A te, per i miliardi di ciliegie.
Questa mattina ho mangiato delle ciliegie. Rosse e finte, non come quelle che coglievo con te.
Ricordo quando prendevamo insieme un cesto di vimini dalla cantina ed andavano, sotto il sole, nel prato.
Gli alberi di ciliegie erano i più vicini. Dopo cominciavano i cespugli di nespole.
Sapevi benissimo che avevo paura di arrivare fin laggiù. Sembrava il punto di non-ritorno.
Ora, quando vengo a trovarti, le mie paure di bambina sembrano briciole.
Amavo le ciliegie.
Mi prendevi per mano e ci buttavamo insieme tra l’erba e le ortiche.
La tua mano piena di calli era la mia preferita.
Indossavo un paio di vecchi guanti sbrindellati e la mascherina verde e fingevo di operarti.
Dopo stavi sempre bene.
Ora vorrei essere capace davvero di frenare quel tremore che ti coglie mentre sfiori appena il mio viso.
Mani ruvide contro pelle liscia, generazioni a confronto.
Amavo i mughetti e le rose che nonna voleva sempre che tu cogliessi per me.
Ho una rosa essiccata in camera, capovolta.
Mi piacevano le biciclette e l’odore di mosto a Ottobre, quando la grande vigna dava i suoi frutti e tu eri felice.
I fiori di zucca fritti in padella, le camicette a quadri, il tuo cappello intoccabile.
L’odore di fumo – mi proibivi perfino di starti vicino quando accendevi la sigaretta.
Mi piaceva tutto – ora questo tutto è una storia da raccontare intorno al fuoco.
Mi piaceva la vecchia scala di legno appoggiata contro l’albero. I pioli erano cadenti, ma tu ci salivi sempre.
Per prendere le ciliegie. Per me.