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Autore: ermete    01/04/2012    5 recensioni
Al primo anniversario della morte di Sherlock, John si presentò davanti alla tomba del suo migliore amico: non andava spesso al cimitero, non occorreva andare lì per ricordarlo ed omaggiarlo, nè tantomeno serviva a lenire la sofferenza e la solitudine che provava. Tuttavia, una volta presentatosi davanti alla lapide nera, passarono pochi istanti prima che allungasse la mano destra sopra di essa: accarezzò la scritta dorata con la punta dell'indice in un gesto spontaneo più che simbolico e bisbigliò poche parole. "Torno in Afghanistan. Goodbye, Sherlock".
Genere: Azione, Guerra, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Mycroft Holmes , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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***Ciau! Ecco il secondo capitolo che era già pronto da 2 giorni, ma ho aspettato a pubblicarlo perchè ho avuto da fare eheh ^^ sto lavorando al terzo! Scusate se le idee pseudo militareggianti che ho tirato fuori non saranno proprio azzeccate o campate in aria, ma non ne so molto XD spero siano abbastanza realistiche! Baci a buona lettura ^^ ***

Un favore

"Come hai potuto lasciarlo partire?!" Mycroft venne sbattuto al muro da Sherlock che in quel momento era mosso da una moltitudine di sentimenti, per lo più riguardanti preoccupazione, apprensione, sconcerto, sconforto e probabilmente, anzi sicuramente, affetto. Ma Sherlock non era abituato a provare tutte quelle emozioni, non tutte assieme, e soprattutto non riusciva ad adattarsi all'idea di provare effettivamente quei sentimenti che aveva screditato e che detesta tuttora. I sentimenti non solo sono inutili, ma rendono deboli e vulnerabili. O quanto meno lui non era abituato a provare quei sentimenti che motivano, che spingono verso un fine più grande. La conferma che non sapeva riconoscerli era proprio sotto il suo naso: si era sacrificato per salvare John, Mrs Hudson e Lestrade, ma non la percepiva come un'azione mossa da affetto, bensì come la cosa più logica da fare in quel momento. Eppure, quando seppe la notizia che John era partito per l'Afghanistan, sentì una stretta attorno allo stomaco, una fitta incontrollabile e persistente: si sentì bruciare e mai come in quel momento ricordò le parole di Moriarty, capendone appieno il significato. Si sentì bruciare il cuore, e sembrava tutto meno che metaforico.
Mycroft dal canto suo, represse un rabbioso lamento che manifestò solamente inarcando entrambe le sopracciglia: prima John e ora Sherlock, entrambi a sfogare la frustrazione su di lui. Ma ancora non si ribellò alla stretta del fratello minore: il senso di colpa lo attanagliava. Era colpa sua se Sherlock era finito nelle mire di Moriarty, colpa sua se Sherlock aveva dovuto fingere la sua morte ed era conseguentemente a causa di quei fatti che John aveva deciso di tornare in guerra, scatenando così le preoccupazioni di suo fratello.
"Sherlock, l'unico modo per fermarlo sarebbe stato dirgli che tu sei vivo, ma non è ancora il momento di far sapere al mondo che lo sei." Mycroft si schiarì la voce, tossendo alla fine della frase: questo fece allentare la presa sul suo collo. Vide Sherlock abbassare un poco lo sguardo, lasciandolo vagare in un punto a caso del suo panciotto fino a che, lentamente, lo lasciò andare. Il maggiore degli Holmes ne approfittò per scostarsi dal muro e sistemarsi per l'ennesima volta la cravatta ancora inumidita dalla pioggia. 
Sherlock, in disparte, fece quel passo che lo divideva dal muro, vi appoggiò l'avambraccio sul quale posò poi la fronte: boccheggiò diverse volte, ma non uscì nessuna parole da quelle labbra che tremavano un poco.
Mycroft percorse il diametro della stanza fino a raggiungere un mobile bar, dal quale servì per sè e per suo fratello un bicchiere di scotch invecchiato: gli Holmes parlavano sempre tanto, troppo, ma in quella circorstanza era difficile trovare le parole adatte. Poi sentì la voce di Sherlock alle sue spalle.
"Raccontami tutto, dimmi cosa ti ha detto, come lo ha detto, come ti è sembrato... dimmi tutto."
Mycroft offrì uno dei due bicchieri a Sherlock, lo invitò a sedere sulla poltrona con un cenno della mano e iniziò a parlare.
Alla fine del racconto, Sherlock strinse il bicchiere così forte che le nocche gli diventarono, se possibile, ancor più bianche: poggiò poi quel che rimaneva dello scotch sul tavolino da salotto, a favore di un pacchetto di sigarette ed un accendino posati li vicino. Impossibile non concedersi il vizio del fumo in quel momento, pessimo per il suo respiro, ottimo per il suo cervello.(1) Dopo aver aspirato qualche tiro di sigaretta, iniziò a parlare a voce bassa, con una lentezza che era innaturale rispetto alle solite capacità retoriche di Sherlock.
"John non è un codardo. Non va in Afghanistan per cercare un pretesto per morire, John è migliore di così. Sta cercando un modo per tenersi impegnato, per non tornare nel circolo vizioso in cui era caduto dal ritorno dallo stramaledetto Afghanistan fino a quando non ci siamo incontrati. John è coraggioso ed il bello di lui, tra le altre cose, è che ama la vita, la propria e degli altri, altrimenti non avrebbe fatto il medico. Sarà anche diventato più freddo, sarà incazzato con me, con te, con Moriarty e con tutto il mondo, ma io so com'è fatto. E' partito per ritrovare uno scopo nella sua vita." Sherlock fece una pausa, poggiando il filtro della sigaretta sulle labbra, dalle quali inspirò un'ampia boccata di fumo: chiuse gli occhi, quindi continuò "Ma per quanto coraggioso e forte sia, è pur sempre molto rischioso. Sono pronto a scommettere che sceglierà le missioni più pericolose per evitarle a qualcun'altro, a dei ragazzi più giovani, magari padri di famiglia, perchè pensa di non avere nessuno da cui tornare a differenza loro. E poi, quella cosa che ti ha detto... che non vuole farsi rintracciare da te..." sospirò, mordendosi il labbro inferiore e scuotendo appena il capo.
"Sherlock, stai tranquillo, io ho dei potenti mezzi, io posso trovarlo, lo sai che posso." Mycroft cercò di rincuorarlo e credeva veramente in quelle parole, anzi, si era già mosso in quel senso, aveva già sguinzagliato i suoi uomini. Quello che non poteva sapere era che John era veramente determinato a non farsi più trovare da lui.
 
Non appena si seppe che John era tornato in Afghanistan, fu convocato dal Generale Lightman, l'ufficiale capo della divisione inglese stanziata in medioriente, lo stesso Generale che arruolò John anni prima e che lo rispedì a casa dopo il suo ferimento.
Non appena John ebbe il permesso di entrare nella stanza del Generale, si irrigidì fieramente nel saluto militare che fu ricambiato dall'alto ufficiale: dopo quella formalità puramente militaresca, Lightman sciolse la mimica facciale in un sorriso che venne presto ricambiato dal Capitano.
"Capitano John Hamish Watson." gli indicò la sedia posta al di là della scrivania, invitandolo ad accomodarsi: il tavolo era pieno di carte, mappe e fogli con liste e ordini da recapitare.
John ringraziò con un cenno del capo e si mise a sedere.
"Generale Lightman, sono felice di vederla sempre in forma." John osservò con occhio clinico l'uomo che aveva di fronte: non conosceva l'età precisa, quindi optò per i 55 anni, portati bene, forma fisica eccellente nonostante il suo posto in battaglia fosse ormai solo dietro una scrivania, come stratega.
"John, John, John." sorrise il Generale, prendendosi qualche istante per osservare il medico in viso "Speravo di averti fatto un favore rispedendoti nella nostra amata patria, ma se sei qui, con quello sguardo -sottolineò lanciandogli un'occhiata severa, seppur bonaria- mi viene da pensare che io fossi nel torto. D'altronde, quando uno nasce soldato, sta male lontano dal campo di battaglia." era evidente che l'Ufficiale pretendeva una spiegazione, mosso anche da una dose di affetto verso quel soldato che ricordava così affidabile ed efficente "Non che sia dispiaciuto di averti qui: oltre ad essere il miglior medico eri anche un ottimo soldato. Il tuo sguardo però, dice che c'è qualcosa di più, qualcosa di diverso rispetto a prima."
John sorrise, sostenendo lo sguardo del Generale senza perderlo di vista neanche un istante. "Generale. Se ha qualche minuto posso, anzi, vorrei spiegarle tutto. E se fosse possibile, vorrei anche chiederle un favore."
Il Generale fece solo un cenno, bastava quello per far capire a John che avrebbe potuto spiegarsi, che l'avrebbe ascoltato, che si fidava di quel soldato integerrimo che già servì con onore l'esercito di sua Maestà.
John raccontò di Sherlock Holmes, delle sue imprese, della sua intelligenza fuori dalla media, di come era morto ma soprattutto di come era vissuto(2). Raccontò di come l'aveva riportato alla vita dopo la sua depressione da stress post traumatico, del suo zoppicare psicosomatico guarito in poche ore dopo averlo conosciuto, parlò dei suoi esperimenti, dei suoi casi, e persino delle dita mozze trovate nel frigo. Il Generale annuiva di tanto in tanto, senza mai interrompere il racconto di John: accennava un sorriso talvolta, lasciando parlare il soldato, rendendosi conto, pur senza l'intelletto superiore del famigerato Sherlock Holmes, che era la prima volta che John parlava dell'amico, dopo la sua morte.
John, non sentendo alcuna obiezione, lasciò andare il flusso di ricordi che riguardava Sherlock, fermandosi dopo una buona mezzora, interrompendosi solo perchè gli si formò un groppo in gola: aveva parlato di lui a qualcuno dopo così tanto tempo, l'aveva ricordato a voce alta, l'aveva fatto con qualcuno di cui si fidava e che non conosceva nulla di Sherlock, qualcuno che non potesse essere prevenuto nè sul suo amico, nè sul loro rapporto.
Deglutì, quindi riprese a parlare, in procinto di concludere "Quindi ho deciso che sarei stato molto più utile qui, sono motivato, in forma fisica e con una grande... voglia di dare una mano dove ce n'è veramente bisogno."
Il Generale annuì, fissando John in quegli occhi chiari dal colore indefinibile "John. Grazie per essere stato sincero con me, anche se non avevo dubbi a riguardo. Ti reintegro con piacere, tra l'altro gli Ufficiali di grado superiore al tuo sono gli stessi, ti conoscono, ti lasceranno libero di scegliere quali missioni o quali squadre vorrai seguire." 
"Grazie, Generale." John sorrise e stava per riprendere a parlare quando fu interrotto da Lightman.
"Ah ma mi volevi chiedere un favore, se non sbaglio. Se è fattibile sarò felice di aiutarti." a quel punto Lightman si appoggiò sullo schienale, intrecciò tra loro le mani facendole poi tamburellare sul mento: quel gesto gli ricordò Sherlock, ovviamente, ma scacciò via il pensiero, dato l'enorme favore che stava per chiedere.
"Vorrei, se possibile, far perdere le mie tracce. Vorrei che non risultassi con il mio nome negli elenchi ufficiali, magari si potrebbe giustificare la cosa per privacy, sicurezza, missioni in incognito..." ipotizzò John, seppur non troppo sicuro che il Generale l'avrebbe assecondato.
"C'è qualcuno che ti dà la caccia?" rise Lightman, stupito dalla richiesta.
"Mycroft Holmes." annuì John.
Il Generale si bloccò di fronte a quel nome e John, per maggior trasparenza, spiegò il ruolo di Mycroft nella sua vita, e la sua capacità di reperire informazioni, nonchè i loro ultimi trascorsi.
"Capisco." annuì Lightman che a quel punto inarcò un sopracciglio e sbuffò un lungo sospiro "Beh, John, sicuramente sei una persona che sa volersi bene."
John non si aspettava quel commento, quindi dopo una leggera smorfia di stupore, fece spallucce "Allora, può aiutarmi Generale?"
Lightman annuì con un sorriso, quindi sciolse l'abbraccio delle mani e con la destra aprì un cassetto dal quale estrasse una cartellina che passò a John "Si tratta di un progetto recente: una piccola squadra i cui spostamenti a volte risultano segreti persino a me. Si occupa di individuare i gruppi più piccoli delle cellule terroristiche nei momenti in cui si separano per gli spostamenti da un nascondiglio all'altro, in modo da cercare di ottenere meno morti possibili da entrambe le parti. Non ti nascondo che è una squadra che rischia molto perchè per evitare di essere individuata viaggia con pochi membri, sta fuori per periodi molto lunghi, a piedi, e sta per la maggior parte del tempo in silenzio radio."
"Direi che è perfetto." annuì John, soddisfatto, osservando con curiosità i nomi delle squadre già esitenti "Eagles, Rhinos, Chameleons, Lions... nomi curiosi. Peccato che non ci siano i Cats, avremmo potuto fare un remake nei momenti di nostalgia." ironizzò John, carezzando poi con il dito la lista di nomi della quinta squadra a cui, guardacaso, mancava il medico.
"I nomi vengono scelti dai medici, perchè sta a loro prendersi cura degli altri, quindi chi sa meglio del dottore chi sono i suoi pazienti? Ormai è la tradizione." sorrise Lightman, sbirciando il foglio che John stava leggendo "E come avrai visto, alla quinta squadra manca proprio il medico, quindi, Capitano Watson, chi saranno i tuoi cuccioli?"
John chiuse gli occhi: gli bastò un secondo per pensare al nome. "Hounds, Mastini." riconsegnò la cartellina al Generale Lightman, leccandosi le labbra all'idea di vedere nuovamente il campo di battaglia. "Allora siamo d'accordo? Sull'anonimato intendo."
Lightman sorrise incuriosito nuovamente, questa volta dal nome scelto da John, quindi annuì "Puoi stare tranquillo, Mastino. Puoi partire anche subito, così potrai conoscere la tua squadra."
John scattò in piedi, battè i tacchi e alzò il braccio, esibendosi nuovamente nel saluto militare "La ringrazio, Generale. Di tutto."
Lightman si alzò, ricambiando il saluto "Buona fortuna, soldato. Puoi andare, ci penso io per i documenti."
John annuì, sorrise riconoscente e si voltò, uscendo dalla stanza pochi passi dopo.

___

(1) mi era piaciuto molto quello scambio di battute tra Sherlock e John nella 1x01, quindi l'ho usata seppur ribaltandola eheheh :)
(2) preso da "L'ultimo samurai", nelle battute finali della storia "Raccontatemi com'è morto" "Vi dirò com'è vissuto", mi è sempre piaciuta come citazione!
   
 
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