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Autore: Aesir    01/04/2012    1 recensioni
Questa fiction è il seguito di "Leggende del Mondo Emerso: La Strada di Dubhe"
Mano nella mano nelle tenebre
Il prezzo per una vita assieme
Una missione in cui non credono
Dubhe e Aster
Riusciranno nel loro obiettivo?
Se giochi secondo le regole, non ti sogneresti mai di infrangerle. Ma io non ho voglia di giocare secondo le regole. E quando queste si fanno troppo pressanti, e t’ingabbiano, e t’incasellano, e t’infilano a forza in un’esistenza che detesti con tutta te stessa, l’unico modo per sfuggirle è mettere fine al gioco. Mettere fine a tutti i giochi. Perché quando i giochi finiscono, nessuna regola vale più
[DubhexAster]
Genere: Dark, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri | Personaggi: Aster, Dubhe
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Leggende del Mondo Emerso'
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Scena Prima (I): SUL CIGLIO DELLA STRADA

 

Crimson after crimson sways
Beyond dreams
When we met, fate begins to turn
A secret that no one else knows,
We're falling deeper and deeper and can't go back anymore
Even if we cast away our sin, absolutely

-
sigla diVampire Knight*

Alzò gli occhi e guardò il cielo.
Sì, il cielo.
Lo continuava a chiamarlo così, anche se sapeva che il cielo vero e proprio era centinaia di metri sopra di lei, al di fuori di quella bolla di vetro che era la sua casa. Aveva provato a dimenticare, si era gettata con tutta sé stessa nella politica, gioendo ogni volta che uno dei Nuovi riusciva ad ottenere un ruolo in quella Zalenia che stava lentamente cambiando. Ma, era più forte di lei, non poteva fare a meno di alzare gli occhi, e guardare quei piccoli vortici che si scontravano sulla superficie della bolla di vetro in cui viveva. Era azzurro come il cielo, il mare, ma non ne era che una patetica imitazione. Anzi, sentiva che neanche il colore era quello giusto, che se doveva essere azzurro, allora doveva avere la stessa sfumatura dei suoi occhi. E in quei momenti si sentiva le labbra umide di quell’unico bacio che si erano scambiati. Ce n’erano stati altri, dopo, ma sapeva fin troppo bene che l’unica volta in cui lui l’aveva davvero amata, era stata proprio quella in cui, spaventata, l’aveva rifiutato.
Quando un uomo bacia una donna così, vuol dire che la ama. Ti ho detto di andare via, di tornare da
lei, solo perché volevo che tu fossi felice. Ma lei è morta, da vent’anni, ormai. Dovrei odiarti, perché mi hai fatta innamorare, mi hai fatta attendere come una stupida illusa per tutti questi anni, mi hai tolto la possibilità di amare qualcun altro, perché non sono stata capace di dimenticarti. Ho provato scordarti nel mio lavoro presso il conte, ho provato a lavarti vi con altri abbracci. E invece… Hai detto che sono importante per te, hai detto che per te sono sempre rimasta la ragazza ferma sul ciglio della strada, di quella strada che non hai avuto il coraggio di prendere. Adesso puoi farlo, ti prego! Torna da me, Sennar, io ti amerò per sempre!
Una singola lacrima le scivolò lungo la guancia, andando a cadere sul suo corpetto e stampandovi una piccola macchia circolare. Se tutta la sua vita era stata un tentativo di dimenticarlo, allora essa non aveva ragione di essere. Aveva sentito dire una volta che le azioni sono svincolate dagli ideali che le muovono. Forse era così, di sicuro tutti i Nuovi la vedevano come una benefattrice, e non come una donna terribilmente sola che si era buttata anima e corpo nel lavoro per dimenticare. E, ancora di più, aveva dovuto fare la generosa, lei, gli aveva fatto promettere di essere felice accanto alla donna che amava davvero…

Contessa?”, chiamò uno dei suoi attendenti, interrompendo i suoi pensieri. Lei si voltò, ricomponendosi. Era una donna esile, che, nonostante l’età avanzata, manteneva ancora nei tratti del volto qualcosa di infantile. I suoi capelli, a differenza del candore totale della maggior parte degli abitanti del Mondo Sommerso, presentavano numerose ciocche grigie, un tratto che una volta sarebbe stato una vergogna, ma che ora ostentava con orgoglio, perché era il segno della sua posizione: la prima Nuova a diventare contessa.
Sì?”, rispose.
Ci sono due persone che chiedono di vedervi.”
Ebbene, falli passare.”
Ehm… il fatto è che sono… sono di Sopra…”
Cosa?! Falli passare!”

Parvero cristallizzarsi nell’aria, illuminati dalla luce fredda che filtrava dalle finestre, rimbalzando sulle pareti candide. Le sentinelle si erano disposte sull’attenti, ma una voce cortese ma fredda le gelò laddove stavano: “Fossi in voi riporrei le vostre armi. Non vi servirebbero, anche qualora si giungesse ad uno scontro.” A parlare era stata una ragazza. Si muoveva con scioltezza, e i suoi piedi, poggiati con noncurante accuratezza l’uno dietro l’altro, non producevano alcun suono quando toccavano il terreno. Magra e minuta, tanto che probabilmente non pesava più di cinquanta chili, indossava vestiti da uomo, in toni scuri: una casacca, le cui maniche erano infilate dentro le protezioni di metallo che le coprivano gli avambracci, un corpetto, pantaloni lunghi e aderenti e stivali alti fino al ginocchio; dietro la schiena c’erano i foderi di due spade curve, alla cintura quello di un pugnale, sul petto i coltelli da lancio; un mantello le avvolgeva le spalle esili, e un cappuccio era calato sul viso, coprendone gli occhi e la parte superiore di un volto ovale, da ragazzina, mentre qualche ciuffo di capelli castani sfuggiva dai bordi del tessuto; le labbra erano atteggiate in un sorriso di circostanza, che però, la donna vide, quando si tirò indietro il cappuccio, che non si estendeva, e non aveva neanche la pretesa di farlo, agli occhi grigi, che conservavano uno sguardo tormentato e vagamente triste.
Il ragazzo che stava accanto a lei manteneva la stessa bellezza dolente. Era vestito con una tunica da mago, coperta di fregi, e sul ventre si apriva il disegno di un grande occhio blu. Ed era semplicemente troppo bello per essere reale. I suoi capelli blu notte, lunghi e lisci, la delicatezza dei lineamenti e della pelle alabastrina, le orecchie a punta ne facevano una figura inconsueta e stupenda, ma i suoi occhi verdi erano sconvolgenti. Traboccavano di una vita piena di dolore, esattamente come quelli della ragazza, e gli davano un aspetto molto più adulto di quanto non dovesse essere. Entrambi possedevano una bellezza diafana e innaturale, come se appartenessero a quel mondo solo per metà, e fossero pronti a partire in qualsiasi momento per tornare alle stelle da cui dovevano provenire due esseri di tale splendore. E allo stesso tempo erano impenetrabili. I loro volti erano impassibili, ed era praticamente impossibile dire che cosa potesse essere celato dietro a quelle due paia di occhi così straordinari.

Gradiremmo parlare in privato.” Le parole giunsero inaspettate, ma non del tutto inattese. La donna soppesò accuratamente il rischio: che fosse un artificioso complotto per eliminarla suonava quantomeno improbabile, inoltre se davvero venivano da Sopra, magari avrebbero potuto dirle qualcosa di Sennar…
Fuori”, disse con voce pacata, rivolta alle sentinelle.
Ma… contessa…”
Mi avete sentito? Fuori!” Le guardie si ritrassero, spaventate da quell’ordine improvviso più di quanto non volessero dare a vedere: lei era nota per il suo carattere benevolo. Educatamente, i due si fecero da parte per lasciar uscire gli uomini armati.
La contessa Ondine di Sakana?”, chiese la ragazza, quando la porta si richiuse alle loro spalle. Aveva una bella voce, oltre a tutto. Calma e misurata, fredda.
Sì, sono io”, rispose automaticamente la donna. “Posso chiedervi come siete giunti fin qui? È pur vero che non vigono più le leggi dei tempi della Grande Guerra, ma le nostre strade sono trafficate e controllate, e fatico a credere che due persone che provengono da Sopra come voi non diano nell’occhio.”
Forse”, osservò la giovane, “abbiamo preceduto gli araldi che dovevano annunciare il nostro arrivo. Sì, dev’essere così.”
A Ondine occorse un attimo per metabolizzare quella risposta. “Chi siete?”

Due servitori della Morte. Come tutti, fra l’altro.” Le parve un commento inconsueto, sebbene non del tutto fuori luogo.
Parlate sempre per enigmi?”, indagò, dopo quella risposta sibillina.
Talvolta.” La fanciulla sembrava divertita.
Ondine si prese un momento per riflettere.
Va bene, si disse. Ricominciamo dall’inizio. “Perdonatemi. Sono davvero un’ospite irriguardosa. Sedetevi. Posso sapere i vostri nomi?”
La ragazza declinò l’offerta delle sedie con un cenno. “Io sono Dubhe della Terra del Sole. Possiamo darci del tu?”

Dubhe? La ragazza inseguita dai sicari della Gilda?” Non riuscì a trattenersi.
E questa come lo sa?
, s’irrigidì la ladra, ma subito dopo si rilassò: “Te l’ha detto Ido?”
Sì. Ah, e dammi pure del tu, sì.”
Questa è la mia storia, in effetti. Ma sono successe un po’ di cose, negli ultimi tempi. Non indifferente il fatto che la Setta degli Assassini non esista più, e il tempio di Thenaar sia stato raso al suolo dalle fondamenta.”
E chi è il tuo compagno, che finora non ha parlato.”
Ci siamo.
Il ragazzo aprì appena le labbra perfette, e disse con voce tranquilla.
Io sono Aster della Terra della Notte.”

Dubhe, leggermente in disparte, rivisse il momento in cui aveva visto per la prima volta il Tiranno. Non era altro che un bambino, ma quale orrore le aveva ispirato la sua innocenza, la sua apparente disperazione!
rimase ferma nel silenzio perfetto di quel luogo pervaso da un misticismo insano, da un’adorazione blasfema. Era quello lo spirito richiamato dall’ignoto? Quella l’anima che aspettava il corpo di un mezzelfo?
Si avvicinò tremante, guardò nel globo. All’inizio le sembrò del tutto informe, niente più di una sfera fluida e lattescente. Quando però i suoi occhi si furono abituati a quella luce pallida, intravide il segreto di quell’oggetto. C’era un volto che vorticava nel suo centro, un volto dai contorni indefiniti, che sembrava quasi sofferente. Confuso ma riconoscibile. Era del tutto identico alle statue disseminate ovunque per la Casa.
Dubhe si portò la mano al volto, indietreggiò. Il bambino parve guardarla con occhi liquidi, e il suo sguardo non era iroso, non esprimeva potenza. Era solo triste, oltre ogni dire…

Col senno di poi, si vergognava delle sue reazioni di allora. Aveva giudicato Aster esattamente come gli abitanti di Selva l’aveva giudicata un’assassina. Che stupida che era stata. Non avrebbe mai immaginato, allora, che quel mezzelfo che le incuteva tanto timore sarebbe diventato un giorno il suo ragazzo. Eppure, avrebbe dovuto vedere nella sua tristezza i riflesso dei suoi sentimenti, la muta supplica che portava. Chissà, magari le cose sarebbero andate in maniera diversa. Riportò l’attenzione al presente, a Zalenia…

Aster? Quell’Aster?”, esclamò Ondine.
Quell’Aster, Aster il Tiranno”, replicò con fermezza il ragazzo.
È un po’ difficile credere che siate - Dubhe notò il ritorno alla seconda persona plurale - qui dentro, e così tranquillo, ora. Insomma, siete il Tiranno! Avete ammazzato più persone che chiunque altro nella storia!”
Mia madre mi diceva sempre di essere il migliore in qualunque cosa facessi”, sorrise amaramente lui.
Ondine… non fermarti alle apparenze”, disse la ladra. Suonava molto come un ordine vero e proprio.
La contessa fece scorrere lo sguardo da lui a lei. “Perdonatemi, ma mi sfugge qualcosa. Che cosa ci fa il presunto Messia della Gilda con la persona che per quel che ne so più di tutte dovrebbe rifuggire gli Assassini?”
I due si scambiarono un’occhiata. Sospirarono. “Cominci tu, o comincio io?”

Comincio io.”
D’accordo, eventualmente intervengo se c’è qualcosa da aggiungere.”
Quello che tratteggiarono in circa un’ora fu un resoconto degli eventi di oltre un secolo, dall’ascesa al potere di Aster, del cui dominio fu fornita un’inedita visione ‘dalla parte del cattivo’, alla sua caduta, per poi spiegare la nascita della Gilda e le sue motivazioni, concludendo con un riassunto dei diciotto anni di vita di Dubhe. Si prodigarono di dettagli nei passaggi solitamente evitati dai libri, mentre furono di comune accordo taciuti Uruboros, Altri Dei,
Necronomicon e cose analoghe. Meno gente ne era a conoscenza, meglio era. Alcuni momenti furono… particolari. Per esempio quando Ondine chiese a Dubhe quale fosse il suo lavoro. La ragazza a quella domanda aveva distolto lo sguardo: “Sono una ladra. E una spia. E un’assassina.”
E di rara abilità, aveva commentato l’ex Tiranno. Lei aveva abbassato ancora di più gli occhi: “Non è certo cosa di cui mi vanti, questa…”

Il bisogno di certezze spinge gli uomini a gesti estremi, e quando trovano qualcosa in cui aver fede, non permettono neppure alla morte di contraddirli”, concluse il mezzelfo, quando tutto il discorso fu finito, a mo’ di explicit.
Oh. Che razza di storia”, commentò Ondine.
Già.”
Come faccio a sapere che è la verità?”, chiese, colta dal dubbio.
Sotto i suoi occhi stupiti, lo sguardo di Dubhe si indurì, la posa s’irrigidì di colpo, e la voce le uscì dalle labbra fredda e tagliente: “Ti paiamo persone che raccontano frottole?”, sibilò.

No”, dovette ammettere la contessa.
La ragazza si rilassò, e addirittura le sue labbra s’incurvarono appena in un sorriso sincero. Merce rara, sul suo volto serio. “Ti ringrazio. Sai, sono state dette tante cose, e alcune di queste potranno anche essere vere, ma Aster è una brava persona, lo giuro sulla mia stessa vita. E in ogni caso, la verità è un’illusione. L’unica verità che ognuno di noi può conoscere, dall’inizio alla fine della vita, è che nessuna verità può essere conosciuta, solo le storie che noi immaginiamo siano vere, le storie che sono talmente credibili da riuscire ad ingannare sé stesse. E tutte mentono. Sei tu che devi scegliere a quali bugie credere.”
Ondine colse lo scambio di occhiate che intercorse fra i due, e finalmente, come i pezzi di un rompicapo che all’improvviso vanno al loro posto, capì ciò che li occhi le dicevano da tanto tempo, ma il cervello non riusciva a recepire: “Sei la ragazza del Tiranno?”, chiese, incredula.

Sono la ragazza di Aster, sì”, corresse Dubhe in tono fermo. “Lo amo, come si può amare solo la persona che è lo specchio del proprio più profondo rimpianto. Ho sentito le sue lacrime nelle mie, e lui ha sentito le mie lacrime nelle su, e penso che questo sia ancora più intimo di un bacio, ancora di più di andare a letto assieme. Ma non è solo questo. Quando conosci davvero qualcuno, quando arrivi a vedere il mondo con i suoi occhi e a pensare con la sua mente, non puoi odiarlo. O forse, semplicemente non puoi conoscere sul serio qualcuno finchè non hai smesso di odiarlo. Lo odiavo anch’io, una volta. Perché non lo conoscevo. Una volta che si è assaggiata la perfezione dei sentimenti, non vi si può rinunciare.” Appariva così decisa nella sua affermazione, così sicura nella sua certezza, che la donna non se la sentì di discutere. I suoi gelidi occhi grigi dicevano: non mettermi alla prova,Ondine. Perderesti.
Sei molto saggia, per essere una ragazza che ha a malapena raggiunto la soglia dell’età adulta”, osservò.
I saggi non sono tali perché non fanno errori. Sono saggi perché rimediano ai loro errori non appena se ne accorgono. E, tanto per chiudere, una brava persona non lo è perché non ha mai causato dolore agli altri. Lo è perché si sforza di trattarli meglio che può, e ha la consapevolezza di farlo. E io, personalmente, non ho dubbi che Aster lo sia.”
La contessa non riuscì a trovare falle in quella logica: si rivolse perciò al mezzelfo: ”Quindi non credi più che questo mondo vada spazzato via?”
Aster sospirò: “No, credo ancora che questo mondo sia dannato, e che non riuscirà mai a salvarsi. Ho visto abbastanza della natura umana per poter affermare con certezza che le cose non cambieranno mai. Anche se fossi riuscito nella mia impresa, chi garantisce che qualsiasi nuova razza si sarebbe - forse - creata non avrebbe ripetuto gli stessi identici errori? Alla fine, il problema è sempre questo. Il senso della nostra esistenza supera il tempo della vita.” Chiuse gli occhi, e quando riprese a parlare, Ondine ebbe la chiara impressione che non si stesse rivolgendo a lei, né forse a nessun altro. La sua voce sembrava giungere da molto, molto lontano: “
Il mio nome è Aster, re dei re. Guardatele le mie opere, o voi potenti, e piangete. Niente qui resta.”*
Riaprì gli occhi, e tornò a parlare normalmente: “Però ho smesso di vedere solo il lato negativo del mondo. Forse perché ho trovato sulla mia strada una persona come me, una persona che non avrei potuto corrompere e rovinare, perché veniva dallo stesso abisso nel quale avevo trascorso la mia vita. L’ho amata quando l’ho vista la prima volta, nei sotterranei della Casa, attraverso il contenitore dove aleggiava la mia anima. Lei sa di cosa dico, quando parlo di disperazione e sofferenza, lei è così simile a me che non sarei capace di farle del male, più di quanto non ne farei a me stesso. Ha conosciuto l’orrore dell’uccidere, ma le sue mani sono immacolate. Questa persona si chiama Dubhe, e adesso Dubhe è diventata tutta la mia vita.”
La chiamata in causa chinò il capo, con le guance che le si tingevano leggermente di rosso. Il mezzelfo se ne accorse: “Arrossisci anche, adesso?”, la prese in giro gentilmente.
Il volto della ladra salì di un’altra sfumatura. “Sì, arrossisco”, mormorò, “perché ti voglio bene.”
Ondine li guardò con un pizzico di invidia.
Io e Sennar avremmo potuto essere così…
L’assassina si voltò a guardarla. Sospirò. “C’è un’altra cosa che devi sapere, che finora ti abbiamo taciuto.”
Lo disse talmente a bassa voce che all’inizio la contessa pensò di aver sentito male: “Sennar è morto.”
Ma Dubhe non dovette ripetere. La donna sentì le lacrime che cominciavano a scenderle lungo le guance, ma senza singhiozzi. Forse troppi anni passati a soffrire in silenzio l’avevano resa incapace di piangere davvero. Eppure si sentiva solo più confusa. I due non facevano niente, non sprecavano parole per consolarla, non le si facevano vicini e quello che riuscì a provare fu una muta gratitudine per il loro silenzio e la loro compostezza.
Li vide scambiarsi un’occhiata, vide la mano di Aster serrarsi nervosamente attorno a quella di Dubhe e, inconsciamente, seppe che non era finita. Si preparò al colpo di grazia.

Ha detto che ti ama, che ti ha sempre amata. Che avrebbe voluto mille volte prendere una nave e venire da te, ma che non ne ha mai trovato il coraggio… che avrebbe voluto mille volte, aver avuto il coraggio di tornare indietro, di sollevare fra le braccia quella ragazza sul ciglio della strada e di dirle che la amava.”
Ondine abbassò lo sguardo. “Grazie…”
Dubhe sorrise appena: “Di nulla.”
Si voltarono, dirigendosi verso la porta. “Aspettate!”
L’assassina e il Tiranno si fermarono, senza però girarsi. “Sì?”, chiese lei.

C’è qualcosa di strano in voi, l’ho percepito quando vi ho visti la prima volta… chi siete, veramente? Cosa state cercando di fare?”
Dubhe voltò appena il capo: “Se giochi secondo le regole, non ti sogneresti mai di infrangerle. Ma io non ho voglia di giocare secondo le regole. E quando queste si fanno troppo pressanti, e t’ingabbiano, e t’incasellano, e t’infilano a forza in un’esistenza che detesti con tutta te stessa, l’unico modo per sfuggirle è mettere fine al gioco. Mettere fine a
tutti i giochi. Perché quando i giochi finiscono, nessuna regola vale più.***”
Sospirò e accennò ad Aster: “Stiamo cercando di creare un mondo in cui non ci sia posto per persone come noi due.”
Poi strinse la mano al mezzelfo, e semplicemente scomparvero.
Svanirono come ombre alla luce del giorno, come spettri che camminano al confine fra il mondo dei vivi e quello dei morti.

Andiamo fuori, ho bisogno di prendere un po’ d’aria.”
Le parole della ladra erano giunte all’orecchio di Aster non del tutto inaspettate. Adesso erano lì, seduti sulla terrazza della Rocca, avvolti stretti nei mantelli per proteggersi dal freddo, mentre il sole tramontava nel deserto, tingendolo di colori strani e meravigliosi.

Quando si è tristi”, azzardò il mezzelfo ad un certo punto, “si amano molto i tramonti.”****
Questo commento non provocò alcuna reazione.

Avevo inventato una formula”, continuò, “Magia Proibita, è vero, ma che me ne importava? Era l’unica cosa che riusciva a darmi un po’ di pace – che mi permetteva di rivivere una scena tutte le volte che volevo. Un giorno mi sono seduto proprio qui, e ho visto il tramonto per quarantasette volte di seguito.”****
Finalmente Dubhe distolse lo sguardo dall’orizzonte e si voltò a guardarlo. “Eri molto triste, il giorno delle quarantasette volte?”****
All’improvviso, quando il sole pareva ormai spento, ci fu un unico, splendente lampo di un verde accecante, e per un momento la Grande Terra parve ritornare alla rigogliosità di un tempo.

C’è una leggenda che narra che questa luce sia portatrice di un messaggio degli elfi, il loro ultimo messaggio al mondo, consegnato dal Sole affinché solo chi è puro possa vederlo.”
Dubhe sorrise cupamente: “Tutte le volte che sono passata per di qua, e per quanto ogni volta avessi le mani più sporche di sangue della precedente, il raggio verde è stato qui ad aspettarmi.”

Lo so. Come so che si vede solo qui perché l’aria è limpida e non inquinata dalle attività dell’uomo o dall’umidità. Però certe volte mi viene da pensare che forse è stato messo qui proprio perché noi due lo vedessimo, e che questo sia lo scopo della sua esistenza. Lo capisci, cosa voglio dire?”
La ladra chinò il capo. Lo capiva, sì.

Lo conosco quello sguardo. Cosa c’è?”, le chiese il mezzelfo.
Io? Niente…”, tentò lei. Poi vuotò il sacco: era inutile mentire, perché il ragazzo la conosceva meglio di sé stesso. “Sono così ovvia? Davvero, non è niente. Le solite, sciocche riflessioni sul passato e sulla nostra missione…”
Tacque. Fissò Aster. Il suo sguardo passò si lineamenti delicati, sulla pelle alabastrina, sulle eleganti e sottili orecchie a punta che emergevano dai soffici capelli blu notte. Quando poi si posò sulle labbra leggermente dischiuse, che pur pallide spiccavano sull’incarnato chiarissimo, non si spostò più.
Che bocca da baciare, pensò. Si sforzò di guardare ancora più in alto, perché sapeva cosa vi avrebbe trovato.
I suoi grandi, luminosi occhi verdi la ipnotizzavano. Né nel Mondo Emerso, né nella foresta delle Terre Ignote aveva scorto così tante sfumature di verde. La ragione le diceva che occhi del genere non potevano esistere, ma invece esistevano, eccome se esistevano, e cosa ancora più importante, erano suoi, suoi com’era il ragazzo stupendo che li portava. Aster era davvero bellissimo, in una maniera struggente e delicata che lo univa indissolubilmente a lei. Non riusciva a staccargli gli occhi di dosso.
Io… io lo desidero…

Ogni qualvolta che si sentiva accesa da quel sentimento che li portava a soddisfare le loro voglie, era sempre stato il mezzelfo a cercarla, e mai il contrario, anche quando era lei a sentire quel bisogno. Adesso, voleva, almeno per una volta, essere lei a chiederglielo. Sorrise, un po’ imbarazzata. Si aspettava che da un momento all’altro il mezzelfo le domandasse se si sentisse bene, e invece lui taceva. Si limitava a guardarla. In attesa, capì. E fu proprio la consapevolezza del fatto che lui sapeva, e che aveva cercato anche quella volta di fare il possibile perché lei assecondasse i propri desideri, quella stupidaggine che in quel momento le appariva così importante, che le diede il coraggio di chiedere.
Aster… tu… mi vuoi?”, domandò, esitante e rossa in viso.
Il ragazzo le posò le mani a coppa sulla curva del seno e la strinse a sé, le poggiò il capo nell’incavo della spalla, per poi girarlo appena, quel tanto che bastava a baciarle la pelle morbida del collo. La sua mano afferrò delicatamente il ciuffo con cui terminava la treccia e lo usò per solleticarla sotto la gola, facendola sorridere. Le prese il volto fra le mani, piano, e le posò un bacio sulle labbra. Fu dolce, tanto, tanto dolce.

Sì…”, le giunse sussurrata la risposta.
La ladra gli strinse la mano fra le sue, e se la premette sul petto: “Ascolta il mio cuore, Aster. Lo senti?”
Lo sentiva. Batteva frenetico, come le ali di un uccellino intrappolato nella gabbia delle costole. La sua voce era morbida e gentile, così diversa dalla sua usuale freddezza. Senza bisogno di controllare, sapeva che le sue guance si erano tinte di rosso. Bastava che lui sfiorasse il suo corpo per farle quell’effetto?
Non aveva importanza.
Niente
aveva più importanza.
È tuo”, gli sussurrò, appoggiandosi contro di lui.
Lasciò che Aster la prendesse in braccio, e iniziasse a salire le rampe di scale. Quando però superarono il piano dove abitualmente dormivano, Dubhe tirò su la testa. “Dove stiamo andando?”

In soffitta”, sorrise lui.
L'assassina s'accigliò appena: “Non sapevo che la Rocca avesse una soffitta.”

È ovvio. Tutte le dimore cupe e tenebrose ne hanno una.”
Ehi, Aster… sono quattordici anni… quasi quindici… che ho imparato a camminare…”
Tranquilla, non è che pesi così tanto…”

Quando finalmente il mezzelfo la depositò al suolo, la ragazza si guardò intorno. Pavimento in legno, soffitto spiovente, travi a vista. Soffitta.
Va bene, avevi ragione.” Tamburellò con il piede sul pavimento: “Non è un po’ scomodo?”
Non così…” Aster allungò la mano e le slacciò il fermaglio che teneva legato il mantello, drappeggiandolo con cura per terra.
Dallo sguardo che hai… quant’è che volevi farmi una cosa del genere?”
Un lieve tintinnio, e il laccio di cuoio scivolò per terra. Un dito si insinuò nella treccia, separandole i capelli, lentamente, dolcemente, finche la morbida chioma castana non le ricadde sulle spalle, e da lì lungo la schiena. Un bacio la raggiunse dietro all’orecchio. “Mmmh… troppo per quantificarlo…”
Il mezzelfo si distese accanto a lei. La casacca da mago si abbassava in corrispondenza dell’occhio blu che vi era disegnato, e le braccia che emergevano dalle maniche erano forti, ma sottili e nervose. Al di sotto di quella veste, si indovinava il corpo magro e dinoccolato di Aster. Dubhe sorrise: quello era il ragazzo che amava.
La ragazza si tirò su, bilanciandosi sui talloni. Slegò i foderi delle spade e quello del pugnale, si tolse le cinture dei coltelli da lancio, depositò a terra la faretra e l’arco, mise da parte il sacchetto che conteneva la cerbottana e i dardi, poggiò a terra con cura la scatola piena di sonniferi e veleni mortali. Come al solito, l’ex Tiranno rimase stupefatto dall’arsenale che l’assassina si portava addosso. Lei raccolse tutti quegli oggetti per metterli da parte. Una mano guizzò per raccogliere un coltello che stava scivolando fuori dalla sua guaina e lo posò di nuovo in cima al mucchio. Dubhe si voltò per ringraziarlo, ma non vide nessuno. Appoggiò con cura le armi da un lato, e si guardò intorno. “Aster?”
Un bacio la raggiunse alla nuca, poi sull’orecchio. “Sei così bella…” La ladra si voltò, infilandogli le mani sotto alla casacca, sfilandogliela e rispondendo alle effusioni. Quelle del mezzelfo, invece, dopo averle accarezzato a lungo la schiena e le scapole, ben evidenti anche sotto gli strati di tessuto, stavano indugiando sui suoi fianchi da… qualche secondo.
Troppo, per gli standard di Dubhe.
Cercò di usare quella parte razionale della sua mente che ancora era in funzione per capirne il motivo, poi, quando ci arrivò, le venne da ridere per la sua semplicità.

Aster”, disse, staccandosi da lui. Il ragazzo la guardò: “Va tutto bene?”
”Sì. Aster, questo è l’altro corpetto. Per togliermelo, devi slacciare il legaccio più in basso, ricordi?”
Non l’avesse mai detto! La mano del mezzelfo, dal fianco, prese ad accarezzarle il fondo dei calzoni: “Non così in basso”, mugolò la ladra.
”A me va benissimo…”
La ragazza sorrise e si infilò un dito nella fibbia della cintura, slacciandola piano: “E così… non è meglio?”
In quel momento il legaccio venne nel modo giusto, e il corpetto venne liberto. L'ex Tiranno non si limitò ad aprirlo, e lasciare che le cadesse di dosso, ma accompagnò con una dolcezza che era solo sua l'abito giù dalle sue spalle esili e lungo i fianchi. Non c'era mai nulla di brusco nei suoi movimenti quando la toccava, anzi. Fu una delicatezza senza pari, quella che le piegò le braccia per sfilarle la casacca, che adagiò al suolo. Dubhe era lì, in ginocchio, gli occhi chiusi, come un gatto che fa le fusa, solo sentendo le dita sottili sfiorarle il corpo. Aster si chinò su di lei e le baciò l'ansa della gola, e scese lungo il suo collo, seguendo il sangue che scorreva appena sotto la sua pelle, e poi tornò su a ripetere il tragitto, quasi avesse scordato un bacio e non gli venisse in mente quale, mentre con le amni cercava il tepore del suo petto. Poi rimase un momento a contemplarla nella sottoveste trasparente di garza bianca. L’abito si gonfiava sotto le forme minute dei suoi seni, accentuati dallo spasmodico alzarsi e abbassarsi del suo petto, alla ricerca di un'aria che sembrava non bastarle mai, seguiva i contorni della gabbia toracica e poi si abbassava in corrispondenza del ventre snello, fino ad incontrare la sagoma del bacino, lasciando qualche centimetro di pelle scoperta fra l’orlo della sottoveste e i pantaloni di pelle che Dubhe indossava. Le clavicole e la base del collo erano rimasti improvvisamente esposti, ma non fecero a tempo a raffreddarsi che un bacio del ragazzo provvide a scaldarli. “Ma quanto, quanto carina sei, vestita così…”, le sussurrò, insinuante.

Svestita così, prego. Questi me li tengo?”, chiese Dubhe, tirandosi i guanti con i denti.
Se questo è il tuo desiderio…”
La ladra lo guardò e deglutì. Il mezzelfo era nudo, completamente. Il corpo magro e la carnagione diafana trasmetteva un’idea di estrema delicatezza. Allungò una mano e gli accarezzò la spalla, poi da lì percorse il torace nervoso e il ventre piatto. Lui la lasciava fare, con un sorriso sulle labbra. “Sei proprio carino anche tu”, gli sussurrò Dubhe, sentendo le parole che lottavano per farsi strada nel tumulto che la vista del corpo del ragazzo suscitava dentro di lei, e uscirle dalla bocca, arrossendo mentre glielo diceva. Gli si fece più vicina, sedendosi sulle sue gambe. Gli poggiò le mani dietro alle scapole, e gli baciò la pelle liscia e vellutata, prima sul petto, poi sotto la gola. In breve tempo i suoi gesti si fecero più sicuri e più vogliosi. Lo strinse a sé, schiacciandosi addosso a lui, così che il ragazzo potesse assaporare il suo corpo come lei si stava godendo il suo.
Cadde sulla schiena, tirandoselo dietro. Alzò lo sguardo e lo vide incombere sopra di lei, bello come nient'altro al mondo.

Ultimi desideri?”, ansimò Aster.
Dubhe se lo tirò addosso: “Cos'altro dovrei desiderare?”
Le mani del mezzelfo le accarezzarono le ossa sporgenti del bacino, ben evidenti anche sotto il vestito leggero che indossava, tracciando con le sue dita esili una serie di circoli senza né capo né fine sulla superficie morbida della sua pancia. Seguirono una serie di baci sul collo e, senza sapere come, la ragazza si ritrovò con il volto di Aster premuto contro il seno, mentre la mano di lei era affondata nei suoi soffici capelli di un blu profondo come la notte limpida che regnava fuori di lì. Poi il mezzelfo si spostò, immergendo il viso nel castano dei capelli della ladra. Ne prese una ciocca fra le labbra, inspirandone lentamente il profumo.
Le circondò la vita, poggiando una mano sulla schiena, l’altra sull’addome: “Dei…”, sussurrò. “Sei così sottile…”

Questo perché tu hai le mani sottili”, sbuffò lei, ma si vedeva che era notevolmente soddisfatta di piacergli.
No, perché questo corpo ti rappresenta benissimo per quella che sei… perché questa sei tu… la persona migliore... che io abbia mai conosciuto…”
“…Dubhe…” Suonava come una musica celeste, come un coro di angeli… quanto, quanto bello era il suo nome, pronunciato dalla persona che amava!
Sì, Aster?”
Un respiro lieve lieve nell’orecchio. La sua bocca le sfiorò il lobo, e le parole giunsero come carezze: “Sei perfetta… perfetta… perfetta… e io ti amo…”
Vorrei poter tornare vergine per perderla di nuovo con te.
Glielo disse e il mezzelfo si strinse a lei con un sorriso e le ripetè
sei perfetta, mentre i pantaloni le scivolavano lungo le gambe snelle.
Di colpo, senza alcun preavviso, Aster si scostò dal suo corpo e le prese con gentilezza la sinistra, stringendola nella sua mano e se la portò al volto, senza smettere di accarezzargliela. La giovane assassina chiuse gli occhi al sentire il suo fiato caldo inumidirle la cute, e le sue dite fresche che le sfioravano più e più volte la pelle della mano. Lui le carezzò il palmo con la bocca, le baciò le falangi una ad una, le passò la lingua sui solchi delle nocche e sfiorò la lieve peluria del dorso con le labbra. Le risalì piano il braccio, finchè non giunse all’incavo del gomito, dove le tracciò i contorni del sigillo, prima con l’indice, poi con la lingua.
Lei sobbalzò, e il mezzelfo si scostò leggermente: “Tutto a posto?”, le chiese. Era bellissima, con la pelle pallida in netto contrasto con il mantello scuro, il castano della chioma e quell’abito sottile, che bagnato di sudore le aderiva alle morbide curve del corpo. Dubhe scosse la testa, un gesto dolcissimo che la fece apparire per un attimo la bambina che era stata. I capelli le finirono sugli occhi, e lasciò che lui glieli scostasse con le dita. Sorrise, come un’adolescente qualsiasi alla prima notte. “Sì… è solo che è… - allungò la mano e sfiorò il simbolo sul braccio del mago - ...strano. Non ho detto spiacevole, soltanto… beh, strano.” Aster le sorrise di rimando: era una ragazza senza veli, diretta, e in fondo gli piaceva anche per quello. Le poggiò un bacio al centro del sigillo, poi tornò ad accarezzarle la mano. La ladra lo strinse a sé in un abbraccio, tremando appena, e le mani del ragazzo furono rapide a scivolare sotto quell’ultimo, sottile indumento che indossava, passando sopra alle costole sporgenti e stringendosi alla carne morbida.

Giaci con me, e lava mia la mia sofferenza. Prendimi, e fammi dimenticare ciò che sono stata. Diventa parte di me, e cancella tutti i miei ricordi, quei ricordi che possono portarci solo del male. Su, rimetti insieme il mio cuore disgregato dal fato, e poi poggia la tua testa sul mio corpo e tienimi stretta a te. È ciò che voglio, è tutto ciò di cui ho bisogno. Amami, Aster, amami e non lasciarmi mai andare, perché sei tutta la mia vita e altro io non possiedo.
Aster! Sei mio! Ti amo!

Se quelle frasi le avesse bisbigliate, pronunciate oppure urlate, o se magari, delineate nella sua mente, non avessero mai lasciato la sua bocca, non avrebbe saputo dirlo neanche lei.
Si strinse più forte al mezzelfo.
In fondo, faceva tanta differenza?

Quelle parole sussurrate che le dicevano ti amo. La dolcezza delle sue mani che le accarezzavano la schiena. Il calore della sua stretta e del suo respiro sul collo. La morbidezza delle sue labbra sulla pelle. Il sapore dei suoi baci nella bocca, e ovunque.
Due smeraldi riflessi negli occhi, un nome sulle labbra, il cuore in tumulto. Morire e rinascere, in un ciclo senza fine. Dubhe chiuse gli occhi e si abbandonò, l’inferno della sua mente dimenticato, e di nuovo in paradiso.

E ne volle ancora.
E ancora, e ancora, e ancora…

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*Non l'ho messa in lingua originale per favorire la comprensione. Basta che scriviate su youtube "vampire knight sigla iniziale"
** Percy Bisshe Shelley, Ozymandias (nell'originale è ovviamente My name is Ozymandias, king of kings: Look on my works, ye Mighty, and despair! Nothing beside remains
***
Per l'ennesima volta, ispirato a Il gioco di Ender di Orson Scott Card
**** Naturalmente Il piccolo principe

Giuro che i buoni propositi di non far combinare loro niente c'erano tutti. però erano lì che mi guardavano e ho pensato: "Massì, con la vita che hanno avuto, concediamogli un po' di svago..."
Così è nata la breve storia di come finiscono a letto Dubhe e Aster.
Per i prossimi capitoli, temo dovrete aspettare. li ho pronti tutti fino al 5, ma vorrei scrivere un po' e vedere come si evolve la situazione prima di postarli.
Saluti a tutti i lettori - anche da parte dei due di cui sopra ^ ^

   
 
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