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Autore: Charlotte Doyle    29/10/2006    4 recensioni
Missing moment da HBP. Perché Hermione ama crogiolarsi nel peggio.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hermione Granger | Coppie: Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A dicembre ti ho parlato per l'ultima volta, poi mai più.

Non che avessi tempo per parlare, tu. Eri molto occupato, non è così?

Non che io avessi la ragione per farlo. Non dovevo dirti nulla, nulla, nulla. E sapevo che anche se ci avessi provato, sarei scoppiata a piangere prima di riuscire a pronunciare il tuo nome.

Più o meno come adesso. I singhiozzi non mi permettono di parlare.

Prima, quando Harry e la tua famiglia erano qui, era più facile.

Adesso Hermione piangeva con libertà sopra il corpo di Ron, come se il ragazzo fosse morto davvero. Eppure, l'aveva sentito russare fino a poco prima. L'aveva sentito pronunciare il suo nome, proprio il suo (non quello di Lavender)!

Ma ecco, era chiaramente un'allucinazione, nient'altro che un'allucinazione. Davanti a lei c'era un cadavere. Sotto di lei c'era un cadavere. E non poteva smettere di piangere, non avrebbe potuto neanche in dieci giorni, in dieci mesi o in dieci anni. (Morte!)

Perché avrebbe voluto cercare di raggiungerlo in qualche modo, per tutte quelle cose che non aveva dette, e se pure poco chiaro, il pianto sembrava il metodo più efficace.

Il primo passo verso la vita dopo la nascita.

Doveva esserci un collegamento logico, anche in quello. Lei non faceva niente che non fosse profondamente razionale, e se anche ammettesse di aver sragionato qualche volta, era sempre andato tutto bene. Per-fet-ta-men-te.

Dunque doveva agire così anche ora. Era l'unico modo.

Dunque piangeva.

E non avrebbe smesso fino a quando non sarebbe arrivata la risposta. (Non sarebbe stata più capace di fermarsi da sé, ormai.)

Nella sua testa, intanto, si proiettava quella realtà da cui cercava di sfuggire. Rimaneva chiusa in quell'infermeria in quell'obitorio in quel cimitero, per non uscire fuori ed affrontare i vivi. I vivi quando la vedevano l'additavano e sghignazzavano, come pazzi, l'additavano e sghignazzavano, e davano della pazza a lei - e lei dal profondo sapeva che pazza era davvero.

Le davano della pazza perché aveva smesso di parlare e aveva smesso di mangiare e aveva smesso di dormire, da quando lui era morto. Presto per forza di cose avrebbe smesso anche di piangere, tanto era disidratata. Dunque, qualora avesse smesso di dare retta sia ai suoi bisogni fisiologici (cosa più insensata che illogica, pensava) che a quelli spirituali, avrebbe smesso di esistere.

Non era sicura che sarebbe morta, a dir la verità. Forse l'avrebbero ricoverata al San Mungo, nutrita a forza, ma non importava, tanto lei non ci sarebbe stata più.

Per cosa poi? Perché era morto l'amico per cui si era presa una cotta a tredici anni!

Che però da allora non l'aveva più lasciata.

Avvelenato, sì, ma durante una guerra, si sa... solo che Harry Potter aveva ancora bisogno di lei, perché non ha reagito? Una ragazza così giudiziosa…

Forse ce l'aveva dentro da prima: non è mica normale diventare pazzi così, neanche dopo una perdita... che dici?

Ma loro non capivano! Battè forte il piede per terra con stizza, come non faceva da quando aveva almeno nove anni. Ancora incapace di una certa consapevolezza, una certa oggettività, davanti alle situazioni. Il padre, ridendo, ogni tanto le faceva notare gentilmente come lei tendesse a ingigantire le cose. Pian piano allora si era calmata, l'ansia era diminuita.

Solo che ogni tanto continuava a farsi prendere dal panico.

Batteva i piedi a terra dunque, e i singhiozzi convulsi ancora non la lasciavano.

“Ehm… Hermione?”

Questo la risvegliò dai suoi pensieri. Alzò lo sguardo: attraverso gli occhi offuscati dalle lacrime, riuscì a vedere quelli celesti di Ron che la fissavano con aria interrogativa. Un po' intimorita, anche.

Sentì la morsa che le stringeva il cuore allentarsi; cercò di inghiottire, ma ci riuscì a malapena. Quasi le era venuto il mal di gola; non riusciva veramente a parlare, adesso!

E Ron magari pensava che lei stesse ancora giocando al gioco del silenzio con lui.

Che stupida. Abbassò lo sguardò e un'altra lacrima cadde sulle lenzuola.

“Va… va tutto bene?” disse ancora Ron.

Dovrei chiederlo io a te questo!

Alzò di nuovo la testa. Lo osservò per un poco, poi battè di nuovo una volta il piede a terra.

“E' che sei così stupido!” disse, piena di stizza.

E scostò lo sguardo verso il letto che stava lì accanto.

“Già,” disse Ron.

Già!? Le stava dando retta? Voleva forse che continuasse a insultarlo?

Sentì allora le lacrime salirle di nuovo agli occhi - ma non avrebbe dovuto smettere, ora? - e scoppiò a piangere per l'ennesima volta. In seguito al calore al petto, quello al viso.

E ancora, poco dopo, in una delle sue piccole mani, quella grande di lui. Calda. Viva.

“Mi dispiace.”

Se l'avesse detto l'uno o l'altra, o entrambi, non faceva molta differenza.



“Comunque, mi hai infradiciato tutto, sembra quasi che io me la sia fatta sotto!”

Uno sguardo fulminante da parte di lei.

E poi giù a ridere tutti e due.

  
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