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Autore: Kiyara    04/04/2012    1 recensioni
Ecco come ho immaginato il primo incontro tra Stalin e la sua futura seconda moglie.
Genere: Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Novecento/Dittature
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Il signor Džugašvili alloggiava da loro ormai da giorni. La bambina l’aveva osservato attentamente senza aprire bocca dal momento del suo arrivo, cercando di capire cosa avesse spinto il padre a offrire rifugio a quel tipo con cui, apparentemente, non aveva nulla in comune.
Il loro ospite doveva avere circa trent’anni, non era bello, si muoveva silenziosamente, con estrema cautela e parlava a bassa voce con il padre; più di una volta la piccola li aveva visti confabulare ma si erano subito zittiti quando avevano notato la sua presenza.
Il padre le aveva raccontato che quell’uomo era fuggito da un posto brutto in Siberia, dove era stato mandato ingiustamente, e che avrebbero dovuto lasciargli il tempo di riprendersi da… La bambina non aveva capito bene di quale posto parlasse il padre, ma voleva sapere di più sul misterioso ospite e quel giorno sapeva che ci sarebbe riuscita: dopo averlo tenuto d’occhio, si era accorta che Džugašvili era una persona mattiniera, si svegliava prestissimo e rimaneva in silenzio a riflettere.
La piccola era andata a letto prima del solito per svegliarsi presto. Non appena aprì gli occhi scese dal letto e sgattaiolò in corridoio cercando di pare il meno rumore possibile. Tentò di sbirciare l’orologio appeso al muro; vide la lancetta corta che segnava le quattro, ma la penombra in cui era immersa non le permetteva di vedere anche quella lunga.
Arrivò alla cucina e si fermò accostando l’orecchio alla porta per accertarsi della presenza dell’ospite. Il silenzio era tale da consentirle di percepire il suo respiro; solo dopo un po’ si rese conto che anche lui avrebbe potuto sentirla.
< Non dovresti essere a letto a quest’ora? > chiese il misterioso. Parlò piano, quasi in un sussurro, e con fatica, come se ogni parola gli causasse dolore.
La bambina non sapeva se tornarsene a letto e fingere che non fosse successo niente o se entrare in cucina e, dato che era stata scoperta, decise di entrare, lentamente, cercando di non sembrare troppo intimorita.
< Non riesco a dormire > inventò.
L’uomo era seduto su una sedia vicino al tavolo e chinato in avanti.
< Vai spesso in giro per casa la mattina presto? > chiese di nuovo.
La bambina si spaventò. < Non ti stavo spiando > pigolò.
< Non ho detto questo > Si raddrizzò sulla sedia. < Come ti chiami? >
Era impossibile che non lo sapesse, forse voleva solo sforzarsi di essere gentile.
< Nadežda >
L’uomo sollevò gli angoli della bocca in quello che doveva essere un sorriso, ma non fu affatto convincente. Nel suo sguardo c’era una strana ombra, come se nella sua vita avesse visto più di quanto avrebbe voluto.
< Non hai freddo? > disse accennando ai piedi nudi della piccola.
< Un po’ > rispose Nadežda. A dire il vero non se n’era accorta fino a che l’uomo non glielo aveva chiesto.
< Allora forse è meglio che torni a letto >
La bambina annuì e si voltò per tornare in camera, ma fatti pochi passi si girò di nuovo verso l’ospite.
< Sai, signore, all’inizio non volevo alzarmi perché ho paura del buio >
L’uomo stava guardando fuori dalla finestra, ma quando Nadežda parlò, riportò l’attenzione su di lei. < Anch’io, piccola >
Nadežda battè le palpebre perplessa. Non era certa che stessero parlando della stessa cosa.



Piccole note dell'Autrice:
1) Mi spiace aver reso Stalin quasi umano ma mi è venuto così
2) Il buio a cui si riferisce Stalin può essere inteso sia come la mancanza di luce che c’era nei campi di lavoro siberiani sia come l’ignoranza del popolo sotto il dominio degli zar, in quanto Stalin intende ‘liberare’ il proletariato con il comunismo.
  
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