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Autore: HarleyQ_91    01/04/2012    1 recensioni
Vivien si avvicinò al dipinto e sollevò la candela per illuminarlo meglio.
Avevano tutti un’espressione così seria i conti Turner, persino la piccola Alyssa, che avrà avuto circa cinque anni, non sembrava godere di quella gioia e spensieratezza tipica della sua età.
E poi c’era lui, quel giovanotto che non era riuscita ad osservare bene qualche ora prima. Ora, col mozzicone di candela a qualche centimetro dalla tela, fece luce sul suo volto, illuminandone anche i più piccoli particolari.
Il conte Aaron Turner.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Eccomi di nuovo qui! Vi sono mancata, eh?
Perdonate l'attesa, ma, come ho già detto, ho dovuto riscrivere questo capitolo da capo
(e nel farlo ho modificato anche un po' quelli seguenti) perché la sua prima stesura proprio non mi piaceva!
Spero di non aver peggiorato le cose!xD
Buona Lettura!^^


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Capitolo 8
- La Congiura -

 
  Aaron si alzò dal letto quando le prime luci dell’alba cominciarono a filtrare dalla finestra della sua stanza. In verità non era riuscito a chiudere occhio da quando poche ore prima era rientrato a casa dopo aver svolto il suo compito.
  Perché di questo si trattava, quello era il suo compito, la sua missione, lui doveva farlo!
  Chi siete voi per giudicare chi deve vivere o morire, Dio?
  L’uomo si passò una mano tra i capelli e con l’altra versò l’acqua fredda nel bacile per lavarsi. Quella voce aveva cominciato a rimbombargli in testa da quando si era steso sul letto e non l’aveva più lasciato.
  Quella stupida serva!
  Si sciacquò il viso un paio di volte, lasciando che il freddo lo facesse calmare. Aveva avuto lei in testa per tutta la notte, lei e le sue parole velenose, lei e quel suo atteggiamento di superiorità che lo facevano ardere di rabbia.
  E di desiderio.
  Aaron sbatté un pugno sulla bacinella d’acqua, facendola cadere a terra e bagnando il pavimento, mentre dalla bocca gli uscì un grugnito strozzato.
  Era arrabbiato, instabile, confuso, e tutto per colpa di quella donna.
  Quella stessa donna che lo aveva aggredito, lasciandogli una cicatrice sul sopracciglio, che l’aveva sfidato, insultato e infine gli aveva salvato la vita.
  Quella stessa donna che lo aveva visto mentre uccideva un uomo.
  E che mi odia!
  Il conte prese un bel respiro e sembrò calmarsi. Non era mai stato succube di una donna, non vedeva per quale motivo doveva cominciare ad esserlo ora. Era certo che, se fosse riuscito a possederla, a farla gemere nel suo letto, tutta quella ossessione per la serva sarebbe finita.
  Come aveva programmato in precedenza, Vivien sarebbe stata sua.
  Allora, forse, il suo tormento avrebbe trovato pace.
  Il sole cominciò a scorgersi all’orizzonte e la luce nella camera si fece più intensa, illuminando il legno del letto a baldacchino e la seta delle lenzuola. Aaron prese allora i suoi vestiti e li indossò in fretta.
  Non aveva molto tempo, doveva rilegare i pensieri per Vivien in un angolo della sua mente – almeno per quanto gli risultava possibile – e pensare a cose più importanti.
  Uscito dalla sua stanza vide già qualche membro della servitù in piedi, tra cui Hans, che lo salutò con un inchino.
  Aaron prese poi il suo soprabito nero e si diresse verso la stalla. Nel giardino erano già stati preparati dei tavoli addobbati a festa, con al centro di ognuno una piccola candela e un mazzo di rose bianche.
  Il fiore preferito di Alyssa.
  Quella era una festa a cui mai sarebbe voluto mancare.
  Per questo doveva sbrigarsi.
  Salì sul suo cavallo e si infilò in testa il cappello nero, stava per uscire dalla stalla, quando dal cancello principale vide entrare qualcuno e si bloccò.
  Lei!
  Aveva i capelli scompigliati, sciolti lungo le spalle, un’aria selvaggia che non passò affatto inosservata agli occhi del conte. Gli stivali che indossava erano sporchi di terra e, dall’espressione abbattuta del viso, doveva essere davvero molto stanca.
  Aaron provò una strana sensazione nel vederla così.
  Indifesa.
  Proprio così. L’indomabile Vivien Foster sembrava aver abbassato la guardia e lasciato spazio alla sua figura fragile di donna. E lui ne era la causa.
  “Tutto a posto, signore?” Chise il fidato stalliere James nel vedere il suo padrone così titubante a muoversi.
  Aaron allora tornò in sé ed annuì. “Se mia sorella mi cerca, dille che sarò di ritorno tra un'ora al massimo”.
  Poi partì al trotto sul viale laterale del giardino. Passò a qualche metro da Vivien e la osservò di fuggita. Il loro scambio di sguardi durò meno di un secondo, ma il conte poteva giurare di aver visto le fiamme nei suoi occhi.
  Era arrabbiata, anzi peggio, infuriata con lui.
  Senza accorgersene diede un colpo di redini al cavallo, facendolo correre più veloce, come se volesse allontanarsi al più presto dalla villa, da quello sguardo.
  Come se volesse scappare.
  Devo essere pazzo! Si ripeté finché non giunse in paese. Farsi tanti scrupoli per una donna, è assurdo.
  Scese da cavallo e legò l'animale alla staccionata di fronte il Red Lion – ormai quella locanda era diventata posto abituale per gli incontri importanti – poi andò a sedersi al suo solito tavolo, ordinando il solito brandy.
  “Lo sai che fa male bere di prima mattina?”
  Sam gli si presentò davanti dopo appena cinque minuti e gli schiaffò una mano sulla spalla, sorridendogli.
  Aaron ricambiò il sorriso, con meno convinzione però. Sapeva perché il marchese era allegro, la missione era andata bene, tutto come previsto, e bisognava festeggiare.
  Eppure il conte non era in vena.
  “Sono fiero di te!” Continuò Ronchester. “Hai fatto un lavoro perfetto, quel bastardo meritava proprio di morire”.
  Aaron abbassò lo sguardo sul bicchiere di brandy che girava e rigirava tra le mani e sospirò.
  Chi siete voi per giudicare chi deve vivere o morire, Dio?
  “Ehi, ragazzo, ti senti bene?”
  Il conte alzò la testa, ancora un po' smarrito nei suoi pensieri. Doveva essere contento di ciò che aveva fatto – così come lo era stato tutte le volte precedenti – altrimenti Sam avrebbe intuito che c'era qualcosa che lo turbava.
  “Sono solo dispiaciuto per Tidus”. Disse.
  Da una parte era vero, ma dall'altra sapeva bene che il motivo di tanta distrazione era un altro.
  “Aaron, Tidus ha voluto cimentarsi in faccende più grandi di lui”. Gli parlò Sam con quelle che sarebbero dovute essere parole di consolazione. “Hummer sarà pure stato un corrotto, ma non era stupido. Tidus era visibilmente troppo inesperto”.
  Già, e Sam, pur sapendolo, non aveva fatto nulla per fermarlo.
  Erano tre mesi che il conte faceva ormai parte dei Mercenari, eppure stava cominciando a vederci qualcosa di sbagliato. Non nell'ideale che perseguivano – quello di sconfiggere una monarchia corrotta era un proposito più che nobile – ma nel loro modus operandi.
  Davvero l'unico modo per risolvere le cose era uccidere?
  Aaron bevve il suo brandy e lasciò degli spicci sul tavolo, dopodiché si aggiustò il cappello in testa e si alzò.
  “Già te ne vai? Speravo potessimo brindare”.
  “Non ho tempo, oggi è il compleanno di mia sorella”. Rispose il conte. Poi porse la mano verso l'altro uomo, attendendo qualcosa che il marchese sapeva bene quanto gli spettasse.
  Sam infatti tirò fuori un sacchetto dal taschino del soprabito e glielo diede, prima di lasciarlo però rivolse al conte uno sguardo serio, diverso da quello tenuto finora.
  “Ti dico un'ultima cosa, Aaron”. Disse con tono autorevole e alzandosi anche lui. Il Sam schivo e diffidente era tornato. “Evita di fare sciocchezze”.
  Il conte aggrottò le sopracciglia. “Ma che stai...”
  “Falco dice di aver visto qualcuno seguirti ieri notte. E' stato solo per pochi secondi ed era buio, ma ti pregherei di stare attento e, soprattutto, di eliminare ogni possibile testimone”.
  Aaron si irrigidì, cercando di rimanere con un'espressione composta e indifferente alle parole del marchese.
  Non era successo niente, Falco non l'aveva vista bene, perciò poteva stare tranquillo. Lei non sarebbe stata coinvolta.
  “Mi sembra di aver sempre fatto lavori impeccabili”. Lo attaccò il conte, volendo far apparire quella raccomandazione senza alcun fondamento.
  “Sì, ma sei giovane e può capitare anche a te di sbagliare”.
  Ad Aaron venne da sorridere. Di nuovo Sam non si fidava di lui, era il miglior Mercenario che avesse mai avuto, eppure lo trattava come un novellino, come un dilettante.
  “Se mi ha visto qualcuno rimedierò, non temere”. Disse poi, mentre uscivano dalla locanda, il marchese prese la strada opposta alla sua, ma prima di congedarsi gli diede un'ultima pacca sulla spalla.
  “Bene, mi farò vivo appena avrò delle novità”.
  Il conte salì sul suo cavallo e, senza salutare ulteriormente Sam, riprese la strada verso Villa Turner.
  Aveva fatto in fretta e non c'erano stati intoppi, Alyssa di sicuro non aveva nemmeno notato la sua assenza.
  L'ultima cosa che doveva fare adesso – e che forse trovava addirittura più difficile di uccidere un uomo a sangue freddo – era andare da lei e metterla a tacere.
 
  Vivien aveva bevuto due tè e un caffè da quando era tornata a Villa Turner, ma faceva ancora fatica a stare in piedi.
  Era stanca, spossata, arrabbiata e tutto questo per colpa di una sola persona.
  Appena arrivata si era fatta un bagno, ma nemmeno quello l'aveva rilassata, sentiva il bisogno di urlare, di spaccare qualcosa – di picchiare qualcuno – eppure doveva imporsi la calma e la compostezza di una dama di compagnia che, per una giornata così importante per la contessina, non poteva permettersi errori.
  Vedere Alyssa felice e spensierata era l'unica cosa che la facesse un po' gioire. Indossava un vestito azzurro con i bordi del bustino blu e un fiocchetto di seta al centro del petto.
  Sembrava una principessa.
  “Ecco la mia principessa!”
  La voce che risuonò dal corridoio fece irrigidire Vivien di colpo e, quando il conte entrò nella biblioteca dove si trovavano lei e la contessina, si voltò di spalle, facendo finta di leggere un libro.
  Non aveva intenzione di guardarlo, né tanto meno di scambiarci qualche parola. Come serva avrebbe dovuto inchinarsi per salutarlo, ma il suo corpo e la sua mente non volevano saperne.
  Doveva fare come se lui non esistesse.
  E poi, finita la festa di Alyssa, se ne sarebbe andata.
  “Oh Aaron, è stupenda!” Sentì esclamare la contessina. “Vivien, guarda!”
  La ragazza alzò gli occhi dal libro che non stava leggendo e prese un bel respiro. D'accordo lui, ma non poteva mancare di rispetto la contessina.
  Si voltò, sfoggiando un sorriso che in quel momento non le apparteneva, e si alzò dalla sedia.
  La contessina le andò incontro, alzando il mento e lasciando in bella vista una catenina doro con appeso un ciondolo a forma di rosa bianca.
  “E' molto bello”. Esclamò Vivien.
  Era assurdo pensare come un assassino avesse un gusto così raffinato. Alzò istintivamente lo sguardo su di lui e lo ritrovò a fissarla.
  Chissà se poteva percepire tutto il disprezzo e l'ira che gli stava lanciando? Vivien era certa di sì.
  “Sorella”. Disse poi lui, inginocchiandosi accanto ad Alyssa.
  Si era fatto troppo vicino, Vivien dovette indietreggiare di un passo.
  Al conte non sfuggì quel gesto, la ragazza lo capì da come contrasse la mascella e strinse le mani attorno alle spalle della contessina, ma sembrò comunque non scomporsi.
  “Gli invitati stanno per arrivare”. Disse lui. “Va' da nostra madre in giardino ad accoglierli”.
  Voglio restare da solo con Vivien.
  Questo era quello che significavano realmente le sue parole e la contessina sembrava aver capito, perché prima di andarsene rivolse un ultimo sguardo alla sua dama di compagnia che, tuttavia, era troppo presa da ciò che stava succedendo per accorgersene.
  Vivien stava sulla difensiva, non sapendo esattamente cosa aspettarsi dall'uomo che le stava di fronte. Le pareti della biblioteca sembravano stringersi attorno a lei, mentre il conte si alzava e le rivolgeva uno sguardo serio, indecifrabile, glaciale.
  La ragazza provò un brivido lungo la schiena e indietreggiò ancora, fino a raggiungere uno scaffale pieno di libri. Ora non aveva più via di scampo.
  È venuto qui per uccidermi!
  Urlò nella sua testa. E questa consapevolezza le bloccò il respiro. Il conte voleva far fuori l'unico testimone del suo assassinio, e voleva farlo lì, in casa sua, il giorno del compleanno della sorella.
  Aaron continuò a fissarla senza muoversi per un'altra manciata di secondi, quando poi sospirò e si passò una mano tra i capelli.
  “Sei una grande seccatura, lo sai?” Esclamò, voltandole le spalle. Vivien tuttavia ancora non se la sentiva di rilassarsi. Aveva sperimentato sulla sua pelle quanto potesse essere strano e imprevedibile il conte e questa volta – visto che c'era in gioco la sua vita – non si sarebbe fatta trovare impreparata.
  “Devo sapere se hai detto a qualcuno di quello che hai visto e sentito ieri notte. È molto importante, Vivien”.
  La ragazza aggrottò le sopracciglia. Era strano che il conte le si rivolgesse in quel modo, il suo era sempre un ordine, ma stranamente lo stava esprimendo con un tono meno autoritario, quasi supplichevole.
  “E se non volessi dirvelo? Se mi fossi già confidata con qualcuno? Che cosa fareste, mi uccidereste?”
  Il conte si voltò di nuovo verso di lei con sguardo torvo. “Mio Dio, no!”
  Vivien non si aspettava una negazione così decisa. Era come se a lui non fosse mai passato minimamente per la testa l'idea di farla fuori, come se lei avesse appena pronunciato la peggiore delle bestemmie.
  “E allora che intenzioni avete?” Continuò lei, decisa comunque a non abbassare la guardia.
  “Voglio solo che tu non faccia sciocchezze che possano costarti la vita”. Il tono del conte era forzato, strozzato – evidentemente non aveva mai affrontato discorsi del genere – e anche Vivien trovava strano la sua preoccupazione per lei.
  “Ciò che è successo ieri notte non devi dirlo a nessuno, non immagini nemmeno in cosa sei andata ad immischiarti”.
  “Spiegatemelo, allora”. Lo incalzò lei, incrociano le braccia.
  Se davvero il conte non era lì per ucciderla, se era davvero preoccupato per lei, allora non le avrebbe negato dei chiarimenti.
  “Sai già troppo, mi pare”. Rispose lui.
  “Se non me lo dite, andrò a denunciarvi”.
  Il conte la incenerì con lo sguardo. “Questo è un ricatto”.
  Lei alzò un sopracciglio. “Uso solo i vostri stessi metodi”.
  L'uomo contrasse la mascella ed abbassò lo sguardo. A quanto pareva, per la prima volta da quando lo conosceva, Aaron sembrava con le spalle al muro.
  Deve essere frustrante non avere il controllo della situazione, eh conte?
  Vivien lo vide cominciare a passeggiare per la stanza, con evidente disagio. Stava soppesando l'idea di raccontarle tutto e lo stava facendo non incrociando mai il suo sguardo.
  “D'accordo”. Disse poi, fermandosi di scatto. “Ma tutto ciò che dirò non dovrà uscire da questa stanza, sia chiaro”.
  La ragazza annuì e si sedette su una sedia pronta per ascoltare.
  La paura se ne era stranamente andata via e ora aveva cominciato a pervaderla un senso di eccitazione.
  Sebbene provasse rabbia verso il conte e non volesse più vederlo in vita sua, la curiosità di scoprire il suo segreto era troppo grande, abbastanza anche da farle dimenticare come avesse ucciso un uomo la notte scorsa.
  “E' in atto una guerra, Vivien, silenziosa e spietata, ed è contro il re”. Cominciò cauto Aaron. “Egli vuole impossessarsi del potere assoluto, schiacciare il Parlamento e imporre una dittatura militare, comandata dalle guardie reali e sotto il suo controllo”.
  “E voi tutto questo come lo sapete?” Chiese lei, un po' scettica.
  Il conte sospirò. “Il marchese Sam Ronchester ne ha le prove”.
  “Ronchester? Ma... ma i marchesi sono una famiglia molto vicina al re”.
  “Appunto per questo Sam è venuto a sapere che il re aveva intenzione di sabotare il Parlamento”.
  “Cosa?” Vivien si portò una mano davanti la bocca e sgranò gli occhi.
  D'accordo, il re aveva alzato le tasse e emanato qualche decreto che limitava in parte la libertà del popolo, ma Vivien non poteva credere che avesse addirittura intenzione di eliminare il Parlamento.
  Era la conquista più importante che avesse mai fatto un popolo per limitare il potere della monarchia.
  “Ad Hummer era stato dato il compito di uccidere due membri del Parlamento, uno della Camera dei Lords e l'altro dei Comuni, capisci ora perché andava fermato?”
  Vivien non riusciva a spiccicare una parola, aveva lo sguardo fisso sull'uomo di fronte a lei e le sembrò di guardare uno sconosciuto.
  Tutto ciò che aveva imparato sul conte fino ad allora, quanto fosse superbo e fiero del suo titolo, quanto considerasse la sua nobiltà al di sopra di tutto il resto, adesso non sembrava più appartenergli.
  “Voi... voi siete un nobile, perché andate contro la Corona?” Chiese un po' confusa.
  “Già, sono un nobile”. Ripeté il conte. “Ma, pur avendo questo titolo, so qual è il mio limite. So cosa posso comandare e cosa no”.
  Vivien incrociò le braccia al petto. Eccolo, il conte autoritario che per un attimo aveva perso di vista era tornato.
  “E immagino che i servi siano tra le cose che potete comandare”.
  “Quello che voglio dire”. Eluse la provocazione il conte. “È che non mi sognerei mai di andare da Sam e privarlo del suo titolo, facendolo diventare mio. Il re invece vuole a tutti i costi il potere del Parlamento, anche se non gli appartiene di diritto”.
  Vivien distolse lo sguardo da lui, ancora restia a credergli.
  “E i Mercenari? Chi sono?”
  Aaron sospirò ancora. “Sam fondò l'organizzazione circa tre mesi fa, con due suoi fidati amici. Inizialmente i membri si contavano sulle dita di una mano, ma poi si cominciarono a reclutare anche persone comuni e diventammo numerosi”.
  “Volete farmi credere che ci sono anche dei Mercenari contadini o artigiani?”
  Aaron annuì e si strinse nelle spalle. “Personalmente non li ho mai visti. A dire il vero Sam non vuole che i membri si conoscano tra loro – tranne quelli che lavorano insieme, ovviamente – sai, per salvaguardare meglio l'integrità dell'organizzazione”.
  “Mi sembra tutto così assurdo”. Esclamò Vivien portandosi una mano alla fronte.
  Aaron allora le si inginocchiò di fronte e la obbligò a guardarlo spostandole il mento con la mano. In quel momento non aveva la forza per opporsi al suo tocco.
  “È tutto vero, invece. E non dovrai farne parola con nessuno”. Si raccomandò di nuovo il conte. “Se l'organizzazione venisse a sapere che qualcuno ha scoperto che sono un Mercenario e non l'ho eliminato, manderà di sicuro qualcun altro a fare il lavoro al posto mio”.
  “Voi...” Vivien quasi non riusciva a credere a ciò che stava per dire. “Voi state cercando di proteggermi”. 
  Al conte venne da ridere. “Sei così sorpresa? Sono troppo attratto da te per lasciarti morire”.
  La ragazza a qual punto scacciò la mano dell'uomo dal suo volto e si alzò dalla sedia. “Scusatemi, signore”. Disse a denti stretti. “Ma credo che ci siamo assentati troppo a lungo dalla festa della contessina”.
  Avrebbe voluto dire tante altre cose – insulti più che altro – sia verso il conte che verso se stessa.
  Verso il conte perché l'aveva messa al corrente di segreti inviolabili, facendola sentire in qualche modo importante, e poi invece aveva ripreso a giudicarla solo come un oggetto da conquistare.
  Verso se stessa perché, nonostante lo detestasse con tutte le sue forze, aveva cominciato a trovare il conte tremendamente e pericolosamente interessante.
  E non doveva succedere!
  “Io ho intenzione di lasciare Villa Turner”. Disse poi, mentre girava la maniglia della porta per uscire dalla biblioteca.
  Non sapeva perché glielo stesse dicendo, forse perché – avendole prima confessato di volerla proteggere – sperava così di recargli un po' di dolore, ma probabilmente era solo un'illusa.
  Il conte non disse nulla, rimase immobile dietro di lei. D'altronde non poteva di certo aspettarsi che la implorasse di restare.
  Vivien uscì dalla biblioteca senza più voltarsi, maledicendo se stessa per quelle aspettative che mai avrebbe dovuto avere.
  Doveva andarsene da quella villa prima che il suo cuore e la sua mente impazzissero del tutto e la portassero nella via di non ritorno.

 

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Mmh... sembra che la corazza di Vivien si stia un po' smussando!^^
Beh, aspetto le vostre opinioni con ansia!
P.S. Per quanto riguarda il prossimo capitolo, spero vivamente di postarlo prima di Pasqua,
ma non prometto niente (ultimamente la connessione fa un po' i capricci).
Vedrò che posso fare!^^'
A presto!

*HarleyQ_91*

 
 
 
 
 
 
 
  
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