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Autore: Kaderin    03/04/2012    4 recensioni
Dopo aver letto una miriade di ff, ho deciso di scriverne una di mio pugno. Forse troverete i personaggi un pò diversi, ma fondamentalmente spero che i pensieri e i dialoghi risultino vicini alla loro naturale indole... In questa ff voglio descrivere piccoli squarci di vita quotidiana attenendomi all'anime. Come noterete è passato un pò di tempo dalla fine di quest'ultimo, e i personaggi risulteranno cresciuti sia fisicamente che psicologicamente. Bhe non so cos'altro aggiungere, spero la leggiate e mi facciate sapere come vi sembra. Sono ben graditi commenti e/o critiche! Buona lettura.. Kade.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Akane Tendo, Ranma Saotome
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve mie/ei carissimi lettori/lettrici.
Mi scuso tantissimissimo per il mio lungo periodo di assenza, e l’altrettanto ritardatario aggiornamento! Purtroppo, famiglia, impegni vari e soprattutto lo studio, mi hanno tenuta lontana. :( Ma di tanto in tanto ho trovato il tempo di arrangiare questo capitolo, che ahimè non lo credo all’altezza delle aspettative, come (permettetemi di dirlo *.*) il più atteso della storia. Ho letto tutte le recensioni, e sono davvero molto soddisfatta di questo mio umile lavoretto. Davvero, lo avete reso una soddisfazione per me.
Inoltre ho notato che sono cresciuti i numerini delle views, dei seguiti, dei ricordati, ecc.
Non ho altro per voi che dei semplici e sinceri GRAZIE.
Vi lascio comunque subito alla lettura. Inutile ricordarvi che sono sempre molto lieta di leggere le vostre recensioni, per cui, non siate avidi di parole e ditemi tutto quello che ne pensate! :*
Buona lettura,
Kade.
   
 
 
 
 
 
 

 
Il frusciare di qualcosa, molto vicino alle sue mani ridestò di colpo i suoi sensi, mettendone in allerta l’intero sistema neuronale. Tuttavia non si mosse.
Il solo pensiero di balzare in piedi, gli causò una fitta di dolore alle tempie.
 
Si sentì sfiorare il dorso delle mani, da qualcosa di caldo al tatto e subito dopo da una freschissima sensazione carezzevole, trascinatasi fin sulle spalle.
Erano lenzuola quelle. Fresche e immacolate lenzuola, di uno studio medico.
Capì subito dove si trovava, e chiaramente non era disteso su di un futon in casa loro.
Si perché, riconobbe quasi implicitamente, il profumo e la rara delicatezza solita di quelle mani, che lo accudivano malgrado l’inesperienza.
 
Prima di aprire gli occhi, e lasciare quell’oscuro mondo ovattato, in cui aveva giaciuto per quello che ne sapeva, probabilmente per qualche ora, ruotò la testa verso la presenza accanto a lui.
Alla sua destra.
 
“Ciao.”
Quel sussurro, fu pronunciato a non più di qualche centimetro dal suo orecchio.
Arrossì involontariamente, non appena ripercorse con la mente gli ultimi ricordi, dell’ultima e sorprendentemente intensa serata, trascorsa in casa Tendo.
 
Tuttavia non badò molto all’imbarazzo vigente sul suo volto. L’unica altra cosa che riuscì ad esprimere il suo viso, fu l’estasi, provata in seguito a quell’ultima frase sentita pronunciare dalla donna che amava.
 
Io invece, credo di amarti, Ranma. 
 
 
Kami, sperò di non svenire nuovamente e, per fortuna, le sue preghiere furono ascoltate.
Akane lo guardava con una strana espressione, che corrucciava quegli occhi e il suo sguardo solitamente innocente, e privo di ombre.
 
Ma certo, che odiota. Lei aveva confessato di amarlo, o almeno gli disse di crederlo.
E lui, era svenuto. Riconobbe che non aveva tutti i torni quando gli dava dell’imbecille.
Lo era sul serio, diamine!
 
“Devono essersi preoccupati, per avermi portato dal Dott. Tofu, vero ‘Kane?”
Le sue parole tradivano un velo di agitazione e irrequietezza. Ma Akane parve tranquillizzarsi, dopo averlo sentito riprendere parola.
I suoi lineamenti si rilassarono, infondendole quella solita aria sbarazzina.
 
“A dire il vero sei rimasto privo di sensi quasi per un’intera giornata… e lì mi sono preoccupata.”
Lo disse con un sorriso, ma si colorò ugualmente di un po’ di sano rossore.
“Vedi scemo, sono le sei del pomeriggio. Continuando di questo passo avremmo dovuto rianimarti con una scarica da duecento, in serata.”
 
Una fragorosa risata riempì il piccolo locale infermieristico.
 
“Vieni qui.”
Scostò una mano avvolta dalle lenzuola, e fece per avvicinarla al viso di lei, ma questa si ritrasse bruscamente.
Qualcuno aveva spalancato la porta in legno, e con un colpo di bacino l’aveva completamente aperta, sorreggendo tra le mani due vassoi traboccanti di cibo.
Il buon, caro, e sempre contento di vedere, Dottor Tofu.
 
Akane posò due occhi sbarrati, grandi così, sui vassoi, alzandosi immediatamente accorrendo ad aiutare il dottore in difficoltà. O per come gli era sembrato, più che contenta di allontanare l’attenzione su di loro.
 
“Dottore non si preoccupi. La prossima volta mi chiami, la aiuterò volentieri.”
“Oh no Akane, stai già facendo tanto, occupandoti di Ranma. Figliolo, non ti ha lasciato un minuto da quando sei entrato in questa stanza.”
 
Il sorriso a trentadue denti di Tofu, piegò la sua direzione verso la mora, che imbarazzata si voltò di scatto verso i vassoi adagiati sul piccolo tavolino.
Ranma notò che, la superficie in legno, era già parzialmente occupata da altri due vassoi completamente intatti. E quello che contenevano, sarebbe dovuto essere il loro pranzo.
Akane non aveva toccato cibo.
 
Con un leggero sforzo ordinò ai suoi arti di muoversi, e puntellando i gomiti sulla morbida superficie del materasso, riuscì a sedersi.
 
“In effetti ho un certo languorino, grazie dott. Tofu.”
Con un inchino appena accennato, Tofu liberò il tavolino dai vecchi vassoi e li lasciò nuovamente soli.
 
“Come ti senti?”
La mora gli porse la cena.
Una minestra ancora fumante, con accanto due varietà di pane integrale e un grappolo d’uva sigillato da uno strato di cellofan.  
 
Senza troppi complimenti, e neanche rispondergli, afferrò un panino e lo ingurgitò come una caramella.
Il suo stomaco reclamava ciò di cui per troppe ore, ‘gli era stato tolto’.
Di seguito, si portò la scodella fumante alle labbra e dopo una manciata di secondi la riadagiò nel suo spazio ai piedi del letto.
 
“Cos’hai, non hai fame Akane?”
Lo sguardo della ragazza vagò dal vassoietto fin alla sua faccia, per un paio di volte.
“Sei incorreggibile.”
 
Sicuramente era in ottime condizioni fisiche, e il riprendere di tutte le funzioni umane, era un incommensurabile sintomo di guarigione.
Finalmente aveva colmato quell’enorme vuoto che sentiva all’interno dello stomaco, ma sinceramente non era del tutto soddisfatto. Aveva ancora fame. Come se non mangiasse da una settimana.
Aveva timore a chiederle di cedergli anche la sua cena.
Comunque, non la privò del suo cibo, nonostante non ne avesse toccato neppure una mollica.
 
Era chiaramente tesa, e in pensiero per qualcosa. E lui, quel cosa, sapeva bene cosa potesse essere.
 
“Scusa” la attirò verso di se semplicemente sorridendole, e continuò “…siediti qui Akane”
 
Con un gesto della mano la invitò a sedersi sul letto, accanto a lui, facendosi da parte, verso il muro confinante.
 
Akane si sedette, e lo fronteggiò con uno sguardo ora, forse troppo duro, e non più indulgente a dispetto di qualche minuto prima.
Non voleva correre troppo con lei. Ma non sapeva cos’altro fare.
Dirle a voce ciò che avrebbe voluto, era fuori discussione, avrebbe peggiorato le cose senza ombra di dubbio.
Lo faceva sempre, quando ci provava.
E poi…sembrava che se la cavasse meglio a fatti che a parole.
 
Stava per succedere tutto molto velocemente, ma come un incontro finito male, sentì congelare il sangue nelle vene, quando scorse quel lampo negli occhi di Akane.
 
“Oh no, non ci provare nemmeno!”
Aveva capito tutto. Era sempre stata sveglia, ma mai avrebbe immaginato tanto.
E questo lo intrigò ancora di più.
Ora non voleva baciarla per sfuggire a quella situazione imbarazzante, lo voleva fare perché qualcosa più forte di lui e della sua maledizione lo spingeva a farlo.
Qualcosa legato all’affetto che per troppo tempo aveva celato nei suoi confronti, pensò.
 
O forse qualcosa di strettamente primitivo, che legava un uomo ad una donna.
Mosse convulsamente la testa, scacciando quei pensieri impuri dal suo lobo frontale, stava diventando sul serio un maniaco, pensò.
Ma il suo battito cardiaco dopo aver accelerato la sua corsa, a causa di quei pensieri, ancora non si era ridestato.
Maledizione, che gliene andasse bene una, ogni tanto.
 
“Ranma, ti senti bene?”
Le mani di Akane lo accarezzarono sul collo, e dopo una veloce passata sulla fronte, agguantarono le sue guancie.
Che l’avesse fermato perché voleva baciarlo lei?
Quando la vide avvicinarlo verso le sue labbra, tenendolo ancora saldamente stretto, iniziò a crederlo sul serio.
Ma quando la sua bocca si adagiò lieve sulla sua fronte capì che quelle attenzioni non erano dovute all’attrazione nei suoi confronti.
Non in quel momento, almeno.
 
“Sei troppo accaldato, credo tu abbia la febbre, testone.”
Se continui a starmi così vicina non preoccuparti della febbre, ma di altro.
 
Lo spostamento d’aria, che avvertì qualche secondo prima dell’impatto, avrebbe dovuto avvertirlo, da buon artista marziale qual’era. Invece era completamente in balia degli eventi.
Di lei, precisamente. Che lo colpì così forte, da fargli riacquistare tutti quanti i sensi, all’istante.
Oh, oh… non lo aveva soltanto pensato. Lo aveva proprio detto?!
Che idiota. Era davvero un grandissimo idiota. Potendo, si sarebbe colpito anche egli stesso, ma molto, molto più forte.
 
“Aspetta Akane, scusa, scusa non volevo, davvero, io…”
“Ci sento bene, sai, razza di stupido!”
Il suo sguardo tradiva rabbia, ma la sua voce…emozione. A lui decisamente familiare.
 
“Beh comunque, ti chiedo scusa, non so come abbia potuto dire una cosa del genere, sul serio, io non…”
“Smettila, con me non attacca. Piuttosto, vado dal dottore a chiedere se può dimetterti. Credo che dopotutto, non sia febbre la tua. Ne parleremo più tardi di quello.”
 
Ecco come rovinare tutto nel giro di sole ventiquattro ore. Quali ventiquattro ore, di meno!
Eccelleva davvero in tutto, soprattutto inidiotologia. Un campione in materia.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
***
Quell’aria dicembrina pizzicava piacevolmente i sensi. Le era sempre piaciuto l’inverno ma mai quanto quell’anno.
Sentiva che stava per cambiare tutto… eppure qualcosa, o meglio, qualcuno rimaneva sempre l’idiota di un tempo. Il suo personalissimo idiota.
 
Sorrise a quel pensiero, e dal basso della sua posizione rimase quasi impietrita e senza fiato, guardandolo camminare, come faceva sempre, sui bordi delle inferriate che costeggiavano l’impetuosa fluidità stagionale del torrente.
Era cresciuto, e dannatamente bene anche.
 
Le parve di guardarlo per la prima volta, dopo tanto tempo. Come se si fosse saltata quel cruciale passaggio dell’ ascensione, dall’età adolescenziale a quella adulta.
Ciò che aveva di fianco era un uomo, non più il ragazzino combina guai di qualche anno fa.
Sentì la gabbia toracica farsi, fastidiosamente pesante.
Aveva dichiarato i propri sentimenti a quell’uomo. E adesso anche lei, non era più una ragazzina.
Qualunque fosse la risposta, che ancora non aveva ricevuto, l’avrebbe accettata a testa alta.
 
Il tragitto dallo studio del dott.Tofu fino a casa loro, non le era mai sembrato più ostile e insolitamente lungo. Di solito, in una decina di minuti si riusciva a colmare la distanza tra le due abitazioni.
Erano all’incirca una ventina di minuti, invece, che vagavano per Nerima, si accorse.
 
“Ranma, ma…”
“Shh, zitta e seguimi.”   
 
Non aveva neppure notato che ora le stava camminando di fianco, le prese una mano, e le parve che la strinse stranamente forte.
Amava in maniera così smisurata quei suoi minimi gesti d’affetto che le riservava, che avrebbe potuto vivere in eterno anche solo di quelli. Erano al quanto rari, da parte del codinato, soprattutto perché non li riservava mica a tutti.
 
Ad un tratto si fermarono di botto. Ranma era fermo a un passo avanti a lei. Per qualche secondo, come se il tempo si fosse fermato, fissò senza un apparente motivo la schiena del ragazzo, ma senza realmente vederla.
Anche quella strana pausa sembrava del tutto naturale.
La sua meticolosa testolina, parve non accorgersi del tempo che stavano perdendo, dell’aria fattasi forse un po’ troppo sferzante e gelida, e che l’unica parte del suo corpo non curante del freddo era proprio quella mano che le stringeva, ancora, Ranma con tanta urgenza.    
 
Le braccia di Ranma all’improvviso l’avvolsero, e automaticamente alzò anche le sue.
 
In quel momento ebbe l’assoluta certezza che la sua vita sarebbe dipesa sempre da quella di Ranma.
Non c’erano sistemi, non c’erano spiegazioni, a ciò che sentiva in quel momento.
Nulla del genere aveva provato prima di allora. Una sensazione tanto familiare, quanto insolita e  inaspettata.
E non aveva la minima idea di cosa stesse provando, di cosa si trattasse, ma le infondeva qualcosa di estremamente bello dentro.
Che paradosso. Tutto in loro era un paradosso. 
 
Ma cosa importava ora,Kami, che buon odore aveva.
Quel genere di odore speziato e virile, che lo aveva sempre contraddistinto.
Che non si sarebbe mai stancata di sentirlo addosso, pensò.
 
“Stai tremando… torniamo a casa.”
“No! Non voglio, non ho freddo.”   
 
Ranma prese le distanze, accorciandole subito dopo, pigiando le labbra sulle sue.
Come era iniziato però, con la stessa velocità finì.
Si allontanò quel tanto, da avere una perfetta visione in prima fila, della sua espressione esterrefatta, pensò. Che coraggio.
Altro che ‘sexappeal di un cetriolo’, era messa molto peggio in quel momento.
Pensava seriamente di avere un’espressione ebete stampata in faccia.
 
Non che le importasse qualcosa, ovviamente. Sperò solo che, almeno lui non si fosse accorto del turbine idiota in cui vorticavano i suoi pensieri, adattandosi al suo viso con estrema fedeltà.
 
“Cercherò di essere il più sincero possibile, quindi ti prego… non interrompermi.”
 
Prima in su, poi in giù mosse la testa.
Lui continuò, mentre il suo cuore intraprese una folle corsa verso chissà cosa.
Ma l’avrebbe ascoltato. Fosse anche l’ultima cosa che avesse fatto.
 
“Allora, voglio che tu sappia che non voglio legarmi a te tramite una stupida promessa fatta dai nostri genitori. Non ti sposerò, se il futuro della palestra è quello a cui loro puntano unicamente. Non voglio costringerti a prendere una decisione simile e una responsabilità ancor maggiore, sposandomi.
Siamo troppo giovani, e non voglio privarmi di esperienze che solo la mia giovinezza può offrirmi, a tutto c’è il giusto tempo. Questo ecco… ritenevo giusto dovertelo dire.”
 
Non voleva sposarla. Chiaro e limpido come il cielo, quella notte.
Messaggio ricevuto Akane. Crogiolati pure nel dolore ora, avanti!
 
 
“Poi beh, lo sai… non sono sicuro di riuscire a dirti quello che vorresti sentire. Non lo so perché, ecco… io… soltanto non riesco! Non vorrei che tu fraintenda però, insomma, ne abbiamo passate tante insieme, e noi…”
  
Forse non riusciva a terminare la frase a causa di quell’impellente bisogno di torturarsile dita.
Quando si trovava in certe difficoltà lo faceva sempre…
 
Fu allora, che tutti i pezzi di quel curioso puzzle tornarono misteriosamente in ordine combaciando alla perfezione. Una pigra lampadina, rimasta per fin troppo tempo senza il giusto guizzo luminoso, stava prendendo letteralmente fuoco, all’interno della sua psiche.
  
Dedicando anch’ella l’attenzione a quella rotazione ipnotica dei pollici, capì ciò che da tempo forse, il codinato cercava di dirle.
 
Quante paranoie si era fatta, quante risate insieme, quanti pianti da sola.
Tutto, nel bene o nel male li aveva portati proprio lì dov’erano ora. Se quello era il risultato di tanti sforzi e sacrifici, allora ne era valsa davvero la pena. Sarebbe stata disposta a rifare mille volte gli errori commessi, le litigate con lui, e tutto il resto.
 
Ranma ricambiava il suoi sentimenti.
Ne era certa, il corpo di Ranma le parlava. Come aveva sempre fatto, ineffetti.
Perché c’ha messo così tanto tempo a capirlo?          
 
“Akane, insomma io…”
O la va o la spacca!
“Lo so, ti amo anche io baka.
 
Con rinnovato vigore, lo trasse a se, e quando sfiorarono un altro bacio, sentì le labbra del fidanzato incresparsi, contro le sue, impennandosi ai lati verso l’alto.
 
Poi la baciò ancora, ancora e ancora, finché non proruppe in una risata grossolana.
E più che una risata le parve un urlo belluino, quello che gli si liberò dal petto.
Aveva vinto una sorta di battaglia contro se stesso, e quello era il suono della vittoria.
Vittoria che apparteneva in parte, anche a lei. A entrambi.
 
Ancora stretta dalle sue braccia, alzò il viso per guardare il suo sguardo allegro e, per la prima volta, apparentemente felice. Quell’ombra di disappunto sempre in agguato, pronta a imbronciare anche la più naturale delle sue espressioni, era sparita. Era davvero scomparsa.
Ed ora, il suo sguardo ricordava vagamente l’eccitazione di un bambino appena entrato in un negozio di caramelle.
 
Gli prese il viso tra le mani e lo baciò, assaporandolo di nuovo.
Poi senza dire una parola staccò le labbra dalle sue, portandole alla fronte, poi sul naso, per poi tornare sulle labbra.
 
“Ho sempre pensato di volerlo fare, non chiedermi il perché.”
Sorridendo gli svelò l’anomalia di quel gesto, arrossendo un po’.
Anche se, era al freddo doveva il resto del rossore sulle sue gote.
 
“Tu puoi farmi quello che vuoi… e per informazione, non voglio che ti giustifichi.”
“Oh, che gentiluomo che è diventato il mio scemo.”
 
La riprese tra le braccia stringendola forte, e la sollevò da terra di qualche centimetro, prima di farle rimettere piede sull’asfalto.
“Torniamo a casa ora, Nabiki potrebbe preoccuparsi…”
 
 
 
Bip Bip.
Un’accesa lucina rossa lampeggiò un paio di volte, prima di ritornare nell’oscurità in quel vicolo, catturando in quell’ultimo istante di scarna appariscenza, la loro attenzione.
 
All’unisono, due voci esclamarono con lapidaria certezza il nome di colei che li avrebbe rovinati.  
Nabiki!
Nabiki!
  
  
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