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Autore: ermete    03/04/2012    4 recensioni
Al primo anniversario della morte di Sherlock, John si presentò davanti alla tomba del suo migliore amico: non andava spesso al cimitero, non occorreva andare lì per ricordarlo ed omaggiarlo, nè tantomeno serviva a lenire la sofferenza e la solitudine che provava. Tuttavia, una volta presentatosi davanti alla lapide nera, passarono pochi istanti prima che allungasse la mano destra sopra di essa: accarezzò la scritta dorata con la punta dell'indice in un gesto spontaneo più che simbolico e bisbigliò poche parole. "Torno in Afghanistan. Goodbye, Sherlock".
Genere: Azione, Guerra, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Mycroft Holmes , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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***Ecco il terzo capitolo! Ecco la reazione di Sherlock alla notizia che John non si trova ed ecco presentata la squadra del nostro soldato: i nomi dei componenti sono degli omaggi a diversi attori e personaggi(vediamo se li riconoscete! *_*)di altre serie tv, ma ho preso solo i loro nomi, il loro comportamento segue la mia idea della storia, quindi non fatevi influenzare se capirete a chi li ho dedicati eheh *_* sperando che vi piaccia, vi mando tanti baciotti bacilli bacetti!!!***

Patchwork emotivo

"No. Un momento, come sarebbe a dire che John Watson è sparito?" Mycroft era sgomento mentre, al telefono con uno dei suoi collaboratori, apprendeva la notizia più terribile che avrebbe dovuto comunicare al fratello.
Chiuse gli occhi e vi passò sopra la mano libera, strofinandosi la fronte: continuava ad ascoltare la spiegazione del suo uomo, ma ormai solo poche parole lo raggiunsero veramente, parole come "sparito", "dileguato", "non c'è traccia di lui". 
Fu ridestato dal bip del telefono fax che stava stampando documento contenente una foto dell'ultimo avvistamento di John Watson, già vestito in tuta mimetica, taglio di capelli rinfrescato, piastrine al collo "Continuate a cercare." fu l'ultimo ordine di Mycroft prima di riagganciare la telefonata.
 
Sherlock sentì bussare alla porta dello stanzino in cui si era auto relegato, quindi acconsentì con un grugnito il permesso di entrare. Aveva addosso dei pantaloni del pigiama, una maglietta di cotone ed una vestaglia, era sdraiato su un divano, si stava annoiando ed era molto tentato di sparare qualche colpo di pistola alla tappezzeria orribile che aveva attorno -mancante di smile giallo, purtroppo- e la sua esistenza ruotava attorno al pensiero di John: così simile eppure così diversa dalla vita che conduceva a Baker Street. Il resto della stanza comprendeva un'ampia libreria contenente volumi di vario genere, un tavolo su cui erano poggiati un microscopio e diversi contenitori di vetro come fialette, provette, vetrini, beute e crogiuoli; nell'angolo opposto della stanza c'era una scrivania con sopra un laptop aperto, perennemente sintonizzato sui siti dei maggiori notiziari internazionali, aperti nelle sezioni della cronaca estera. Infine, in un angolino spoglio, riposava tristemente un violino, relativamente nuovo, senza alcun apparente valore, non sentimentale quantomeno.
Sherlock si alzò in piedi quando si accorse che Mycroft, pur essendo entrato da qualche minuto, tergiversava clamorosamente, parlando delle condizioni metereologiche londinesi, come se la pioggia fosse un fenomeno paranormale.
"Mycroft, cosa vuoi?" lo interruppe bruscamente, iniziando a scandagliarlo come solo lui sa fare: notò subito che la postura era diversa, quindi scarpe nuove e momentaneamente scomode, ancora da adattarsi completamente alla forma dei piedi. Poi si accorse dell'orlo stropicciato dei pantaloni, quindi capì che aveva lavorato tutta la notte senza avere il tempo di tornare a casa a cambiarsi; aveva appena mangiato una caramella, ma perchè? Mycroft non mangia caramelle, ma l'unico singhiozzo che il fratello tentò invano di nascondere suggerì dei fastidi allo stomaco: caramella, fastidi allo stomaco, acidità? Derivata da nervosismo? Perchè Mycroft era nervoso? E soprattutto cos'è quel foglio di carta con cui sta giocherellando da quando è entrato nella stanza?
Sherlock iniziò ad innervosirsi "Cosa è successo a John?" il detective scrutò il fratello, saltando all'unica conclusione plausibile, l'unico motivo per cui Mycroft potrebbe rimanere senza parole. 
Mycroft non si stupì della deduzione di Sherlock: si avvicinò alla libreria e accarezzò il legno scuro di un ripiano con la mano libera "Non lo so."
Sherlock sembrò stranito: si fermò al centro della stanza seguendo i movimenti del fratello "In che senso non lo sai?"
"Nel senso che è sparito. I miei uomini hanno perso le sue tracce dopo il suo arrivo a Kandahar." rispose tutto d'un fiato, prima che il coraggio di comunicarlo al fratello gli venisse a mancare.
"L'ha fatto davvero?" chiese Sherlock incredulo, scuotendo la testa "Com'è possibile che l'abbia fatto? Che razza di... spie hai? Dei dilettanti? Lui è un solo uomo, lui è arrivato lì ed è sparito? Cos'è, l'hanno rapito gli alieni? Com'è possibile che sia sparito?!" il tono di voce si era alzato, il respiro ed il battito cardiaco accellerati, la mimica posturale scomposta: il tutto lo rendeva più umano di quanto non fosse mai sembrato agli occhi del fratello.
"Continueranno a cercare, non si fermeranno finchè non lo avranno trovato." il tono di Mycroft era fermo, sincero, ed esprimeva a sua volta la sua preoccupazione per il dottor Watson "Non può essergli successo niente, non per ora quanto meno. E poi se gli fosse successo qualcosa l'avremmo saputo. Potrà nascondersi da vivo ma non da..." non concluse la frase, non ce n'era bisogno e non voleva farlo. Deglutì pesantemente, aspettandosi un nuovo moto di rabbia da parte di Sherlock che invece si era chiuso in uno stato di immobilità e mutismo interrotti solo dal suo labbro inferiore che tremava appena.
Mycroft scosse il capo socchiudendo gli occhi: non credeva che il fratello avrebbe mai potuto soffrire così tanto per colpa -merito- di una persona. Certo, sperava che arrivasse il momento, un giorno, che avrebbe sciolto le sue difese per far entrare qualcuno nel suo cuore e nella sua mente, ma non aveva calcolato che questo lo avrebbe fatto soffrire. Lo riteneva così impossibilitato a provare sentimenti che nello sperare che lo facesse non aveva tenuto conto di quell'eventualità: Mycroft lo poteva capire, lui stesso provava affetto per il fratello, ed era così difficile dimostrarglielo, così complicato farsi accettare che questo gli provocava dolore, anche se non era neanche lontanamente paragonabile all'angoscia che stava provando Sherlock in quella circostanza. Mycroft decise che quell'occasione avrebbe giustificato un'azione fuori dal comune per l'universo degli Holmes: si avvicinò al fratello minore e senza esitare alzò la mano destra sulla spalla di Sherlock, provando a spingerlo verso di sè, fino a farlo appoggiare sulla propria spalla. Stava sussistendo il minimo contatto fisico tra i due, la fronte di Sherlock era poggiata sulla spalla sinistra di Mycroft, lo sguardo del minore degli Holmes perso nel vuoto della stanza, la mano destra del maggiore sulla nuca dell'altro in una piccola, inimmaginabile carezza: non si registrava un momento di intimità tra i due fratelli Holmes da troppo tempo per riuscire a ricordarlo.
"Lo troverò, Sherlock, stai tranquillo." Mycroft fece un passo indietro, decidendo di non esagerare quell'effusione per non rischiare di ottenere l'effetto contrario: alzò quindi la mano sinistra, consegnando al fratello il foglio di carta col quale era entrato nella stanza "Risale al suo ultimo avvistamento, ho pensato che la volessi."
Sherlock annuì e prese in consegna il foglio mentre Mycroft si voltava e si apprestava ad uscire dalla stanza "Grazie." disse semplicemente, per poi aprire il foglio piegato a metà, sospirando profondamente alla vista di John in mimetica.
Quando Mycroft uscì dalla stanza, Sherlock si avvicinò alla parete dove era appeso un quadro che si apprestò a staccare dal muro, poggiandolo a terra, svelando così qualcosa che stava tenendo nascosto: quello che aveva di fronte era un collage, un patchwork di tutte le foto di John che le spie di Mycroft gli avevano consegnato in quell'anno di reclusione. John che prende un taxi, John che fa la spesa, John al pub con Lestrade, John all'ambulatorio, John in metropolitana e molte altre foto, al centro delle quali incollò quella appena ricevuta, John in mimetica. Si appoggiò al muro con la fronte, accarezzando con le mani le diverse foto appese al muro: chiuse gli occhi e si abbandonò lì "John..." Sherlock non faceva che ripeterlo e per la prima volta in vita sua si scoprì a pregare nella speranza di poter sentire pronunciare il proprio nome da John, ancora una volta, almeno un'altra volta.
 
Quando John arrivò al campo base, fu accolto con entusiasmo ed impazienza dagli altri membri della sua squadra, gli Hounds: aspettavano con trepidazione la nomina del nuovo medico per poter partecipare nuovamente alle missioni, Mastini di nome e di fatto.
Si riunirono tutti nel dormitorio e mentre John sistemava i pochi effetti personali che aveva portato da Londra, i Mastini si presentarono ed iniziarono ad spiegare i loro ruoli e il loro modus operandi.
Il primo a parlare fu Christopher, il capo nonchè stratega della squadra "Quando abbiamo sentito che saresti stato il nostro medico abbiamo quasi fatto festa, sai? Sei famoso qui! Raccontano tutti di quella volta che sei tornato indietro, nel deserto, a salvare quel tuo commilitone che ormai avevano dato tutti per spacciato! Sei un eroe John, davvero!"
John sorrise, voltandosi verso Christopher, scuotendo il capo con modestia "Eravamo amici da una vita e si era sposato da poco, non potevo lasciarlo morire o sua moglie mi avrebbe ucciso." ripiegò una delle sue maglie con cura, per poi infilarla nello stipetto ordinatamente "E poi ero sicuro di farcela, non apprezzo le missioni palesemente suicide. A proposito, spero che condividiate questa politica, Mastini, non voglio ricucire tanti piccoli Frankenstein solo perchè vi piace danzare sulle mine antiuomo." il linguaggio era scherzoso, ma il tono suggeriva una certa serietà.
Intervenne Matt, un ragazzone alto, smilzo e con viso dolcissimo che contrastava parecchio con la sua attuale professione "Tranquillo, Capo -chiamava tutti così- in questo genere di missioni non si può fare i pazzerelli o non si torna a casa da mamma. Ah, io sono uno dei due cecchini, ho sentito dire che anche tu sei bravo con pistole e fucili, che ne dici se facciamo una gara? Just for fun!" John sorrise di fronte a quel mattacchione, il più giovane del gruppo, quindi annuì con un sorriso, lanciandogli all'improvviso una confezione di chewingum, testando i suoi riflessi: risultato a dir poco eccellente.
A quel punto si avvicinò David, il quale consegnò a John un orologio che ad una prima occhiata sembrava piuttosto particolare "David, mi occupo della parte tecnica, delle comunicazioni, della geografia territoriale, del punto di vista culturale e religioso..." venne interrotto da un piccolo coretto degli altri Mastini che aprivano e chiudevano le mani a mo' di becco d'oca "...e si, sono uno che parla tanto quindi se ti dò noia ti conviene dirlo subito. Ad ogni modo l'orologio che ti ho dato è di vitale importanza per il gruppo e per il singolo soldato."
"Chiacchiera tanto, ma se questo progetto militare esiste è anche grazie a questa sua invenzione. Anche le altre quattro squadre hanno quegli orologi." si intromise Alec, il più silenzioso tra i Mastini, artigliere del gruppo.
David tossicchiò, quindi riprese il discorso "Dicevo... non devi mai separartene: oltre a permettere la comunicazione radio tra di noi su una frequenza isolata e difficilmente captabile dai satelliti, e con il campo base su una frequenza più ampia, serve anche a misurare il battito cardiaco e la pressione sanguigna di chi lo sta indossando. Nel momento in cui uno di noi viene ferito e quindi il battito cardiaco e la pressione sanguigna scendono o salgono ad un livello considerato pericoloso, viene inviato un segnale radio che dura pochi secondi al più vicino campo base e ovviamente agli altri componenti del gruppo. Se il battito cardiaco cessa, ovvero se uno di noi muore, il segnale radio rimane aperto, che gli altri componenti del gruppo siano o meno d'accordo, in modo che possano essere inviate squadre di recupero per il cadavere e per gli altri componenti, che si spera siano ancora vivi. C'è un tastino a lato, in basso a sinistra, che se premuto ti mostra una mappa virtuale con la tua posizione e quella dei altri Mastini. Sai... come nei videogiochi. Ho pensato potesse essere utile." aveva parlato molto velocemente, come se stesse recitando un discorso imparato a memoria: concluse il tutto con un ampio sorriso e mani in tasca, autocompiacendosi della sua stessa creazione.
John osservò David da testa a piedi, divertito da quel suo atteggiamento spensierato e da quella rapidità nel parlare: potè seguire il filo del discorso senza problemi, abituato alle lunghe e rapide spiegazioni di Sherlock. Si mise l'orologio al polso e quando lo accese tutti gli altri apparecchi appartenenti alla squadra emisero un bip, sintonizzandosi al nuovo membro dei Mastini.
A quel punto si fece avanti Zach, un altro ragazzo molto giovane dallo sguardo gentile e pacato, ma in cui a John parve di leggere un accenno di insicurezza: si disse che stava sbagliando, o quanto meno avrebbe voluto crederlo perchè un soldato insicuro era un pericolo per la squadra. Decise che avrebbe approfondito la questione in un altro momento, in privato: gli sorrise e il giovane Zach parve già più tranquillo, forse era solo timido.
"Capitano Watson, è un onore per me. Io sono Zach, cecchino, piacere di conoscerla, davvero." sembrava che volesse dire qualcos'altro, ma si bloccò, indietreggiò e lasciò la parola a Bruce e a Logan, i più imponenti e massicci del gruppo: fu il primo a parlare "Bruce e Logan, i muscoli dei Mastini, noi siamo particolarmente utili quando fallisce l'idea centrale di questi gruppi segreti."
John a quel punto corrugò la fronte, inarcando le sopracciglia in un'espressione interrogativa.
"Ti spiego io" intervenne Christopher "Come ti avrà spiegato il Generale Lightman, l'idea è quella di cercare di fare meno morti possibili anche dalla parte dei nemici: non vogliamo uccidere ciecamente, non siamo americani" sussurrò con un certo disprezzo, per poi riprendere il discorso "Quindi i nostri fucili sono caricati con potenti e rapidi sonniferi: puntiamo, spariamo cercando di colpirne il più possibile, neutralizziamo chi fa resistenza e a missione compiuta chiamiamo il campo base per farci recuperare. A quel punto penseranno loro a far ragionare i prigionieri, farli collaborare e reinserirli nella loro società, e non alla maniera della CIA." sussurrò nuovamente: la sua antipatia per gli Americani era palpabile e John non potè fare a meno che sorridere.
"Bene, ho capito. Che dire, Mastini, siamo un gruppo variegato che sembra riempire tutte le qualità che una squadra deve avere per poter uscire in missione. Sarà un piacere combattere al vostro fianco." e, di rito, si esibì nel saluto militare che tutti, all'unisono, ricambiarono, urlando il nome del proprio gruppo e ringhiando tutti assieme, come se si fossero messi d'accordo in precedenza. Scoppiarono tutti a ridere, anche John, che finalmente, dopo molto tempo, si sentiva nuovamente vivo, facente parte di un bel gruppo, fiero di essere al mondo.
Dopo che si furono ripresi da quell'esplosione di entusiasmo, i Mastini invitarono John nella sala comune adibita a mensa: il medico comunicò che li avrebbe raggiunti subito, pescando nella propria borsa le ultime cose da sistemare nell'armadietto. Raccolse dalla sacca il dopobarba e un libro dal quale spuntava una foto che estrasse con una lentezza surreale, osservando via via il volto di Sherlock fare capolino tra le sue mani. Posò distrattamente il libro su una delle due mensole disponibili nell'armadietto, stringendo ora con ambedue le mani la foto che lo ritraeva insieme a Sherlock, scattata da Mrs Hudson durante una domenica primaverile, mentre erano impegnati a fare colazione: John sorrise, carezzando il volto dell'amico col pollice della mano destra "Vorrei che tu fossi ancora vivo." confessò ad alta voce "Mi manchi." indugiò ancora qualche istante prima di piegare la foto a metà e infilarla nel taschino della giacca mimetica "Ma non ti arrabbierai se vivrò anche per te, vero? E prima di partire ho bastonato tuo fratello, di questo saresti stato sicuramente felice." ridacchiò, rendendosi conto che il suo ritorno in Afghanistan aveva già sortito un effetto positivo su di lui: era riuscito a parlare di Sherlock con qualcuno, sentiva l'adrenalina animarlo nuovamente e aveva trovato una squadra con cui affrontare ancora il campo di battaglia. Ne provava decisamente nostalgia, quasi quanto sentiva la mancanza di Sherlock.  
   
 
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