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Autore: Titinina    03/04/2012    1 recensioni
Eccoci qui! So che non mi sopportate più!
"Remind Me" è una fanfiction dai toni più cupi rispetto alle precedenti, è stato faticoso scriverla, ma mi ha dato la soddisfazione con la S maiuscola. Forse perché c'è tantissimo di me qui dentro! Spero davvero che vi piaccia!
La storia si svolge a conclusione del manga, ma vedremo che un episodio davvero tristissimo sconvolge la vita dei nostri eroi. p.s. Per chi ha visto il drama coreano basato su City Hunter noterete che ho utilizzato alcune location e nomi riferiti proprio al drama, erano lì ed era impossibile non sfruttarlo! A prestissimo! Titinina ^__________^
Genere: Azione, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kaori/Greta, Ryo Saeba/Hunter, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
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Dove si trovava?
Sembrava un bosco.
La sua fedele pistola in mano.
Gli abiti logori.
Ma provava una gioia immensa.
Lei camminava verso di lui, non riusciva a vederle il viso. Un raggio di sole la copriva.
Ma lui era felice.
Si avvicinava, passo dopo passo, lui allungò la mano per afferrarla, per provare gioia in più.
Perché lo sapeva, tra le sue braccia, la sua felicità sarebbe stata completa.
Bramava ad ogni passo, guardava le sue gambe e quella gonna rosa che le arrivava sopra le ginocchia.
Poi lei si fermò improvvisamente. E gli sorrise. Il tepore di quel sorriso gli prese lo stomaco per irradiarsi in tutto il suo essere, fino ad arrivare al suo cuore. E sentì il suo cuore. Un battito, due battiti, tre battiti. Un cuore che pulsava e pulsava in fretta, come a volergli dire che era per quella creatura, che aveva davanti agli occhi, che lui pulsava così forte da far male.
Ecco, la sua voce.

"Adesso vorrei abbracciarti forte, pensi che si tratti dell’istinto di sopravvivenza della razza?"

Il suo sorriso, timido, impacciato, bellissimo.
E poi la nebbia l’avvolse, cercò di prenderle la mano, non voleva lasciarla andare.
Ma il suo corpo non obbediva, non si muoveva, sembrava paralizzato.
Non riusciva a fermarla, mentre lei pian piano scompariva nella nebbia, la paura si installò nel suo stomaco, non poteva perderla di nuovo.
Non voleva perderla di nuovo.
Il cuore batteva più forte, più forte tanto da sentirlo nelle tempie. Ma l’ultima cosa che vide era la sua mano risucchiata nella nebbia.
E poi il nulla.
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Steve aprì gli occhi all’improvviso e si destò. Di nuovo quel sogno persecutore. Di nuovo quel senso di gioia immensa e poi paura angosciante. E lei. Lei che non riusciva a trattenere.

Si alzò in piedi cercando di riordinare le idee. Si, un buon caffè sarebbe stato l’ideale.
Cercò di far mente locale se in quell’appartamento avesse visto del caffè. Scese le scale e si ritrovò in soggiorno, si girò verso la cucina, con gesti automatici e sovrappensiero, si era preparato il caffè.
Portò il primo sorso alla gola, il liquido scuro gli attraversò la bocca, finalmente riuscì a ragionare più lucidamente. Si sedette sul divano del soggiorno, posò il caffè sul tavolino e tirò vicino a sé il pacchetto di sigarette e la busta con tutte le informazione che Baiko gli aveva fornito.

Quel grande bastardo aveva organizzato tutto.

Il suo appartamento si trovava al confine tra Shibuya e Shinjuku. La sera prima, dopo essere uscito dall’aeroporto, aveva preso un taxi indicando l’indirizzo che Baiko aveva lasciato nella busta, all’interno aveva trovato anche un mazzo di chiavi.
Il palazzo, di dieci piani, era notevolmente silenzioso nonostante si trovasse in un quartiere trafficato. Disposto su due piani, era dotato di tutti i comfort. Lenzuola pulite, una casa calda. Di certo migliore della tenda logora al Golden Triangle. Baiko ci teneva proprio a veder morto questo City Hunter per avergli dato tutto questo.

Tirò fuori il contenuto della busta. Da una lettura capì molto in fretta che su questo City Hunter c’era davvero molto poco. Tra una boccata di fumo e l’altra, Steve , mormorò tra sé e sé, che Baiko non gli aveva dato niente in mano. Davvero pochi indizi. Non c’era neanche una descrizione del tizio.

Cercò di fare un quadro generale di ciò che aveva in mano.
City Hunter operava a Tokyo dagli anni ottanta. Probabilmente collaborava con la polizia – e questa non era una buona cosa-, tendenzialmente tutti lo conoscevano di nome, ma chi sapeva non parlava e chi non sapeva credeva fosse una leggenda metropolitana.

A Steve la prima cosa che venne in mente fu pensare se questo City Hunter fosse solo oppure fosse un gruppo. Com’era possibile che un uomo solo potesse avere il controllo su tutta Tokyo?!

La zona che più controllava era Shinjuku Est, non molto lontano da dove lui abitava ora.

L’unica cosa intelligente che Baiko avesse fatto era di dargli il nome di un certo Haru Satou, suo ex collaboratore. Dalle poche parole di Baiko, lavorava per lui quando era a capo della Kyodo – kai, ed era stato lui ad informarlo di City Hunter. Haru Satou, nonostante la galera, nonostante fossero passati tanti anni, era rimasto fedele a Baiko, tant’è che appena saputo dell’intenzione del suo ex capo di tornare in città, si fece subito avanti per aiutarlo. Un criminale di vecchio stampo.

Steve perciò decise di dedicarsi alla ricerca di Haru quel giorno. Sicuramente poteva scoprire qualcosa in più.
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Shinjuku Est - casa Saeba/Makimura

La data sul calendario segnava 14 marzo.
Kaori diede lo sguardo al calendario appeso in cucina, strinse con forza la tazza del suo caffè. Marzo. Un mese carico di ricordi. Tra una decina di giorni sarebbero stati i loro compleanni. La rabbia la invase.

Lui aveva promesso di passarlo con lei. E non c’era. Non c’era.

Quel moto di rabbia forte si fece strada nel suo cervello, non facendo capire più nulla, si ritrovò a scagliare per terra la tazza del caffè. Si fece totalmente in pezzi e il liquido scuro si propagò sul pavimento. Kaori, furente, non si accorse neanche di essere scalza e si scheggiò il piede.

Tutto quel dolore non la lasciava un secondo, tanto che, a volte nella solitudine della sua casa, si ritrovava sommersa dai suoi pensieri dolorosi che le facevano perdere il contatto con la realtà, il dolore la rendeva inerme.

La rabbia, sentendo il dolore di quel taglio, cominciò a scemare, Kaori si accorse dell’affanno che le percorreva il torace, cercò di sedersi e di togliere via la scheggia dal piede.

Umibozu era uscito dal Cat’s Eye, come ogni martedì , alle 10 spaccate. Guidò la sua gip fino al palazzo bianco, casa di City Hunter.

Parcheggiò e disattivò il sistema d’allarme, salendo le scale sentì un forte odore di caffè. Kaori era sveglia.

Flashback
Due anni prima.

Non avevano nessuna notizia di Ryo da ben tre mesi.

Quella notte, Kaori a casa da sola, aveva subito un attacco, fortunatamente sventato. Ma il salotto era a pezzi, come del resto lo era Kaori.

Umibozu era accorso da segnalazione di Mick, che teneva sotto controllo la casa. Se non fosse stato per quel piantonamento, Kaori si sarebbe ritrovata in piena notte con una pistola puntata. Non perché lei non fosse in grado di proteggersi, ma il suo sistema nervoso e il suo corpo erano devastati e in quelle condizioni i suoi riflessi non erano pronti per nessun attacco.

Quella notte Umibozu sfondò la porta di casa Saeba, sentì il grilletto di una pistola caricarsi, ma con la velocità e l’intuito dato dalla sua cecità, riuscì a disarmare il midollo di turno. Niente di eccezionale. La nota invece che lo preoccupò davvero era sentire che Kaori non era spaventata ma completamente inerme e arrendevole. E questo non lo tollerava.

Miki offrì subito a Kaori di trasferirsi da loro, ma lei rifiutò con tutte le sue forze, dichiarando che non si sarebbe mossa da quella che era casa sua. Mick invece cercava in tutti i modi di consolarla, ma senza riuscire nel suo intento.

Così, Umibozu, disse poche parole.

- Domani verrò ad installare un sistema d’allarme. E comincerò ad allenarti in modo che tu sia preparata ad ogni evenienza.

Fece un cenno alla moglie e a Mick di andare fuori in modo da lasciarla sola. Sapeva di aver fatto la cosa giusta, Kaori aveva bisogno di aiuto, ma lui l’avrebbe fatto nell’unico modo che conosceva, insegnandole a difendere la sua vita.

Kaori aveva fatto cenno con la testa al gigante, capì che quello era la sua dimostrazione d’affetto.

La mattina dopo Umibozu, di buon ora, si era diretto da Kaori, prima di bussare alla porta, grazie al suo orecchio molto sensibile, aveva sentito un lamento, flebile ma lacerante. Kaori. Kaori che piangeva. E Umibozu non poteva sopportarlo, non poteva sopportare che quella donna dall’altra parte della porta stesse così male, quella donna che era sua allieva da anni, quella donna che le aveva fatto capire cosa stava perdendo se avesse lasciato Miki, quella donna che era riuscita a fare colla tra di loro per creare una famiglia.

Bussò alla porta, diede a Kaori il tempo di ricomporsi e da quel giorno, ogni martedì, Umibozu e Kaori si allenavano insieme.

Fine Flashback

Umbozu entrò in casa Saeba. Si accorse subito della difficoltà di Kaori, così, senza neanche salutare, prese la cassetta del pronto soccorso e si avvicinò a Kaori.

- Ti brucerà
- Non preoccuparti Falcon

Disinfettò il taglio e mise una garza sulla ferita di Kaori. La fece rimettere in piedi e aiutò a pulire.

- Grazie Falco.

Kaori posò la mano sul suo braccio, cosa che fece arrossire il gigante. Del resto, era il suo stile. Kaori fu riconoscente al suo mentore, anche se i modi non erano espliciti, due anni di allenamenti erano serviti per farle fare il suo lavoro come si deve e soprattutto sapeva che in quel modo, il suo gigante buono, cercava di aiutarla.

- Poligono?
- Si oggi poligono.

Sulle scale di quella palazzina bianca, nonostante il dolore, si poteva notare un legame chiamato amicizia tra un gigante buono e una ragazza dai capelli rossi.
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Shibuya era caotica, lo sciame che camminava per strada era immenso. Steve Lee si guardò attorno, persone, vive, che respiravano, che non combattevano, che continuavano lottando giorno per giorno con una vita normale, senza armi.

Donne bellissime che defilavano sotto i suoi occhi, curve mozzafiato, bionde e more. Steve Lee si compiacque per quello spettacolo. Di certo questa missione si stava rivelando decisamente piacevole soprattutto per i suoi bassi istinti.

Con i suoi occhiali da sole e il suo giubbino in pelle, Steve Lee, spiccava nella folla, era difficile non notarlo. La sua aria misteriosa, la camminata da animale predatore, sicura, potente, non poteva rimanere inosservata; i suoi capelli color ebano legati e quella barba curata su quella bocca carnosa lo facevano sembrare un cavallo non ancora domato, i muscoli che si intravedevano dai vestiti davano un senso di timore ma protezione allo stesso tempo e quelle spalle, larghe, ben definite, erano un invito esplicito ad appoggiarsi sopra e perdere la concezione della realtà per farsi rassicurare da quel calore, Steve Lee era tutto questo, tanto che le donne che lo guardavano, sia giovani che adulte, non riuscivano a non trattenere lo stupore di ritrovarsi davanti a questo esemplare d’uomo fuori dal comune.

Camminava ma sapeva bene dove dirigersi, nel dedalo di strade trafficato del quartiere di Shibuya, in mezzo ai “love hotel”, c’era un piccolo bar malfamato, il Close Club. In questa via stretta, dove neanche la luce del sole filtrava e dove la puzza delle fogne albergava, Haru Satou faceva da capo. Il Close Club era sede anche di smercio di stupefacenti sotto l’occhio vigile di Haru, insomma le vecchie abitudini non morivano mai.

Così, Steve, si ritrovò davanti alla porta di questa bettola. Bussò con la sua forte mano sulla porta, un uomo aprì una fessura.

- Chi sei?
- Cerco Haru, sono l’amico di Baiko.

L’uomo, dopo aver ascoltato quelle poche parole, chiuse lo spioncino. Steve attese qualche minuto, si appoggio al muro con una gamba, intanto diede un occhio alla sua pistola, e infine la porta si aprì.

Haru, con un completo grigio, si fece avanti, vide quella montagna di muscoli dell’uomo giovane. Si sistemò meglio la giacca e si fece più avanti. Voleva proprio conoscere da chi si fosse circondato Baiko.

Steve, con la coda dell’occhio, guardò il tipo tarchiato che gli si presentò davanti, calvo e sudato, avrà avuto più o meno 50 anni, si girò verso di lui, tolse i suoi occhiali da sole e li mise sopra la testa.

Improvvisamente Haru sbiancò di colpo. Steve lo scrutò a fondo in quegli occhietti da talpa e ci trovò della paura, sorrise beffardo di quell’omuncolo. Non aveva tempo da perdere e cominciò a parlare.

- Allora Haru, dimmi un po’ quello che sai di City Hunter.

Haru non rispose e cominciò ad indietreggiare, sudò copiosamente.

- Haru, non devi aver paura di me. Baiko deve averti detto che sarei venuto a trovarti.

Più Steve si faceva avanti, più Haru indietreggiava alla ricerca di una via di fuga.

- Haru è maleducazione non rispondere.

Haru Satou riuscì a raggiungere la porta del suo bar/bettola.

- Io… io … non so niente di City Hunter né di questo Baiko, risparmiami, credo ci sia stato un errore.
- Haru mi stai facendo innervosire.
- Ti prego lasciami stare, non conosco nessuno, lo giuro.

Haru fece una cosa che davanti a Steve Lee non si sarebbe potuto permettere di fare, tirò fuori la pistola e cominciò a sparare alla cieca. Steve Lee sentì la rabbia aumentare, ma, con astuta freddezza, tirò fuori la sua Python e puntò contro l’uomo facendo partire un colpo che andò a spezzargli la mano e gli fece cadere la pistola.

- Haru hai proprio sbagliato a puntarmi contro un’arma. Cosa racconterò a Baiko?
- Ti prego risparmiami non so nulla, nulla.

Haru teneva la mano dolorante e sanguinante, tremava come una foglia davanti a lui. Il terrore lo percorreva da testa a piedi. Poi vide Steve Lee che ripuntò di nuovo la sua pistola, Haru sentì il colpo partire, ma non sentì nessun tipo di dolore, allora la morte non era dolorosa? Si domandò l’uomo. Riaprì gli occhi e capendo che stava ancora respirando, fissò di nuovo gli occhi di Steve.

- Per questa volta è andata bene Haru, la prossima volta non sarò così buono.

E gli girò le spalle, lasciandolo per terra e paralizzato dalla paura.
Haru ringraziò tutti gli dei per essere ancora vivo, sapeva che contro di LUI non poteva nulla, decise di non immischiarsi più nella faccenda, avrebbe fatto meglio a starsene nella sua bettola malfamata senza immischiarsi tra Baiko e City Hunter. Come era possibile che sapesse già di Baiko? Haru decise che non si sarebbe più intromesso, avrebbe fatto solo l’ultimo favore al suo ex capo dicendogli che il suo uomo sicuramente era stato scoperto.
L’uomo, barcollante e sanguinante, si ritirò nella sua bettola infida sperando di non dover più incrociare quello sguardo nero, nero come solo la morte poteva avere.

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Kaori, dopo l’allenamento, decise di uscire di casa, aveva bisogno di vedere la luce del sole.

Forse, forse Shibuya le avrebbe fatto bene, pensò, i negozi, la gente, forse l’avrebbero distratta.

Prese il treno dalla stazione di Shinjuku e scese alla stazione di Shibuya, chiusa nel suo cappotto nero, si fece largo tra la gente e arrivò al grande incrocio.

Steve uscì dal viottolo, imprecando tra sé e sé, che aveva perso del tempo, si accese nervosamente una sigaretta e si incamminò verso il centro di Shibuya.

Kaori fece per attraversare l’incrocio per arrivare alla statua di Hachiko.

Steve stava facendo mentalmente un riepilogo delle informazioni che aveva per costruirsi un piano e per scovare City Hunter attraversando l’incrocio.

Kaori si fermò davanti alla statua, un sorriso malinconico le si presentò sul viso, ricordando Ryo e il suo scherzo idiota fatto a Falcon tanti anni fa. Si sedette sul muretto vicino alla statua.

Steve arrivò nella piazzetta, cercò di dimenticare il piccolo incidente avuto con Haru, quando guardò la statua di Hachiko.

Destino?
Fato?
Chi può dirlo.

Steve guardò la statua di questo cane che campeggiava nella piazza molto di sfuggita, ma improvvisamente il suo sguardo fu catturato da una donna dai capelli rossi.

Emanava una strana aura: tristezza, amore, dolore. Sembrava in un altro mondo, in un mondo a parte. Steve la guardò da dietro le sue lenti scure, guardava quella donna dalla pelle candida e i capelli a caschetto, avvolta in un cappotto nero, ma lo colpì l’espressione del suo viso. Triste. Non c’erano altre parole per spiegarlo. La vide chiudere gli occhi, come per cercare nei suoi ricordi, i momenti felici, come se potesse riafferrare per un solo istante qualcosa di perduto.

La vide respirare una, due, tre volte, seguì il movimento del suo petto.
Poi fece un respiro più profondo.

Lei riaprì gli occhi e andò via fino al grande incrocio.

E nella sua gola si formò una bolla, le voleva parlare, la voleva guardare, ma il suo corpo non voleva reagire mentre la guardava sparire tra la folla.

Nell’aria rimase il suo odore, quell’odore di donna, di pulito, di fresco, di talco. Un odore che si impossessò della mente di Steve. E che non avrebbe mai scordato.




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note:

la statua di Hachiko si trova davvero a Shibuya.
Da Wikipedia:
"Hachikō fu un cane di razza Akita, divenuto famoso per la sua fedeltà nei confronti del padrone, Hidesaburō Ueno. Dopo la morte di Ueno, il cane si recò ogni giorno, per quasi dieci anni, ad attenderlo, invano, alla stazione, in cui l'uomo prendeva il treno per recarsi al lavoro.

La vicenda ebbe un enorme riscontro nell'opinione pubblica dell'epoca e ben presto Hachikō divenne, in Giappone, un emblema di affetto e lealtà. Nel 1934, al fedele animale fu dedicata una statua e, negli anni, la sua storia divenne il soggetto di film e di alcuni libri."
Inoltre è segnalata nel manga nel capitolo "La bambina sull'altalena" famosissima in quanto il nostro Umi-chan, per colpa di Ryo, si fece trovare seduto sopra con una bambolina in mano!
   
 
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