The
Higgins
A nord di Birmingham, nei pressi di Manchester, era, ed è
ancora situata la città industriale di Milton. Le sue strade, sporche e
squallide, erano dominate dalle ombre imponenti delle fabbriche, le quali
espellevano ogni giorno il fumo che intossicava l’aria e i cuori della città.
Quel giorno innevato del dicembre della metà ‘800, le strade
imbiancate erano deserte: tutti i ricchi di Milton erano seduti attorno ad un
bel fuoco nelle loro grandi case confortevoli, mentre tutti i poveri erano
racchiusi dentro le fabbriche inquinanti a lavorare fino al suono della campana
che li avrebbe liberati. Per tutti i poveri, quello delle fabbriche era l’unico
lavoro. Tra le persone disoccupate, la fabbrica era un paradiso, una formula
magica che li avrebbe portati fuori dalla miseria e dalla povertà. Dal momento
che mettevano piede nell’edificio, però, l’illusione svaniva: esistevano solo i
soldi, la fame, la malattia, la povertà. In alcuni rimaneva la speranza e in
tanti anche l’orgoglio; “Sono duri quelli del nord” dicevano i Londinesi, e
avevano ragione. Nessun operaio di Milton con un minimo di autostima avrebbe
mai accettato dei soldi senza prima aver fatto un’onesta giornata di lavoro,
per questo alcuni li chiamavano stupidi, ma per questo erano rispettati dalla metà
di Milton.
Finalmente il suono della campana! Gli operai uscivano dalla
fabbrica coma un branco di animali, almeno così li vedevano i padroni, che
osservavano la scena impassibili dalla loro finestra. Non avrebbero potuto mai
immaginare che tra tutti quegli animali si potesse nascondere un cervello che
anche loro avrebbero dovuto considerare “umano”, intelligente.
Il cervello in questione apparteneva a John Higgins, un
semplice operaio che ritornava a casa sua, il numero 15 Maiden Street.
John Higgins fece il suo solito cammino lungo le strade,
popolate da poveracci che chiedevano la carità e dai loro figli che piangevano
senza neanche sprecare una lacrima. Finalmente la porta del numero 15 era in
vista. Era riconoscibile ormai solo per il suo colore verdastro, poiché il
numero 15 era scomparso con la pioggia.
“Come sta vostra madre?” chiese John ai suoi figli, appena
entrato in casa. “Molto peggio, padre” rispose sua figlia Bessie, che,
nonostante avesse già abbastanza anni da poter lavorare, da quando sua madre
aveva preso una malattia ai polmoni a causa del fumo della fabbrica, aveva
deciso di stare in casa a curarla. Mary Higgins era pallida come un fantasma,
aveva a malapena la forza di aprire gli occhi. Suo marito la fissava
preoccupato. Non sapeva quanto tempo ancora le rimanesse, forse un giorno,
forse un mese, nessuno lo poteva prevedere, l’unica certezza era che un giorno
o l’altro doveva andarsene da questo mondo, lo sapevano tutti, ma nessuno osava
dirlo. Nicholas, il figlio più giovane sussurrò nell’orecchio del padre “La
mamma... morirà?” “...” John non aveva la forza di rispondergli, ma il suo
silenzio bastò. Quella notte da Maiden Street si sentivano le lacrime che
venivano dal numero 15.
La mattina seguente la neve aveva quasi raggiunto le finestre
del numero 15 e il freddo era tagliente. Quando John uscì di casa, aveva smesso
di nevicare, ma il vento era più forte che mai. Nelle fabbriche l’aria non era
meno fredda, ma almeno vi era un certo riparo dalla corrente gelata. Al suono
della campana, il lavoro non era stato completato, John Higgins rimase solo a
finirlo: i padroni non potevano pagarlo per il tempo in più che aveva
impiegato, ma lui sapeva che un lavoro fatto a metà era come un lavoro non
fatto.
Mentre tornava a casa, la neve aveva ripreso a cadere fitta
e la nebbia ostruiva la vista del signor Higgins. Finalmente trovò la porta
verdastra e la spinse per aprirla. Bessie era seduta vicino al letto di Mary
Higgins, la sua faccia era più bianca del cadavere che sorvegliava. Nicholas era
sdraiato ai piedi della madre, copriva la sua faccia con le mani ma si
sentivano le sue lacrime che rimbombavano nella testa di John più forte di
quanto avrebbe fatto un urlo.
Per il resto della settimana, i vicini degli Higgins
offrirono le loro condoglianze, era un’esperienza che avevano già conosciuto
tutti, l’unica cosa che si poteva fare era andare avanti, continuare come
sempre, come se niente fosse mai accaduto. Era la fabbrica che aveva portato
via la vita a Mary Higgins, ma nessuno ci poteva fare niente.
La mattina del 10 dicembre, Elizabeth Higgins si svegliò più
presto del solito: era il giorno del mercato e di abitudine Bessie arrivava
sempre con almeno un’ora di anticipo, per di più, oggi le serviva un po’ di
tempo da sola, con il suo libro e i suoi pensieri. Si affrettò ad infilarsi in
un vestito scelto a caso tra i due che possedeva e scrutò la stanza in cerca del suo libro. Era
l’unico che possedeva e Bessie lo adorava: aveva imparato a leggere a tutti i
costi per quel libro, era l’unica cosa veramente sua, personale, che non doveva
condividere con nessun altro, anche perché nessuna persona che conosceva sapeva
leggere. Lo vide sulla sedia posta vicino al cadavere di sua madre, il quale
non era ancora stato spostato e corse ad afferrarlo. Dopo uno sguardo a sua
madre, la diciannovenne corse fuori dalla porta. Arrivata alla strada lungo la quale di solito
si stanziavano i piccoli mercanti, si sedette sul marciapiede. Non c’era ancora
nessuno. Bessie fece un lungo sospiro: era libera dalla madre morta, dal padre
angosciato, e dal fratello piangente. Era libera dalla realtà, era scappata
nelle pagine del suo libro e i suoi occhi marroni cominciarono a brillare. E
nella sua fuga non si accorse che invece in quella strada qualcuno c’era, e la
stava guardando. William Bell, il giovane figlio del padrone di una fabbrica,
stava osservando attentamente la figlia dell’operaio. L’aveva vista più volte,
proprio in quel punto, con il suo libro, e l’aveva incuriosito. Come faceva la
figlia di un operaio a leggere? Come facevano i suoi occhi a luccicare così? .
Ad un tratto la sua curiosità si fece più forte di lui, attraversò la strada,
diretto verso Bessie. “Cosa stai leggendo?” Che domanda idiota! Non l’ho
neanche salutata! Che stupido! Bessie lo guardò con aria perplessa ma quello è
il figlio del signor Bell! Cosa ci fa qui?
“E ‘Tempi Difficili’ di Charles Dickens” rispose, con un sorriso. Come
può lei sorridere al figlio del padrone la cui fabbrica ha ucciso sua madre? E’
forse un angelo? “Ehm… bello” come mai non riesco a dire niente?? fece una
risatina timida. E Bessie rise. E risero insieme.
La settimana dopo, John decise. Non si poteva ritornare così
al lavoro quando era stata la fabbrica stessa ad uccidere sua moglie: qualcosa
doveva essere fatto.
Il 16 dicembre, John Higgins radunò tutti gli operai di
Milton nel municipio. Gli operai arrivavano senza poter immaginare lo scopo
della riunione, la parola che girava era che John Higgins di Maiden Street
doveva fare un discorso. Su che cosa? Non si sa. La sala della riunione era
piena di persone che si guardavano in giro, incuriosite e che si facevano
un’infinità di domande senza risposta, creando un rumore assordante che
rimbombava nella sala. C’erano tutti gli operai delle fabbriche di Longhurst e di
Bell e quasi tutti della fabbrica di Thornton.
“Miei amici, colleghi e vicini” iniziò John. La stanza si
zittì. “Come sapete, settimana scorsa, mia moglie è morta. Chi l’ha uccisa lo
sappiamo tutti, anche se non possiamo dirlo”. Gli operai ricominciarono a
mormorare tra di loro. “E’ stata la fabbrica.” Ritornò il silenzio. “Quanti di
voi avete parenti o amici che sono state vittime delle orrende condizioni di
lavoro, della fame e della povertà, tutte imposte dalla fabbrica?”. Il mormorio
ricomparse ancora più grande. “E’ chiaro che qualcosa si deve fare e se i
padroni non vogliono cambiare la situazione, gliela faremo cambiare noi!”.
Questa volta tra la folla ci furono delle urla. “Sì! Gliela faremo pagare!”
“Distruggeremo le macchine della morte!”. “NO!” John gridò. “Dobbiamo vincere
usando il nostro cervello, ragionando! Non ci possiamo permettere di agire come
gli animali che i padroni ci credono!”. Perplessità si diffuse nella
stanza.“Allora come faremo?” chiesero gli operai. “Faremo sciopero. I padroni
non possono guadagnare se non c’è nessuno che fa andare le macchine”. Ancora
una volta ci fu un mormorio, generalmente in assenso. C’erano dei dubbiosi, per
la maggior parte anziani, ma nessuno diede loro ascolto, tra l’altro John
Higgins era un tipo di cui ci si poteva fidare, un tipo solido, resistente, ma
che non aveva paura del cambiamento.
Era deciso, quindi, che lunedì 17 dicembre tutti gli operai
avrebbero fermato le macchine dieci minuti prima della campana, e che non
sarebbero ritornati a lavorare fino a quando i padroni non avessero migliorato
le condizioni di lavoro.
Per una settimana, operai e padroni aspettarono il momento
in cui l’altra classe sociale si sarebbe arresa; alcuni operai diventavano
sempre più impazienti, ma non John Higgins: lui teneva duro. Passava le sue
giornate in casa ad ascoltare Bessie che leggeva a voce alta per lui e per il
piccolo Nicholas.
Alla seconda settimana, i padroni ebbero una riunione in
casa del signor Longhurst, uno dei padroni più giovani e dinamici di Milton,
che con i soldi da poco guadagnati aveva potuto comprarsi una nuova casa e una
moglie ricca. Così nel salotto più grande di questa casa sedevano i padroni
Thornton, Bell e Longhurst, i tre imprenditori più potenti di Milton.
“Questo sciopero è continuato già abbastanza!” iniziò il
signor Thornton, un vecchio padrone dai capelli lunghi e grigi. “Ha ragione,
Thornton! Dobbiamo fare qualcosa velocemente!” rispose il signor Longhurst.
“Non possiamo in far arrivare operai dall’Irlanda?” chiese il signor Bell, il
quale era stato un padrone a Milton per tanti anni e sapeva che gli irlandesi
erano sempre stati buoni lavoratori e che serviva solo un prete cattolico per
farli stare buoni. “Non ci sono più lavoratori che sono preparati a lasciare la
loro casa” rispose Thornton. “In Irlanda si sta bene adesso, l’economia
prospera”. “Sarà pur vero, ma questo i lavoratori non lo devono sapere” disse
Longhurst, con un sorriso. “E’ vero,” disse Thornton “potremmo far scegliere
agli operai di ritornare a lavorare per noi oppure di perdere il loro lavoro,
ma ho sentito parlare i lavoratori di una certa fabbrica di cioccolato che si è
appena aperta a Birmingham. Sembra che lì i padroni offrano migliori condizioni
di lavoro, un salario più alto e hanno perfino costruito una scuola per i
bambini dei lavoratori! Se diamo la scelta tra continuare a lavorare qui e
lasciare le nostre fabbriche, c’è un rischio che sceglieranno di andare a
lavorare in questa nuova “fabbrica di cioccolato”, Birmingham non è poi così
tanto lontano”. A questa affermazione in tutto il salotto ci fu silenzio. C’era
solo un’opzione rimasta, ma era così improponibile, impensabile, che i padroni
non osavano neanche dirla a voce alta. “E’ inutile continuare a far finta di
niente” disse impaziente Bell “C’è solo un’altra opzione, questo lo sappiamo
tutti” “L’altra opzione è… fuori questione!”disse Thornton. “Preferisci
rimanere senza operai?!”ribatté Bell. Silenzio. Bell continuò “L’unica cosa che
possiamo fare è... imitare il modello di questa nuova fabbrica di Birmingham”.
Tutti i padroni, in silenzio, iniziarono ad annuire.
E fu così che incominciò il nuovo anno: il salario degli
operai fu aumentato, le condizioni di lavoro migliorate e una scuola costruita
per i figli dei lavoratori. E gli Higgins? John visse fino ai 60 anni e morì
felice e soddisfatto della sua vita; Bessie, crescendo, diventò una donna dagli
occhi castani e luminosi e dai capelli biondo cenere, e si sposò con William
Bell; Nicholas, ereditò la forza di volontà del padre e le stesse idee che
continuano ancora oggi a spingere il mondo in avanti.