io la stessi
prendendo alla leggera. E che è ovvio
che
lui non prova alcun tipo di sentimento.”
Trent,
Nick, Jeff, Richard e Flint restarono in silenzio, chi dispiaciuto, chi
– Jeff
– meditando un omicidio.
“Secondo
me è sospetto: insomma, può anche essere che lui
volesse soltanto divertirsi,
ma forse gli interessi sul serio, altrimenti non si spiegano certi
comportamenti. Magari ha solo paura di ammetterlo,” disse
Nick, cercando un
modo per consolarlo, non sapendo bene cosa dire.
“No,
non è così. Ma non fa nulla, Nick, sto
bene!”
“Non
so perché si comporta così da cazzone, so solo
che se lo prendo gli faccio
pentire di essere nato e…”
“Jeff,
ho detto che sto bene.”
“…
Non vedrà mai più la luce del sole. Dico davvero,
io so essere vendicativo quando
voglio e vedrà di che pasta sono fatto. Sia chiaro
che…”
“JEFF!”
Tutta
la mensa si era improvvisamente voltata verso di lui, ma Thad era
felice di
aver zittito l’amico.
“Sto.
Bene,” ripeté,
bruciando i suoi amici
con lo sguardo. “Ora parliamo d’altro? Sul serio,
non ho bisogno di nessuna
consolazione.”
Il
suo sorriso era disarmante, così tutti decisero che era il
caso di finirla lì.
Trent,
che era stato zitto fino in quel momento, decise che era il caso di
intromettersi: “Oggi pomeriggio andiamo a fare
shopping?”
Thad
sbuffò. Ma pensava a qualcos’altro, Trent?
“Ok,”
accettò lo stesso, agognando un pomeriggio tutto con i suoi
amici. “Diamoci
alla pazza gioia!”
“Io
devo passare a comprarmi un nuovo videogioco. Ormai Resident Evil 4
l’ho finito
otto volte,” rispose Jeff, pensieroso. “Stanotte ho
sognato che mia madre
diventava uno Zombie.”
“Oddio
no, poi io dovrò conoscerla e preferisco sia al pieno delle
sue facoltà
mentali,” s’impaurì Nick.
Jeff
scoppiò a ridere piuttosto rumorosamente e sputacchiando qui
e là, tanto che
Flint fu tentato di ficcargli un
intero
tovagliolo in bocca.
“Tu
vieni, Richard?” Thad si ricordò
all’improvviso della presenza dell’altro
Usignolo.
“No,
non mi va, preferisco restare sulla poltrona tutto il
pomeriggio.”
Jeff
scosse la testa.
“Dio,
Richard, sei così noioso che le pecore ti contano prima di
andare a dormire.”
Inutile
dire che Thad quasi si strozzò a furia di ridere.
Tutti
gli Usignoli, alla fine, si erano riuniti nel Centro Commerciale per
‘far
tornare su il morale di Thad, basso a causa di quell’animale
di Sebastian’,
senza pensare che Sebastian era di fatto
un Usignolo e come tale era lì presente.
Quindi,
mentre loro continuavano a blaterare su quanto quella situazione fosse
triste e
su quanto Thad fosse una povera anima in pena, Sebastian sentiva i loro
discorsi.
“Avete
finito?” disse, a un certo punto, con un tono annoiato.
“Non ho mica ammazzato
il vostro amichetto, siete noiosi e lui è una
lagna.”
Thad
si sentì profondamente offeso, ma prima che potesse anche
solo dire qualcosa,
Jeff partì. “No, Sebastian, non ci aspettiamo che
tu capisca cosa voglia dire
provare sentimenti per qualcuno.”
Sebastian
non rispose, limitandosi solamente ad alzare un sopracciglio in segno
della sua
disapprovazione.
Thad
sentì improvvisamente le braccia di qualcuno cingergli le
spalle e voltandosi
notò Nicholas che lo guardava con un sorrisone.
“Non
preoccuparti, Thad, ci siamo qui noi.”
E
Thad capì.
Capì,
dalle parole e dal sorriso splendido di Nicholas, che gli Usignoli
stavano
facendo tutto questo appositamente per
lui. Erano rumorosi, idioti e con poco tatto, ma…
accidenti, erano il gruppo migliore della terra.
E,
mentre li guardava buffonare per il centro commerciale e sorridergli di
tanto
in tanto, quasi si commosse, grato ai suoi amici come non lo era mai
stato.
“Sto
bene, ragazzi, davvero,” sorrise a Nicholas, mentre
un’idea prendeva forma
nella sua testa. “David, a proposito… Ti ricordi
dello scherzo che avevamo
pensato per la Professoressa Jefferson?”
“Sì?”
rispose l’altro, con le orecchie improvvisamente tese.
Dove
c’era uno scherzo da fare c’era anche David.
“Ecco,
ho in mente una cosuccia ancora più divertente.”
Il
ghigno sui volti di Thad e di David era sin troppo complice.
Quando
tornarono in camera il silenzio che vi regnava sembrava schiacciare
Thad.
Sebastian
si era appena sdraiato sul letto e si era acceso una sigaretta
distrattamente;
in realtà era espressamente vietato fumare
all’interno dell’edificio della
Dalton, ma Thad non aveva di certo voglia di discutere con Sebastian.
Anzi,
non voleva proprio avere a che fare con lui dopo quanto accaduto quella
mattina: soprattutto quando il suo stomaco si attorcigliava in maniera
preoccupante, mentre il suo sguardo veniva incantato da quelle labbra
che si
chiudevano sulla cicca. O dal fumo che fuoriusciva a spirali dalla
bocca del
compagno, o dal suo sguardo che all’improvviso era su di lui.
Maledetto seduttore nato.
Thad,
appena si accorse di essere a sua volta fissato, si voltò
verso l’armadio,
fingendo indifferenza.
“Fumo
solo quando sono nervoso, non farti il sangue amaro: basta che apri la
finestra.”
Sebastian
aveva capito che era infastidito dal fumo dal suo sguardo?
Anche
se, effettivamente, a infastidirlo era il fatto di trovarlo ancora
così
dannatamente eccitante, non tanto il fumo di per sé.
Aspetta
un momento…. Era nervoso?
Non
rispose nonostante la curiosità, limitandosi ad andare verso
la finestra; la
spalancò, sentendo subito l’aria fresca cingergli
la pelle.
“Oggi
è stata una cosa veramente patetica quella di aiutarti
neanche fossi un
lebbroso.”
Ancora
non rispose, dandogli invece le spalle e cercando qualcosa
d’inesistente dentro
l’armadio.
“Sei
così sfigato da non riuscire a riprenderti da
solo?”
Non
rispose ancora, ligio sulla sua idea di ignorarlo e non dargli
più attenzione.
Lo
avrebbe dimenticato e non poteva di certo starsi a piangere addosso per
la
cattiveria di Sebastian.
“Non
mi rispondi? Forse
le lacrime t’impediscono
anche di parlare?”
Era
così dannatamente stronzo.
Si
voltò giusto un attimo, il tempo di guardarlo negli occhi e
vedere cosa stesse
facendo; Sebastian aveva ancora la sigaretta tra le dita e uno sguardo
determinato.
Fu
da quello sguardo che capì – quel giorno era
particolarmente intuitivo – cosa
stava cercando di fare l’altro: Sebastian
voleva che tutto tornasse come prima.
Lo
stava provocando in attesa che rispondesse, aspettando che tornassero a
provocarsi come bambini delle elementari.
Sebastian
non lo voleva – non in
una relazione
seria, almeno -, e quello era un dato di fatto, ma allo stesso tempo
non sapeva
rinunciare a lui.
Si
voltò del tutto, fissandolo per qualche secondo, poi si
rigirò verso la porta,
pronto a sbattersela dietro. “Vado a chiamare
Jenny,” disse.
Non
poteva vederlo, ma sperò vivamente che Sebastian stesse
rosicando per bene.
Nick
e Jeff stavano camminando tranquillamente per le vie della
città,
chiacchierando del più e del meno.
Il
discorso si fece spinoso soltanto quando fu messo in mezzo Thad e Nick
prese
uno sguardo dubbioso piuttosto esplicativo.
“Ma
sbaglio o Thad l’ha presa piuttosto bene? Come sua prima
cotta mi aspettavo una
reazione meno tranquilla,” disse, esponendo i suoi dubbi.
“Mmm,”
rispose Jeff per nulla convinto. “Era ora che si accorgesse
che l’amore fa
schifo!”
“Hey,”
Nick gli diede un pizzicotto e Jeff ridacchiò.
“Intendevo
dire quello non corrisposto! Soprattutto quello con Sebastian:
è come un
apostrofo rosa tra le parole
‘t’ammazzo’”
Fu
il turno di Nick di ridacchiare. Era impossibile non concordare con
Jeff quando
se ne usciva con certe perle – idiote.
Si
sporse verso di lui per baciarlo e fu prontamente ricambiato. Oh, ma quanto amava baciare Jeff?
Quando
si staccarono quest’ultimo stava sorridendo con uno sguardo
piuttosto ebete.
“Sei
sicuro di non voler conoscere la mia Mamma-Zombie?”
Nick
ridacchiò di nuovo. “Al cento per cento. Anche
perché tu sei al sicuro, ma io
no!”
“E
perché mai?”
“Gli
Zombie mangiano il cervello, ricordi?”
E
mentre Jeff stava rincorrendo Nick per vendicarsi di
quell’affronto, si ricordò
improvvisamente di una cosa.
“Nick,
tu vai, intanto. Io devo prima sistemare alcune cosette”,
disse, vago.
Nick
annuì e Jeff andò dalla parte opposta alla sua,
quasi correndo per cercare il
suo migliore amico.
Sapeva
che lo avrebbe trovato lì, così come sapeva che
tutta la tranquillità che quel
giorno Thad aveva ostentato con gli altri Usignoli era dovuta a una
maschera:
la maschera che gli permetteva di non mostrarsi troppo debole.
Non
voleva che gli altri sapessero che stava male a causa di Sebastian,
perché
probabilmente era inaccettabile anche per lui stesso.
Eppure
eccolo lì, con gli occhi bassi e le spalle ricurve.
Jeff
gli si avvicinò piano, sedendosi sul – loro
– muretto, di fianco a Thad. E,
sempre in silenzio, passò un braccio sulle spalle
dell’amico, lasciando che
quest’ultimo posasse la testa sulla sua spalla.
“Cos’ho
io che non va, Jeff?” sentì la voce di Thad bassa
e fragile.
“Shh,”
lo zittì Jeff, accarezzando il suo braccio. “Tu
sei perfetto, ok?”
Restarono
lì per molti minuti, immobili, mentre Jeff accoglieva quella
non pronunciata richiesta
d’aiuto. In silenzio, ma con mute parole d’affetto.